Il mitico West
Arrivo alle h. 19,15 locali (- 9 ore fuso); disbrigo delle formalità aeroportuali (foto, impronte e controllo passaporti) incontro con la nostra guida americana John Francis Barnes e transfer con bus all’hotel Wilshire Grand, dove arriviamo un po’ frastornati dal lungo viaggio, ma curiosi ed entusiasti per l’avventura che ci aspetta.
2° giorno – 15 giugno Incontro con Jack, l’autista americano di poche parole (non parla italiano), che ci accompagnerà durante i prossimi giorni per un percorso di circa 4.000 Km.
Iniziamo con un breve tour di Los Angeles: il Civic Center (Downtown), un imponente complesso di edifici governativi che comprende il Municipio, il Music Center for the Performing Arts Complet, il quartiere messicano con la casa più antica di Los Angeles, Marina Rey, Venice Beach con i suoi canali, la spiaggia di S. Monica, Baywatch ed infine Hollywood e Beverly Hills.
Ci inoltriamo per Hollywood Boulevard, quartiere famosissimo, anche se la maggior parte delle case cinematografiche ha ormai chiuso e non evoca che un pallido ricordo di quelli che furono i tempi d’oro del cinema, dove possiamo vedere le impronte delle mani e dei piedi e le firme delle più grandi stars del cinema proprio davanti al Mann’s Chinese Theatre, oggi semplice sala cinematografica. Vediamo anche immortalati i nomi di attori e personaggi famosi che hanno percorso la via su placche di ottone incassate in stelle rosa sul marciapiede della Walk of Fame, nella parte centrale di Hollywood Boulevard, a partire da quelle celeberrime di Marilyn Monroe.
Non è invece possibile fare il tour delle splendide ville dei famosi a Beverly Hills (già, non vogliono essere troppo disturbati!!!) e ci accontentiamo di una breve sosta in Rodeo Drive, con i suoi elegantissimi negozi (italiani e francesi ovviamente!) tra cui Armani, Valentino, Bulgari, memorabile soprattutto grazie allo sfrenato shopping di Julia Roberts in Pretty Woman. Siamo proprio nella capitale mondiale del cinema!!!! Segue la visita agli Universal Studios. Giro tra i set del cinema americano sul trenino che effettua diverse fermate nei luoghi più interessanti, con incontro, anche se parziale, con Denzel Washington avvistato, purtroppo troppo tardi, dall’attenta Peruzzi, a cui nulla sfugge!!!!! Lungo il percorso abbiamo visto da vicino la casa di Psycho, la bocca dello squalo che salta fuori da un laghetto nella cittadina di Amity, i villaggi dei film western, trucchi visivi e sonori con inondazioni, incendi, distruzioni e ricostruzioni varie.
Abbiamo assistito alle attrazioni di: waterworld all’interno di una capiente arena composta per metà da gradinate (scaltra scelta di sederci nell’ultima fila per evitare improvvise docce) e per metà da una bella scenografia “post-atomica” che circonda un grande lago. Attori, moto d’acqua e addirittura un aereo che piomba sul grande specchio d’acqua in fiamme. Esplosioni, raffiche di mitra, tuffi e acrobazie spericolate animano la rappresentazione.
animal actors all’interno di una piccola arena, un buffo spettacolo con protagonisti animali domestici. Poi ingresso a: dracula passeggiata a piedi lungo un percorso buio tra ragnatele, polvere, pipistrelli e fantasmi. Jurassic park dove a bordo di un gommone giallo, lungo un percorso prestabilito attraverso la foresta di Jurassic Park, si vedono da vicino alcuni dinosauri dell’omonimo film di Spielberg con ripida discesa e “splash” finale da urlo, dopo l’incontro ravvicinato con T-Rex.
Pranzo con hot dog all’interno del parco e visita all’Hard Rock di Hollywood (inizia la corsa all’acquisto di magliette griffate del Bulga e del Teza) e negozietti vari.
