Il Gargano a passo di Homo Sapiens di Biciclensis
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Vieste, Mattinata, Monte Saraceno e Monte Sacro, baia di Vignanotica, Peschici, Foresta Umbra, necropoli La Salata: una vacanza deliziosamente “slow”.
Il Gargano a pedali e a piedi, in solitaria, tenendo in considerazione che la mia specialità è il “mezzatlon”, che mi viene il fiatone solo a pettinarmi e sapendo che il trasporto pubblico non è propriamente efficiente? Mi sono data una possibilità e non penso di aver fallito. Però essendo il periodo clou delle vacanze adesso il Gargano è come l’Ipercoop quando ci sono i punti tripli, perciò mi costringo a levatacce storiche per evitare il traffico, il caldo opprimente e per ottenere di farmi scarrozzare dalla SITA e dalle Ferrovie dei Gargano con la bici al seguito.
Per conoscere con calma alcuni ambienti semi-selvaggi, dagli scenari grandiosi come piacciono a me e per lasciarmi alle spalle la vita rutinaria di casa ho dovuto affrontare strade tortuose, in disordine e antiche mulattiere dalle pendenze per me quasi proibitive e prive di indicazioni; eppure tutto è filato liscio, grazie soprattutto all’appoggio fornitomi dalla popolazione locale e balneare.
Ho raggiunto lo sperone d’Italia con il pullman delle Ferrovie del Gargano da Bologna per meno di quaranta euro, ma ho dovuto passare più di undici ore con il posteriore inchiodato al sedile, tant’è che mi sono venuti finanche i crampi alle gambe.
La mia base è stata l’hotel Punta San Francesco a Vieste, ubicato in una zona piuttosto tranquilla, accanto all’omonima chiesa e a pochi passi dallo sperone roccioso sul quale si allunga il centro urbano a est. Per cinquanta euro a notte mi hanno dato una camera in mansarda –con un soffitto basso in cui ci si dà le capocciate e due lucernai da cui penetra la luce al mattino- a quattro scalini di distanza da un terrazzo dotato di panche e tavoli dal quale si gode di una vista magnifica: a destra l’attenzione viene attirata dall’isolotto del faro, a sinistra lo sguardo spazia dal borgo antico di Vieste alla frastagliata costa fra Vieste e Mattinata.
Sabato mattina per procurarmi il mezzo di locomozione mi sposto a piedi in via Generale dalla Chiesa dove mi affittano una mountain bike con casco (e chiusura antifurto con chiave inceppata). Faccio un salto pure in via Puglia, da Giuseppe –meccanico di biciclette e venditore di bombole per il gas- per acquistare una camera d’aria di scorta; infine rientro all’hotel per prepararmi per la giornata di cicloturismo: ho due borse che possono essere attaccate solo al manubrio, perché la bici non ha il portapacchi.
Per prima cosa, passando di fianco a una scultura dedicata a un uccello, un gabbiano, scendo al porto. Qui noto qualcosa di tipicamente italiano: c’è una darsena abbastanza nuova, ma gli edifici della Marina di Vieste sembrano una natura morta, è tutto “congelato”, finito ma abbandonato.
Continuo a pedalare lungo la litoranea per Peschici e incontro qualche altro ciclista. Al principio la strada è più o meno pianeggiante e mi consente di rimanere a ridosso della spiaggia di San Lorenzo, che prende il nome dalla chiesetta che da un poggio domina la costa. Superati i lidi di “U Murt” e dei Colombi inizia un tratto lievemente all’interno. Ma lo spettacolo sul mare non è finito: dopo aver macinato alcuni chilometri davanti ai miei occhi si dispiega l’arenile della Chianca, fronteggiato da uno scoglio a forma di tartaruga, con un trabucco a una delle estremità. L’isolotto, secondo una leggenda, sarebbe un gigante rallentato da delfini e sirene, che si è rassegnato a stare immobile finché non è rimasto fossilizzato.
