I grandi parchi dell’Ovest americano
Indice dei contenuti
Documenti necessari: passaporto e patente di guida italiana (non necessaria la patente internazionale) + autorizzazione Esta (modulo compilato on line – pagato 14 dollari a testa con la postapay)
Voli: Delta Airlines (avendo già sperimentato diverse compagnie aeree, – ad es. Qantas, Lufthansa, British Airways, Air Canada, ecc. – la Delta non ci ha entusiasmato particolarmente, né per quanto riguarda il servizio offerto e la pulizia dei velivoli, né per il cibo servito a bordo)
Compagnia di autonoleggio: Avis (Autovettura: Malibù Chrysler)
Costo: 3.300,00 € a testa (comprensivi di voli, voucher alberghi, noleggio auto, assicurazione medica)
Spese totali in loco: 1.670,00 € circa (tutto compreso – escluso carburante)
Costo totale carburante: 320,00 €
Km percorsi: 6.041
Pasti: colazioni consumate in bar o stazioni di servizio, oppure in albergo (quando comprese nel prezzo); pranzi al sacco (con cibo acquistato nei supermercati); cene in ristoranti di categoria media
Prezzi dei ristoranti: i prezzi dei ristoranti indicati nel diario di viaggio sono già comprensivi di bevande (di solito soltanto una birra per Nino, perché io bevevo sempre acqua, e negli USA l’acqua naturale è gratuita), mance e tasse locali
Hotel: di categoria media
Clima: torrida la Death Valley, seguita a ruota dall’Arches National Park e da Canyonlands (fondamentali, in questi tre parchi, le scorte d’acqua); caldissime e afose la Yosemite Valley, Las Vegas e Phoenix; molto caldi lo Zion National Park, la zona del Lake Powell e Salt Lake City; tempo molto nuvoloso, e quindi temperature difficilmente giudicabili, nella Monument Valley; temperature piacevoli, durante la giornata, a Bryce Canyon, a Yellowstone, e nel Grand Canyon, con freddo pungente la sera (frequenti ma brevi temporali pomeridiani nel Grand Canyon); molto fredda (soprattutto in caso di cielo nuvoloso) San Francisco
Guida utilizzata: Guida Routard – USA Ovest / I Parchi Nazionali (davvero un’ottima guida, con tantissimi consigli non soltanto sui luoghi da visitare, ma anche sui posti in cui dormire e mangiare) – Costo: 25,00 €
1°Giorno – 13/08/2012 (Milano – Atlanta – San Francisco)
Decolliamo da Milano Malpensa verso le ore 10,00 a bordo di un volo Delta con direzione Atlanta dove, durante lo scalo, sbrighiamo tutte le pratiche necessarie per accedere negli Stati Uniti. Ripartiti da Atlanta nel tardo pomeriggio, raggiungiamo San Francisco verso le ore 22,00. Dopo avere ritirato i bagagli, usciamo dall’aeroporto e prendiamo uno shuttle bus che, per 18 dollari a testa, ci porta in centro città, all’Hotel Marriott, in Sutter Street. Nonostante in aereo non ci abbiano servito la cena, vista la stanchezza accumulata durante il lunghissimo viaggio, decidiamo di andare a letto a stomaco vuoto, riproponendoci di rifarci l’indomani mattina a colazione.
2° Giorno – 14/08/2012 (San Francisco)
Dopo un bel sonno ristoratore, ci prepariamo e ci apprestiamo ad iniziare l’esplorazione della città. Siccome l’indomani abbiamo in programma la visita all’ex penitenziario di Alcatraz (che, memore della mia precedente esperienza, ho saggiamente provveduto a prenotare via Internet dall’Italia qualche tempo prima di partire), quest’oggi decidiamo di dirigerci verso i quartieri più lontani dal porto, situati a nord-ovest del centro.
Appena usciti dalla hall, ci rendiamo conto della posizione particolarmente favorevole del nostro albergo, ubicato a due passi da Union Square e da Market Street.
Dopo avere raggiunto il capolinea dei cable cars in Market Street ed avere osservato e fotografato la tipica manovra che questi pittoreschi tram effettuano per cambiare direzione di marcia, ci fermiamo in un baretto molto caratteristico, dove facciamo una sostanziosa colazione a base di muffins e cappuccino (16 dollari). Mentre ci rifocilliamo, osserviamo allibiti ma divertiti tre giovanotti americani che, al tavolo di fianco, sono alle prese con altrettanti piatti contenenti ciascuno uova, salsicce e fagioli, di dimensioni tali da risultare (per noi italiani!) sufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare di un’intera settimana! E pensare che i giovanotti in questione sono anche piuttosto magri…!
Con la pancia piena (non tanto quanto quella dei tre giovanotti!) riprendiamo il nostro giro. Nonostante al Visitor Center ci abbiano consigliato di usufruire dei mezzi pubblici (bus e cable cars) per visitare la città, noi decidiamo di girarla a piedi, ritenendo che sia il modo migliore per assaporarla appieno (anche perché, tra l’altro, le file per prendere i cable cars sono chilometriche!).
Dopo esserci fermati ad immortalare la classica immagine da cartolina di Alamo Square, proseguiamo la passeggiata attraversando l’ex quartiere hippie di Haight-Ashbury, una piccola parte del Golden Gate Park e la bellissima zona di Pacific Heights. Giunti a Cow Hollow, cominciamo a sentire le gambe un po’ pesanti a causa dei continui saliscendi così tipici…ma allo stesso tempo così faticosi…di San Francisco. Ne approfittiamo pertanto per fermarci a mangiare qualcosa in una graziosa boulangerie di Union Street.
Dopo pranzo (beh, visto l’orario sarebbe meglio dire merenda!) affrontiamo uno strappetto niente male per raggiungere Russian Hill. Qui decidiamo di imboccare Lombard Street dall’alto e, assieme a decine di turisti muniti di macchina fotografica, la percorriamo in discesa, utilizzando le comode scalinate laterali per i pedoni.
Infine, per concludere la giornata, attraversiamo il quartiere italiano di North Beach (con una puntatina alla famosa libreria beat City Lights) e China Town. Siccome nel frattempo si è fatto buio, decidiamo di cenare in un ristorante del Financial District, consigliato dalla nostra guida. Il locale, che si chiama Tadich Grill, è affollatissimo e molto caotico ma, essendo frequentato per la maggior parte da americani, è il posto ideale per osservare come gli abitanti di San Francisco trascorrono le loro serate. Dopo una mezz’oretta di attesa, riusciamo a sederci e ordiniamo due ottimi branzini alla griglia con contorno di patate e verdura cotta, spendendo la modica cifra di 56 dollari (in Italia, per mangiare del pesce, avremmo speso almeno almeno il doppio!).
Terminata la cena, rientriamo in albergo stanchi ma soddisfatti (…e con la suola delle scarpe ancora fumante!) e ci infiliamo subito a letto.
L’unica nota poco positiva della giornata è stato il tempo: perennemente nuvoloso, ventoso e, dal pomeriggio, anche decisamente freddo! Questo non ci ha di certo impedito di girare in lungo e in largo la città, ma purtroppo le nuvole basse non ci hanno consentito di ammirare i panorami sulla baia che, con il bel tempo, si possono godere dai quartieri alti della città. Va beh, pazienza…dopotutto, si sa che l’estate di San Francisco è un’estate un po’ anomala!
3° Giorno – 15/08/2012 (San Francisco)
Ci alziamo di buon’ora e facciamo colazione in un locale molto carino di Sutter Street (16,65 dollari). Il traghetto per Alcatraz è prenotato per le ore 11,00 ma, prima di imbarcarci, vogliamo fare due passi, e quindi decidiamo di percorrere a piedi il tratto di lungomare che va dal Ferry Building al molo 33.
Arrivati al punto di imbarco, capiamo subito quanto sia stato saggio prenotare i biglietti per tempo dall’Italia (28 dollari a testa – acquistati via internet sul sito www.alcatrazcruise.com con la postapay), poichè un cartello posto accanto alle casse avverte i visitatori che il primo posto disponibile a bordo del traghetto sarà il prossimo 25 di agosto (beh, dopotutto, l’esperienza insegna!).
La visita all’ex penitenziario, che dura in tutto circa due ore e mezzo (traghetto compreso), si rivela molto suggestiva, anche grazie all’audioguida in italiano (compresa nel prezzo del biglietto) consegnataci all’ingresso e contenente, oltre a cenni storici sull’isola e sul suo carcere, racconti di episodi verificatisi all’interno della prigione da parte di ex detenuti ed ex guardie carcerarie. L’isola di Alcatraz è interessante anche dal punto di vista naturalistico, ospitando diverse colonie di uccelli e particolari specie di piante e fiori che vengono curati da volontari esperti in giardinaggio. L’isola offre inoltre un bellissimo panorama sulla baia e sullo skyline di San Francisco. Sfortunatamente anche oggi il tempo non è clemente, e soltanto durante la traversata di ritorno le nuvole lasciano spazio ad un tiepido sole che ci ridà, per non più di un’oretta, l’illusione dell’estate.
Sbarcati al molo 33, decidiamo di ritardare il pranzo per visitare la Coit Tower, ubicata sulla cima di Telegraph Hill. Dopo avere perso circa mezz’ora per trovare la famosa scalinata denominata Filbert Steps, affrontiamo gambe in spalla la salita, attraversando splendidi giardini fioriti e costeggiando pittoresche casette in legno dai colori più svariati. Arrivati ai piedi della torre Nino, che soffre di vertigini, decide di accontentarsi del panorama dal basso, mentre io acquisto il biglietto di ingresso per salire (7 dollari). La fila per prendere l’ascensore (le scale ovviamente sono fuori uso!) è davvero a prova di pazienza ma, dalla sommità, lo scenario è semplicemente fantastico! La posizione strategica della torre e la sua altezza non eccezionale consentono infatti una panoramica a 360° sulla città e sull’intera baia.
Terminata la visita alla Coit Tower, attraversiamo il quartiere di North Beach e ci dirigiamo verso il Fisherman’s Wharf. Arrivati al Pier 39, decidiamo di pranzare (va beh, in realtà è sempre la solita merenda!) assaggiando una tipica specialità di San Francisco: il famoso “clam chowder”, una zuppa di granchi servita in una pagnotta di pasta acida scavata al suo interno (22,79 dollari). Se non fosse per il fatto che i granchi sono probabilmente scappati via prima di essere cotti nella zuppa, e che il retrogusto di cipolla che lascia in bocca è micidiale (per chi non ama la cipolla ovviamente!), il piatto tutto sommato non sarebbe neanche male (a mio avviso assomiglia molto alla besciamella).
Dopo pranzo facciamo un rapido giretto per i negozietti del molo e andiamo a goderci lo spettacolo degli immancabili leoni marini che poltriscono beati su apposite zattere costruite fra i pontili del porto. Proseguiamo poi la passeggiata sul lungomare e, prima di arrivare a Ghirardelli Square, ci fermiamo davanti alla vetrina della famosa Boudin Bakery ad ammirare i fornai che, alla stregua di fantasiosi scultori, creano pagnotte di surdough bread (tipico pane a pasta acida di San Francisco) dalle forme bizzarre.
