Il cammelliere inesistente

Il Marocco, si sa, è un paese dalle molte sfaccettature e la realtà è a volte difficile da afferrare. Quando si arriva in aereo a Marrakech, come è successo a me per la mia prima visita in Marocco, si è assaliti all’ improvviso da un vortice di colori, odori, suoni e sapori. E quando, subito dopo, da Marrakech si parte in auto verso il...
Scritto da: seamaster
Partenza il: 10/11/2009
Ritorno il: 24/11/2009
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Il Marocco, si sa, è un paese dalle molte sfaccettature e la realtà è a volte difficile da afferrare.

Quando si arriva in aereo a Marrakech, come è successo a me per la mia prima visita in Marocco, si è assaliti all’ improvviso da un vortice di colori, odori, suoni e sapori. E quando, subito dopo, da Marrakech si parte in auto verso il deserto, si passa di colpo all’ estremo opposto: la solitudine assoluta di un ambiente sconfinato ed ignoto.

Così, viaggiando da solo in mezzo al nulla e del tutto immerso nei miei pensieri, mi sono trovato impreparato, alla fine di un lungo rettilineo poco prima di Ouarzazate, di fronte all’ immagine di una persona che si sbracciava esagitata accanto ad un’ auto ferma sul bordo della strada con il cofano alzato. Ed è stato quasi automatico fermarmi, spinto più dalla curiosità che da un sincero altruismo.

Un giovane marocchino aveva avuto un guasto mentre era in viaggio insieme ad un amico e mi chiedeva un passaggio per la vicina città. Perché non approfittare dell’ occasione di dare una mano al prossimo e contemporaneamente cercare di capire qualcosa di più sul paese nel quale ero appena arrivato? Appena partiti, scrutavo con discrezione il mio occasionale compagno di viaggio: un giovane sulla ventina, di nome Aziz, vestito con abiti occidentali incredibilmente immacolati e che sfoggiava un francese assai migliore del mio.

Dopo le solite domande di rito, mi ha raccontato di essere diretto ad Agdz, l’ ultima città prima del deserto, ma di avere un fratello ad Ouarzazate dal quale si sarebbe fermato per la notte.

Aziz di lavoro faceva il cammelliere. “Ah, porti in giro i turisti…” ho esclamato un po’ disincantato. “No, no. Noi, tutti gli uomini della famiglia, partiamo in carovana con decine di cammelli, carichi di generi alimentari, attraversiamo il deserto e raggiungiamo le tribù nomadi per barattare le nostre merci con i prodotti artigianali che loro creano. E’ un viaggio che dura anche più di due mesi…” A sentire questo racconto scorrevano davanti ai miei occhi le immagini di tanti affascinanti film e documentari sulle tribù del deserto, che sembravano divenire reali nello scenario grandioso che mi circondava, mentre il sole lanciava i suoi ultimi raggi di fuoco.

Intanto eravamo arrivati ad Ouarzazate e Aziz mi guidava verso la casa di suo fratello, appena fuori della città.

Avevo intenzione di salutarlo, ma lui mi ha invitato con decisione a scendere: “Sarei onorato di bere un tè alla menta con te, che sei stato così gentile”. L’ ospitalità marocchina è famosa, e la situazione mi sembrava assolutamente tranquilla, così sono sceso. Fuori dalla porta ci attendeva Hassam, il fratello di Aziz, vestito con la tunica azzurra ed il turbante dei tuareg, che mi ha accolto con un “Sii benvenuto, questa è la tua casa”, in un ottimo italiano.

Che incredibile situazione, trovarmi di colpo, come ospite d’ onore, dentro una casa marocchina, per giunta in compagnia di persone così affascinanti! Ci siamo seduti nel vasto salone decorato e pieno di cuscini ed Hassam mi ha raccontato che la sua conoscenza dell’ italiano era dovuta al fatto di aver partecipato, vent’ anni prima, all’ organizzazione del film di Bertolucci “Il tè nel deserto”, che era stato appunto girato ad Ouarzazate (dove infatti esistono ancora degli studios cinematografici).

Hassam mi ha mostrato delle vecchie foto e raccontato un po’ di storie sulla vita nel deserto, ed io non ho potuto fare a meno di notare come la sua padronanza dell’ italiano fosse ancora assolutamente perfetta, dopo tanti anni.

Ad un certo punto è entrato un altro ragazzo, anch’ egli vestito da tuareg (e che, chissà perché, mi sembrava di aver già visto) portando il tè e versandolo con ampi e per me incomprensibili gesti.