Quindi, stanchi morti, cena al McCormick & Schmick’s, al IV piano di un edificio centrale con bella vista sulla città, anche se in un locale molto freddo (aria condizionata a stecca, come piace agli americani e alla Peruzzi!) e un po’ buio. Noi ragazze abbiamo scelto un ottimo salmone, mentre i ragazzi si sono lasciati attirare da tagliatelle e “scaloppine” molto lontane dalle aspettative.
Cominciano anche le bevute di birra locale dei maschietti e della Elena. Rientro in hotel per le strade pressochè deserte.
3° giorno – 16 giugno Iniziamo il viaggio verso l’Arizona: siamo finalmente “on the road” e vediamo i mitici camion con le caratteristiche cabine e le auto americane sulle lunghissime e larghissime autostrade (ci dobbiamo abituare: qui tutto è “issimo”). La nostra guida inizia ad illustrarci le caratteristiche delle strade e soprattutto, come farà durante tutti il tempo trascorso insieme, degli autoveicoli. E’ un appassionato di motori, cinema e tette, come avremo modo di constatare nei giorni seguenti, molto preparato, ma dotato dell’arte di “arrangiarsi”, quando non sa inventa e vuol far credere quello che vuole! E’ un filone!, ma come fa a superare i ragazzi di Sestri??? Impossibile! Sosta a Bunnings (casinò, zona indiana morango) in un locale dove vendono tutti i tipi di frutta secca e disidratata Hadley.
Proseguiamo il viaggio; sosta pranzo tra California ed Arizona a Blythe (caldo torrido 42°). Ottimo buffet con patatine fritte al Sizzler. La Peruzzi ingurgita tutti i dolci possibili…
Attraverso il deserto di Sonora, arriviamo a Phoenix, capitale dello stato dell’Arizona, in Scottsdale Road, dove alloggiamo all’Hospitality Suite Resort. E’ ancora presto e riusciamo a fare una sosta in piscina. Segue una “frugale” cena a bordo della piscina principale con un caldo allucinante ed immediata ritirata in camera, confortevole e fresca, dove riposiamo bene.
4° giorno – 17 giugno Siamo pronti per ripartire dopo un’ottima e sostanziosa colazione con uova strapazzate, bacon e patatine, ma sul nostro bus non funziona la radio né il microfono. John si rifiuta di partire senza gli strumenti in ordine e quindi andiamo al deposito degli autobus (fortunatamente a Phoenix), cambiamo mezzo (speriamo in bene) e finalmente, dopo aver perso circa 1 ora e mezza siamo di nuovo per strada verso il Grand Canyon.
Sosta a Jackass Saloon per scattare qualche foto tra i cactus. Il Bulga non si muove troppo per paura dei serpenti (mi sa che li spaventa di più lui!!!).
Segue la visita a Montezuma Castle, dove si vedono le antiche abitazioni degli indiani Sinagua costruite nella roccia. Breve percorso a piedi con bel tempo anche se fa sempre molto caldo. Attraverso Oak Creek Canyon arriviamo a Red Rocks, sosta per foto prima sotto la Bell Rock e poi a Sedona, incantevole cittadina situata nell’Oak Creek.
Breve giro per negozietti vari e via per il pranzo. Ci sediamo a tavola al Coco’s di Flagstaff che sono già le 15!!! Ma pranziamo comunque con appetito, iniziando con un’ottima zuppa di porri, gradita pure (udite udite) dallo schizzinoso Bulga.
Riprendiamo il viaggio per un tratto che sembra quasi deserto, con qualche casa sparsa e finalmente siamo al Grand Canyon per assistere in diretta al tramonto tra le rocce del parco. Spettacolo stupendo, appostati sul bordo del canyon guardiamo tra la profonda spaccatura un panorama sconfinato, dove il rosso vibrante inonda i canyons e le gole. I colori diventano quasi elettrici fino all’altro bordo e giù nel profondo della gola, dove immagini scorra profondo il grande fiume Colorado. Il previsto sorvolo della parte settentrionale del Grand Canyon in elicottero deve essere rinviato al giorno successivo, perché siamo arrivati tardi. Comincio a pentirmi di non aver scelto questo tour panoramico: pago lo scotto di essere l’eterna tentenna e pensare che volevo provare l’emozione già dall’Italia! Mea culpa! Sistemazione all’hotel Quality Inn Arizona e cena alla Steakhouse Yipee-ei-o, dai messicani, senza nemmeno il tempo di cambiarci.