Poiché è mezzogiorno, consumo un lieto picnic in una straordinaria cornice ambientale, un luogo dell’Adriatico miracolosamente sottratto alla speculazione edilizia: la caletta sabbiosa di spiaggia Stretta.
Mi infilo in una stradina a destra che porta a dei gradini al termine dei quali scopro la falce di sabbia di Spinale e la percorro con la mountain bike fin sotto alla quadrangolare torre di Sfinale, che si adagia su una punta rocciosa. Questra costruzione, ormai diroccata, è un retaggio dell’epoca in cui il nostro mare era infestato dai pirati saraceni.
Mi inerpico per un sentierino che lambisce il manufatto difensivo e che mi porta nella zona conosciuta come palude di Sfinale. In questo pomeriggio assolato l’antico acquitrino prosciugato mi appare come una steppa secca e salata. Mi faccio un po’ di giri in mezzo alla sterpaglia: è una landa deserta anche se sono proprio in riva al mare! Questi sono i luoghi che prediligo. Ancora poche centinaia di metri e intravedo l’insenatura di Manacore; quindi seguendo una strada sterrata, che poi diventa asfaltata, riguadagno la litoranea.
Proseguo per Peschici, ma a un certo momento, tramortita dal caldo, dopo aver affrontato una salita di vari chilometri sotto un sole impietoso, all’altezza di Cala Lunga mi arrendo.
Sulla via del ritorno mi fermo all’albergo Sfinalicchio per fare scorta d’acqua e per avere ragguagli sul 2° itinerario del mio opuscolo obsoleto Guida al trekking sul Gargano. Per imboccare questo sterrato –mi informa l’addetto alla reception- devo riandare poche centinaia di metri verso Peschici e svoltare a sinistra dove c’è il cartello Gargano bike. Con la bici sfatico per un’ora protetta da una pineta-lecceta, su sassoni scivolosi. Di incroci ce ne sono, ma si capisce che sono secondari, è impossibile sbagliare strada, sebbene sparisca la segnaletica dopo il primo cartello. Quando mi imbatto in quattro mucche Podoliche che pascolano agitando i campanacci assieme a un toro, sulla cui mansuetudine non potrei giurare, propendo per fare dietro-front; durante la discesa scorgo un paio di mandriani e mi preoccupo un tantino, nonostante questi mi ignorino (mi avevano detto di stare alla larga dalle bisce, dai pastori e dai loro cani mordaci). Il cellulare funziona, non vedo nessun serpente.
Al Santuario di Santa Maria di Merino, che ha annessi i resti di una villa romana (visitabili solo di mercoledì) mi concedo un istante di relax stendendomi sul bordo di una fontana gorgogliante, nel giardino mariano. Ho saputo che il 9 maggio un nutrito numero di fedeli accompagna la statua di Santa Maria di Merino in processione: la Madonna è infatti la protettrice di Vieste.
Per rientrare all’hotel anziché pedalare ancora per la litoranea mi infilo in una carrareccia a sinistra all’altezza del villaggio turistico Porticello, seguendo le indicazioni per il ristorante “Il tramonto”. Davanti a me si staglia la torre Merino, restaurata, ma privata. Lasciandomi l’avamposto difensivo alla sinistra giungo alla spiaggia di Molinella, dove divoro un’insalata con lattuga, pomodoro e tonno nel bar Stella Marina, con la scenografia di Vieste illuminata dal sole al tramonto in lontananza. La mia prima giornata di esplorazione si è conclusa.
Domenica mattina mi sveglio con il trambusto del portiere di notte che sta ritirando il bucato steso in terrazzo: Vieste è fradicia di pioggia! L’acquazzone dura tre ore abbondanti. Ne approfitto per riposare un po’.