Da Ghirardelli Square proseguiamo per un altro tratto a piedi all’interno della Golden Gate National Recreation Area e, giunti a Marina Boulevard, prendiamo l’autobus che ci porta al Golden Gate Bridge. Dopo avere scattato decine di foto del ponte da tutte le angolazioni possibili, lo percorriamo a piedi fino al primo pilone. Il cielo è molto nuvoloso, ma fortunatamente non c’è nebbia; pertanto il ponte è visibile in tutta la sua lunghezza e maestosità. Le dimensioni della struttura non sono percepibili se ci si limita ad osservarla dalla città; ma ad uno sguardo ravvicinato questo “gigante” lascia davvero a bocca aperta, invitando a chiedersi quanto debba essere stato impegnativo costruirlo!
Rientrati in città sempre con il bus, ci rechiamo a piedi nei pressi del quartiere di North Beach e ceniamo in un locale (Mo’s Gourmet Burgers) che la nostra guida indica come uno dei migliori posti di San Francisco in fatto di hamburger. L’ambiente è molto semplice, la cucina è a vista, il cibo è buono e i prezzi sono onesti (spendiamo 32 dollari per due cheeseburgers con contorno). Mentre consumiamo il nostro pasto, assistiamo divertiti ad una vera e propria scena da film: due poliziotti in servizio notturno entrano nel locale per ritirare il loro “packed lunch” da consumare in auto. Sghignazziamo quindi sotto i baffi, sentendoci un po’ anche noi involontarie comparse di una pellicola hollywoodiana…!
Terminata la cena, rientriamo infreddoliti in albergo e ci corichiamo, impazienti che arrivi l’indomani, quando, seppur dispiaciuti di lasciare San Francisco, inizieremo il nostro tanto atteso giro dei meravigliosi parchi americani!
4° Giorno – 16/08/2012 (San Francisco – Yosemite National Park – El Portal)
Dopo colazione ci rechiamo, muniti di bagagli, all’agenzia AVIS di Post Street, dove abbiamo appuntamento per ritirare l’auto che, nel corso delle prossime due settimane, ci scarrozzerà in giro per l’Ovest americano. Il disbrigo delle pratiche per il noleggio si rivela piuttosto lungo ma alla fine, dopo circa un’ora e mezza di attesa, riusciamo a scaldare i motori della nostra Malibù Chrysler e a partire alla volta del parco di Yosemite, nostra prossima tappa.
Grazie al navigatore usciamo dalla città piuttosto rapidamente, e Nino prende via via confidenza con il cambio automatico (peraltro già sperimentato due anni prima in Canada) e con i vari dispositivi dell’auto.
Per pranzo ci fermiamo in un supermercato di una cittadina incontrata lungo la strada ma, appena entrati, ci accorgiamo che lo stesso vende soltanto prodotti messicani. Inizia quindi una lunga ed estenuante ricerca di qualcosa di non piccante da mettere sotto i denti. Alla fine riusciamo in qualche modo a mettere a tacere il nostro stomaco, e riprendiamo il nostro viaggio.
Arriviamo a Yosemite verso metà pomeriggio e, siccome il nostro albergo (Yosemite View Lodge) si trova proprio lungo la strada di accesso al parco (in località El Portal), ci fermiamo subito per prendere possesso della camera e scaricare i bagagli. Tuttavia, appena scesi dalla macchina, restiamo sbalorditi dal caldo soffocante. In un parco di montagna mi sarei sinceramente aspettata una temperatura piacevole ed un’arietta fresca…il termometro dell’auto segna invece 40°, e di arietta neanche a parlarne!
L’albergo è carino, la camera enorme ed affacciata sul torrente. Visto il caldo, ci viene voglia di tuffarci subito in una delle piscine che si trovano di fronte alla struttura ma alla fine, avendo poco tempo a disposizione, decidiamo di fare un giretto per il parco prima che venga buio. All’ingresso acquistiamo l’Interagency Annual Pass che, per la modica spesa di 80 dollari, ci consentirà di visitare buona parte dei parchi che abbiamo in programma senza dover rimettere mano al portafoglio. Assieme al pass, il ranger ci consegna gratuitamente una mappa dettagliata ed il giornale del parco (cosa che succederà in ogni parco incontrato lungo il percorso).
Per prima cosa ci rechiamo al Visitor Center, dove ci sconsigliano di andare a Glacier Point vista l’ora ormai tarda, suggerendoci invece di fare un giro della Yosemite Valley in bus e magari una o due brevi passeggiate a piedi. Pur restando convinta del contrario, siccome non voglio iniziare fin da subito a fare di testa mia contraddicendo chi ha più esperienza di me, accetto il suggerimento e rimando Glacier Point all’indomani. Prendiamo pertanto lo shuttle gratuito che attraversa la valle ma, un po’ perché non troviamo particolarmente entusiasmante il giro in autobus, un po’ perché l’aria condizionata a bordo è davvero insopportabile, ben presto desistiamo ed optiamo per una più salutare passeggiata a piedi nei pressi dello Yosemite Village. Mentre camminiamo ammirando le imponenti cime che svettano attorno a noi, incontriamo un grosso cervo ed alcuni caprioli con cuccioli, che non sembrano per niente impauriti dalla nostra presenza.
Quando comincia a far buio, non trovando nelle vicinanze locali appetibili, decidiamo di rientrare a El Portal e cenare nel ristorante del nostro albergo. Dopo avere parcheggiato la macchina, mentre ci incamminiamo verso il ristorante, notiamo un animaletto che si aggira quatto quatto lungo il ballatoio esterno su cui affacciano le camere del secondo piano. Inizialmente non capiamo di cosa si tratti ma poi, avvicinandomi un poco, mi rendo conto che ha l’inconfondibile musetto del procione. Quando la bestiola si accorge della mia presenza, si ferma, si volta a guardarmi per qualche secondo e poi, non trovando probabilmente l’incontro molto interessante, si allontana sparendo tra i cespugli. Dopo esserci fatti due risate per il buffo ed inaspettato incontro, proseguiamo verso il ristorante, dove ci sentiamo dire che per sederci dobbiamo aspettare tre quarti d’ora. Non avendo intenzione di attendere tanto, nonostante io non sia solita mangiare italiano quando mi reco all’estero, optiamo per la più rapida pizzeria a fianco, dove ci viene servita una pizza pesante ma discreta (e talmente sostanziosa che ne mangiamo una in due!). Siccome il caldo non ha ancora mollato la presa, ceniamo su un tavolino all’aperto, con addosso soltanto shirts e canottiera, e spendiamo la modica cifra di 16,70 dollari in due. Dopo mangiato rientriamo in camera e, notando sul ballatoio della nostra stanza un bidone della spazzatura pieno di scatole sporche di pizza, capiamo immediatamente il motivo dell’incursione del simpatico procione…
La nottata che ci aspetta purtroppo non è delle più riposanti: in camera infatti c’è un caldo infernale, ed i letti su cui ci corichiamo sembrano forni a microonde. Ovviamente la camera dispone sia di aria condizionata che di ventilatore a soffitto, ma sono entrambi puntati sui letti e non si riesce a tenerli al minimo. Pertanto, preferendo ritrovarci l’indomani mattina con un po’ di antiestetiche occhiaia piuttosto che con il torcicollo, decidiamo di tenerli spenti e sopportare il caldo.
5° Giorno – 17/08/2012 (Yosemite National Park – Bodie – Lone Pine)
Dopo una nottata piuttosto travagliata ci alziamo di buon’ora e, non avendo alternative, ci rechiamo a fare colazione nel ristorante del nostro lodge dove, per un buffet vario ma non trascendentale, ci presentano un conto di 23 dollari. Vista la cifra, cerchiamo di mangiare quanto più possibile, ma purtroppo i nostri stomaci non contengono tanto quanto quelli degli americani…
Terminata la colazione, liberiamo la camera e ci dirigiamo verso Glacier Point, che raggiungiamo dopo circa un’oretta di automobile. Non appena mettiamo piede sul belvedere, ci rendiamo conto della veridicità del famoso detto popolare riguardante questo luogo (“quando sei a Glacier Point sei il Signore di Yosemite”). Il panorama è da togliere il fiato: la vista spazia sull’intera vallata sottostante, sull’imponente monolito di Half Dome e sulle spettacolari cascate Nevada e Vernall. La leggera foschia che aleggia sulla valle rende il paesaggio quasi irreale, fiabesco. La temperatura è già elevata, ma fortunatamente il caldo è meno opprimente del giorno prima.
Dopo avere scattato decine di fotografie, torniamo verso valle e ci fermiamo ad un altro famoso punto panoramico del parco: Tunnel View. Da qui, oltre alle splendide cime dalle pareti strapiombanti, è possibile ammirare la sconfinata distesa boschiva che ricopre la Yosemite Valley.
Per uscire dal parco imbocchiamo la Tioga Road che, attraverso un paesaggio incontaminato caratterizzato da praterie e laghi di origine glaciale (primo fra tutti il Tenaya Lake), scollina sul Tioga Pass, a quota 3030 metri. Da qui raggiungiamo rapidamente Lee Vining, un piccolo villaggio sulle rive del Mono Lake, dalle cui acque spuntano insolite e curiose formazioni calcaree. Siccome l’indomani abbiamo in programma il temuto attraversamento della Death Valley, mentre girovaghiamo in un supermarket alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, decidiamo di acquistare, per pochi dollari, un praticissimo frigo portatile in cartone ed alluminio per conservare viveri e beveraggi vari, che si rivelerà molto utile nel prosieguo del viaggio.
Dopo la breve sosta, deviamo dal nostro percorso di un’ottantina di chilometri per recarci a visitare Bodie (l’ingresso al sito storico ci costa 14 dollari), una vera e propria città fantasma del Far West, ben conservata e particolarmente suggestiva. Bodie fu un importante centro minerario ai tempi della corsa all’oro, quando arrivò a contare una popolazione di circa 10.000 abitanti. La città fu in gran parte abbandonata nel 1932, a seguito di un enorme incendio che distrusse la maggioranza degli edifici. Quelli rimasti in piedi sono stati invece conservati nel tempo così come sono stati lasciati, con tutto il loro contenuto. Passeggiare per le vie della città deserta è molto affascinante, e anche un po’ inquietante…per tutto il tempo della visita ci si aspetta infatti di veder uscire da dietro l’angolo qualche fantasma! Gli ultimi chilometri di strada per raggiungere il sito storico sono sterrati ma, lentamente e con un po’ di cautela, tranquillamente percorribili anche senza un fuoristrada.
