I templi dell’India orientale, Calcutta e le popolazioni tribali dell’Orissa
Un viaggio nel tempo, dalle testimonianze di Madre Teresa e del periodo coloniale inglese a Calcutta, ai grandiosi templi di Bhubaneswar e Puri, lo splendido Tempio del Sole, di Konark, del XIII secolo, patrimonio dell’Unesco, prima dell’emozionante incontro con le antiche tribù dell’Orissa, visitando villaggi sperduti e vivacissimi mercati. Conclusione con il sorprendente Forte di Golconda, a Hyderabad e l’ultima immersione nel caos indiano che gravita attorno al Charminar.
Un tuffo nella storia, nella cultura e nelle tradizioni che affiorano dalla concentrazione di ben 62 diverse etnie, alcune delle quali in via di estinzione, ha contribuito a rendere l’Orissa una méta affascinante e misteriosa.
Una dozzina di viaggiatori, con accompagnatore, guida indiana e guida tribale, per affrontare un’avventura in India orientale, nell’area di concentrazione delle etnie tribali, chiusa al turismo per lungo tempo e riaperta solo recentemente, pur tra tante limitazioni e divieti.
Volo Milano-Doha-Kolkata. E’ notte fonda quando in aeroporto incontriamo la guida Raj, competente e coinvolgente, con esperienze in Italia, che ci accompagna all’hotel Peerless Inn.
Il primo impatto è con la parte coloniale di Kolkata, capitale del West Bengala, che si estende lungo il fiume Hooghly, ramificazione del delta del Gange, unita alla città gemella Howrah da 3 ponti. Per strada numerosi uomini si fanno la doccia mattutina sotto le fontane. Pittoresco e animato il mercato dei fiori, che nella parte terminale sfiora l’Howrah Bridge (705 metri) il vecchio ponte attraversato quotidianamente da circa 150.000 veicoli e da una marea di persone. Molto frequentato il bel parco del Victoria Memorial, in marmo bianco, eretto (1906-1921) in memoria della regina Vittoria, regina del Regno Unito e imperatrice dell’India. Proseguiamo per il tempio Kalighat, dedicato alla dei Kali e poi la casa di Madre Teresa, la sua tomba e l’incontro emozionante con gli orfani e i bambini con handicap ospitati in due diversi edifici. Dopo cena, con i taxi gialli, andiamo a vedere le operazioni di scarico dei camion: dei colli enormi, dal peso inverosimile, sono trasportati sulla testa avvolta con coperte da 6 o 8 persone che si muovono cadenzati come una marcia militare.
Per non restare intrappolati nel traffico caotico di Kolkata, partiamo con largo anticipo per l’aeroporto e visitiamo due templi jainisti, il primo con annesso un curato giardino, il Tempio Bhagavan Sheetalnathji, fondato nel 1867, è molto coreografico. In poco più di un’ora di volo raggiungiamo Bhubaneshwar, con alloggio al Trident Hotel, molto buono, con sala da pranzo ispirata al Tempio del Sole di Konark. Ci sono molti templi da visitare e il tempo è poco perché il sole cala presto. Iniziamo dal Brahmeswar Temple (XI sec), tempio indù dedicato a Shiva, dalle sculture molto accurate anche a sfondo erotico; passiamo al tempio Rajarani (IX sec) ornato da eleganti sculture di ninfee e coppie in atteggiamenti affettuosi; poi il Parsurameswar (VII sec) tra i più antichi della zona in una bella area; infine con il buio il Siddeswara Temple privato.