Oggi trekking, decido. A piedi mi inoltro nei pittoreschi vicoli di Vieste, cittadina carica di storia, ricresciuta sulle macerie di un terremoto che scosse il Gargano nel diciassettesimo secolo. Me ne sto a sbirciare oziosamente le vetrine di via Carlo Mafrolla, via Seggio e via Vesta, poi entro nel Duomo, dove si sta celebrando la messa domenicale. Le vie del quartiere medievale sono strette e non allineate, il loro “design” perseguiva due finalità principali: attutire la violenza del vento e permettere di sfuggire più facilmente ai pirati saraceni. Inoltre le scalinate anguste e ripide impedivano a uomini carichi di armi di penetrare e muoversi con disinvoltura fra i vicoli. Ed è proprio in quest’area di Vieste che individuo la Chianca Amara, l’infausta roccia sulla quale furono trucidati nel 1554 da Dragut, un pirata musulmano, i viestani proditoriamente catturati dopo un assedio di sette giorni. Una volta saccheggiate case e chiese nel luglio di quell’anno i pirati soggiogarono la popolazione, che andò ad alimentare il mercato degli schiavi, mentre coloro che erano inadatti a lavorare (sostanzialmente i deboli: vecchi e bambini) furono decapitati usando la pietra come ceppo.
Mi allontano da questo simbolo porta-sfiga e passeggio nella zona del ghetto (via Judeca); mi arrampico in salita fino alla piazza Castello. Dal belvedere lo sguardo mette subito a fuoco una candida guglia calcarea di circa 25 metri d’altezza: è il Pizzomunno –ovvero la punta del mondo-, che si erge accanto alla falesia bianca dalla quale si è staccata e si specchia nelle acque cristalline del mare. Il monolite sembra avere in testa un ciuffo di capelli, ma si tratta di piante che gli si rizzano sul capo. Una fola racconta che Pizzomunno era un pescatore che aveva tentato di appartarsi con Cristalda sotto la rupe, in riva al mare, ma era stato disturbato dalle sirene, che volevano convincerlo a un ménage à trois (o à quatre). Siccome il marinaio rifiutò inorridito la proposta, Cristalda fu trascinata nelle profondità del mare e lui stesso venne trasformato in un faraglione. Tuttavia l’amore vince ogni cento anni sulla maledizione delle sirene, infatti in una notte di plenilunio i due riprendono le sembianze umane e domandandosi, “allora, dove eravamo rimasti?” ricominciano a pomiciare. Poi li attende un altro secolo di snervante attesa.
Lasciandomi alle spalle lo sfortunato uomo pietrificato affondo i piedi nella sabbia rosa-marroncina della spiaggia di Castello, solcata da numerosi rivoli d’acqua sorgiva e costellata di ombrelloni. In lontananza si ammira la penisola di Punta San Francesco, dove si trova il mio albergo. Mi fermo al Lido Castello: il gestore, a cui chiedo informazioni sull’itinerario n. 4 del solito dépliant non più in distribuzione Guida al Trekking sul Gargano, mi scruta come se gli avessi appena detto che ho intenzione di scalare il K2, ma poi mi accompagna assai gentilmente al punto di inizio della passeggiata panoramica non segnalata, dopo l’hotel Ponte, che in teoria porta alla masseria la Sgarrazza, un agriturismo. Lo stradone sterrato segue il crinale di una collina, sovrasta il litorale, è costeggiato da bassi cespugli ed esposto al sole (volendo avrei potuto anche percorrerlo in moutain bike). Si osserva Vieste dall’alto e la mezzaluna di Portonuovo con il suo scoglio a forma di guscio di noce. C’è un unico bivio a sinistra, a tre quarti d’ora circa dall’inizio del sentiero, ma io continuo diritta, in salita e dopodiché la strada si interrompe (forse avrei dovuto andare a sinistra?). Siccome qualche anno fa l’area è stata colpita da un incendio spuntano qua e là dei tronchi carbonizzati. Mi imbatto nel telaio di un auto bruciata e in uno scarponcino da trekking abbandonato (brutto segnale). Per terminare la giornata scendo alla spiaggia di Portonuovo e la percorro tutta fino a punta Gattarella. Quindi ritorno a Vieste a piedi, sempre lungo la spiaggia, maledicendo i ruscelletti, perché quasi immancabilmente mi tocca gincanarli con dei percorsi a U, passando per il lungomare.