“Questa notte puoi dormire nel riad di certi miei conoscenti, domani Aziz ti porterà a vedere una interessante oasi qui vicino, poi tornerai qui per visitare la mia casa”. A me sembrava davvero troppa gentilezza per un semplice passaggio, ma loro insistevano così tanto che sembrava scortese rifiutare.

Così mi hanno portato al riad, che poi si è rivelato un albergo, neanche dei più economici, molto vicino alla loro casa. Gestito da una famiglia tuareg, o almeno così sembrava dai loro vestiti. La struttura dell’ edificio era particolare, con un intonaco che somigliava molto alla terra cruda delle vecchie abitazioni marocchine, ma non ho potuto fare a meno di notare come i solai fossero in cemento armato e poi rivestiti in legno. Anche l’ arredamento era strano: etnico, sì, ma piuttosto nuovo e, per la verità, anche un po’ dozzinale.

Comunque ho passato una notte tranquilla, anche se mentalmente cercavo di mettere a fuoco le tante immagini e situazioni così inusuali appena vissute.

La mattina dopo si è presentato puntuale Aziz, e siamo partiti per la visita all’ oasi con la mia macchina. L’ oasi era piuttosto vicina, ma la visita si è rivelata piacevole ed interessante, anche perché non avevo mai messo piede in un’ oasi prima di allora (nei giorni successivi ne avrei viste a decine). Comunque Aziz parlava davvero un ottimo francese e soprattutto descriveva la cultura e la natura del luogo con una inusitata dovizia di particolari. Magari tra una carovana e l’ altra farà anche la guida turistica, ho pensato.

Terminata la visita siamo tornati a casa di Hassam. Questa volta mi hanno fatto entrare al piano terra, in un grande magazzino carico di merci, soprattutto tappeti, e mi hanno offerto un altro tè.

“Questo è il mio antro delle meraviglie!” ha esclamato Hassam “Sai, noi vendiamo i prodotti artigianali ai grossisti di Marrakech e di tutto il mondo, che poi li rivendono nei loro negozi. Vuoi che ti parli delle caratteristiche dei tappeti?” “Beh… Perché no?” Ed Hassam ha iniziato ad illustrare, in un italiano molto tecnico, le caratteristiche dei tappeti, la tessitura, i materiali, i colori, il significato dei disegni, con frasi un po’ meccaniche ma estremamente curate. A me però sinceramente i tappeti non piacevano. “Guarda quanto sono belli, ne vorresti magari uno?” “Grazie Hassam, sono bellissimi, ma io…” “Se ti preoccupa il trasporto, possiamo spedirtelo in qualunque parte del mondo!” “No è che…” “Ti assicuro che i nostri prezzi sono straordinari, a Marrakech li pagheresti almeno il doppio, guarda questo, costa solo 600 euro!”.

La sua insistenza mi stava davvero sconcertando, ma per fortuna mi è venuta in mente la scusa migliore: “Davvero, Hassam, sono bellissimi, ma non posso tenerli in casa perché sono allergico alla polvere…”.

“Ah.” Sono seguiti pochi ma interminabili secondi di silenzio. “Allora forse vuoi passare una notte in tenda nel deserto? E’ una esperienza straordinaria, ti costa solo 110 euro, cena compresa”. “Ehm… Hassam… Ti ringrazio ma ho poco tempo e poi…” A questo punto Hassam si è alzato, e senza dire una parola si è diretto verso la porta, l’ ha aperta e, senza guardarmi, ha esclamato solo: “Ciao.” Così in un attimo mi sono ritrovato in macchina, senza nemmeno sapere dove andare, mentre nella mente mi frullavano tanti pensieri: “Ma come, Hassam… L’ ospitalità marocchina!… Forse si sarà offeso… Non avrei dovuto rifiutare… Ma i tappeti, davvero… E quel ragazzo che serviva il tè, non era quello seduto nella macchina in panne? Eh già, a proposito, la macchina… Perché nessuno ne ha più parlato?…”.

E’ stato solo dopo qualche giorno che, leggendo nel dettaglio la mia guida, ho avuto la soluzione di tutti i misteri: la stessa identica cosa era già capitata a molti altri.

Ma quale guasto! Ma quale famiglia di cammellieri! Ma quale tè nel deserto! Quella in cui mi ero imbattuto era solo l’ astuta strategia di marketing di un moderno venditore di tappeti.



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