L’indomani completiamo la visita dei templi con il grandioso Lingaraj (XI sec) uno dei complessi sacri più imponenti dell’India, dedicato a Tribhuvaneswar (Signore dei Tre Mondi), alto 54 metri e circondato da una cinquantina di templi minori. L’ingresso è vietato ai non hindu, ma si può osservare da una terrazza panoramica. Lungo la strada sosta a Dhauli dove nel 260 a.C. venne scolpito nella roccia uno dei famosi editti dell’imperatore Asoka. Saliamo allo Shanti Stupa, lo stupa della pace fatto costruire nel 1972 dai monaci giapponesi, dove incontriamo frotte di studenti in gita scolastica nelle loro impeccabili divise e numerosi pellegrini. Proseguiamo per lo Yogini Temple, nei pressi di Hirapur, risalente al IX secolo, con rituali di preghiera tantrici coinvolgenti i 5 elementi della natura: fuoco, acqua, terra, cielo e aria. Lungo la strada, quando il termometro sfiora i 42° boccheggiamo nel villaggio di Pipli famoso per i coloratissimi tessuti artigianali con specchietti, lanterne e parasole, che trasformano la via principale in un caleidoscopio di colori. Dopo il pranzo, anticipiamo la visita, a Kornak, della pagoda nera, il tempio dedicato al dio Sole, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, costruito verso la metà del XIII secolo, probabilmente dal re dell’Orissa Narashimhadev. Il tempio è fantastico ed è stato concepito come il carro cosmico del dio Sole Surya, con 7 possenti cavalli (uno per ogni giorno della settimana) e 24 ruote (una per ogni ora del giorno). E’ buio quando si decide di andare a Puri al tempio dedicato a Jagannath, il Signore del mondo, uno dei centri di pellegrinaggio hindu più importanti dell’India, risalente al XII° secolo. Ci sciroppiamo qualche chilometro a piedi, zigzagando tra miglia di persone, tuc-tuc, rickshaw, mucche, cani, dromedari, per raggiungere al buio la terrazza della biblioteca cittadina, tenuta aperta per noi e ammirare da lontano il tempio, non accessibile ai non hindu. Ritorniamo in tuc-tuc e alloggiamo al The Hans Coco Palm di Puri, una struttura statale non entusiasmante.
Al mattino nuovo blitz al tempio di Jagannath, attorno al quale ruota un sacco di gente e un vivace mercato con bancarelle che espongono oggetti votivi, dipinti e statue delle divinità. Lungo il corso di un fiume è allestita una lavanderia artigianale con gente che lava di tutto nelle sue acque, stendendo poi centinaia di indumenti ad asciugare sulla riva. Uno spettacolo. Ci aspetta il bel villaggio di Raghurajpur conosciuto per i dipinti ‘patachitra’, una forma d’arte che risale al V secolo a.C., e per i disegni su foglia di palma. Improvvisiamo un pic-nic sulle barche mentre visitiamo la laguna salmastra del lago Chilka con numerose specie di uccelli. A Gopalpur, località balneare, il Mayfair Palm Beach ci accoglie con l’omaggio di una collana di conchiglie. Bella la struttura, self-service soddisfacente e sperimento la doccia con secchiello.
Partenza di buon’ora per assistere alle cremazioni, esperienza che lascia il segno per quello che si vede, gli odori, l’atmosfera. Lungo la spiaggia molte barche arenate e pescatori che sistemano le reti dopo la pesca. Inizia il viaggio verso l’interno dell’Orissa, nella zona abitata dalle tribù indigene, che costituiscono il 21% della popolazione, ben 62 gruppi tribali, che hanno mantenuto vivi i loro costumi, tradizioni e cultura nonostante i continui tentativi d’inserimento nella società. Servono permessi speciali e l’accompagnamento di una guida locale, che metterà un sacco di limitazioni alle nostre velleità di movimenti autonomi. Sostiamo al villaggio di Taptapani, noto per le sue sorgenti calde sulfuree, con il tempio Nilakantheshwar e il parco dei cervi, e in altri villaggi tribali dell’etnia Saura, abili nella lavorazione dei metalli, visitando anche qualche abitazione. I villaggi sono molto modesti con un’unica via centrale e case laterali che si animano improvvisamente al nostro passaggio con tanti bambini, alcuni impauriti, altri festanti, che ci osservano incuriositi. Notiamo anche qualche donna con monili ai piedi che sono dipinti. La strada per arrivare a Rayagada, capoluogo dell’area tribale, è lunga e molto sconnessa. L’hotel Sai International si rivelerà migliore delle poco lusinghiere attese, con bagno funzionante, cena soddisfacente e persino wifi.