Il quindici luglio, giorno del mio compleanno mi alzo prima dell’alba –provocando il risveglio repentino del portiere di notte, a cui faccio venire un accidenti, alle quattro e venti del mattino- per prendere da Piazzale Aldo Moro la corriera della SITA delle cinque per Mattinata. Con il consenso dell’autista carico la bici nel bagagliaio e oblitero i due biglietti che mi sono procurata dal tabaccaio ieri sera. Si percorre la SS89, un nastro d’asfalto tutto tornanti, che si inoltra nella Foresta Umbra. Non esistono paesi fino a Mattinata, che sta a una quarantina di chilometri da Vieste. Arrivati nei pressi del villaggio, a un distributore AGIP il bus fa una sosta tecnica prima di ripartire per Manfredonia e io scendo lì poiché, come mi hanno spiegato al telefono dall’ufficio del turismo, devo raggiungere la zona dei campeggi di Mattinata (a circa 5 km dal centro). Seguo le indicazioni per Lido Monte Saraceno, che è l’ultimo stabilimento balneare proprio sotto al monte. Al parcheggio del bar sta di sorveglianza Francesco, il metronotte, che mi permette in via eccezionale di inlucchettare la bici nel posteggio di sua competenza. Ormai per lui è ora di staccare e dunque chiude il cancello e con l’auto mi accompagna dove comincia il sentiero pedonale per Monte Saraceno (a dire il vero è a un tiro di schioppo, però è stato carino da parte sua mostrarmi la bacheca e gli scalini d’inizio).
Sono le sette e mezza. La spiaggia di Mattinata mi appare orlata di alberi e illuminata da un radioso sole estivo, con gli ombrelloni che sembrano chiodini infilati ordinatamente in una tavoletta. A quest’ora le pendici di Monte Saraceno sono un luogo remoto, per anime in cerca di bucolici silenzi e panorami sconfinati: il sentiero è meraviglioso dal punto di vista paesaggistico, ma pericoloso perché la staccionata in legno in alcuni punti è in condizioni pietose e uno vede sotto di sé il baratro. Varie microfrane non agevolano il compito a chi desidera arrivare sulla sommità, dove si trovano alcuni edifici in rovina e un’antenna. La costa, impervia, fatta di un susseguirsi di promontori che precipitano fino al mare, è incantevole, somiglia a quella delle Cinque Terre e in lontananza si scorge il golfo di Manfredonia. Continuo a camminare per uno stradone sterrato e inciampo in un cartello con la scritta necropoli Monte Saraceno: essendo per terra non è possibile sapere verso dove indicasse prima di finire lì. Più avanti incontro un giovane pastore con il suo cane bianco. Sta per fare il formaggio di capra e si lascia scattare una foto. Mi conferma che la mulattiera bianca che sto percorrendo scende a Mattinata.
Parto dalla spiaggia di Mattinata verso le dieci. In direzione di Vieste la costa offre scorci stupendi: è un alternarsi di minuscole insenature, strapiombi, falesie alte e bianchissime. Accanto alla spiaggia di Mattinatella o Fontana delle Rose si vedono degli allevamenti di pesce in mare che hanno la forma di enormi tappi di crodino galleggianti. Presso la Baia delle Zagare avvisto i due faraglioni di Mattinata, l’Arco di Diomede e Le forbici, che si stagliano netti nel mare azzurro, nonché l’esclusiva piscina della Baia dei Faraglioni Beach Resort, un cinque stelle lusso. Ed ecco, finalmente scovo il sentiero natura Mergoli-Vignanotica che conduce alla spiaggia dei Gabbiani. Ci sono molte auto parcheggiate davanti all’imbocco e vedo venire verso di me alcune persone; un giovane mi avvisa che stanno realizzando delle riprese e mi chiede di che nazionalità sono. Dopo poco mi vedo comparire davanti niente popò di meno che Osvaldo Bevilacqua di Sereno Variabile, che saluto con un “Salve”. Dietro di lui c’è Filippo Mantuano della cooperativa Alénn di Mattinata, con un altro tizio, che mi invita ad andare con la troupe televisiva a un rinfresco, a Mattinata, ma il solo pensiero di ripercorrere a ritroso il tratto di strada fatto sin qui in bici mi scoraggia notevolmente. Invece, siccome mi spiegano che hanno un’associazione di trekking chiedo assai sfacciatamente se è possibile essere accompagnati a Monte Sacro. Mi sfrego le mani: ci mettiamo d’accordo di vederci a Mattinata il giorno dopo.