5° giorno – 18 giugno Mattinata dedicata alla visita del Grand Canyon National Park. Bella passeggiata al bordo, tra i picchi, le stratificazioni colorate della roccia ed incontri ravvicinati con numerosissimi scoiattoli. Camminando abbiamo preso anche un bel colore, il sole è veramente caldo.
I fortunati nel frattempo sono in volo con l’elicottero e io no, così rompo un po’ gli amici con il mio rimpianto. Ci vorrebbe più tempo, più preparazione fisica (anche il super allenato Piero è momentaneamente fuori uso) per poter fare trekking o rafting sul piccolo e fangoso Colorado, oppure la discesa del canyon in sella ad un mulo.
Dobbiamo rientrare in hotel per riunirci al resto del gruppo, ma sorpresa il bus è di nuovo rotto! Troviamo un passaggio da un bus di un gruppo francese che gentilmente ci porta al Quality Inn per pranzare. Qui trascorriamo un po’ di tempo in attesa del nuovo bus partito da Phoenix (speriamo sia il definitivo) tra le proteste generali ed il timore di non poter vedere tutto quanto in programma. Riusciamo a tornare al Grand Canyon con il solito bus di fortuna, almeno l’attesa è più piacevole (siamo sempre davanti ad uno spettacolo mozzafiato, non dimentichiamolo!). Abbiamo anche il tempo di fare un tratto con lo “shuttle” del parco per raggiungere un altro punto panoramico.
Finalmente alle 17 si riparte, attraversiamo la riserva indiana con sosta al Cameron Trading Post, per cambio idrico e acquisto di souvenir indiani. In tarda serata arrivo a Kayenta, unico paese, fuori dal mondo, in vicinanza della Monument Valley, dove senza possibilità ancora una volta di doccia, ci sistemiamo e ceniamo all’Holiday Inn.
6° giorno – 19 giugno Colazione all’alba per recuperare il tempo perso ieri (anche il fuso rema contro: lancette avanti di un’ora: siamo in terra Navajo!) e finalmente la Monument Valley: sembriamo catapultati dentro lo scenario naturale di un film western. Siamo a metà tra Utah e Arizona, ma in riserva indiana; è ancora presto, per fortuna non ci sono orde di turisti e i colori sono meravigliosi, quasi irreali: terra rosso fuoco, sculture naturali di roccia e mitologia Navajo Tutti eccitati saliamo su una specie di jeep aperta da 9 posti guidata da un indiano navajo (sempre in prima fila, il mitico Enzo riesce sempre ad arrivare primo!) e lungo un percorso polveroso e dissestato tra i monoliti rossi arriviamo al John Ford’s point, da dove si ha una panoramica completa e straordinaria davanti alle guglie delle 3 sorelle. Vediamo ancora Totem Polem e altre rocce dalle strane ma caratteristiche sagome.
Il Bulga (finalmente veramente entusiasta) con gli altri ragazzi non fa che rievocare film e personaggi western, miti di gioventù, con un coinvolgimento emotivo totale.
Siamo nel deserto su strade sterrate e composte da una fine polvere rossa che, aiutata dal vento, ci penetra ovunque, tra grandissimi magici scenari, dove la rossa terra si innalza verso il blu del cielo.
Durante l’ultima sosta in un view point l’autista navajo espone alcuni prodotti dell’artigianato locale: è difficile resistere alla tentazione e, mentre scattiamo le ultime foto, procediamo all’acquisto sperando almeno di aiutare l’economia navajo. Lasciamo la Monument Valley per raggiungere Page, dove (ahimè) saliamo, a parte Anna, su un piccolo velivolo (una decina di posti) per il sorvolo del Lago Powell, grandissimo e con scenari notevoli. Subito lo spettacolo è bellissimo, sulla Glen Canyon Dam, Wahweap Marina e il lago, ma poi comincia la nausea e non vedo l’ora di scendere. Passo così la fotocamera al Bulga, che ha già intuito il mio stato e si agita (come suo solito) per me. E pensare che per stare così male ho pure pagato ben 145 dollari e rinunciato all’agognato elicottero! E’ la volta che Mauro scatta un po’, visto che durante tutto il viaggio è stato piuttosto reticente a fotografare (meno male che c’era sempre il fotografo ufficiale Enzo, sempre pronto e disponibile ad immortalare ogni attimo).