Per strada vediamo delle piantagioni di cotone e tabacco, prima di arrivare a Dukum, nei pressi di Bisamkatak e affrontare l’esperienza del primo mercato settimanale della tribù Desia Kondha, dove confluiscono diverse etnie che vivono isolate nella foresta e il mercato rappresenta uno dei rari momenti di socializzazione, oltre che occasione di scambio di merci e prodotti agricoli. Fa molto caldo, oltre 36°. Il mercato, prevalentemente agricolo, non molto esteso, è frequentato da diverse etnie e con circospezione si possono scattare delle foto, trovando disponibilità e sorpresa, più che contrarietà. Incredibile la quantità di frutta e verdura, tutta molto rigogliosa, con alcune qualità a noi sconosciute. Al ritorno sostiamo in un paio di villaggi della tribù Dokra, con tanti simpatici e colorati siparietti, in uno dei quali sono esposti degli oggetti di artigianato locale. Nugoli di bambini si fanno il bagno alle fontane. Interessante la visita all’Hostel Girls Japakhal Sevashram, nel quale le ragazze delle tribù dei dintorni vengono ospitate a spese dello stato per favorirne la loro alfabetizzazione ed inserimento nella società. In un piccolo villaggio nei pressi dell’ostello assistiamo ad un viavai di donne e ragazze che scendono al fiume per lavare le stoviglie che portano in equilibrio sulla testa. In città ci fermiamo per acquisti da dispensare nei prossimi giorni nei villaggi.
La strada è molto sconnessa per arrivare al mercato settimanale di Chatikona della tribù dei Dongria Kondh tra le più primitive e ribelli. I Dongria vivono nelle montagne del Niyamgiri, mantenendo tradizioni, usi e costumi tramandati nei secoli seguendo il proprio stile di vita, credono nell’animismo, nelle forze della natura, nella magia e vivono in regioni difficilmente accessibili, che ne preservano l’isolamento, nonostante i tentativi dello stato indiano per un loro inserimento sociale. Unica eccezione il mercato dove portano i prodotti della loro agricoltura “taglia e brucia”, specialmente ananas, papaya e mango. Curano molto l’estetica ed usano acconciare i capelli con decine di fermagli, portano anelli al naso e alle mani e orecchini prodotti artigianalmente dalle tribù che vendono anche nei mercati. Osservo un’anziana agghindata che fuma un lungo sigaro e in disparte, abbassando la reflex, tento un contatto, timidamente ricambiato, con una donna e la figlia Dongria Kondh, con un sorriso e qualche parola sussurrata che sicuramente non capiscono. Prima di lasciare il mercato alla stazione ferroviaria osserviamo le persone che giungono dalla foresta (dove secondo la guida indigena non è opportuno inoltrarsi) e attraversano i binari per andare al mercato. Lungo la strada per Jeypore grandi distese di terrazzamenti coltivati a riso illuminati dal sole che sta tramontando. Sostiamo nei villaggi di Minapai della tribù Desia Saura, dove lavorano il bambù, e nel villaggio Malguda dell’etnia Malli, molto attivo e accogliente, ma oramai scende il buio. Arriviamo tardi a Jeypore, ma almeno l’hotel Apsara non è poi così male per essere in zona tribale: l’arredamento è datato, ma il bagno funziona, con doccia e acqua calda.
La nostra guida indiana prende in mano le redini della spedizione per ovviare alle eccessive limitazioni imposte dalla guida tribale. Assistiamo alla lavorazione con l’aratro trainato dai bufali sulle risaie e alla realizzazione di mattoni in terracotta nei pressi di un villaggio Gadaba, prima della successiva mèta, il mercato settimanale di Onkadelli, vivace e colorato, frequentato dagli abitanti dei villaggi tribali Bonda, Gadaba, Malli e Didayee. In particolare interessante l’incontro con i Bonda, tra le popolazioni più primitive e riottose dell’Orissa, in continua diminuzione, oltre che per l’elevata mortalità infantile, anche per la loro cruenta bellicosità che, scegliendo di vivere in isolamento, hanno mantenuto più di altri i propri costumi e tradizioni. Si contraddistinguono per il loro abbigliamento, in particolare le donne indossano solo un gonnellino, il petto è ricoperto da innumerevoli file di perline colorate e al collo sfoggiano grossi collari di metallo. La testa, solitamene rasata, è ricoperta anch’essa da un copricapo di perline variopinte. I maschi trasportano pesanti recipienti di bevande alcoliche derivate dalla fermentazione di diverse piante vegetali da vendere al mercato, ma che non lesinano a consumare direttamente, bevendo da un particolare bicchiere a forma di pipa. Quando alzano troppo il gomito, diventano scontrosi e pericolosi, anche perché girano armati di coltellacci, archi e frecce con punte di metallo molto acuminate. Il mercato è molto interessante sia per gli incontri, che per l’opportunità di conoscere alcuni prodotti, l’utilizzo di attrezzi a noi sconosciuti e alcune usanze tipiche delle tribù. Sbuca dalla foresta anche una rarità etnica: un’anziana della tribù Bara-Gadaba con collari metallici molto più grossi di quelli usati dalle donne Bonda. Lasciato il mercato, sosta alle suggestive Cascate Duduma, alte 175 metri, che precipitano in un canyon. Ci fermiamo poi in altri villaggi Gadaba e Malli e in una scuola dove la responsabile ci spiega che funziona anche da ostello per 150 bambine e 50 maschietti. Gli scolari, tutti in divisa blu e camicia bianca, un po’ intimoriti dalla nostra visita, hanno appena finito il pranzo e si affrettano a lavare le proprie stoviglie. Incontriamo ancora mondine intente a trapiantare le piantine di riso nelle risaie che, data la rotazione della coltivazione, consentono tre raccolti stagionali.