Intanto mi stendo su una panchina a cronicare per una mezz’ora. Non c’è nessuno, si sente solo il frinire delle cicale. Ancora stordita dal sonno mi avvio verso la spiaggia di Vignanotica: mi imbatto in alcuni bagnanti che se la stanno squagliando, pallidi come zombie (mi spiegano che c’è appena stata una tromba d’aria che ha sradicato ombrelloni, sollevato un pattino e qualche sdraio: una signora è rimasta lievemente ferita e sta per essere portata via dall’ambulanza). In realtà i villeggianti che restano sembrano del tutto indifferenti al pandemonio che si è appena scatenato.
La spiaggia, composta di ciottoli bianchi nei quali si affonda, è ormai quasi tutta in ombra. Lego la bici al bar e percorro il lido da un capo all’altro, contemplando lo strapiombo vertiginoso al lato del quale passeggio. Nonostante ci sia un cartello che avvisa di scostarsi di almeno 30 metri dalla falesia, la gente ci sta attaccata e si infila nelle nicchie della parete a picco per appoggiare abiti e cibo. Alcune persone stanno giocando tranquillamente a carte. Una ragazza molto carina si fa fotografare dal fidanzato (sembra in posa per il calendario Pirelli). Avendo fame mi mangio un pomodoro col pane imbevuto d’olio d’oliva al bar: è una roba bisunta che mi si pianta sullo stomaco come un macigno.
Ma è ora di riprendere a pedalare. Risalgo la china con accanimento fino al parcheggio dal quale partono le navette che accompagnano i bagnanti alla spiaggia. Ho bisogno di tutto il mio fiato per mandare avanti le gambe. Dopo circa 3 km di salita (nessuna indicazione) torno sulla litoranea Mattinata-Vieste. Sono parecchio stanca ed è qui che vengo presa di mira dallo squinternato maniaco di cui ho già parlato. All’altezza del bivio per Pugnochiuso svolto a sinistra, abbandonando la costa e così scivolo giù in discesa fino alla baia di Campi, incorniciata da una macchia dai profumi intensi. Davanti alla torre San Felice mi fermo per scattare varie istantanee all’architiello, che si presenta come un prodigio della natura. E finalmente riconosco Portonuovo. Sono ormai arrivata. Ho il posteriore massacrato e la schiena incriccata: mi sento smagliata come un collant.
16/07
Sono le sei del mattino. Lungo i vicoli di Vieste vengo assalita dalla fragranza che esce dalle panetterie. Anche oggi prendo il bus per Mattinata da Piazzale Aldo Moro. Alle 7.30, con gli occhi gonfi per il sonno perduto, entro nell’edicola di Filippo Mantuano in corso Matino. Sto a vagabondare una mezz’ora per Mattinata (che non offre particolari attrattive). Poi con un’amica di Filippo ci rechiamo in macchina al punto di inizio del sentiero per Monte Sacro e con calma andiamo fino ai ruderi dell’abbazia benedettina della Santissima Trinità. E’ ancora visibile il nartece della chiesa, con qualche colonna abbellita da capitelli fogliati. Al ritorno vediamo dei paesani che raccolgono mazzi di origano e due coppie di escursionisti (veneti e piemontesi). A mezzogiorno riprendo il bus SITA per Vieste.