Andiamo all’Arizona- Butterfield Stage Co. Dove ci attende il resto del gruppo per il pranzo. Viene servito un ottimo salmone che, purtroppo, non riesco a mangiare, perché ho ancora lo stomaco sottosopra. Mi accontento di un insapore gelato coloratissimo, ma fresco, che mi fa stare meglio.
Il caldo è sempre più torrido, fortunatamente non umido, e in pochi attraversiamo la diga a piedi: è impressionante, altissima! Risaliamo sul bus, attraversiamo il confine tra Arizona e Utah e facciamo una breve sosta nel Red Canyon dove, nell’ennesimo spaccio (forse il White Mountain Trading Post), il Bulga, che durante questo viaggio è stato preso dal sacro furore dello shopping, acquista la mappa della dislocazione delle antiche tribù indiane (che gli avevo fatto “perdere” a Sedona!) e la targa con la mitica Route 66.
Arriviamo al tramonto al Bryce Canyon (antipasto – come dice John – al Sunrise Point), dove si apre un panorama da brivido: la prima impressione lascia senza parole. La parte centrale è come un gigantesco anfiteatro con formazioni rocciose a forma di guglie e pinnacoli che vanno dal rosso al rosa e dal giallo ocra al bianco, prodotti da milioni di anni di erosione. Passeggiamo per un tratto tra diversi view point (siamo sui 2.500 m. Ed il Bulga teme per la sua pressione).
Prendiamo poi possesso delle nostre camere all’interno del parco al Best Western Ruby’s Inn, dove, anche stavolta, andiamo direttamente a cena; solo il tempo per guardarci intorno: un recinto con i bufali (“tatanka”) e la ricostruzione di un villaggio western.
Siamo in terra di mormoni: “sister” le donne e “elders” gli uomini. Siamo stanchi ed impolverati, mentre la rigida signora del ristorante ci fa anche delle storie sulla presunta prenotazione! Dopo alcune trattative da parte della guida e una imprevista attesa ci sediamo, la cena a buffet è ok e, con le ottime birre Heineken offerte da John per “risarcimento”, dimentichiamo i recenti disguidi. 7° giorno – 20 giugno Al mattino sorpresa per la colazione. Andiamo al Ruby’s Canyon Diner, gestito dal fratello del proprietario del ristorante di ieri sera, dove nessuno riesce a capire cosa ci sia di commestibile per noi (non dimentichiamo di essere ancora in terra di mormoni!). Le ragazze alla cassa sono studentesse che a malapena parlano la loro lingua e, finchè non arriva John a fare da intermediario, dobbiamo stare in coda per lungo tempo, tanto che il Teza si spazientisce ed imprecando se ne va. L’imperturbabile Peruzzi non si preoccupa e rimane, tanto lo conosciamo: tra poco sarà tutto dimenticato, meglio lasciarlo sbollire. Peccato che con questa perdita di tempo non sono riuscita né a telefonare (Mauro si impiccia sempre e mi innervosisce) né a scattare foto nei pressi del resort.
Ripartiamo, ancora un ultimo sguardo al Bryce e, riattraversando il Red Canyon con sosta fotografica, ci dirigiamo allo Zion National Park. Qui dobbiamo percorrere una stretta e buia galleria che permette il transito solo in un senso di marcia. Troviamo molta vegetazione tra le rocce scavate dal fiume Virgin e dai suoi affluenti.
Purtroppo, dopo gli altri parchi più spettacolari, può apparire meno suggestivo.