A Koraput, ci aspetta il tempio di Jagannath, la cui guglia candida sovrasta la città. La filosofia di Jagannath, originata dalla cultura tribale, non è antagonista di altre religioni, caste e credo e pratica la tolleranza nella vita reale dell’individuo e della società. Nel cortile che circonda il Sikharta si trovano numerose statue con colori sgargianti di Jaganath dai grandi occhi, la divinità che si vede un po’ ovunque in Orissa. Sosta al villaggio Vinca, dell’etnia Vasai, con schiere di donne al lavoro sui terrazzamenti delle risaie, prima di arrivare all’ultimo mercato del tour, a Kunduli, il più grande dell’area tribale, dove nel grande viavai di gente che lo frequenta si possono incontrare diverse etnie intente nello scambio e vendita dei propri prodotti. Lunga ma abbastanza scorrevole la strada che ci porta a Vishakapatnam all’hotel Fortune Inn che non mantiene nelle camere, con bagni obsoleti, la positiva impressione del primo impatto.
Dopo aver depositato reflex e cellulari, visitiamo il tempio Simhachalam, dedicato a Visnu, risalente al XIII secolo, dove confluisce una marea di gente, con abiti sgargianti e assistiamo anche alle cerimonie che si svolgono all’interno. Molte persone ci guardano incuriosite, vogliono stringerci la mano, ci chiedono un selfie o una foto con le loro famiglie. Numerosi devoti, grandi e piccoli, hanno la testa rasata per motivi religiosi. Assaporiamo finalmente un bel piatto di spaghetti al pomodoro decentemente piccanti, prima di raggiungere l’aeroporto per il volo, di circa un’ora, per Hyderabad, dove chiudiamo in bellezza all’hotel Taj Banjara, molto confortevole.
Giornata conclusiva decisamente interessante con la visita del sorprendente Forte di Golconda, costruito su una collina, entrato nella storia nel 1512 quando il sultano turco, proveniente dalla Persia, Quli Qutub Shah, instaurò la capitale a Golconda, fondando la dinastia che si estinse nel 1687. Le rovine di tre muraglie di granito circondano tuttora il forte di Golconda, con otto porte e all’interno delle mura si possono vedere le rovine dei palazzi, moschee e il Balahisar, la parte alta del Forte con bella vista. Passiamo poi alle tombe di Qutub Shahi, a cupola di granito, in un parco con diverse moschee, dove sono sepolti sette degli otto sovrani Qutub Shahi. Nel pomeriggio ci aspetta il Chowmahalla Palace, del XVIII secolo, nella città vecchia di Hyderabad, residenza governativa trasformata in museo, con ampi saloni, mostre ed esposizioni, fra le quali anche una Rolls Royce Silver del 1912. All’uscita nel parco sono sequestrato da un gruppetto di indiane che mi chiedono un selfie prima in gruppo, poi a coppie e infine singolarmente neanche fossi un divo del cinema: il fascino dell’occidentale?
Concludiamo il tour nel centro storico di Hyderabad, fondata nel 1591, immersi nel caos indiano che gravita attorno al Charminar, monumento principale della città, con quattro archi e altrettanti minareti alti 56 metri. Una baraonda pittoresca, chiassosa, frenetica, inimmaginabile, con gente, mezzi e animali che sbucano da tutte le parti. La vera India. Buon cena in hotel prima della partenza per l’aeroporto dopo mezzanotte, dal quale, dopo puntigliosi controlli, il volo ci catapulta dai 36 gradi di Hyderabad alla gelida mattinata invernale di Venezia.