Adesso sono pronta per la visita alle grotte (in totale 26, ma con la motobarca si penetra in non più di una manciata di cavità marine). Per 11 euro quelli della motonave Valentina mi vengono a prendere con una navetta in hotel e mi accompagnano al porto. Dal molo partono quasi contemporaneamente tre motobarche in direzione di Mattinata: la Santa Lucia, la Leonarda II e la nostra. Sfioriamo l’isolotto di S. Eufemia con il faro. Secondo una leggenda sull’isolotto fu seppellita Vesta, moglie di Noè, mitico fondatore di Vieste –dopo aver parcheggiato l’arca sull’Ararat, in seguito al diluvio, decise di ricominciare la propria esistenza a Vieste-. Osserviamo il faraglione Pizzomunno, oltrepassiamo la spiaggia del Castello e ci spingiamo fino all’architiello San Felice, emblema della costa viestana. Ci viene segnalata la Testa del Gargano, il punto più a Est dell’Adriatico. Dapprima la barca si infila nell’enorme e luminosa grotta sfondata, che ha per volta il cielo. Il secondo antro marino è la grotta due occhi, che deve il suo nome ai due fori che si aprono sul soffitto, incorniciati dalle ciglia della vegetazione. La terza cavità è la grotta dei pomodori, dove si possono vedere appunto dei pomodori di mare. Una volta oltrepassato il brutto insediamento turistico di Pugnochiuso ci infiliamo nella grotta delle due stanze, costituita da due antri paralleli comunicanti. Essendo gigantesca la barca non ha problemi ad entrare. La quinta è la grotta dei sogni, dove i desideri d’amore diventano realtà (nel senso che ci si poteva imboscare qui dentro e fare all’amore di nascosto). La grotta chiamata “la tavolozza del pittore” mostra la ricchezza dei colori che sono racchiusi nei minerali e ossidi delle sue pareti. All’altezza della baia del leone il capitano ci fa notare uno scoglio che ricorda le fattezze del re della foresta; l’animale pare accucciato sulle zampe posteriori. In lontananza si scorge la baia dei Mergoli, alla quale è vietato avvicinarsi, secondo quanto spiegatomi dalla persona che con la navetta mi riaccompagna all’hotel. Al ritorno ci si ferma per una mezz’ora sulla spiaggia di Vignanotica per fare il bagno (sbarco in Normandia dei passeggeri delle tre motobarche). All’inizio è difficile penetrare nel liquido freddo, ma poi mi abituo e mi sento tonificata dal contatto con l’acqua. Alle 17.30 circa siamo di ritorno al porto di Vieste. Mi congedo da una coppia di Torino (Rita e Pasquale) e da un’infermiera d’origine francese, Rosette, con i quali ho conversato durante la gita.
17/07
Prendo il bus Ferrovie del Gargano delle 6.15 per Peschici e carico la bici nel bagagliaio. Molte curve dopo mi inoltro nel centro urbano di Peschici, un paesino che è una pennellata di case bianche, con balconi fioriti e infinite scalinate. E’ abbastanza pittoresco, ma niente di esaltante. Lungo la litoranea per Vieste mi fermo presso il santuario della Vergine di Loreto. La bianca mole della chiesa si alza su una doppia rampa di scale che incorniciano una grotticella con una statua votiva della Madonna; di fianco alla facciata si erge un basso campanile a vela. Ovviamente a quest’ora è chiusa. Vari chilometri più avanti scendo alla baia di Manaccora, a un’estremità della quale si trova il famoso grottone. All’estremità opposta ci sono degli scalini che conducono a una nicchia con la statua della Madonna e di lì un sentiero collega questa spiaggia con quella di Cala Lunga. Sono costretta a smontare e a portare la mountain bike in spalla fino a che non finiscono le scalette e poi proseguo pedalando in libertà sul promontorio roccioso, al riparo dal traffico della litoranea. Tuttavia, ben presto non ho altra scelta che guadagnare di nuovo la litoranea, da dove faccio una capatina subito a sinistra seguendo il cartello “ristorante Cala Lunga”, così arrivo vicino a una delle tante torri di avvistamento restaurate.
