Il mistero Cuba

Un affascinante tuffo nel passato, una scoperta di un'isola meravigliosa e di un popolo incredibile.
Scritto da: witchy
il mistero cuba
Partenza il: 25/03/2009
Ritorno il: 08/04/2009
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
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CUBA 2009 Il nostro viaggio a Cuba inizia tempo fa, con la lettura di intere guide, con la visione di alcuni film famosi sulla storia del Che e con il racconto di tanti amici già andati. Ma niente di quello che ho letto, visto e sentito dà minimamente la sensazione di cosa sia Cuba se non la si vive. Partiamo con itinerario in mente e tabella di marcia associata. Prenotiamo solo il volo aereo e 2 notti all’Havana. Il viaggio con AirEurope Roma-Havana è strapieno e nemmeno troppo comodo. Scalo a Madrid per fortuna di non tante ore ci consente di sgranchirci un po’ le gambe. Arriviamo a Cuba circa alle 22. Primo impatto tragico con la sala ritiro bagagli. Nella caciara di gente che urla, strepita in spagnolo, bagagli gettati per terra in un angolo, non riesco a capire se siamo più stralunate per il fuso, il viaggio o la confusione. Cambiamo un po’ di soldi al change dell’aeroporto che poi risulterà essere quello più conveniente. Taxi fino al centro città. L’impatto è tremendo: un’umidità elevatissima che non fa respirare e un caldo torrido. Attraversiamo la città cercando di intrattenere una conversazione in spagnolo stentato con il tassinaro. La prima domanda di cui poi mi pento subito è se si guida a destra o sinistra, e dove si supera. Mi guarda allucinato: non c’è nessun obbligo, si guida come meglio ci aggrada cercando di non essere ammazzati e non ammazzare nessuno, esperienza che farò sulla mia pelle. In tutto il nostro viaggio decidiamo di dormire nelle “casas particolares” una specie di nostri bed&breakfast. Attenzione che ci sono quelli legali che espongono una specie di simbolo sull’uscio e che potete trovare con facilità anche sulla Lonely Planet che, tra l’altro, ne consiglia di ottimi. Anche l’impatto con il primo non è dei migliori, ma poi per fortuna si rivelerà solo una sensazione. Per vivere la vera CUBA decidiamo di alloggiare a metà fra Centro Habana e Habana Veja, posto “vero” e non turistico con tutti i pro ed i contro della vera Cuba. Iniziamo da là a vedere la realtà che sono costretti a vivere i cubani. L’impatto visivo con la città è molto forte: sembra di assistere ad un post bombardamento. Le case danno l’impressione che debbano crollare da un secondo all’altro, con balconi in bilico e pezzi di tetto divelto. Bassifondi con una tenda come porta di casa e 20 persone in una stanza. Bambini che giocano nel fango e nella sporcizia con qualsiasi oggetto, donne che aspettano solo i turisti per vendere qualsiasi cosa. I padroni della nostra casa si dimostreranno veramente carini e affettuosi, disponibili e onesti. Le stanze sono 2 ed il bagno è tutto per noi. Consiglio: portatevi una coppia di asciugamani che quelli che vi daranno saranno sempre troppo piccoli! Crolliamo sui letti (che per tutto il viaggio saranno sempre troppo morbidi e con i cuscini troppo bassi) ed il giorno dopo andiamo in giro per la città armate di guida e acqua. Visitiamo il Capitolio, il Museo della Revolucion che conserva tutta la storia della rivoluzione dal 1 gennaio 1959. In una teca di cristallo conservano come una reliquia santa la barca “Granma” utilizzata dal Che e Fidel Castro dalla Florida alle coste di Cuba e che vide solo 12 sopravvissuti su circa 80. La sensazione permanente che ci accompagna nel nostro primo giorno è di una specie di “adorazione” del regime, un continuo lavaggio del cervello sia