Il mito australiano
Il nostro primo viaggio down-under
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Strade interminabili incorniciate da terra rossa e tutto intorno il nulla, così è per migliaia di chilometri. Gli occhi cercano ovunque qualcosa da guardare, ma inevitabilmente lo sguardo si posa sui pietosi cadaveri di animali investiti in attesa di essere consumati o dal sole rovente o dagli uccelli spazzini. Le distanze da percorrere per raggiungere un posto sono estenuanti come le mosche che si appiccicano addosso mirando sempre agli occhi e la bocca, rendendo quindi impossibile guardare e commentare a cielo aperto. Siamo in Australia, più precisamente nel Western Australia, e l’impatto è duro, ma si sapeva già prima di partire. Tra le innumerevoli difficoltà nel trovare da dormire e da mangiare per gli orari anglosassoni, percorriamo 4000 km desiderosi di immergerci nei mitici paesaggi australiani, cercando di mettere da parte un sentimento sempre più crescente, la delusione. I nostri passi scricchiolano sulle migliaia di conchiglie depositate dall’oceano indiano su una spiaggia della cui fine non si ha idea, Shell beach. Lo sguardo si perde all’orizzonte, intorno a noi solo dune accecanti per le minuscole conchiglie che fanno da specchio al cielo incolore, più scuro del bianco e più chiaro del grigio. Il parco di Kalbarri ci offre il rosso dei crostoni che dominano un canyon in secca per l’assenza delle piogge. Qui il contrasto di colore della roccia rossa con il cielo azzurro è da immortalare, così come la vegetazione preistorica che abbiamo intorno, strane palme dal fusto tozzo e alberelli quasi secchi con dei fiori simili a ghiande rosa. Un deserto di sabbia color dell’ocra fa sprofondare i nostri piedi e, mentre camminiamo a fatica, guardiamo il gioco di luci e ombre che si crea al tramonto sulle dune, ma soprattutto sui pinnacoli, strane protuberanza di calcare che si ergono fino a tre metri e mezzo. Siamo nel Pinnacles desert, vicino a Cervantes. Il paesaggio cambia molto il suo aspetto, ma per vedere ciò bisogna macinare chilometri, tanti chilometri. I verdi vigneti di Margaret River ricordano molto la nostra Toscana, se non fosse per i cartelli con su scritto “winery”, sembra proprio di essere sulle colline del chianti. Grappoli turgidi pendolano dai tralci, di lì a pochi giorni avverrà la vendemmia. E’ nell’outback che avvertiamo la durezza dell’Australia, sembra non esserci vita, ma vità ce n’è, e anche tanta, animali pericolosi che si nascondono nel selvaggio bush, secco e cespuglioso che è meglio non incontrare. Non ci facciamo mancare qualche fuoristrada con il nostro Ford Territory, strade così credo siano uniche per il tipico colore rosso. Lasciamo dietro di noi una nuvola di polvere rossa che ammanta il nulla. Dai bassi rovi ogni tanto si stagliano verso il cielo degli alberi giganti dal tronco color rame, hanno la caratteristica di un tronco lunghissimo e molti rami ben visibili tra le fronde spoglie di un verde cupo, anche a volersi fermare per rifocillarci un po’ è impossibile, vista la scarsa ombra che fanno. Continuiamo in solitudine il nostro viaggio, non incontriamo mai nessuno, se non qualche road-train da sorpassare, un rischio che vale la pena di correre, se non si vuole prendere addosso tutto il selciato che tira su dai bordi della strada. L’unica attrazione nel raggio di 800 chilometri è Wave Rock, nei pressi di Hyden. Molto bella e imponente l’onda di granito che sembra voler travolgere i pochissimi visitatori che si spingono fin qui, noi tra quei pochi. Ancora chilometri, abbiamo perso quasi il conto, tanto che anche il navigatore ha deciso di appisolarsi (prossima svolta segnalata: 257 km). Arriviamo nella tanto pubblicizzata Monkey Mia, almeno dopo tante rocce, pietre e rovi vediamo il mare. Simpatici emu, belli sicuramente dentro, ma fuori piuttosto bruttini, e pellicani sonnecchianti ci aspettano nell’unica spiaggia accessibile, ovviamente pagando l’ingresso. Qui si può fare il bagno con i delfini, ma bisogna venire la mattina molto presto, noi ci accontentiamo un bel bagno nell’acqua cristallina. Facciamo presto a lasciare la spiaggia, è facile prendere un’insolazione, non esiste riparo intorno all’unico ristorante dell’unico resort presente nella zona, ci sono quattro palme occupate da corvi gracchianti e gabbiani rumorosi, il rischio a star sotto le palme è quello di farsi ricoprire di escrementi. L’unicità di questa spiaggia è il crostone rosso che si immerge nel mare, e solo per quello ti rendi conto di essere in Australia. Abbiamo pensato io e Max…poco male, siamo in un appartamento a Denham, 15 chilometri da qui, trascorriamo cinque giorni facendo mare e godendoci il paesino, anch’esso tanto pubblicizzato come il più bel paese di mare della costa ovest. Non siamo mai stati pervasi dalla noia come in questi giorni, neanche il mare d’inverno è arrivato a tanto, un paese disabitato, mai nessuno in giro in nessuna ora del giorno, figurarsi la sera, una corsa contro il tempo, se si vuole cenare bisogna farlo entro le 20,30, quindi ci vedevamo costretti a scegliere se aspettare il tramonto sulla spiaggia o andare a cena. Dopo cena una bella passeggiata sul lungomare, ma non qui, non in un paese dove ogni attività chiude i battenti alle 21,00, e per attività non intendo negozi che sbarrano la saracinesca alle 17,00, ma locali, bar, aver voglia di un gelato al mare non è pretendere la luna… Riponiamo tutte le nostre aspettative nel parco di Yanchep, vicino a Perth, almeno per vedere da vicino gli animali simbolo dell’Australia. Koala addormentati sui rami degli eucalipti, di giorno si lasciano cullare dal vento, e di sera scendono per gustarsi le foglie più tenere, goffi ma graziosi, sembrano di peluche, Mentre ci rilassiamo su una panchina davanti al tramonto sul lago sentiamo una strana presenza alle nostre spalle, come se decine di mani strappassero l’erba del prato, ci voltiamo e con enorme sorpresa vediamo tanti canguri brucare l’erba, si fanno anche avvicinare abbastanza, purchè non li si spaventi con bruschi movimenti e, incuriositi più di noi, ci guardano seduti sulle zampe posteriori, mentre masticano rumorosamente. Mentre i canguri banchettano sul prato i rumorosi cacatua si raggruppano a migliaia sugli alberi per la notte, e anche noi ci addormentiamo dopo aver mangiato la più buona bistecca alla brace di tutto il viaggio. Cosa rimarrà dell’Australia? Sicuramente bei paesaggi, ma non sempre unici nel suo genere, buffi animali, ma la cosa che ci è mancata di più è stato il contatto con la gente, non abbiamo avvertito una benchè minima cultura, quella aborigena purtroppo è solo selvaggiamente sfruttata nei negozi di souvenir. Un popolo si conosce soprattutto a tavola, ma in Australia sembra esistere solo il barbecue. Mai prima d’ora ci siamo sentiti così vuoti, e non ce lo saremmo mai aspettato dall’Australia, forse anche perchè il MITO che le è stato cucito addosso spinge chiunque a desiderare di visitarla, pensando di trovare un posto magico e bello in assoluto, ma chi viaggia sa bene che non esiste un posto oggettivamente bello per chiunque, ognuno può trovare il proprio paradiso ovunque.
Silvia e Massimo
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