Adesso la mia meta è la Foresta Umbra. Ho letto che questo luogo, negli anni sessanta dell’Ottocento, fu scelto da alcune persone che si opponevano alla formazione del nuovo Regno d’Italia e da evasi di galera, come covo per nascondersi. Infatti in quest’epoca si diffuse il fenomeno del brigantaggio. E il governo voleva porre rimedio a questo problema, in che maniera? Non certo promuovendo riforme sociali adeguate, ma sfoltendo i boschi!
Arrivo al centro visite solo dopo parecchie ore di pedalate alternate a camminate, dato che sono 14 km di salita dall’incrocio fra la SS89 e la SP 52 bis. Pedalo dentro un tunnel di faggi: poco a poco la strada si immerge in un’ombra sempre più fitta. Al km 10 mi accorgo che un volpacchiotto si aggira nella macchia e lo fotografo. Poco dopo il km 18 della SP 52 bis si giunge a un cutino, un piccolo invaso d’origine naturale circondato da faggi, uno stagno in cui si raccoglie l’acqua piovana, utile alla fauna per dissetarsi nei periodi di siccità. Nei pressi del cutino di Umbra, che si trova a 800 mt. di quota, ci sono due bancarelle che vendono prodotti tipici, fra cui le famose ostie ripiene –sfoglie di pasta farcite di mandorle- e un rifugio dove spacciano gelati e altri generi alimentari. Il centro visite si trova circa 400 metri più avanti sulla destra (si entra a pagamento in tre salette con reperti fossili e animali impagliati); purtroppo nemmeno la carta dei sentieri è in distribuzione gratuita. Con la bici percorro il sentiero Laghetto d’Umbra – Murgia, un percorso breve di quasi tre chilometri. Non ho la forza di fare di più. Fotografo il recinto dei daini e poi scendo a rotta di collo i 14 km prima faticosamente risaliti quasi tutti a piedi e ben presto mi ritrovo lungo la SS89. A questa velocità di crociera non mi ci vuole molto a tornare al Punta San Francesco.
18/07
Visto che oggi è l’ultimo giorno posso anche concedermi una mezza giornata di mare al Lido Cristalda, che dista 25 minuti a piedi dall’albergo (ombrellone e sdraio gratis costituiscono l’offerta del Punta San Francesco). Sulla spiaggia spira una brezza frizzante e per poter stare stesa sotto l’ombrellone ho bisogno di coprirmi con il telo da bagno. Leggo un po’, svogliata. Verso le tre del pomeriggio faccio rotta verso l’hotel; in capo a un’ora riprendo la bici per fiondarmi verso la necropoli La Salata, che è il complesso sepolcrale più importante che si può visitare da queste parti. Nel cimitero –infestato dalle zanzare- venivano seppelliti i cristiani dell’antica città di Merino durante i secoli IV-VI d.C. C’è una polla d’acqua che sgorga da uno dei crepacci della parete rocciosa, che rende il luogo molto suggestivo. Si possono individuare vari tipi di sepoltura: entrando da quello che era l’antico dromos si osservano tombe terragne, arcosoli e una tomba a baldacchino. Numerosi sono i loculi che si distinguono sulle pareti di uno strapiombo in riva al mare. La guida, Cinzia, ci parla per una mezz’oretta, fa notare che tutti questi ipogei sono stati usati come rifugi dai pastori. Furono loro a piantare gli alberi di fico, di cui mangiavano i dolci frutti e le cui foglie servivano per far asciugare i formaggi e come alimento per gli animali.
Alla fine della visita torno a Vieste e dopo aver restituito la bicicletta a noleggio so che è giunta l’ora di dire addio al Gargano.
E adesso, per chi suona il campanello? (della bici, evidentemente) Sempre per me, perché mi aspetta una settimana di vacanza con Leo e Fede in Germania (andremo a spasso per la ciclabile dei cinque fiumi della Baviera).