Terminata la visita di Bodie, passiamo nuovamente da Lee Vining e ci dirigiamo verso Lone Pine, dove trascorreremo la notte. Durante il tragitto ci attraversa inaspettatamente la strada un esemplare di roadrunner, l’uccello beep beep dei cartoni animati, stranamente non inseguito da Wile E.Coyote…
Arriviamo a Lone Pine verso le 20,30 e, non appena trovato il nostro albergo (Best Western) e scaricate le valigie, corriamo a cenare in un locale senza pretese indicato dalla nostra guida (Mt. Whitney Restaurant), dove mangiamo in maniera più che accettabile e senza spendere una grossa cifra (51 dollari in due).
(Curiosità: fortunatamente solo al nostro ritorno in Italia veniamo a sapere del contagio di hantavirus che ha colpito il parco di Yosemite durante l’estate. Convinti di non averlo contratto per non avere pernottato nelle fatidiche cabine del Curry Village, attendiamo comunque con un po’ di inevitabile apprensione le sei settimane indicate dai medici come periodo massimo di incubazione del virus, per tirare alla fine un sospiro di sollievo una volta accertato di essere ormai del tutto fuori pericolo!).
6° Giorno – 18/08/2012 (Lone Pine – Death Valley – Las Vegas)
Iniziamo la giornata con l’intenzione di partire molto presto per la Death Valley, in modo da evitare di ritrovarci al centro della vallata proprio nell’orario più torrido, ovvero a metà giornata. Tuttavia, dopo avere fatto colazione (compresa nel prezzo dell’albergo, e di qualità piuttosto scadente), benzina, e rifornimento di acqua da bere e di ghiaccio per tenerla in fresco (i sacchi di ghiaccio in formato gigante sono acquistabili ovunque negli Usa), mettiamo da parte i nostri buoni propositi e ci rassegniamo all’idea di affrontare la traversata della valle con il solleone.
Prima di partire, ci fermiamo anche al Visitor Center di Lone Pine per ottenere qualche consiglio su come organizzare la giornata. Lone Pine è nota per essere stata una delle più importanti succursali di Hollywood, avendo fatto da set a molti famosi film western e di avventura. In effetti la cittadina in sé non è niente di speciale, ma le splendide montagne circostanti creano uno scenario davvero suggestivo, proprio da film!
Accediamo al parco dalla zona di Stovepipe Wells e, per prima cosa, visitiamo le Sand Dunes. In realtà, “visitare” è una parola grossa…diciamo che scendiamo dalla macchina, camminiamo qualche decina di metri fino a raggiungere la seconda duna, diamo un’occhiata veloce al panorama, scattiamo qualche fotografia, e ci precipitiamo nuovamente in auto a reidratarci e a riprenderci dal colpo di calore con un po’ di “sana” aria condizionata.
A mano a mano che ci addentriamo nella valle teniamo d’occhio la temperatura sul termometro della macchina, temperatura che cresce inesorabilmente fino a raggiungere il picco di 117° Fahrenheit (circa 48° C). Quando si scende dall’auto, la sensazione che si prova è quella di avere un enorme phon puntato addosso! Fortunatamente le maggiori attrazioni del parco si trovano tutte a pochissima distanza dalle varie strade che attraversano la Death Valley; ciò consente, almeno in parte, di rendere meno pesanti gli spostamenti e le brevi passeggiate sotto il sole bollente. E’ molto importante, oltre a bere il più possibile, cercare di non forzare troppo il motore dell’auto e, nei tratti in salita, spegnere il condizionatore.
Dopo una breve sosta a Furnace Creek, una vera e propria oasi in pieno deserto, riprendiamo il nostro giro e ci rechiamo a visitare le principali attrazioni della valle, iniziando da Badwater, il punto più basso dell’emisfero nord, e proseguendo con il Devil’s Golf Course, uno dei luoghi più aridi della valle. Quindi, risalendo da Badwater, imbocchiamo sulla destra l’Artist’s Drive (a senso unico), una sorta di stupefacente canyon di rocce variopinte che, a seconda dei momenti della giornata, grazie ai pigmenti minerali in esse contenute, assumono colori che vanno dal giallo al rosa, passando addirittura per il viola ed il verde. L’Artist’s Drive è sicuramente uno dei punti più belli di tutta la valle; sembra incredibile che in un luogo così inospitale come la Death Valley si possano manifestare fenomeni simili!
Un consiglio: se volete apprezzare appieno gli scenari variopinti del parco, munitevi di un paio di occhiali da sole con lenti scure, ma di colore caldo. Se infatti ad occhio nudo, a causa del forte riverbero del sole, il paesaggio può apparire, dal punto di vista cromatico, monotono ed uniforme, con gli occhiali da sole si riesce invece a cogliere la straordinaria policromia che contraddistingue molte delle conformazioni rocciose e sabbiose del parco. E se ve lo dico io che indosso gli occhiali da sole a malapena quando scio…potete crederci!
Dopo una breve passeggiata a piedi nel Golden Canyon, ci rechiamo a visitare i due principali punti panoramici del parco (che fra l’altro, trovandosi piuttosto in quota, godono di temperature molto più sopportabili): Zabriskie Point, contraddistinto da incredibili increspature dorate del terreno che conferiscono un che di surreale al paesaggio, e Dante’s View, da cui si domina tutta la vallata sottostante.
A questo punto, accorgendoci che il sole sta ormai tramontando (e pensare che credevamo di dedicare alla Death Valley a malapena una mezza giornata!), usciamo dal parco e ci dirigiamo verso Las Vegas, dove trascorreremo la notte. La strada per raggiungere la capitale del divertimento è piuttosto lunga e vi arriviamo, stanchi e accaldati, soltanto verso le ore 21,00. Ci rendiamo conto di essere ormai prossimi alla città quando, a scalfire il buio più completo dell’autostrada, improvvisamente ci appare un vero e proprio “oceano” di luci sfavillanti.
Troviamo il nostro albergo (Hotel Montecarlo, sulla Strip) con un po’ di difficoltà e, entrati come “barboni” nella lussuosissima hall, ci sentiamo dire dall’addetto alla reception che purtroppo le camere non fumatori sono tutte occupate. Seppur contrariati, dal momento che l’alternativa è dormire in strada, ci facciamo consegnare le chiavi di una smoking room. La camera non ha niente di lussuoso e, come temevamo, i mobili e la moquette sono irrimediabilmente impregnati del tipico e, per noi terribile, odore di sigaretta! Desiderando abbandonare la stanza il più velocemente possibile, facciamo una rapida doccia e ci immergiamo nel caos della Strip, alla ricerca di un luogo in cui cenare, possibilmente dove non si mangino soltanto schifezze. La ricerca si rivela tutt’altro che semplice, e solo alle 23,00 riusciamo finalmente a mettere le gambe sotto i tavoli di un ottimo ristorante francese (Mon Ami Gabi), ubicato proprio sotto la Torre Eiffel e davanti alle famose fontane del Bellagio, che ci incantano più di una volta con i loro suggestivi giochi d’acqua a ritmo di musica. Ci godiamo quindi lo spettacolo gustandoci della carne davvero deliziosa (mezzo pollo arrosto io, una succulenta bistecca di manzo Nino), spendendo 61 dollari in due.
Dopo cena tentiamo di fare un giretto lungo la Strip, ma purtroppo l’atmosfera di Las Vegas non ci contagia; anzi, il caldo torrido, la musica, le luci, la folla, il via vai incessante di automobili, il perenne rumore delle macchinette da gioco ci mettono a disagio, tanto che, frastornati più che eccitati, decidiamo ben presto di sottrarci a questa follia collettiva andandocene a letto.
Sfortunatamente la nottata non è delle più riposanti: al nauseante odore di fumo che aleggia nella camera si aggiungono infatti il brusìo della televisione e le risate provenienti dalla stanza accanto, che cessano soltanto verso le 5 del mattino, quando Nino, ormai esasperato, si avventa contro la parete divisoria delle due camere, tirando pugni ed inveendo contro la maleducazione della gente (è vero che siamo a Las Vegas, ma con tutti i posti che ci sono per fare baldoria, questi zoticoni proprio in camera si devono riunire!).
7° Giorno – 19/08/2012 (Las Vegas – Zion National Park – Panguitch)
Appena svegli, ci prepariamo in fretta e furia per abbandonare il prima possibile la camera “affumicata” e ci fermiamo a fare colazione con muffin e cappuccino presso lo Starbucks dell’albergo (14,86 dollari). Prima di partire, conveniamo di non poter lasciare Las Vegas senza aver tentato almeno una volta la fortuna: giochiamo quindi ben 1 dollaro a testa alla slot machine, ma ovviamente non vinciamo neanche un misero centesimo!
Contrariati dal nostro clamoroso fallimento al gioco, riprendiamo il percorso verso lo stato dello Utah, dove perderemo un’ora per via del diverso fuso orario (- 8 ore rispetto all’Italia). Lungo il tragitto ci balza all’occhio la quantità di campi da golf disseminati nelle varie cittadine che attraversiamo. La cosa ci stupisce particolarmente, e ci chiediamo quanto debbano spendere questi americani per riuscire a mantenere verdi questi prati in un luogo così arido e torrido come il Nevada (senza considerare inoltre il dispendio di acqua)!
Entrati nello Utah, notiamo subito che lo scenario naturale cambia rapidamente: il deserto lascia infatti ben presto spazio a stupendi paesaggi prevalentemente montani e rocciosi, caratterizzati da calde sfumature di rosso.
Nel primo pomeriggio raggiungiamo Sprigdale, una cittadina molto carina e molto ben tenuta (piena fra l’altro di alloggi per turisti), che funge da porta di accesso al visitatissimo Parco di Zion. Qui ci fermiamo e, dopo avere fatto spesa in un supermercato, pranziamo con pane, formaggio e frutta.
Raggiungiamo Zion verso le ore 15,00 e, dopo una puntatina al visitor center per raccogliere informazioni ed opuscoli, prendiamo il bus-navetta gratuito che effettua la spola tra il centro visitatori ed i diversi punti panoramici del parco. Il tempo è bello ma, ahimé, dopo soli 5 minuti di tragitto in bus, si scatena un violento temporale. Confidando in una perturbazione di breve durata, decidiamo di proseguire fino alla fermata del Tempio di Sinawava e, una volta lì, scendere dal bus ed attendere che la pioggia smetta per andare a visitare a piedi almeno un tratto delle famose Zion Narrows. Sfortunatamente l’acquazzone è tutt’altro che passeggero e, dopo circa un’ora, anziché cessare, si è trasformato in un vero e proprio diluvio. A questo punto, notando che ormai dalle montagne cominciano a cadere copiose cascate d’acqua, e consapevoli che la pioggia violenta all’interno di un canyon può rivelarsi molto pericolosa, riprendiamo l’autobus per ritornare al parcheggio.
Verso le ore 18,00 smette finalmente di piovere, ma ormai è ora di rimettersi in marcia; quindi, dispiaciuti e seccati per non aver potuto visitare il parco, partiamo in direzione di Panguitch, percorrendo la bellissima Zion – Mount Carmel Highway, strada panoramica che si inerpica ripida e tortuosa tra le montagne, collegando l’ingresso sud all’ingresso est del parco.