per i turisti che soprattutto per la popolazione. Una propaganda del regime, che inneggia alla sublimazione della rivoluzione come estremo atto di amore di una ristretta cerchia di benefattori che hanno salvato l’isola dalla perdizione. E tutto è studiato per osannarli come eroi, come delle entità quasi celestiali che hanno ridato speranza e ricchezza all’intera isola. Il nostro giro continua verso Habana Veja che è veramente carina, dichiarata anche patrimonio dell’UNESCO e in alcuni punti molto ben curata. Assistiamo ad uno spettacolino di strada e ci fermiamo a gustare un moijto alla Bodeguita de Medio, il famosissimo bar dove si fermava Heminguay. A pranzo decidiamo di dare ascolto alla Lonely (che sarà la nostra Bibbia) e ci fermiamo in una della “trattorie” per mangiare la più buona “comida” della Havana. La trattoria che poi scopriremo essere la normalità qui, altro non è che il salotto di casa di privati che utilizzano a volte in maniera legale, quindi con insegna e pagando le tasse, altre, troppe volte in maniera illegale, come luogo per far da mangiare con due/tre tavoli apparecchiati. In cucina, molto spesso, mamma e nonna si alternano per cucinare e servire. Nel caso particolare, ci invitano ad entrare con fare un po’ segreto, e appena entrate ci chiudono la porta alle spalle e ci dicono di sederci e scegliere cosa mangiare. Chiudono finestre e tapparelle e uno di loro si apposta dietro e guarda la strada. Poi ci raccontano che hanno la licenza scaduta e che non avendola ancora rinnovata devono stare attenti perché potrebbero entrare in qualsiasi momento e arrestarli. Il cibo è buonissimo, ma non vediamo l’ora di uscire per la sensazione di claustrofobia e il caldo opprimente che ci accompagna. Continuiamo il nostro giro e decidiamo di dirigerci lungo il “Malecon” il lungomare dell’Havana. È molto lungo e costeggia tutta la parte orientale della città. In fondo al Malecon è visibile il quartiere del Miramar, il quartiere migliore, quello più “in” dove i ricchi alloggiano in ville fiabesche e appartamenti da sogno. E già qui c’è qualcosa che non capiamo, che iniziamo a non comprendere. Come mai in un’isola in cui non esiste la proprietà privata, in cui non esiste la concorrenza ed il libero mercato, in cui tutti appena nascono hanno diritto alla casa che dà lo stato lì dove sono nati e all’assistenza sanitaria e all’istruzione pubblica, c’è questa differenza sostanziale? Torniamo alla nostra casa dopo una serie di apprezzamenti e complimenti un po’ seccanti, ma nulla di più. Anche perché gira tanta di quella polizia che a un solo cenno il malcapitato di turno incappa nell’arresto. I turisti non si toccano. Facciamo una sosta ad una specie di piccolo market dove compriamo merendine, e crackers, succhi di frutta per il giorno seguente in cui saremmo ripartite. E qui altro consiglio: appena vedete un market fermatevi e compratevi delle cibarie per il viaggio. Oltre nella città Havana abbiamo avuto dei seri problemi nel trovare cibo soprattutto perché sulle strade (si fa per dire) non esistono punti di ristoro, quindi anche acqua, acqua acqua a volontà. Josè per cena ci ha preparato le aragoste!! Wow che fame e poi fantastiche!!! Di notte all’Havana non si dorme, c’è un continuo chiacchiericcio di tutti a tutte le ore e capisci che forse il caldo, la fame, ma anche la tanta allegria fa stare queste persone sempre insieme, a ridere, a mangiare, a parlare, a stare per strada. La proprietaria ci interroga, vuole sapere perché facciamo un viaggio solo noi, dove sono gli uomini, e alla notizia che siamo single, fa una faccia quasi da disperata. Ci chiede se fumiamo, se beviamo, se vogliamo andare