Siamo di nuovo in marcia e arriviamo a St. George, città mormonica e capitale d’inverno dello Utah, dove ci serviamo ad un ricco buffet al Golden Corral e poi, attraverso un paesaggio desertico, arriviamo finalmente a Las Vegas, la stravagante città del Nevada che appare come un miraggio e ci sistemiamo all’Hotel Circus Circus sulla “strip”: incredibile! Moltissima gente tra la più strana, nugoli di bambini, gente accampata per terra, forse in attesa del ceck in alla reception, coppie di passaggio per il matrimonio e una grande sala con le famigerate slot machine. Le nostre camere, come tutte le sale dell’hotel, sono arredate in stile circense, con quadri e addobbi che rappresentano la vita del circo. Ceniamo molto presto al buffet dell’albergo, ma non ci facciamo problemi: nessuno sembrava aver fame dopo il lauto pranzo, ma quando ci siamo seduti abbiamo sbafato tutto come al solito. Il Bulga, ormai quasi in crisi di astinenza da pastasciutta, ha addirittura osato linguine ai frutti di mare!!!!!Possibile, mah! Meglio i gamberetti fritti dei Riccabone.
Appuntamento per l’escursione notturna alle 18.40 e via ci immergiamo nella scintillante, chiassosa, kitch e caotica “strip”, la parte centrale di Las Vegas Boulevard, la via principale attorno a cui ruota la vita frenetica di questa città, ai lati della quale sorgono tutti i grandi alberghi.
Iniziamo a salire e scendere dal bus, con un caldo allucinante anche in tarda serata (32°) per visitare alcuni alberghi-casinò dove vengono riproposte ambientazioni storiche e spettacoli di ogni genere: dal Caesar Palace all’Exalibur, dal Rio al Mirage, dal Bellagio al Lux e così via, arrivando al momento dell’inizio dell’attrazione grazie al mitico John.
Terminiamo la serata con lo spettacolo di luci e laser sull’enorme volta che ricopre la strada nell’antico nucleo della città, Downtown, un’ultima birra con John e Carlo e, distrutti, a nanna.
8° giorno – 21 giugno Lasciamo Las Vegas, che al mattino sembra una città vuota e piatta, a parte i grattacieli, senza lo sfavillio delle luci, dopo ancora una volta ci attardiamo alle slot, subito dopo colazione (già tossici del gioco!!?). Un ultimo sguardo alle Wedding-Chapels e via verso la Death Valley, attraverso il Nevada rientriamo in California.
Una breve sosta a Zabriskie Point, dove c’è un silenzio e una pace inquietante e lo sguardo si perde tra dune sabbiose e paesaggi desertici, valli isolate e crateri vulcanici: siamo in uno dei luoghi più caldi ed inospitali del mondo.
Riprendiamo il viaggio e pranziamo al centro della Valle nell’oasi di Furnace Creek.
La temperatura è salita (48°), fuori dal locale non si resiste. Ci affacciamo all’ufficio postale e ad un piccolo museo locale, quindi di nuovo sul bus ormai rovente con l’aria condizionata quasi a zero (non ce la fa proprio).
Sosta foto presso le Dune del Diavolo (la sabbia scotta), dove osiamo scendere in pochi. Continuiamo il torrido viaggio tra distese di sale, strade lunghe e deserte, sfiorando pochissimi centri abitati, come Trona, città fantasma.
L’eccezionale nevicata degli inizi del mese di maggio ha fatto chiudere il Tioga Pass, pertanto dobbiamo modificare il percorso e scendere verso Bakersfield, dove alloggeremo al Red Lion, riuscendo a fare un bagno nella bella piscina dell’hotel.
Cena allo Steakhouse Black Angus.
9° giorno – 22 giugno Al mattino fa già caldo (25°), passiamo Fresno lateralmente, facciamo una sosta a Oakhurst per permettere a John gli ultimi acquisti per il pic nic di oggi e curiosiamo anche noi in un vero supermercato americano: ogni sorta di merce ben allineata ed ordinata negli scaffali. E via: arriviamo a Yosemite Park. Intorno altissimi abeti che si stagliano verso il cielo e sul fondo le montagne erose durante l’era glaciale, veri e propri picchi rocciosi dalle forme spesso arrotondate, valli, foreste, fiumi e cascate. Proprio accanto al fiume (Merced?) apparecchiamo improvvisate tavole e mangiamo panini, con vino californiano, birra e coca.