Godendoci il piacevole paesaggio montano dello Utah, raggiungiamo il nostro albergo (Harold’s Place) poco dopo le ore 20,00. L’hotel è costituito da una struttura principale (tipico motel) e da una serie di casette indipendenti allineate lungo la strada (denominate cabins). Noi siamo alloggiati in una di queste cabins, davvero molto carine: le casette sono infatti tutte costruite in legno, sia internamente che esternamente, e ricordano vagamente le casette degli gnomi! Siccome il piccolo ristorantino del motel chiude alle ore 20,00, dopo avere scaricato le valigie, risaliamo in macchina e ci dirigiamo verso Panguitch, a pochi chilometri di distanza, sperando di trovarvi qualcosa da mettere sotto i denti. Sfortunatamente, essendo domenica, la cittadina è completamente deserta, ed i pochi locali sono tutti chiusi. Ci infiliamo quindi nell’unico ristorante aperto che troviamo, un locale a dir poco spartano, in cui la pulizia non sembra essere l’obiettivo principale dei gestori! Tuttavia il servizio è cordiale ed il piatto di halibut che ordiniamo non è neanche malvagio (spendiamo 41 dollari in due)…l’importante, per chi è un po’ schizzinoso come me, è non concentrarsi troppo sulla sporcizia sparsa sulla moquette!
Terminata la cena, rientriamo in albergo e, lungo il tragitto, ci attraversa improvvisamente la strada un animale che, a causa del buio, non riusciamo a capire se sia una volpe oppure un coyote. Va beh, pazienza, l’importante è che siamo riusciti a non investirlo!
La giornata odierna purtroppo non è stata molto proficua: l’unico parco che avevamo in programma abbiamo infatti dovuto rinunciare a visitarlo causa pioggia. Ci addormentiamo pertanto con la speranza che domani, giornata dedicata al Bryce Canyon, il tempo sia più clemente…
8° Giorno – 20/08/2012 (Bryce Canyon National Park)
Ci svegliamo con una fitta nebbia che ci consente a malapena di vedere al di là del nostro naso ma, fortunatamente, nel giro di una mezz’oretta, il sole fa capolino e la giornata diventa a dir poco meravigliosa.
Nino dice di avere sentito, durante la notte, l’ululato dei coyote…allora forse il misterioso animale di ieri sera era proprio un coyote!
Ci avviamo verso Bryce Canyon e ci fermiamo a fare colazione in un lodge/ristorante di Bryce City, cittadina alle porte del parco. Sfortunatamente, mentre facciamo un giretto di perlustrazione nel general store del lodge, notiamo le macchinette del cappuccino ma non ci accorgiamo della scansia dei muffins confezionati. Quindi, non sapendo che cosa mangiare, ci sediamo al tavolo ed optiamo per la colazione a buffet, che si rivela costosissima (spendiamo infatti 36 dollari in due). Cerchiamo pertanto di abbuffarci il più possibile e, dopo avere comprato qualcosa per il pranzo, proseguiamo verso l’ingresso del parco, dove ci vengono consegnati la solita cartina ed il solito giornalino degli eventi.
Siccome nel pomeriggio è previsto un peggioramento del tempo, decidiamo di dedicare la mattinata ad una camminata tra i pinnacoli del parco, destinando le ore pomeridiane della giornata alla visita dei vari viewpoints che, essendo tutti comodamente ubicati lungo la strada principale, possono eventualmente essere affrontati anche sotto l’acqua.
Optiamo quindi per il Queens/Navajo Combination Loop, ovvero quello che la guida del parco definisce come il “most popular trail”. Parcheggiamo la nostra auto nei pressi di Sunrise Point e, dopo avere faticato non poco a trovare l’imbocco del sentiero (ogni tanto qualche cartello segnaletico in più non farebbe male!), iniziamo il giro a piedi (in senso orario) all’interno del famoso anfiteatro di hoodos. La prima parte del percorso scende gradatamente fino ad arrivare alla base del canyon, mentre la seconda, più faticosa anche se non troppo ripida, risale verso Sunset Point per tornare quindi, lungo il rim, al punto di partenza. Lo scenario che ci circonda durante l’intera camminata è indescrivibile: guglie e pinnacoli scolpiti nella roccia, conformazioni rocciose dalle forme più bizzarre, labirinti di gole, il tutto che cambia colore a seconda della luce del sole, assumendo intense colorazioni che variano dal rosso, all’arancio al bianco. Inoltre l’azzurro intenso del cielo, limpido e terso, rende ancora più straordinarie le gradazioni cromatiche di questo anfiteatro di pinnacoli. Impieghiamo circa tre ore a percorrere l’intero sentiero, anche perché io mi fermo di continuo per contemplare la meraviglia della natura che mi sta attorno e per fotografare più o meno ogni singolo hoodo!
Terminato il percorso a piedi, riprendiamo la macchina e cominciamo il giro dei viewpoints, iniziando con Inspiration e Bryce Point, e proseguendo con Rainbow e Yovimpa Point (dove ci fermiamo anche a mangiare qualcosa su un tavolo da pic nic in mezzo al bosco), Ponderosa Canyon, Agua Canyon, Natural Bridge e Farview Point. Le vedute sono tutte bellissime, ma le più suggestive sono sicuramente quelle che si godono da Inspiration e Bryce Point, assieme ovviamente allo splendido Natural Bridge.
Uscendo dal parco, ci fermiamo nuovamente a Bryce City per visitare alcune simpatiche costruzioni in stile vecchio western, situate proprio a lato della strada principale.
Arrivati in albergo, ci facciamo una bella doccia, e quindi ripartiamo subito per Panguitch. Questa sera abbiamo deciso di sperimentare un ristorante indicato dalla nostra guida (Cowboy’s Smokehouse Cafè), che si trova proprio nel centro della cittadina. Il locale è semplice ma molto caratteristico, arredato con cimeli western ed animali impagliati, e la presenza di un cantante country con chitarra in mano e cappello da cowboy in testa rende l’atmosfera particolarmente piacevole. Tanto per cambiare ordiniamo due piatti di carne (un mezzo pollo arrosto io, una bistecca Nino), dal sapore leggermente affumicato, guarniti con la classica patata al forno ed accompagnati da una tazzina di deliziosi fagioli alla melassa. Mangiamo discretamente, allietati dal sottofondo musicale, spendendo in tutto 56 dollari.
Rientrati in albergo, andiamo a letto soddisfatti, con ancora negli occhi il fantastico spettacolo di Bryce Canyon.
9° Giorno – 21/08/2012 (Panguitch – Salt Lake City)
Oggi inizieremo la lunga marcia di avvicinamento al Parco Nazionale di Yellowstone, facendo tappa a Salt Lake City, la capitale dello Utah.
Partiamo di buon’ora da Panguitch e ci fermiamo a fare colazione con muffins e cappuccino all’interno di un supermercato incontrato lungo la strada (6,44 dollari). Fate attenzione ai cappuccini serviti dai distributori automatici, perché sono tutti fortemente aromatizzati (alla vaniglia, alla menta, al toffee…), e di conseguenza talmente dolci da risultare quasi nauseanti. Sicuramente rispecchiano il gusto degli americani, ma non certo quello di noi italiani…sforzandovi un po’ magari riuscirete anche a berli (io ad esempio ce l’ho fatta a bere quello alla vaniglia, Nino invece ha dirottato sul caffè), ma mi raccomando…che non vi venga mai in mente di zuccherarli!
Arriviamo a Salt Lake City nella tarda mattinata e, dopo avere raggiunto il nostro lussuoso albergo (Little America, davvero molto bello) e scaricato i bagagli, ci avviamo a piedi a vistare il centro città.
Salt Lake City è una città molto ordinata e ben tenuta (davvero impeccabili le numerose aiuole di fiori multicolori) ma, a nostro avviso, dall’atmosfera un po’ fredda e priva di personalità. Essendo il fulcro mondiale della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, la sua piazza principale (Temple Square) è dominata dai simboli della religione mormone: il Tempio ed il Tabernacolo. L’edificio più alto della piazza ospita gli uffici amministrativi dei mormoni, e dalle terrazze del suo 26° piano è possibile avere una panoramica a 360° sul paesaggio circostante, mentre l’affabile mormone di turno racconta vita, morte e miracoli della città.
La parte laica di Temple Square è invece occupata da un grande centro commerciale mezzo aperto e mezzo chiuso, pieno di negozi monomarca e di fontane che offrono piacevoli giochi d’acqua.
Altro luogo significativo della città è il Campidoglio, sede del Governo dello Utah, che ricorda molto quello di Washington.
Mentre vaghiamo per il centro, proprio accanto a Temple Square, troviamo un bellissimo supermercato, provvisto di banconi pieni di vassoi di cibo venduto a buffet. Siccome il market offre anche tavoli e sedie sia all’interno che all’aperto, decidiamo di approfittarne e consumiamo qui prima il pranzo e poi la cena, abbuffandoci di verdure varie e riso al vapore, e terminando il tutto con un’ottima macedonia di frutta (spendendo 34 dollari per due pasti).
10° Giorno – 22/08/2012 (Salt Lake City – Jackson – Grand Teton National Park – Yellowstone National Park)
Quest’oggi non abbiamo un minuto da perdere: dovremo infatti percorrere circa 680 km per raggiungere il Parco di Yellowstone, attraversarlo interamente da sud a nord, visitando lungo il percorso tutto quello che riusciamo, per giungere infine nella cittadina di Gardiner (Montana), dove trascorreremo due notti.
Pertanto ci alziamo presto, carichiamo velocemente i bagagli in macchina e, verso le ore 7,00, ci lasciamo alle spalle Salt Lake City. Decidiamo di percorrere, nel primo tratto, la Interstate 15 fino a Idaho Falls, per poi imboccare la panoramica US 89/191, che conduce al parco di Yellowstone attraversando la pittoresca cittadina di Jackson ed il Grand Teton National Park.
Ovviamente, quando si ha fretta, tutto concorre a farti perdere tempo! Ecco quindi che, giunti nei pressi di Idaho Falls, urtiamo accidentalmente con la ruota anteriore destra dell’auto un grosso pezzo di legno che giace, abbandonato, proprio al centro della carreggiata. In un primo momento ci sembra che sia tutto a posto ma successivamente, mentre siamo fermi presso una stazione di servizio per fare benzina e colazione (con il solito muffin e cappuccino – 6,63 dollari), notiamo che il pneumatico incidentato presenta un rigonfiamento anomalo, che non promette nulla di buono. Non ritenendo opportuno proseguire in queste condizioni, decidiamo di cercare qualcuno che ci cambi la gomma e fortunatamente, grazie al navigatore, raggiungiamo in quattro e quattr’otto il più vicino centro di assistenza AVIS, ubicato presso l’aeroporto di Idaho Falls. Qui, mentre il meccanico si occupa del pneumatico danneggiato, l’impiegata ci invita a compilare l’apposito rapporto di incidente a fini assicurativi. Purtroppo l’aeroporto di Idaho Falls non è paragonabile a quello di Atlanta, e di conseguenza i ritmi di lavoro al suo interno sono rapportati alla scarsa quantità di traffico in transito! Il risultato è che, per una misera gomma, ci tocca aspettare più di un’ora, anche perché il meccanico, anziché sostituire soltanto il pneumatico incidentato, li fa ruotare tutti e quattro, li gonfia, li lucida, li massaggia, li coccola e alla fine, non contento, ci chiede anche se vogliamo che ci lavi la macchina!…No grazie, tanto di cappello per l’infinita gentilezza, ma se è vero che lui non sa come tirare sera, è altrettanto vero che noi abbiamo una fretta indiavolata di arrivare a Yellowstone!