per locali, ci consiglia di non seguire nessuno quando ci invitano a bere e fumare dentro le case, ma alla nostra risposta che vogliamo solo visitare e che il giorno dopo ripartiamo per altre mete, ci guarda e commenta: “troppo brave”. Ci racconta della sua vita, della sua scelta di sposare un uomo più giovane che fa tutto in casa e lei fa la bella vita, che adesso lei se ne andava al mare e che Josè avrebbe pensato a noi! Fantastica Maria!!! Josè ci accompagna all’albergo dei suoi amici dove possiamo affittare una macchina (cosa tra l’altro difficile da trovare a Cuba nei periodi più affollati e soprattutto la spesa più cara). La macchina resta però il mezzo migliore per girare l’isola soprattutto avendo pochi giorni e volendo vedere tante cose. L’alternativa è affidarsi ai mezzi pubblici, ma il problema consiste nella inesistenza di orari, coincidenze e cambi. Inoltre una volta arrivati allo stazionamento, il muoversi nelle vicinanze è un vero problema e rischia di far perdere un mucchio si tempo. Se optate per questa scelta, armatevi di pazienza e sopportazione perché il motto di Cuba è “No tiempo”. Inoltre Josè sapendo quale è il nostro itinerario si preoccupa di trovarci una sistemazione per due notti presso alcuni suoi amici nella Casas Particolares di “Anita” a Ciuenfuogos. Per tutto il viaggio il passaparola sarà fondamentale! Prendiamo una “splendida” polo blu elettrica e siamo pronte per il viaggio. Riaccompagniamo Josè, due foto, e due consigli per la macchina tra cui fermarmi sempre al segnale “PARE”, cioè il nostro Stop e un consiglio che vale sempre: “ si non es pare, tu pare siempre”. J Inizia il nostro viaggio: destinazione Ciuenfuegos. L’unica strada che esiste a Cuba è la “Carretera Nacional” che attraversa l’isola. Il problema è che non esiste una segnalazione degna di tal nome e che le cartine stradali fanno ancora più ridere, perciò l’unico mezzo è affidarsi a chi si incontra per strada cercando di farsi capire e soprattutto di capire…. Nemmeno a dirlo sbagliamo 2-3 volte strada, ma alla fine, prendendo la direzione giusta arriviamo in 3 ore. La strada è tappezzata da incontri di tutti i tipi, persone a piedi, carrettini, mucche, pecore, animali vari, attraversamenti a piedi di pedoni e cavalli…..insomma un delirio e bisogna stare attenti a non ammazzare nessuno! E immancabili cartelloni pubblicitari sul “diavolo” occidentale…l’America e sulla bontà di Fidel, del regime e della rivoluzione. Ciunfuegos si presenta ai nostri occhi come un gioiellino coloniale. La cittadina è deliziosa ed il clima molto diverso da quello della capitale. Andiamo subito a vedere il mare e vi consiglio una casas particolares che affacciava sul mare e sul balconcino c’era un’amaca gialla. La nostra casa è molto accogliente, ma soprattutto i proprietari sono fantastici. Ci accolgono come dei parenti che non vedono da tempo; l’abbraccio che fanno a mia sorella è sbalorditivo. Ci sistemiamo, ceniamo con loro, anzi per discrezione ci lasciano sole, anche se insistiamo moltissimo. Dopo cena decidiamo di uscire per fare quattro passi e ci avviamo sul lungomare. Niente di più che un lungomare di una nostra cittadina estiva. Ragazzi e ragazze si scambiano da bere, fumano, si baciano e la musica dei locali fa da sottofondo. Ritorniamo a casa un po’ stanche ma contente. Il giorno dopo facciamo l’escursione al “El Nicho” una riserva naturale piena di laghi freddi e paesaggi naturalistici incredibili. La strada (si fa per dire) nemmeno a dirla è pazzesca, disseminata di buche e di burroni, arrampicata su una montagna piena di tornanti. Ma questo ci permette di vedere dei paesini anche di poche case dove l’unica costante