il Libano visto da me
Quella che prima poteva chiamarsi “squadra”, dopo il primo giorno ha preso ufficialmente il nome di “fronte”. America e Italia non hanno dimostrato tra di loro le migliori doti diplomatiche. Se dobbiamo dirla tutta, io mi sentivo un po’ più Svizzera o meglio ancora “il maschio della situazione”, data la compagnia di “femmine” in balìa delle proprie fasi premestruali mestruali e postmestruali.
Siamo partite completamente all’avventura. Non avevamo ancora il visto, non sapevamo quale città avremmo visitato per prima, né avevamo prenotato una topaia che potesse ospitarci la notte. Il mio zainetto del liceo si sentiva come il tacchino del giorno del ringraziamento americano, stracolmo di roba, mi guardava basito come se gli avessi chiesto di contenere la terra intera.
Ci siamo messe d’accordo su quale tappa raggiungere per prima, abbiamo noleggiato un taxi con un autista che non ha fatto altro che scaccolarsi per tutto il viaggio; e visto che le balde giovani preferivano sedersi dietro, ho dovuto ammirare lo spettacolo in prima fila quasi sentendomi privilegiata. Non avrei mai creduto che si potesse andare avanti ad estrarre e raffinare i tesori del proprio corpo per più di tre ore, ebbene ne ho avuto la prova con questo individuo. Vani sono stati i mie sguardi schifati, incarogniti e alla fine rassegnati.. Questa volta i miei occhi diabolici hanno fallito miseramente.
Damasco – Baalbek Questo è stato il primo obiettivo da raggiungere. Passato il confine siriano, ci siamo dirette in questo meraviglioso sito archeologico che vanta le colonne più grosse al mondo. Se vi sentite insignificanti nella vita, evitate di andare a Baalbek: sarà difficile non notarsi minuscoli di fronte a tale maestosità.
Baalbek – Beirut. Abbandonato il cavernicolo, abbiamo preferito raggiungere la famosa capitale con un taxi collettivo (quei minibus che a Damasco ti fanno dimagrire di 10 chili in una tratta). Tutte noi credevamo di dormire un po’, ma pare che tra Baalbek e Beirut ci fosse davvero poca strada. Una volta arrivate, abbiamo ritenuto necessario trovare un tetto per la notte. La ricerca è andata a buon fine quasi subito; tre erano gli ostelli da prendere in considerazione, e dopo il primo tentativo, siamo riuscite a prenotare una stanza che nasceva come doppia, ma che miracolosamente è diventata una quadrupla. Rimembrando i tempi antichi in cui dormivo nelle tende con i sassi che mi perforavano la schiena, ho voluto ripetermi facendo finta che quel materasso fosse uno stuoino e che quelle coperte fossero il mio sacco a pelo. Non c’è stato alcun bisogno di immaginare le stesse zanzare che mi ronzavano nell’orecchio minacciandomi di morte, c’era una truppa ben organizzata che sopperiva a tutto. Al mattino abbiamo avuto un incontro con un gruppo borbonico di donnine sulla sessantina tutte vestite da hippies, responsabili di aver occupato l’unico bagno dell’ostello facendoci ritardare la visita programmata.
Beirut – Biblos – grotta di Jeita – Beirut Da questo giorno è scoppiata ufficialmente la guerra fredda. La stazione è stato il campo di battaglia. Cosa scegliere: passare tutto il giorno a Beirut e rimandare la visita della grotta e di Biblos al giorno seguente? O fare tutto il contrario? Alla fine è stata questa l’ultima scelta, e non brevi sono stati i musoni della parte colpita. Voi mi direte, ma che importa? Beh il giorno dopo sarebbe stato Pasqua e sarebbe stato anche il giorno di ritorno verso Damasco… Sembra una sciocchezza ma qualche minima differenza tra i due programmi c’era. Biblos è un sogno. Lo è non per la particolarità delle sue rovine, che sono il principale motivo della visita dei turisti, ma per la posizione in cui si trovano. Se avessi la possibilità di scegliere un luogo dove farmi seppellire.. Sarebbe Biblos. So che è presto, e che devo vedere ancora tante altre cose ancor più affascinanti, ma un teatro ed un castello quasi alla riva del mare toglierebbe fiato a chiunque. Una volta conclusa la visita, iniziavamo a morderci le braccia dalla fame. Le ragazze americane avevano voglia di mangiare esotico.. Sì, a Biblos però! Leggendo sulla guida avevano scovato l’unico ristorante messicano del posto e si sono fiondate per ordinare dei tacos piccanti e una brocca di margarita. Peccato che era l’ora di pranzo e che faceva un caldo della malora. I miei amici sanno che effetti provoca in me un sol bicchiere di margarita, e ho ritenuto prudente non mostrare al popolo libanese le mie doti biascico-oratorie. Ho ordinato una semplice insalata con del mango e quattro, dicasi quattro, gamberetti surgelati. Il conto? Decisamente europeo. Ma di quell’Europa ricca! (Altro motivo di discussione…) Affinché visitassimo la grotta di Jeita, non perdendoci però il tramonto dalle Corniche di Beirut, abbiamo corso come delle matte. Una volta arrivate, il prezzo del biglietto ci ha un po’ fatto esitare, ma alla fine è stato un bene non aver girato le spalle al posto più bello che abbia mai visto. Sino ad ora sono stata spettatrice di grandi opere del passato e del presente tutte costruite dall’uomo. Rare sono state le volte in cui mi sono mostrata poco curiosa alla maestosità e alla bellezza di luoghi oggettivamente affascinanti, ma una volta vista la grotta di Jeita tutto passa in secondo piano. Niente può eguagliare la perfezione di madre natura. Questo luogo merita un viaggio per il Libano da qualsiasi punto della terra. Due sono le grotte che pavoneggiano il loro splendore, una raggiungibile a piedi e l’altra solo con una barchetta, dove nasce il fiume al kalb. Purtroppo non era permesso scattare foto, se siete incuriositi, cercate su internet. Tornate a Beirut giusto in tempo per il tramonto, abbiamo cercato un luogo dove passare la notte. E, dato che non saremmo stati i tipi da preferire la discoteca e ballare sino all’alba, l’urgenza di trovare un letto su cui dormire si è fatta avanti prepotentemente. Ma l’Italia che svolazza come un angelo nelle strade dei paesi di tutto il mondo, non ci ha abbandonati neanche qui. L’hotel Napoli ha spalancato le sue porte dandoci un rifugio dignitoso. Beirut è una capitale europea. Non sono pazza, so bene dove si trova il Libano, ma posso ripetere la stessa affermazione un’altra volta. Beirut non è una capitale araba. È una Parigi araba, una Londra orientale, una Roma musulmana. I manifesti pubblicitari sono scritti in inglese e in francese, i fast food americani invadono le strade sostituendo i kebabbari arabi, le catene di negozi schiacciano i piccoli commercianti, i ristoranti italiani sono dappertutto. Le cicatrici della guerra sono ancora visibilissime. Molti sono i palazzi sventrati e ancor di più sono quelli ricostruiti per intero. Pur non suscitando il fascino dell’antichità di Damasco, Beirut sa incantare con il suo mare. Non vi nego, però, che una volta tornata in Siria ho tirato un bel sospiro di sollievo, pur trovandomi schiacciata nel souq da donnoni vestiti di nero sino ai piedi.
Venitemi a trovare su www.tuttuumunnuiepaisi.com