Il canto del lago

Tutte le emozioni di un viaggio in Mongolia
Scritto da: bgmeetafrika
il canto del lago
Partenza il: 29/06/2009
Ritorno il: 20/07/2009
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
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I was nourished by the waters of the rivers and streams of Mongolia. I was formed by the songs and sounds of the horsemen. I grew up on the dusty trails and paths of our travels. I listened to countless tails and heard of many heroic deeds. When I am reborn, I want only to come back to earth in this country. When I die again, I want only to leave this life in this country. The peak of the Altai Mountains piercing the clouds will accompany my song. The steppes in the East at daybreak are waiting for my love. I will set up my yurt to the melodic tones of the morin khuur. And I will love and protect my homeland till the end of my joyful life. My Mongolia is where I am at home in this world. A home like horse galloping towards you from afar Poem by O. Dashbalbar

I versi di questo poeta descrivono sinteticamente le emozioni provate durante il nostro tour in questo pacifico paese.

Dopo una sfacchinata di 3000 km percorsi su piste polverose e a volte scivolose in pessime condizioni a bordo di un datato Van russo, dopo una scorpacciata di paesaggi, di incontri e d’aria pura ci dirigiamo al nord verso il confine siberiano sul lago Khovsgol con l’intenzione di rilassarci tre giorni prima di riprendere il cammino verso l’estasi del monastero di Amarbayasgalant e poi rientrare a Ulan Bator. Potrei fare a meno di condividere questa esperienza ma motivata dal fatto che sarà per me una liberazione, sento che la devo raccontare e quanto segue non descrive tutto il tragitto compiuto, non descrive tutta la Mongolia ma è solo un momento che è stato parte della nostra vita lì.

Tra le mani rigiro una cartolina mai spedita, è un ricordo e la uso come segnalibro. Vedo le bianche iurte spiccare in mezzo alla nebbia, l’orizzonte della steppa è profilato dalle mandrie al pascolo e nella giallognola foschia maestosamente planano due aquile. La scena prende vita ora e ricomincia il canto: Il canto del lago.

Sotto alla pioggia sottile ci fermiamo alla guest gher dove siamo accolti da una giovanissima donna incinta che timidamente ci dice: “Sen bein uu?” (ciao come va). Il cielo non promette nulla di buono. Le tonalità monocromatiche delle nuvole addensatesi sopra al bacino si specchiano sull’acqua ferma rendendo l’atmosfera cupa. Il rumore della pioggia che batte sul telone di feltro è sovrastato dal crepitio della stufa accesa all’interno della iurta, nell’aria densa di fumo serpeggia il malumore di chi si trova a modificare il programma di viaggio se le condizioni atmosferiche non cambieranno.

Nonostante ciò dagli occhi a mandorla del nostro driver (da noi soprannominato Schumi) traspare un senso di energia positiva, sembra uno sciamano. Bastano pochi gesti ed uno sguardo sereno per metterci tutti d’accordo, aspetteremo fino a domani! Quando le nuvole vanno via il sole riaccende i colori della foresta. Soffia la frizzante brezza, muove piccole onde che s’infrangono sulla ghiaia e il lago amplifica il suo canto in tutta la vallata. Sembra il mare. Restiamo.

Il canto del lago è un nitrito nel vento, è rumore di zoccoli al galoppo attutito dai soffici prati.

Mi sento felice, mangiamo il Khorkghog (stufato di capra cucinato con l’aggiunta di sassi raccolti nel lago) Schumi sempre a gesti ci fa capire che dobbiamo prendere una pietra ciascuno e sfregarla bollente sulle mani prima di cominciare il pasto, la storia racconta che con questo rito le pietre sprigionano proprietà benefiche accumulate durante la cottura.

Il canto del lago è il vociare di ragazzi fradici di vodka che si prendono a pugni e poco dopo fanno pace. Torna la tranquillità, ma in un attimo tutto cambia. Un cavaliere vestito di azzurro col volto scolpito dal tempo bussa alla porta, gesticolando prega un aiuto. Con la sua famiglia è ospite nella gher di fronte alla nostra, sua figlia si sente male e tra di noi c’è chi le presta soccorso soffiando invano un alito di vita attraverso le labbra. Improvvisamente tutto cambia! Tuoni e fulmini interrompono la quiete e il dolore di chi ha perso qualcuno che ama trasforma il canto in un lamento senza suoni. Inebetiti dal triste evento ci chiudiamo nei nostri pensieri, gocce di pioggia filtrano dall’alto, cadono sulla stufa rovente sprizzano e svaniscono in nuvolette di vapore nella fioca luce di una candela. Non riesco a dormire e sporgo la testa al di sopra della porta in cerca di aria fresca. Il temporale con le sembianze di un gigantesco drago se ne va trascinando con sé la pioggia, l’eco dei suoi brontolii si ode tra le cime dei monti rischiarati dai lampi di coda. La luna riesce a crearsi un varco tra le nuvole in corsa e lascia cadere i suoi raggi nella nebbia che si alza dall’acqua, c’è un branco di cavalli intorno alle tende, sono agitati battono gli zoccoli e soffiando strappano zolle di erba. Dal bosco si alza uno schianto sembra il rumore di un’ascia che spezza un ramo secco, d’improvviso le selvagge criniere si scompigliano al galoppo corrono verso il candido alone lunare riflesso nel lago richiamate da chissà quale misteriosa entità. Il telone di feltro della iurta che ho davanti è sollevato da terra poco più di mezzo metro e nell’oscurità interrotta dalla danza di baluginanti lumi intravedo l’uomo accovacciato accanto al corpo esanime della donna.

Resto lì immobile, attonita e incollata alla scena col cuore che mi rimbalza nel petto, mi sorprendo a rivolgerle un pensiero pregandola di correre nella luce dentro un’altra dimensione. Provo a dormire. Il mio sonno è interrotto da quella visione: un pallido volto sorvegliato dall’amore paterno leggermente inclinato verso la luna con le labbra dischiuse dalle quali non esala più nessun respiro. L’alba nasce radiosa. Sul pianale di un furgone qualsiasi adagiano la donna avvolta in un telo di stoffa blu e la portano via, un monaco cantilena le preghiere accompagnandola in quello che è il suo viaggio verso l’infinito.

Quando io rinascerò voglio solo tornare sulla terra in queste lande.

Quando io morirò un’altra volta voglio solo lasciare la vita in questa terra.

Il canto del lago oggi è il suono melanconico del morin kuur. Dolores



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