è la scuola e apprendiamo che in paesino c’è una scuola per un solo bambino! La bellezza del luogo vale tutta l’impresa per arrivarci. Paghiamo un biglietto ed essendo giorno infrasettimanale siamo fortunate che non c’è quasi nessuno. All’entrata unico punto di ristoro, quindi ci fermiamo per il bagno e per prendere qualcosa da mangiare. Partiamo seguendo il percorso, ma sulla strada incontriamo delle guide. Uno di loro si offre di accompagnarci. E così grazie a lui entriamo in degli scorci chiusi al pubblico e ci arrampichiamo dentro alcune grotte naturali bellissime. Il ritorno a valle è costellato da due pause nei laghi di acqua fredda, ma ad un primo assaggio risultano “gelati” e nonostante la calura esterna io non riesco ad immergermi. Intanto la nostra guida ci scorta sempre: ci regala un braccialetto di corda ed un fiore ciascuno. E qui capiamo che il cuore di queste persone è davvero grande: la loro generosità è senza pari e la loro voglia di essere utili, gentili fa tenerezza. E ci stupisce tanto più che nella nostra cultura siamo abituate al “do ut des”. Il dare e basta ci risulta sempre un po’ sospettoso. Quando proviamo a dargli i soldi per la sua guida, ci dice che non li vuole che siamo noi ad avergli regalato una giornata indimenticabile, che ci deve ringraziare perché se non ci avesse incontrato non avrebbe imparato un sacco di cose. Insistiamo ringraziandolo ma restando ferme sul fatto che quello è il suo lavoro e i soldi che guadagna sono meritati ed esatti, che con quelli ci vive. Ci ringrazia quasi in imbarazzo. Ci chiede mail e ovviamente si attacca ad una di noi….la loro speranza è andare via dal paese, e l’unica possibilità è sposarsi con una straniera. Il suo corteggiamento è tenero e molto spassionato, ma il tutto mi fa una gran tristezza. Torniamo al paese, pausa alla gelateria “Coppella” molto consigliata e decidiamo di restare a cena da Anita. Chiacchieriamo della rivoluzione e del Che, di Fidel e di Batista. Anita è irremovibile, la sua visione è che Fidel Castro sia un eroe che li abbia salvati dalla dittatura di Batista e che adesso tutti sono uguali, hanno una casa, hanno assistenza sanitaria e soprattutto istruzione. Proviamo a farla ragionare, che la libertà non ha prezzo, che stare in un luogo e non poter esprimere ciò che si pensa è devastante, ma Anita è dura, non riesce a capire. Racconta che in occidente è un “finto” vivere liberi, che tutto è in mano a pochi ricchi, che pagare l’università non ha senso se si pagano pure le tasse, che la limitazione è la nostra, perché non consentiamo un’istruzione libera e comune. Che se qualcuno si sente male per strada da noi nessuno si ferma, a Cuba tutti. Il capitalismo prosegue, ha distrutto tutti, ha avvelenato le persone che hanno solo sete di potere e di arrivismo. Le nostre obiezioni risultano deboli, ma soprattutto vane davanti alla passione con cui Anita parla della sua terra e della sua gente. Inoltre il marito ha combattuto con Fidel durante la rivoluzione, quindi di cosa parliamo? Ci rendiamo conto che sarebbe come se ad un nostro partigiano gli parlassimo male della resistenza. Andiamo a dormire con la sensazione che è impossibile dare un giudizio affrettato su Cuba, che bisogna conoscere la gente, parlarle, ascoltare, viversi l’isola giorno per giorno, capire la quotidianità di queste persone, lo svolgimento delle loro vite. Abbiamo l’impressione di non averci capito nulla, ma soprattutto iniziamo a credere che quello che pensiamo non sia giusto. Il giorno seguente andiamo verso Santa Clara famosa per il mausoleo di Che Guevara. Il mausoleo ovviamente è imponente, come le misure di sicurezza. Non possiamo portare