Come organizzare il viaggio in caso volessi ripetere la mia esperienza:
– Trasporti: Ferrovie del Gargano. 0881 725188 (attenzione: i bagagli devono avere queste caratteristiche: max 20 kg 50 x 30 x 25, altrimenti bisogna pagare un supplemento). Il biglietto non può essere emesso dall’autista. Sui tragitti locali (es. Vieste-Peschici, Vieste-Mattinata, l’autista può essere disposto a fare il favore di trasportare la bicicletta gratuitamente, se non ci sono bagagli, non sono sicura che ci stia più di una bicicletta). A Vieste la fermata è in P.le Aldo Moro. Lì c’è anche un bar dove acquistare il titolo di viaggio.
– Trasporti: SITA tel. 0881 352011 (n.b. per andare a Mattinata da Vieste SITA segue la SS89, mentre le Ferrovie del Gargano percorrono la litoranea Vieste-Mattinata). Il biglietto non può essere fatto sulla corriera (in teoria, se non ci sono troppe valigie, trasportano la bicicletta nel bagagliaio: decide l’autista; anche la bici paga il biglietto, mi sa che al massimo ci stanno due biciclette se il bagagliaio è vuoto). A Vieste la fermata è in P.le Aldo Moro.
– Pernottamento: Hotel punta San Francesco, tre stelle con l’aria condizionata, la TV, il frigorifero e il bagno in camera. Tel. 0884/701422 via S. Francesco, 2- 71019 Vieste. La bici di notte si può lasciare all’interno. Nonostante sia in centro la zona è molto tranquilla, in luglio non c’era alcun tipo di animazione serale o notturna che potesse dar fastidio.
– Noleggio mountain bike (non dispongono di altri tipi di bici): Avis Rent a Car Via Gen C. A. Dalla Chiesa 6, Vieste 71019, tel. 0884/702346. 50 euro la settimana (10 euro al giorno), con casco e chiusura. La bici ha il posto per la borraccia.
Giuseppe –meccanico di biciclette Vieste, Via Puglia- (orario 9-13 17-20, la domenica è aperto al mattino, tel. 0884701611; 348 2262297); in alternativa MOTO GRAZIA AUTORICAMBI GOMMISTA Lungomare C. Colombo 3/37 tel. 0884 708796.
– Taxi Vieste (in caso di problemi tecnici gravi) Del sapio 333 9598567 – Grillo 330327233 (attenzione: in vari punti il cellulare non prende).
– Gita alle grotte: prenotando tramite l’hotel Punta S. Francesco, alla reception, si pagano 11 euro anziché 15 come al porto o 12 come all’agenzia Bisanum Viaggi (quelli della Motonave Valentina vi vengono a prendere con una navetta in albergo, mezz’ora prima della partenza). La promessa di far tappa alla Baia delle Zagare è solo uno specchietto per le allodole: è vietato alle motobarche avvicinarsi alla famosa insenatura, la vedrete solo da lontano. Sono previste due escursioni giornaliere di circa 3 ore (compresa sosta di mezz’ora per il bagno), con partenza dal porto di Vieste alle ore 9,00 e alle ore 14,30.
– Visita alla Necropoli paleocristiana La Salata, estate: lun –ven. 1° visita alle 17.30; 2° visita alle 18.15, ingresso: 4 euro. In bici, da Vieste ci vogliono circa tre quarti d’ora. Si può lasciare il mezzo parcheggiato presso l’albergo “Gabbiano Beach”.
– IAT Vieste: tel. 0884.708806 (per informazioni sui sentieri parlare con il sig. Fusco)
– IAT Mattinata: comune di Mattinata, poi vi passano il turismo, tel. 0884 552411
– IAT Peschici. tel: 0884 915362. Orario apertura del castello di Peschici: mattino: 9.30-13 pomeriggio: 16-24 ingresso: 3 euro.
– Trekking Monte Sacro: cooperativa Alénn 0884 551353 cell. 338 8234654 email: info@intorce.it. Dal paese di Mattinata prendere la statale 89 verso Vieste e dopo circa 4 km, all’altezza del km 142, a sinistra una ripida strada asfaltata costituisce l’inizio dell’itinerario, segnalato da un cartello indicatore.