Risolto l’inconveniente, verso le ore 12,30 riusciamo a rimetterci in moto e, nel primo pomeriggio, raggiungiamo Jackson, una incantevole cittadina in perfetto stile western, piena di negozi e di turisti. Purtroppo, per mancanza di tempo, dopo avere fatto tappa in un supermercato, ci fermiamo soltanto per pranzare (con pane, formaggio e frutta) in un bellissimo parco ai margini della città, in compagnia di una simpatica famiglia di oconi.
Ripartiti da Jackson, attraversiamo il Grand Teton National Park, ammirandone le cime innevate e le vaste praterie di erba rada, per arrivare finalmente, nel tardo pomeriggio, al tanto agognato parco di Yellowstone.
Dopo l’immancabile foto di rito accanto al cartello di ingresso, ci fermiamo qualche minuto nei pressi di un punto panoramico sul Lewis River, dal quale è possibile rendersi conto sia degli enormi danni alla vegetazione causati dal famoso incendio del 1984, che distrusse il 35% della superficie del parco, sia della sua rinascita, testimoniata dalla presenza di migliaia di giovani pini che crescono tra gli scheletri di quelli andati in fumo.
Dopo la sosta, proseguiamo in direzione nord e ci fermiamo a visitare il West Thumb Geyser Basin, un bacino di fumarole, mud pots e piscine colorate, ubicato proprio sulle rive dello Yellowstone Lake, e visitabile grazie ad una serie di comode passerelle in legno. Il nostro primo approccio con l’incredibile particolarità del parco di Yellowstone è entusiasmante…e pensare che questo sarà solo un assaggio, e che nei prossimi giorni ci aspetteranno spettacoli ancora più mozzafiato di questo!
Usciti dal bacino, ci accorgiamo che si sta già facendo buio. Decidiamo pertanto di proseguire spediti in direzione di Gardiner, limitandoci ad osservare il panorama senza effettuare ulteriori soste.
Improvvisamente, giunti nei pressi di Lake Village, mentre io scruto avidamente l’orizzonte in cerca di fauna selvatica, noto un grosso bisonte che, proprio accanto alla carreggiata, bruca tranquillamente l’erba, incurante delle auto in transito. Con un urlo faccio fermare Nino, che si cimenta in una serie di contorte manovre per consentirmi di fotografare l’animale da vicino senza disturbarlo. Quindi proseguiamo e, dopo pochi metri, ci imbattiamo addirittura in una mandria di bisonti, che passeggia beatamente in mezzo alla sede stradale. Restiamo fermi ad osservare la simpatica scenetta, allineati ad altre autovetture, fintantoché i rangers del parco, a bordo di un mezzo di servizio, non disperdono la mandria utilizzando un megafono.
Ma lo spettacolo per oggi non è ancora finito! Giunti, infatti, nei pressi di Mud Volcano e Sulphur Caldron (luoghi caratterizzati dalla presenza di un odore di zolfo a prova di stabilimento termale), notiamo che i prati circostanti sono disseminati di mandrie di bisonti…Siamo praticamente accerchiati da questi giganti e, ovunque ci giriamo, ce ne troviamo davanti diversi esemplari! Non per niente si sono radunate nella zona parecchie centinaia di persone, armate di binocoli e macchine fotografiche!
Poco più avanti, nonostante il buio, scorgiamo anche un simpatico castoro che si rinfresca nelle acque dello Yellowstone River, e infine, nel tratto di strada compreso tra Norris e Mammoth Hot Springs, incuriositi da un nugolo di macchine parcheggiate precariamente a lato della carreggiata, ci fermiamo e ci ritroviamo davanti un bellissimo esemplare di cervo, con un palco enorme sulla testa, che pascola in tutta tranquillità, per nulla intimorito dal folto pubblico che gli si è radunato attorno.
Terminati gli incontri ravvicinati con la fauna locale, verso le ore 21,00 arriviamo finalmente a Gardiner (Montana), porta di accesso nord del parco. Dopo avere scaricato i bagagli, ci facciamo consigliare dalla receptionist del nostro albergo (Comfort Inn Yellowstone) un locale in cui sia possibile mangiare fino a tarda ora. Il ristorante indicatoci (“The Lighthouse”) si trova pochi chilometri a nord di Gardiner e, quando lo raggiungiamo, lo troviamo quasi deserto. Serviti cordialmente dalla coppia di giovani sposi che gestisce il locale, ordiniamo un piatto di pesce con verdura (per me) ed un cheeseburger (per Nino), per terminare con un dessert al cioccolato che, se non fosse per la solita cremina al formaggio ultradolce aggiunta successivamente come guarnizione, sarebbe davvero delizioso. I piatti sono comunque ben cucinati e piuttosto leggeri, e in totale spendiamo soltanto 31 dollari.
Rientrati a Gardiner, facciamo una doccia veloce e andiamo a letto, non vedendo l’ora che arrivi l’indomani, per poter esplorare in lungo e in largo questo meraviglioso parco, che già oggi ci ha suscitato tante splendide emozioni!
11° Giorno – 23/08/2012 (Yellowstone National Park)
Oggi sarà la nostra unica giornata dedicata interamente alla visita del parco. Pertanto, dopo una veloce e non imperdibile colazione in albergo, alle ore 8,00 stiamo già solcando le passerelle in legno che si inerpicano fra le terrazze di Mammoth Hot Springs, una serie di bacini calcarei digradanti, che ricoprono il fianco spoglio di una montagna, e dai quali scende acqua calda. Nonostante l’estate non sia certo il periodo migliore per ammirare questo raro e particolarissimo fenomeno naturale, in quanto le terrazze risultano per la maggior parte asciutte, restiamo comunque affascinati dalla miriade di colori sbalorditivi originati dallo strato di travertino depositato sul fondo dei bacini.
Terminata la visita di Mammoth, proseguiamo il nostro giro in direzione est e, dopo una rapida occhiata al Petrified Tree e alle Tower Falls (lungo la strada abbiamo anche un incontro ravvicinato con una simpatica marmotta), raggiungiamo il Canyon del fiume Yellowstone, con le sue meravigliose cascate. La zona è talmente spettacolare che decidiamo di esplorarla da ogni punto di vista (North e South Rim), percorrendo tutti i sentieri (più o meno faticosi) che conducono ai vari belvedere a picco sul canyon (Brink of Lower/Upper Falls Trail, Grandview Point, Inspiration Point, Artist Point, ecc.). Le molteplici vedute sulle Lower e Upper Falls sono da togliere il fiato (particolarmente suggestiva risulta la vista ravvicinata delle Lower Falls che si gode dall’Uncle Tom’s Trail, una ripida scalinata di 328 gradini che mi tocca fare da sola perché Nino, affaticato da tutte queste camminate, mi abbandona proprio sul più bello!), e la particolare colorazione giallastra delle pareti del canyon conferisce al paesaggio un aspetto quasi surreale (consentendo anche di capire perché gli indiani abbiano chiamato questa zona proprio “yellow stone”).
Fra il North ed il South Rim ci concediamo anche una veloce pausa pranzo con formaggio, crackers (salatissimi!) e frutta, acquistati presso un supermercato di Canyon Village.
Dopo avere esplorato in lungo e in largo la zona del canyon, proseguiamo in direzione di Norris e facciamo tappa al Norris Geyser Basin, un enorme e favoloso bacino contenente le sorgenti ed i geyser più caldi del parco. Il paesaggio è quasi lunare e qui, più che da ogni altra parte, si percepisce il perenne ribollire delle tenebre sotto i piedi: il terreno è infatti bucato qua e là da sorgenti di acqua calda, rabbiose fumarole e puzzolenti mud pots, e disseminato di stupefacenti piscine variopinte. Impieghiamo parecchio tempo per esplorare questo luogo incantato, godendoci soprattutto lo spettacolo dello Steambot Geyser (considerato il più grande geyser attivo del mondo) che, al nostro passaggio, sbuffa rabbiosamente emettendo grossi getti intermittenti di vapore.
Usciti dal bacino di Norris, ci rendiamo conto che la giornata sta ormai volgendo al termine, ma decidiamo di sfruttare l’ultimo bagliore di luce rimasto, recandoci a visitare il Lower Geyser Basin. Le violente eruzioni dello Spasm Geyser con i colori del tramonto sullo sfondo rendono la passeggiata particolarmente suggestiva. Molto singolare, all’interno dell’area, risulta essere il Fountain Paint Pot, un bacino di fanghi bollenti borbottanti dalle delicate tonalità rosate.
Risaliti in macchina, visto il buio ormai impellente, ci rassegniamo a rimandare all’indomani mattina il resto del nostro programma, e ci dirigiamo quindi di nuovo verso Gardiner. Improvvisamente, lungo un tratto di strada rettilineo, Nino è costretto ad inchiodare bruscamente per evitare di tamponare un’autovettura che, a sua volta, ha inchiodato davanti a noi. Intuiamo subito che debba trattarsi di qualche animale ed in effetti, guardando meglio, notiamo un grosso bisonte che, fermo immobile proprio a cavallo della linea di mezzeria, si guarda tranquillamente attorno mostrandoci il fondoschiena. Attendiamo divertiti che l’animale, con tutta la calma di questo mondo, si degni di spostarsi dalla carreggiata, e riprendiamo il viaggio.
Arrivati a Gardiner piuttosto tardi (verso le ore 21,00), anziché fermarci in albergo, decidiamo di proseguire direttamente verso il ristorante sperimentato la sera precedente, e lo troviamo di nuovo deserto. Dopo avere dato una rapida occhiata al menù, io ho la cattiva idea di ordinare un piatto di pollo e riso senza la classica salsina di accompagnamento…l’avessi mai fatto!…Il proprietario del locale, scioccato e forse anche un po’ “offeso” dalla mia richiesta, guardandomi con gli occhi sbarrati, quasi come fossi un’aliena, cerca di convincermi in tutti i modi a farmi portare la salsina (almeno “on the side”), per non rischiare di dover mangiare una pietanza completamente scondita e quindi, a suo dire, senza sapore. Ma io, che in fatto di cucina ho le mie idee e su queste sono assolutamente irremovibile, non mi lascio persuadere e, invitandolo gentilmente a non preoccuparsi per me, gli confermo la mia precedente ordinazione. Il ragazzo allora, considerandomi probabilmente una causa persa, desiste con me e sfoga la sua frustrazione su Nino, convincendolo ad ordinare un supersostanzioso panino di tagliata di manzo. Risultato: il mio piatto è buonissimo e tutt’altro che insapore, Nino invece si ritrova a dover ingurgitare una quantità di carne a prova di stomaco americano, che riuscirà a digerire soltanto nel corso della giornata successiva. Morale: mai fidarsi dei consigli culinari degli americani…anche perché, dopotutto, in fatto di cucina non hanno proprio nulla da insegnarci! (Costo totale della cena: 29 dollari).