borse né macchine fotografiche. Nelle sale si racconta tutta la vita del Che da bambino, fino all’incontro con Fidel. Ci sono i suoi quaderni, i suoi scritti, la laurea in medicina e le reliquie utilizzate durante la guerra contro Batista. Infine si approda alla sala dove è sepolto. L’impatto è forte, l’atmosfera buia, si respira un grosso senso di rispetto, di adorazione. Il silenzio d’obbligo, e ti impone una riflessione, ti porta a concentrarti sul valore dell’uomo al di là dei credo politici. All’uscita del mausoleo ci rechiamo a vedere la cittadina che è davvero caratteristica, piena di gente, allegra. La giornata è meravigliosa. Decidiamo di mangiare qualcosa prima di morire di fame e poi ci incamminiamo per vedere la fabbrica di sigari. La visita è guidata e ci sembra anche un po’ forzata. Entriamo nella sala dove lavorano circa 500 persone una accanto ad un’altra in un banchetto di mezzo metro per uno. Il ritmo è serrato, i ragazzi/e non si alzano, non parlano, rispondono a delle domande in maniera meccanica, sorridono in maniera meccanica, sembra abbiano già le risposte pronte. Mia sorella si sente male, dice per l’odore di tabacco, ma so che è la condizione umana che le mette angoscia, esce. Noi rimaniamo ancora un po’. Ci illustrano il procedimento, tutto il processo dalla foglia di tabacco alla confezione totale. In ogni caso è molto suggestivo, ma ovviamente la sensazione di una sorta di schiavitù accompagna anche noi. Riprendiamo la via di casa. Ci buttiamo anche al mare, ma il tempo non ci assiste e ritorniamo da Anita. La sera Anita ci consiglia un posto dove fanno musica dal vivo e così decidiamo di andarci. La musica è carina, la gente anche, ci sono dei tipi che ci provano in maniera “light”, ma decliniamo ogni invito e tranquillamente torniamo a casa. Il giorno dopo partiamo alla volta di Trinidad. Le strade sono ovviamente sconnesse e arrivare è una peripezia, ma alla fine ci siamo. La città è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco ed effettivamente è molto carina. Il centro è pieno di sanpietrini e le case sono tutte colorate. La nostra “casa particolares” sempre prenotata da Anita (come passaparola sono insuperabili) è davvero bella e Papito, il nostro proprietario di casa un simpaticone. La casa è fatta su due piani e c’è pure una terrazza da cui si gode un ottimo panorama. Chiediamo subito di cenare là la sera e partiamo per un giro di esplorazione. Dopo cena (tra l’altro ottima) Papito ci consiglia una serie di posticini dove fanno musica dal vivo e ci accorgiamo che c’è un mucchio di gente. Il complesso che suona è bravissimo e ad un certo punto della serata tutti si scatenano nella classica salsa, che qui è una sorta di preliminare di corteggiamento. La mattina seguente, dopo un’esplorazione ed una visita alle principali attrazioni della cittadina, ci rechiamo finalmente al mare “Playa d’Ancon” che ci sembra un paradiso con le palme e i ragazzi che ci portano il moijto fino al lettino. Restiamo fino al tramonto inoltrato tra risate, chiacchiere e confidenze varie. La seconda sera decidiamo di cenare fuori ad una “paladra” consigliataci da Papito. La cena è squisita e pure il dopocena con un loro liquore super buono. Il giorno dopo ci siamo prenotate una gita in catamarano a Cayo Largo, con pranzo sull’isola e snorkelling sulla barriera corallina. Torniamo ustionate da sole e con mia sorella e la mia amica andiamo per i negozietti a comprare magliettine e regali vari. Il mercatino è zeppo di artigiani, dal legno ai lavori ad uncinetto, alle borse……compriamo un mucchio di roba! La cosa divertente è che avendo fame perché non avevamo mangiato quasi niente, mia