Prendiamo poi lo shuttle che ci porta a Mariposa Grove, piccola foresta a 2000 metri di altitudine dove si stagliano imponenti verso il cielo le sequoie giganti. Qui vediamo il Fallen Monarch (una sequoia caduta di cui si vedono tutte le radici), il Grizzly Giant (la sequoia più grande del parco), il California Tunnel (una sequoia che puoi attraversare camminandoci sotto), dove facciamo la “coda” per la foto di rito. Proseguendo con il nostro bus incontriamo la romantica cascata del “velo da sposa”, così chiamata per via del vento che, soffiando sull’acqua, la trasforma in migliaia di spruzzi.
Incontriamo poi la Vernal Fall, cascata caratterizzata da un arcobaleno che si forma alla sua base. Infine con una breve passeggiata arriviamo proprio sotto la Yosemite Fall, la cascata a tre salti più alta del parco con una mole d’acqua e una potenza indescrivibili! Perfino la temperatura è bassa qui: bisognerebbe coprirsi, anche per ripararsi dagli schizzi prepotenti.
Siamo a pomeriggio inoltrato e ci aspettano ancora lunghe ore di viaggio, per fortuna attraversando un bel paesaggio (John parla di strade interrotte e scorciatoie??), prima di arrivare a Modesto, tipica città di provincia americana, con grandi strade, centri commerciali, motel e fast food, dove alloggeremo in un altro Red Lion, che si rivelerà però non essere all’altezza del precedente.
10° giorno – 23 giugno Finalmente lasciamo il deludente hotel e puntiamo diritti a San Francisco, l’ultima tappa del nostro viaggio. Appena scendiamo per la sosta idrica ci rendiamo conto che la temperatura si è abbassata di parecchio e tutti ci lamentiamo per l’aria pungente: mai contenti, prima troppo caldo ora troppo freddo! Siamo agli Yerba Buena Gardens, giardini, piazza con fontana a cascata, centro commerciale e passeggiata, in mezzo agli alti e moderni grattacieli. Si cominciano a vedere barboni, sbandati e senza fissa dimora.
Iniziamo una visita orientativa della città con il nostro bus.: Union Square, Alamo Square con le vecchie case vittoriane in legno, Chinatown con la caratteristica entrata a forma di pagoda, il quartiere finanziario, quello giapponese, quello italiano, quello gay (castro) e Twin Peaks, le colline più alte della città, da cui si gode un bel panorama sulla baia, nebbia permettendo.
Ci fermiamo a visitare la moderna Cattedrale cattolica di St. Mary, costruita con il contributo di artisti italiani. Arriva l’ora del pranzo che, oggi, è libero. Il gruppo si divide in due parti: chi opta per il ristorante cinese chi per un panino. Riesco a convincere Mauro, cui seguono i Teza e i “salutisti” Riccabone: chi l’avrebbe detto? Eccoci a Chinatown, tra lanterne rosse e insegne con i tipici ideogrammi cinesi, seduti ad un tavolo rotondo ad assaggiare i piatti della cucina cinese (certamente addomesticati). Non è poi andata così male: Mauro però conferma di non volerci tornare, mentre i Ricca ribadiscono di essere intervenuti solo per stare in compagnia.
Jack ci lascia poi al molo Pier 39, dove girovaghiamo un po’ tra i negozietti (sosta obbligata per le magliette all’Hard Rock), tra freddo e vento pungente, e andiamo a vedere i leoni marini. E’ incredibile: stanno distesi su delle piattaforme di legno galleggianti a pisolare al sole, poi ogni tanto si grattano e si tuffano in mare, con i loro versi, incuranti dei numerosa turisti che li osservano curiosi.
Prendiamo quindi possesso delle nostre camere all’Holiday Inn e andiamo a cena al Jazz Bistro. All’uscita uno spettacolo caratteristico di S. Francisco: la nebbia sale uggiosa tra le alte cime dei grattacieli. Segue la visita notturna facoltativa, a cui partecipiamo in massa, con le “sorprese”.