12° Giorno – 24/08/2012 (Yellowstone National Park – Salt Lake City)
Di buon mattino, dopo la solita mediocre colazione consumata in albergo, carichiamo i bagagli in macchina e ci prepariamo ad affrontare una lunghissima giornata, che inizierà con le ultime meraviglie rimasteci da visitare nel parco di Yellowstone, per terminare di nuovo, dopo un viaggio di circa 600 km, a Salt Lake City.
La mattinata inizia, con nostra grande gioia, all’insegna della fauna selvatica (o quasi…): appena partiti dall’albergo ci imbattiamo infatti in alcuni magnifici esemplari di cervi che, in pieno centro di Gardiner, del tutto incuranti del via vai cittadino, sfruttano le piante e gli arbusti posti a lato della strada principale per riempirsi lo stomaco (uno di questi animali è addirittura intento a brucare l’erba nel giardino di un’abitazione privata!). Poco più avanti invece, nello stesso identico punto in cui avevamo incontrato il grosso cervo due sere prima, ci fermiamo qualche istante ad osservare ed a fotografare un enorme bisonte, al pascolo in mezzo alla prateria.
Terminata la parentesi animali, giunti in prossimità del Lower Geyser Basin (visitato la sera precedente), imbocchiamo la Firehole Lake Drive (strada a senso unico), lungo la quale abbiamo la fortuna di incontrare il Great Fountain Geyser in piena eruzione. Ci godiamo lo spettacolo, assieme ad altre decine di persone, per circa 15 minuti (nel frattempo, poco lontano, vediamo zampillare anche il White Dome Geyser), per poi proseguire transitando dal meno frequentato, ma non per questo meno spettacolare, Firehole Lake.
Ripresa la strada principale, raggiungiamo il Midway Geyser Basin che, grazie alla presenza della Tourquoise Pool (le cui acque ci ricordano vagamente il mare di Stintino) e della Grand Prismatic Spring (una straordinaria piscina dalle acque ribollenti e coperta di vapore azzurro, di circa 100 metri di diametro, dalla cui circonferenza si dipartono lingue di fuoco dai colori più svariati) rappresenta, a nostro parere, uno dei siti più spettacolari di tutto il parco. Tuttavia, per godere della vista migliore sulla Grand Prismatic Spring, seguiamo il consiglio della nostra guida e, risaliti in macchina, proseguiamo per circa 1 miglio, fino ad un parcheggio con l’indicazione Fairy Falls. Qui ci incamminiamo a piedi e, dopo avere attraversato un ponticello metallico, procediamo per circa un quarto d’ora costeggiando il fiume. Giunti all’altezza della Grand Prismatic Spring, ci arrampichiamo sulla collina alla nostra sinistra e, dopo pochi minuti, girandoci indietro per osservare il panorama, restiamo letteralmente sbalorditi dallo spettacolo incredibile che ci si para davanti! La nostra guida aveva proprio ragione: la vista d’insieme da quassù è davvero eccezionale, decisamente migliore rispetto a quella dal basso, e considerando il minimo sforzo che richiede la salita, vale davvero la pena sperimentarla! Dopo avere scattato decine di foto da tutte le angolazioni possibili, scendiamo nuovamente a valle e, ripresa la macchina, proseguiamo verso l’Upper Geyser Basin, dove ci attende l’Old Faithful. Prima di arrivarvi, però, facciamo una rapida sosta al Biscuit Basin, per ammirare la fantastica Sapphire Pool, dall’incredibile colore blu zaffiro.
Giunti all’Upper Geyser Basin, ci rechiamo per prima cosa al Visitor Center a verificare la previsione oraria per l’eruzione dell’Old Faithful; quindi, avendo un po’ di tempo a disposizione prima dell’evento, iniziamo ad esplorare il sito. Appena imboccata la passerella in legno che attraversa l’intero bacino, incontriamo un gruppo di bisonti al pascolo che, del tutto disinteressato al nostro passaggio, per un momento ci blocca addirittura la strada. Dopo averlo oltrepassato ed avere percorso un piccolo tratto di sentiero in mezzo a geyser e piscine colorate, decidiamo di tornare sui nostri passi per assistere alla tanto attesa eruzione del “Vecchio Fedele” e, raggiunto il geyser, ci sediamo, attorniati da centinaia di spettatori, sui tavolati in legno che lo circondano. L’eruzione del “re” del parco (davvero eccezionale!) scatena esternazioni di meraviglia da parte di tutto il pubblico presente e si conclude, dopo alcuni minuti, con un fragoroso applauso.
Terminato lo spettacolo, riprendiamo il giro del sito, e ci rendiamo ben presto conto di trovarci in un luogo al di fuori della realtà: le fantastiche pozze d’acqua multicolori e i numerosissimi geyser dalle forme più bizzarre rendono la visita davvero indimenticabile. Fra l’altro, lungo il percorso, abbiamo la fortuna di assistere all’eruzione inaspettata di alcuni geyser, che fino a pochi momenti prima sembravano completamente addormentati, ed il fattore sorpresa rende l’esperienza ancora più piacevole.
A malincuore siamo costretti ad abbandonare il sito prima di averlo girato interamente:ormai sono quasi le 15,00, e abbiamo ancora davanti il lungo viaggio verso Salt Lake City. Quindi, dopo avere mangiato qualcosa rapidamente, ripartiamo in direzione sud e, uscendo dal parco, ripercorriamo con il pensiero le meraviglie che abbiamo avuto la fortuna di vedere in questi giorni. Il parco di Yellowstone, per la sua particolarità, ci ha decisamente colpito: qui la natura selvaggia regna davvero sovrana e vi si possono osservare fenomeni che pochi altri luoghi al mondo possono vantare. Abbiamo soltanto due rimpianti: innanzitutto quello di non avervi trascorso più giorni (anche se, tutto sommato, siamo riusciti, a ranghi forzati, a visitare tutte le principali attrazioni del parco), e in secondo luogo quello di non avervi incontrato orsi. Dopo la nostra precedente esperienza nei parchi canadesi, durante la quale gli orsi erano quasi diventati l’ordine del giorno, speravamo di poter rivivere anche qui le stesse emozioni provate alla vista di queste meravigliose creature. Ma purtroppo, questa volta, la fortuna non è stata dalla nostra parte! Vah beh, poco male…vorrà dire che i nostri rimpianti diventeranno un buon motivo per ritornare al più presto in questo favoloso luogo, e restarvi almeno almeno una settimana!
Ripercorso il Grand Teton National Park (le cui praterie, questa volta, sono disseminate di mandrie di bisonti), prevedendo già di arrivare a Salt Lake City distrutti ed in tarda serata, ci fermiamo nel solito supermercato di Jackson per fare scorte di viveri per la cena (formaggi, verdura cotta e frutta acquistati al comodissimo bancone del buffet). Dopodiché iniziamo un interminabile viaggio, durato quasi otto ore, lungo la panoramica US 89, durante il quale, finché c’è luce, ci godiamo l’idilliaco paesaggio rurale del Wyoming.
Raggiungiamo il nostro albergo di Salt Lake City (Little America) verso le ore 23,30 e, dopo avere consumato la cena nel salottino della nostra lussuosissima camera, ci buttiamo sul letto e cadiamo piacevolmente, e in men che non si dica, nello straordinario mondo dei sogni!
13° Giorno – 25/08/2012 (Salt Lake City – Canyonlands – Dead Horse Point State Park – Moab)
Dopo avere sbrigato alcune commissioni, ci lasciamo alle spalle Salt Lake City in direzione di Moab, dove trascorreremo la notte. Lungo il percorso, fatichiamo parecchio per trovare un posto adatto in cui fare colazione. Alla fine ci imbattiamo in un provvidenziale Starbucks, dove ci sfamiamo con i soliti muffins e con un ottimo cappuccino…finalmente fatto a regola d’arte, e senza aromi particolari! (14,72 dollari).
Poco prima di raggiungere Canyonlands National Park, ci fermiamo in un supermercato a fare scorta di viveri e di acqua per il pranzo. Abbiamo letto infatti che il parco, oltre ad essere un luogo molto caldo e privo di vegetazione, non offre al turista alcuna infrastruttura di riferimento.
Giunti nel primo pomeriggio presso il Visitor Center di Island in the Sky, ci accomodiamo sotto una tettoia in legno a consumare il nostro pasto a base di melone, formaggio e frutta. Nino decide anche di approfittare del piccolo negozietto presente all’interno del centro visitatori per comprarsi un cappellino, e la scelta si rivela davvero azzeccata…il sole infatti è implacabile, e dell’eventualità di trovare un’ombra neanche a parlarne!
Non avendo molto tempo a disposizione per visitare il parco, decidiamo di limitarci a raggiungere i due principali viewpoints (Green River Overlook e Grand View Point) e di percorrere il breve trail che conduce al Mesa Arch.
Il panorama che si gode dai suddetti viewpoints è a dir poco sbalorditivo: una distesa di canyons a perdita d’occhio, scavati e modellati nel corso del tempo dalle acque sinuose dei fiumi Colorado e Green River, un paesaggio talmente vasto da farti sentire un insignificante “microbo” nel mezzo della più totale immensità!
Molto suggestivo anche il Mesa Arch. La passeggiata per arrivarci (decisamente alla portata di tutti, anche se sotto il sole) non è niente di che, ma il panorama finale è davvero grandioso!
Uscendo da Island in the Sky, deviamo verso Dead Horse Point State Park. Non essendo nazionale ma statale, questo parco non prevede sconti per chi possiede il pass annuale. Pertanto, all’ingresso, lasciamo 10 dollari in un’apposita busta e la imbuchiamo in una specie di cassetta delle lettere, che verrà successivamente svuotata dai rangers. (Nel fare ciò, ci chiediamo, con un po’ di amarezza, quanto potrebbe funzionare questo bizzarro metodo di pagamento in un paese come l’Italia…!) Dopo poche miglia raggiungiamo il famoso belvedere a strapiombo sul fiume Colorado, noto soprattutto per avere fatto da sfondo alla scena finale del film Thelma & Louise. Lo scorcio sull’ansa del fiume, già di per sé favoloso, è reso ancora più straordinario dai colori rossastri che assumono le rocce del canyon al tramonto.
