I love NY
Ce lo dicono tutti: “A New York? Di nuovo? Ancora?” E non lo capiscono l’innamoramento per questa che è la “nostra” città per eccellenza. Credimi, se non l’hai vista almeno una volta non puoi capire, proprio non ci puoi riuscire.
Quattro giorni, solo quattro, il minimo per toglierci un po’ di dosso la malinconia che ci assale ogni qualvolta la vediamo in televisione, al cinema, nelle nostre vecchie foto o solo e più semplicemente nei nostri ricordi.
E’ come avere un amore lontano, che puoi vedere di tanto in tanto. Il ricordo e la nostalgia sono sempre presenti e la voglia di rincontrarlo forte. E quando succede, cerchi di avere da questo incontro il massimo delle emozioni nell’unità di tempo.
Cosa mi piace di questa città? Se dico tutto magari esagero, ma mi avvicino alla verità. Mi piace la gente, gli americani, sempre così gentili, disponibili, pronti a darti una mano al tuo primo accenno di incertezza e difficoltà. La metro è l’habitat ideale per “osservarli”. I neri, spesso enormi, grandi come armadi, ma con lo sguardo dolce e gentile. I giovani, vestiti come rapper, tutti un po’ omologati tra loro, con l’I-pod fisso alle orecchie, i pantaloni col cavallo alle ginocchia e una specie di cuffia in testa. Le donne, curate ed eleganti nell’abbigliamento e nei modi. Gli impiegati che lavorano nella lower manhattan, nei loro abiti scuri, che sbucano velocissimi dalla subway ad ondate, nelle ore di punta, fermandosi ai carrettini in strada per acquistare la colazione: bagel e coffee lunghissimo e bollentissimo (penso che debba rimanere caldo fino alla pausa pranzo:).
Mi piace la loro perfetta ed ineccepibile organizzazione, quasi militare. E’ il paese delle file: tutti ordinatissimi, in fila per uno, senza protestare anche se c’è tanto da attendere, e guai a chi sgarra, a chi tenta di fare il furbo e fa finta di non capire cosa sta urlando il tizio, classicamente di colore, che ha il compito di tenere l’ordine. Può sembrare antipatico questo sistema, soprattutto a noi italiani, caciaroni, indisciplinati e brontoloni, ma è un sistema efficace, funzionale, inutile e superfluo negarlo.
Mi piace soprattutto la città. E’ una dimensione a cui non sono abituata, vivendo in campagna. Le strade sono più larghe delle nostre autostrade. Si cammina sempre col naso in su. Palazzi di cui non si vede neppure la fine, vetri, specchi, metallo, mattoni a vista, pietra e luci, luci e ancora luci.
Già, qui le luci nei palazzi non si spengono mai, neppure quelle degli uffici, nemmeno il sabato e la domenica. Il risultato, in particolare quando cala la notte, è un luna park, animato, abbagliante, affascinante. Riconosci la sagoma della città attraverso le luci dei suoi palazzi. E poi Times Square: che dire di questo che sembra il centro del centro del mondo? (che esagerata…) Ad ogni ora, del giorno e della notte, una moltitudine di gente, di ogni razza e colore, si amalgama ad una moltitudine di luci, colori, suoni, rumori, immagini in movimento, taxi gialli, macchine enormi, limousine che mi fanno sorridere per la loro esagerazione, poliziotti alti e belli, piccoli e grassi, bianchi e neri, come quelli nei film. E come quanto i bambini impastano il didò di diversi colori in un’unica palla multicolor.
E che dire degli odori, meritano un capitolo a sé. In effetti l’olfatto è uno dei sensi che viene maggiormente sollecitato in questa città. Ti colpisce subito, appena sbuchi sulla strada dalla subway, appena arrivato dall’aeroporto: è un misto di odore di cibo, di bruciatino, di carne e spezie, sprigionato dai carrettini di strada che cucinano ogni ben di dio per stomaci forti; e poi, l’odore acido di immondizie quando ti trovi nei pressi dei bidoni o dei cumuli di sacchi neri che, inevitabilmente, si formano a fine giornata sui marciapiedi per poi sparire magicamente nottetempo. Profumo da donna e da uomo, puzza di scarico di macchina, aroma di caffè annacquato, poco fumo di sigaretta.
I rumori: dieci, cento, mille, un milione. Tutti insieme appassionatamente. Motori, clacson, musica ad altissimo volume che fuoriesce dagli enormi megastore, sirene delle ambulanze, sirene della polizia, sirene ridicole dei vigili del fuoco. E sempre, giorno e notte. Ma non sono un fastidio. Per me è come prendere una vacanza dal silenzio della mia campagna. Bello, bellissimo, tutto.
Nelle nostre precedenti visite alla grande mela, due in primavera (stagione consigliata) ed una poco prima di Natale (non raccomandabile se siete un po’ freddolosi), avevamo già visto un po’ tutto di quello che c’è da vedere e forse anche di più: il MOMA (meravigliosa la nuova sede), il Guggheneim (bello l’edificio, un po’ meno l’organizzazione delle mostre), l’infinito Central Park, la salita sull’Empire State Building (impressionante la città di giorno, incantevole di notte), la passeggiata indimenticabile sul ponte di Brooklyn con la skyline del nostro amore all’orizzonte, il giro dell’isola in battello, Ground Zero, Harlem e la messa gospel, i vestiti colorati delle donne e il brunch da Silvia’s, Greenwich Village, Soho con i suoi interessantissimi negozi, il Bronx con il suo zoo, il fascino decaduto e retrò di Coney Island, Rockway Beach e l’immensità dell’oceano. E tutto assolutamente fai da te, incazzature, soddisfazioni e disagi compresi.
Mi vergogno un po’ a dirlo: mi mancava il Metropolitan Museum. Mi fanno sempre un po’ paura questi giganti contenitori di cultura per tutti i gusti. Mi sono dovuta ricredere. E’ veramente bello, come era ovvio che fosse, e degna di nota in particolare la sezione dell’arte egizia e la sezione arte moderna.
Pazzia per pazzia, decidiamo di “perdere” un giorno nell’Outlet Woodbury Common Premium, un agglomerato di casette in legno (mi pare 250 circa) ciascuna con un negozio di marca più o meno famosa, dove effettivamente si fanno parecchi affari. Dista un’ora di bus dalla Grand Central Station. La sorpresa del viaggio è scoprire che già a 40 minuti dalla città ci si trova catapultati in un ambiente completamente diverso. Spazi enormi, un paesaggio collinare che in questa stagione si veste dei colori dell’autunno, casette di legno bianche tra gli alberi, ruscelli e laghetti, spazi verdi curatissimi. Un paesaggio che non ti aspetti e ti sorprende. E’ stata una giornata di shopping estremo, sport pericolosissimo.
Il resto del poco tempo rimasto lo abbiamo occupato a camminare, camminare ed ancora camminare, senza meta, senza scopo, solo con l’obiettivo di calarci nella realtà della nostra New York il più intensamente possibile. Abbiamo guardato, visto, osservato, curiosato, criticato e ammirato i mille aspetti di questo angolo di mondo che ci piace tanto. Ed oggi questa città la amiamo ancora un po’ di più.
Questa volta non lo dico neanche che è l’ultima volta che torno. Non ci credo più neppure io.