Divertente corsa sul cable-car, su e giu per salite e discese sferragliando, sosta tra gli affollatissimi ristoranti di pesce del Fisherman’s Wharf, e giro su una bellissima limousine Hammer bianca, con brindisi finale con vista sulla baia.
A nanna.
11° giorno – 24 giugno Il tempo sembra peggiorato: c’è ancora più nebbia e la visibilità è davvero scarsa. Ci fermiamo all’hotel Fairmont, per curiosare tra i bei saloni e il bel giardino pensile. Riprendiamo a girare per la città, dove si alternano villini in legno ad anonimi condomini con l’immancabile scala antincendio esterna. Facciamo le previste soste ai punti panoramici, ma le nuvole così basse che avvolgono tutto non ci permettono la vista del Golden Gate. Attraversiamo il quartiere russo, il Lincoln Park, il quartiere militare e il Golden Gate Park, dove c’è uno splendido giardino giapponese e ci fermiamo per un ultimo sguardo sul grigio Pacifico. Sosta anche al palazzo della Legione d’Onore. Il ponte è ancora avvolto dalla nebbia. Ma non disperiamo: il tempo qui a San Francisco può cambiare improvvisamente.
Ritorniamo al molo e pranziamo al ristorante Bubba Gump con ottimi gamberetti e patatine fritte. Qui tutto ricorda Forrest Gump: è proprio un caratteristico localino.
E’ il momento del giro della baia con il battello Red and White Fleet. Il Bulga è preoccupatissimo al pensiero che io possa di nuovo star male (domani dobbiamo affrontare il viaggio di ritorno), ma io “zuccona” voglio andarci. E stavolta va tutto bene: tira un vento gelido, io e la Elena ci copriamo pure la testa con il nostro kway da gemelline, la Anna sente appena appena una leggera brezza, ma sto ok. Arriviamo fin sotto la mitica fortezza di Alcatraz, passiamo sotto il Golden Gate e vediamo tutta la costa. Il tempo è leggermente migliorato, ma la visibilità non è ancora delle migliori.
Scendiamo e ci dirigiamo al palazzo delle Belle Arti, dove vediamo alcune ragazzine agghindate da sposa. John ci spiega che si tratta della festa dei 15 anni, mah! Che stranezza! Abbiamo poi una vista parziale del Golden Gate, con il suo colore rosso sull’acqua e ci dirigiamo a Sausalito, dove splende sempre il sole, delizioso borgo di pescatori con tipiche case galleggianti. Al ritorno John ci accompagna a vedere la famosa Lombard Street: pavimentata con mattoncini rossi, con tra una curva e l’altra bellissime aiuole tutte fiorite (un tripudio di ortensie), è una vera attrazione turistica, affollatissima, tra chi la percorre per chissà quante volte in auto e chi sta sotto a fare la fila per la classica foto.
Ci aspetta l’ultima cena in questa città. Siamo liberi, ma coinvolgiamo la nostra guida che ci accompagna con un autobus di linea ai ristorantini del porto e cena con noi. Ottimo granchio con zuppa di vongole, annaffiati da un buon vino e abbondante caffè finale.
Volendo la zuppa di granchio, molto cremosa e con un gusto delicato, viene servita in una pagnotta precedentemente svuotata della mollica e riempita che puoi mangiare per strada (clam chowder), ma noi ci sediamo al tavolo per comodità e per stare un po’ tranquilli in compagnia.
12 ° giorno – 25 giugno Oggi splende il sole, al mattino presto è freschino, ma poi si sta d’incanto.
Abbiamo scoperto che c’è la sfilata del gay pride. Chiudiamo con questa particolare manifestazione il nostro soggiorno americano. E’ una parata di personaggi particolarissimi, con grandi sponsor, costumi, colori, musica e la bandiera arcobaleno che sventola allegra ovunque.
Nel primo pomeriggio ci trasferiamo all’aeroporto pronti per il rientro.
Baci e abbracci con John e via a casa.