Restiamo incantati ad ammirare questo vero e proprio spettacolo della natura fin quasi al sopraggiungere del buio. Quindi risaliamo in macchina e ci avviamo verso Moab, dove arriviamo verso le ore 20,00. Dopo avere parcheggiato la macchina e scaricato i bagagli in albergo (Moab Valley Inn), ci rechiamo a cenare in un simpatico ristorante consigliato dalla nostra guida (Moab Brewery), che si trova proprio sull’altro lato della strada. Il locale è conosciuto in città per servire birra e gelato rigorosamente home-made. Mangiamo un buon piatto di pesce alla griglia con verdura, spendendo la modica cifra di 40 dollari in due. Alzandoci da tavola, volendo festeggiare degnamente il giorno del mio compleanno, decidiamo di fare tappa al bancone del locale per comprarci due scodellini di gelato artigianale ma, proprio mentre ci appropinquiamo allo stesso, l’inserviente abbassa la tendina del frigo per chiudere bottega, lasciandoci, oltre che con un palmo di naso, anche e soprattutto con l’acquolina in bocca! Usciti dal locale, siccome io non intendo rassegnarmi all’idea di un compleanno privo di un piccolo peccato di gola, approfittiamo del supermercato locale (che resta aperto fino a mezzanotte) per acquistare due miseri gelatini confezionati, che ci mangiamo mentre passeggiamo lungo la strada principale di Moab, prima di rientrare in albergo per la notte.
14° Giorno – 26/08/2012 (Arches National Park)
Oggi dedicheremo l’intera giornata alla visita dell’Arches National Park, raggiungibile in pochi minuti di auto da Moab. Pertanto, prima di partire, consci di dover affrontare un luogo caratterizzato da clima torrido e privo di infrastrutture turistiche, ci fermiamo al supermercato per fare scorta di viveri per il pranzo e, soprattutto, di acqua e ghiaccio. Il nostro furbissimo frigo, già sperimentato con ottimi risultati nella Valle della Morte, anche in questa occasione ci tornerà particolarmente utile!
Siccome per l’indomani abbiamo deciso di dedicare la mattinata ad una qualche attività ricreativa all’aperto, per poi iniziare nel primo pomeriggio il viaggio di trasferimento verso la Monument Valley, ci fermiamo presso un’agenzia di Moab per chiedere informazioni al riguardo. Scartati sia il rafting che la canoa per problemi di orario, quando stiamo già per desistere, Nino, con mia grande sorpresa, lancia l’idea della passeggiata a cavallo, i cui tempi risultano coincidere perfettamente con le nostre esigenze. In agenzia ci consigliano di recarci direttamente presso il Red Cliffs Lodge per avere maggiori dettagli in merito e per effettuare la nostra prenotazione per l’indomani. Usciti da Moab, imbocchiamo quindi la Scenic Hwy 128, strada panoramica che costeggia il fiume Colorado e, dopo poche miglia, raggiungiamo il lodge, una vera e propria oasi in mezzo al deserto, con tanto di vigneti, prati verdi e…naturalmente…un magnifico ranch con decine e decine di cavalli. Dopo avere raccolto qualche informazione in più, prenotato per il giorno successivo la cavalcata delle ore 8,00, ed acquistato un bel cappello da cowboy per Nino (al prezzo di 37 dollari), risaliamo in macchina e partiamo finalmente alla volta dell’Arches National Park.
Siccome abbiamo letto che gli unici due punti di approvvigionamento d’acqua all’interno del parco sono presso il Visitor Center e al Devil’s Garden, ci fermiamo subito al Centro Visitatori per riempire le nostre borracce, in aggiunta alle quattro o cinque bottiglie che abbiamo già messo in fresco nel nostro frigo. (Se posso darvi un consiglio, non fate affidamento sull’acqua del parco, perché è davvero pessima: non è per niente fresca e sembra di bere del ferro puro! Tenetela proprio come ultima spiaggia, e ricorretevi soltanto se state davvero morendo di sete! Quindi, più bottiglie del supermercato riuscirete a far stare nel vostro frigo, e meglio sarà per voi!).
Terminata la breve sosta, diamo inizio all’esplorazione del parco. Lungo il primo tratto di strada ci fermiamo a goderci il panorama dal Park Avenue Viewpoint e dal Courthouse Towers Viewpoint. Quindi, raggiunta Balanced Rock, scendiamo e facciamo una rapida passeggiata attorno alla bizzarra roccia, per ammirarla da tutte le angolazioni. Successivamente, parcheggiata la macchina presso il parcheggio di Windows Section, raggiungiamo a piedi i due archi affiancati di North e South Window ed il Turret Arch. Ed infine, per concludere questa sezione del parco, ci arrampichiamo, aiutandoci con le mani, sulle rocce rosse dell’originale Double Arch.
La giornata è torrida ed il sole implacabile. E’ sufficiente fare due passi a piedi in mezzo alle distese rocciose del parco per desiderare immediatamente ed ardentemente aria condizionata ed acqua fresca. Ecco perché, quando arriviamo al Devil’s Garden (dopo una breve sosta al Fiery Furnace Viewpoint), le nostre scorte di acqua in bottiglia sono purtroppo già terminate, e siamo pertanto costretti a fare rifornimento di acqua del parco, come già detto tutt’altro che deliziosa!
Dopo avere pranzato con pane, formaggio e frutta su un tavolo in legno all’ombra di una delle poche piante presenti nella zona del campeggio, ci inoltriamo lungo il Devil’s Garden Trailhead, per raggiungere il suggestivo Landscape Arch. A questo punto, io vorrei proseguire fino al Double O Arch, ma Nino è devastato dalla calura e quindi, avendo già in programma la camminata al Delicate Arch al tramonto, torniamo sui nostri passi, limitandoci a visitare il Pine Tree Arch ed il Sand Dune Arch (quest’ultimo davvero molto suggestivo!).
Tra un arco e l’altro, si è già fatto pomeriggio inoltrato. Ci avviamo pertanto verso il Wolfe Ranch dove, parcheggiata la macchina, imbocchiamo il sentiero che conduce al Delicate Arch. Il sentiero non è tecnicamente impegnativo ma, a causa del caldo, risulta piuttosto faticoso. Nell’ultimissimo tratto abbiamo quasi l’impressione di inerpicarci verso il cielo e, una volta arrivati in alto, quando giriamo l’angolo e ci troviamo di fronte il Delicate Arch in tutto il suo splendore, restiamo letteralmente senza parole! Avevo sentito decantare più volte la bellezza di questo arco, ed avevo anche visto parecchie fotografie dello stesso, ma mai più mi sarei aspettata di trovarmi davanti uno spettacolo del genere! Sul posto, oltre a qualche appassionato di fotografia, si è già radunato un folto gruppetto di persone; ci uniamo a loro e, in religioso silenzio, ci sediamo sulle rocce a contemplare questa vera e propria meraviglia della natura. Sembra quasi che nessuno dei presenti voglia disturbare, né fisicamente né vocalmente, questo “ascetico” momento. A parte il ronzio degli zoom delle macchine fotografiche ed i risolini suscitati dal momentaneo passaggio di un simpatico scoiattolino, tutt’attorno non si sente volare una mosca! Ci godiamo l’attimo finché possiamo…poi, piano piano, con l’approssimarsi del tramonto, comincia a sopraggiungere altra gente, ed inizia l’infinita spola di persone sotto l’arco per l’immancabile foto di rito. Il panorama non perde certo il suo fascino, ma ormai l’incantesimo è rotto! Quando ci accorgiamo che ormai si è fatta l’ora limite per scendere in sicurezza dalla collina, diamo un ultimo sguardo a questo splendido arco e, a malincuore, ritorniamo a valle.
Raggiunta Moab, ci rechiamo nuovamente a cena nel movimentato ristorante della sera precedente (Moab Brewery), dove ordiniamo due piatti di carne con verdura (spendendo in totale 48 dollari). Questa volta però, quando ci accorgiamo che il bancone dei gelati ci sta di nuovo chiudendo i battenti sotto il naso, impietosiamo con astuzia il nostro gentile cameriere, che ce lo fa prontamente riaprire. Possiamo così gustarci due belle scodelline di gelato che, anche se un po’ care (5 dollari a testa), hanno davvero poco da invidiare all’inimitabile gelato italiano.
15° Giorno – 27/08/2012 (Moab – Castle Valley – Monument Valley – Kayenta)
Dopo la solita colazione tutt’altro che trascendentale compresa nel prezzo dell’albergo, alle 8 meno 10 siamo già presso il Red Cliffs Lodge, pronti per l’attesa cavalcata prenotata il giorno precedente. Come da consiglio, nonostante il caldo, indossiamo pantaloni lunghi e scarponcini da trekking. Per nostra fortuna, oggi, la nuvolaglia vagante che ricopre parzialmente il cielo attenua leggermente la calura opprimente, e continuerà a farlo per l’intera mattinata. Prima di recarci al ranch dei cavalli, ci fermiamo presso la reception del lodge a pagare la nostra quota (85 dollari a testa per un giro di tre ore); quindi, muniti di borraccia e macchina fotografica, raggiungiamo i nostri compagni di cavalcata (un americano, una tedesca e due inglesi). Dopo averci dato giusto qualche dritta su come affrontare cavallo e cavalcata, i nostri due istruttori ci fanno montare in sella e, infine, tutti rigorosamente in fila indiana, iniziamo il nostro giro nella Castle Valley. Questo luogo è famoso per avere fatto da set ad alcuni storici film western interpretati dal grande John Wayne (in particolare il film “Rio Grande” è stato girato proprio presso il Red Cliffs Lodge, fatto testimoniato anche dalle numerose fotografie del grande attore esposte nella hall). Cavalcare in questi luoghi, fra splendide rocce rosse e suggestivi scorci del fiume Colorado, ci fa sentire dei veri e propri cowboys! Nino poi, con il suo nuovo cappello perfettamente in tema calzato sulla testa, se non fosse per quella rigidità nella cavalcata tipica dei principianti, sembrerebbe davvero John Wayne! I nostri cavalli sono talmente tanto docili e talmente abituati a passeggiare in fila indiana che, per far sì che seguano il gruppo, non abbiamo quasi bisogno di “guidarli”. Mal di gambe a parte (dovuto alla mancanza di abitudine a mantenere a lungo la posa da fantino), il tempo in sella vola e l’esperienza equestre si rivela davvero piacevole e divertente…tanto che, quando arriva il momento di scendere, anche Nino, che non ha mai dato particolare confidenza ai cavalli, si farebbe volentieri un altro giretto! Purtroppo, però, le nostre tre ore sono terminate e quindi, salutati i compagni e gli istruttori, ripartiamo in direzione di Moab, dove ci fermiamo un’oretta a fare qualche commissione.
Verso le ore 13,00 iniziamo il nostro viaggio verso la Monument Valley, che raggiungiamo più o meno a metà pomeriggio. Inizialmente il mio programma prevedeva di lasciare Moab già in mattinata e, prima di raggiungere la Monument Valley, effettuare una lunga deviazione verso il Canyon de Chelly, ubicato nella parte nord-orientale dello stato dell’Arizona. Tuttavia, una volta giunti a Moab, dopo il tour de force dei giorni precedenti, sentendo il desiderio di prenderci almeno una mezza giornata di relax, abbiamo preferito optare per la cavalcata…e devo dire che la scelta è stata davvero azzeccata! Anche perché, in ogni caso, il Canyon de Chelly avremmo avuto il tempo di ammirarlo soltanto dall’alto (punto di vista un po’ limitativo), e non saremmo certo riusciti a compiere la discesa a valle accompagnati da una guida indiana (esperienza decisamente consigliata da tutte le guide turistiche consultate).