sorella si butta in un supermercato alla ricerca di qualche cibaria. Purtroppo il supermercato ha gli scaffali vuoti e vedendo gli ultimi 2 gelati si butta a capofitto, e prima di arrivare alle casse se ne era già mangiato uno! La cena di Papito è squisita con un’aragosta spettacolare e sazie della gg ce ne andiamo a dormire. Il giorno dopo siamo in viaggio per Remedios, e questa è stata una follia in quanto la distanza è veramente ampia ma la voglia di vedere la cittadina e soprattutto il mare di Cayo Santa Maria che tutti ci hanno descritto favoloso, ci convince all’ultima follia. Remedios è piccolina, una città coloniale e molto pulita. La casa nostra è ancora più bella con due terrazzi ed un giardino favoloso. Lasciamo tutte le valigie e ci catapultiamo verso l’isoletta che è unita alla terraferma da una strada di 40km creata dagli umani. La strada è davvero suggestiva e state attenti che è pericolosa se non fate attenzione….non esiste guardrail. Altro consiglio: portatevi i passaporti originali e non le fotocopie come noi che all’ingresso dell’isola c’è un posto di blocco (ci hanno costretto a tornare indietro) dove si paga il pedaggio e che non fa passare i cubani. È veramente triste questo apharteid al contrario. Eppure esiste. La strada per arrivare alla spiaggia è tremenda, dopo il pezzo asfaltato, inizia la strada dissestata. Abbiamo paura a proseguire, davanti e dietro nessuno, di lato solo il mare; andando avanti si incontrano solo indicazioni di resort di lusso nascosti nella fitta vegetazione. Mia sorella e la mia amica hanno un battibecco sulla pericolosità di proseguire non vedendo nessun posto di refrigerio, ma ad un tratto, vedendo una macchina che ci supera, riprendiamo coraggio e decidiamo di proseguire. Il proprietario di casa ci ha disegnato una piccola mappa e con le poche indicazioni visibili decidiamo di incamminarci nei meandri di una vegetazione fitta e con la strada (!!!!) zeppa di buche. Finalmente l’incubo finisce e il panorama che si apre davanti a noi ci riempie il cuore di gioia e ci ripaga di tutto lo stress e la paura accumulate. Il mare è di un colore indescrivibile, sembra ritoccato con il photoshop. È circondato da dune e scogli e da una spiaggia bianchissima. Ci sono solo 4 persone e si respira una pace assoluta. Una piccola capanna con due tavolini e qualche sedia fa da avamposto. Un vecchietto di età indefinibile, incartapecorito dal sole e dal mare ci accoglie. Ci mettiamo a chiacchierare piacevolmente, e gli chiediamo un po’ di informazioni. Veniamo a sapere che è il guardiano del posto. Si fa aiutare da un ragazzo. È di Remedios e oramai vive là. Sua moglie è morta e le figlie sono sparse per l’isola. Non ne ha voluto sapere di andarsene, il suo posto è lì, con il suo gatto, la sua piccola capanna e il mare. L’unico che gli ha fatto compagnia per tutta la vita. Incantate da Antonio e dalla sua storia, gli chiediamo se possiamo pranzare qualcosa, ma ci dice che quel giorno è da solo e non può cucinare nulla che non ha il tempo. Ma io lo supplico (scherzando) che per noi va bene qualsiasi cosa, anche un piatto di riso in bianco, ma che siamo affamate, che siamo partite d Trinidad alle 6.30 e che non sappiamo come fare. Gli chiedo che se non vuole farci morire di fame e tenerci sulla coscienza, ci deve aiutare. Lo abbraccio e gli do’ un bacio sulla guancia (eh sì divento un po’ ruffiana) e lui ci dice…ok….andate a farvi il bagno, vi chiamo appena pronto. Così ci tuffiamo in quello splendido mare blu e ci entusiasmiamo per tanta meraviglia. Sembra un paradiso terrestre e si ha la sensazione di essere in pace con il mondo intero. Elias (così si chiama il ragazzo che dà una mano ad Antonio) ci viene a chiamare per pranzare. Non credo di aver mai mangiato una cosa più buona del pranzo di quel giorno. Riso in bianco, pesce sulla griglia, insalata e pomodori e persino patatine. Mmmmm ringraziamo Antonio abbracciandolo e facendogli mille complimenti e lui arrossisce e si schernisce. Poi con Elias, che nel frattempo si attacca a mia sorella decidiamo di andare a fare 4 passi. Silvia ed io percorriamo tutta la spiaggia a farci foto come le modelle e a godere di un paesaggio fuori del mondo, di quelli che si possono solo sognare. Poi sfatte ci mettiamo a riposare sotto un fantastico ombrellone di paglia, mentre mia sorella intrattiene Elias che oramai sembra innamorato di lei. Al tramonto decidiamo di ritornare, pure perché al pensiero della strada appena fatta ci prende la paura. E sia Antonio che Elias sembrano turbati dalla nostra partenza. Mi si stringe il cuore ad intravedere delle lacrime nel viso scavato di Antonio, mentre Elias chiede a mia sorella di tornare, le chiede indirizzo, l’abbraccia, gli scende una lacrima. Il ritorno è meno traumatico e la serata scorre a casa dei nostri proprietari con un’aragosta la cui bontà ci lascia senza fiato. Un giretto nel centro di Remedios, per una festicciola organizzata dal circolo locale e poi a ninna! Il gg seguente, dopo la prima vera colazione “dolce” da quando siamo qua, di cui ringraziamo vivamente Teresa ed il figlio (che tra l’altro suona in un complesso e ci fa sentire un assaggio delle sue performances) partiamo per Havana e la sera alle 22.00 abbiamo l’aereo. Cuba è un mondo, descrivere le sensazioni provate nell’isola è quasi impossibile. C’è bisogno di assaporarla, viverla: passeggiando fra le strade, incontrando la gente e fermandosi a chiacchierare, respirando la vita quotidiana, la sofferenza di un popolo schiacciato. Bisogna farsi un’idea delle sue mille anime, dei suoi abitanti che si arrangiano in mille modi, che hanno una generosità di cuore che mai penseresti in un popolo oppresso. La loro gioia di vivere è contagiosa, il loro sorriso nonostante tutto ti apre il cuore e cominci a pensare che forse la tua non è libertà, perché nel nostro mondo la competizione ci ammazza, perché la smania del possedere ci costringe a stare concentrati troppo e solo su noi stessi. Che abbiamo smesso di gioire perché abbiamo smesso di dare, perché la generosità e l’attenzione verso l’altro non rientra nella nostra vita quotidiana, anche e forse cosa peggiore perché non abbiamo tempo. Tutto questo è vero, ma come è vero che senza libertà non si può vivere, che la mancanza di una qualsiasi forma di libera espressione è una precoce condanna a morte, ma pur sempre una morte. Che gli sguardi dei ragazzi sono allegri ma rassegnati, che sono volti all’oggi e mai al domani, che la paura di esprimersi attanaglia la vita e avvelena l’esistenza. Sono ragazzi senza speranza, senza futuro, e quindi senza vita. Gli manca il futuro perché gli hanno bruciato il presente, perché il passato e l’immobilismo è la loro unica ancora. E la volontà di “ignorare”, di non far aprire al mondo, di non consentire la lettura di giornali, libri, film è il mezzo con il quale si brucia qualsiasi cervello, perché senza semi nemmeno il terreno più fertile può generare alcun frutto. È il modo per non far evolvere una popolazione. In ogni caso è un tuffo nel passato, che va fatto per poter capire presente e futuro. Cuba è un viaggio che ti apre mente e cuore, vale assolutamente la pena, ma affrontatelo al di fuori dei percorsi turistici tradizionali, Cuba è un’altra cosa rispetto ai depliant turistici.


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