Mentre ci avviciniamo alla Monument Valley, abbiamo l’impressione di trovarci in un posto decisamente fuori dal mondo: i paesaggi sono quasi surreali ed i pochi agglomerati di case che incontriamo lungo il percorso non sembrano abitati da anima viva! Avendo già abbondantemente oltrepassato l’ora di pranzo e temendo di non trovare alcunché di commestibile una volta giunti a Monument Valley, lungo la strada ci fermiamo a Mexican Hat dove, presso una stazione di servizio rifornita solo di schifezze, compriamo un gelato (per Nino) ed un pacchetto di orrendi crackers dal sapore dolce/salato (per me). Al di fuori delle due inservienti indiane che cercano di tirare sera all’interno della stazione di servizio, il paesino è completamente deserto, e non sembra presentare alcuna attrattiva particolare.
Quando arriviamo finalmente a Monument Valley, il cielo è coperto da una densa coltre di nuvoloni scuri e minacciosi, che non ci consentono di apprezzare appieno il paesaggio circostante. Ma noi non ci diamo per vinti e confidiamo nel forte vento, che sballotta le nubi da una parte e dall’altra a grande velocità…
All’ingresso paghiamo 10 dollari. Dopo avere fatto un giretto veloce all’interno del Visitor Center ed avere ammirato lo splendido panorama che si gode dalla sua terrazza (senz’altro il miglior punto di vista sulla vallata), risaliamo in macchina e, cartina alla mano (fornitaci all’entrata), imbocchiamo la strada sterrata che attraversa la valle, snodandosi tra enormi formazioni rocciose sparse in mezzo al deserto. Il percorso, a meno che non si opti per il tour in fuoristrada accompagnati dalle guide indiane, è obbligato, ed è lungo circa 17 miglia. La strada, sterrata e polverosa, si presenta subito in pessime condizioni (a nostro parere volutamente!), obbligandoci ad una vera e propria gimkana tra centinaia di buche larghe e profonde come crateri. Di conseguenza, con Nino imprecante in quanto terrorizzato di danneggiare la macchina, l’esperienza si rivela ben presto tutt’altro che rilassante! Poi fortunatamente, complici un secondo tratto di strada più spiano e tenuto leggermente meglio, ed il fatto di vedere altre decine di turisti muniti di auto a noleggio affrontare con una certa nonchalance il tragitto dissestato, Nino si tranquillizza un po’, ed il proseguo della visita fila via decisamente più liscio. Il fatto di trovarsi all’interno di una riserva navajo è palesato in maniera evidente dall’onnipresenza di reticolati di protezione e di mercatini di artigianato indiano, oltre che di roulotte e baracche dall’aspetto trasandato. Quando arriviamo più o meno a metà del circuito, la provvidenziale uscita di qualche raggio di sole rende finalmente il paesaggio degno della sua fama, dandoci la sensazione di trovarci davvero sul set di un film western! Mentre percorriamo infine l’ultima parte del tragitto, i colori del tramonto infuocano la vallata, facendola risaltare in tutto il suo smisurato splendore. Dopo circa due ore e mezzo, giunti al termine del circuito, ci fermiamo un altro po’ nei pressi del Visitor Center, per ammirare un’ultima volta il magnifico panorama che svanisce piano piano nell’oscurità.
Quindi risaliamo in macchina e, nel giro di poche miglia, raggiungiamo Kayenta, dove trascorreremo la notte. Kayenta non è altro che un piatto agglomerato di hotels, distributori di benzina ed esercizi commerciali, tutti gestiti da indiani e disseminati lungo due strade principali che, nel loro punto di intersezione, formano un enorme incrocio semaforico. Giunti in paese, il nostro navigatore perde improvvisamente il senso dell’orientamento, lasciandoci in braghe di tela; pertanto, solo grazie al mio infallibile istinto, riusciamo a trovare il nostro albergo (Monument Valley Inn), ubicato proprio in corrispondenza dell’incrocio. Visto l’orario, scarichiamo velocemente le valigie e, avendo già notato che la località offre molto poco dal punto di vista ricettivo e ristorativo, decidiamo di cenare presso il ristorante del nostro hotel.
Trovandoci in territorio navajo, ci lasciamo incuriosire dalla cucina locale ed optiamo per una cena a base di specialità indiane, non prima di essermi accertata della non piccantezza della salsa di fagioli indicata sul menù. Rassicurata dalla cordiale inserviente, ordiniamo due piatti di enchiladas. Tuttavia, sfortunatamente, i miei canoni di piccantezza non hanno nulla a che fare con i canoni indiani…pertanto, messa in bocca la prima forchettata, maledico me, la mia curiosità, ed il momento in cui ho deciso di sperimentare la cucina locale. Non riuscendo a mangiare né i fagioli né il riso, pasticcio per mezz’ora nel piatto cercando di piluccare soltanto il formaggio fuso contenuto nelle enchiladas (che, come se non bastasse, sono fritte), ed alla fine decido di placare la mia fame indirizzandomi sulla più rassicurante verdura del buffet. Alla fine, nonostante l’abbondanza dei piatti, spendiamo soltanto 37 dollari in due, ma la cucina indiana (al di là del piccante, che può piacere o meno), molto pesante e praticamente tutta basata sul fritto, ci lascia decisamente insoddisfatti.
Prima di coricarci, per sopperire alla mancanza di campo del cellulare che dura ormai da qualche giorno, sfruttiamo il wi-fi dell’albergo per mandare una mail a casa con il nostro comodissimo I-pad. Quindi ci infiliamo sotto le coperte e, nel giro di pochi minuti, siamo già nel mondo dei sogni.
16° Giorno – 28/08/2012 (Kayenta – Antelope Canyon – Page –Lake Powell – Horseshoe Bend – Grand Canyon National Park)
Appena alzati, ci prepariamo e facciamo colazione con i soliti muffin e cappuccino aromatizzato (8 dollari) presso la stazione di servizio ubicata accanto al nostro albergo. Quindi, rifocillatici per bene, carichiamo la macchina e partiamo spediti alla volta di Antelope Canyon, prima tappa della nostra giornata.
Mentre attraversiamo il polveroso deserto dell’Arizona, notiamo che la zona è caratterizzata da numerosi insediamenti navajo, circondati dall’immancabile reticolato e costituiti per la maggior parte da roulotte o baracche.
Giunti ad Antelope Canyon, ci rechiamo subito a prenotare la visita guidata delle ore 12,00 all’Upper Canyon (abbiamo letto infatti che il momento migliore per visitarlo è tra le ore 11,30 e le ore 14,00, quando il canyon riceve il massimo della luce). Mentre attendiamo il mezzogiorno, ne approfittiamo per esplorare, sempre con visita guidata, anche il Lower Canyon, dall’altra parte della strada. L’Antelope Canyon è lo slot canyon più visitato degli Stati Uniti occidentali, e non si fatica a comprenderne il motivo. In entrambe le gole si cammina su un fondale sabbioso e fresco, circondati da pareti di arenaria rossa levigatissime e ondulate, che sembrano vere e proprie onde rocciose. I colori delle pareti variano a seconda dell’inclinazione del sole, assumendo a metà giornata, quando la luce è perfettamente perpendicolare al terreno, straordinarie tonalità di arancione, che conferiscono al luogo un aspetto surreale. I canyons sono entrambi magnifici ma, a nostro parere, nonostante l’Upper sia il più visitato dei due, il Lower, essendo meno profondo, risulta decisamente più luminoso, rivelando quindi colori più vivaci e brillanti. Inoltre il sistema di scalette che lo caratterizza rende la visita del Lower più movimentata e divertente.
Il nostro consiglio è quindi quello di non lasciarsi scappare questo inconsueto e straordinario spettacolo della natura…sappiate però che, in tal caso, dovrete tenere il portafogli a strettissima portata di mano, in quanto la visita all’Antelope Canyon vi comporterà una spesa molto più alta di quella che avrete sostenuto per accedere a tutti gli altri parchi americani messi assieme. Noi infatti abbiamo sborsato 12 dollari per l’ingresso in auto all’area, 80 dollari per la visita guidata all’Upper Canyon e 40 dollari per quella al Lower. Insomma, un vero e proprio ladrocinio legalizzato! Anche perché, in realtà, l’unico significativo contributo delle guide indiane è quello di indicare ai visitatori i punti migliori per scattare fotografie all’interno delle gole. E pensare che i furgoncini supermolleggiati che, all’Upper Canyon, ti portano dalla biglietteria all’ingresso del canyon, recano addirittura la scritta “Tips are welcomed” in bella vista…Ma stiamo scherzando? Prima mi svenate e poi pretendete anche la mancia? Insomma…non si può certo dire che i navajo non abbiano trovato il modo per far fruttare al massimo le loro attività! Comunque, ladrocinio a parte, a nostro avviso questo meraviglioso e particolarissimo canyon merita davvero la visita, perché non capita tutti i giorni di trovarsi di fronte uno spettacolo del genere!
Lasciato l’Antelope Canyon, raggiungiamo la cittadina di Page dove, dopo una rapida sosta in un supermercato, ci fermiamo in una bellissima area verde, dotata di tavoli da picnic, a consumare il nostro pranzo a base di pane, formaggio e macedonia. Il caldo è torrido, ma i provvidenziali alberi sotto i quali sono collocate le attrezzature da picnic creano piacevoli zone d’ombra che, se non fosse per il fatto che purtroppo il tempo stringe, invoglierebbero Nino a concedersi una rapida pennichella ristoratrice.
Invece risaliamo in macchina e, prima di imboccare la strada per il Grand Canyon, facciamo una breve deviazione verso il Lake Powell, raggiungendo Scenic View, uno dei punti panoramici indicati dalla nostra guida. La posizione dominante del sito offre una bellissima vista sul suggestivo paesaggio circostante, caratterizzato dal contrasto tra il blu intenso del lago e l’aridità delle rocce che lo circondano. Peccato solo per le tre ciminiere della grande centrale a carbone che, visibili in lontananza all’uscita di Page, deturpano non poco l’amenità del luogo!
Dopo avere scattato diverse foto panoramiche della zona, ripassiamo da Page ed iniziamo il nostro viaggio lungo la US89 verso il Grand Canyon. Lungo la strada ci fermiamo a Horseshoe Bend, il famoso belvedere a picco su uno dei meandri del Colorado. Dal parcheggio, raggiungiamo il belvedere in circa 15 minuti di cammino, scavalcando una modesta collinetta. Il sentiero è molto semplice, se non fosse per il sole a picco, che rende la passeggiata più faticosa del dovuto. Ma lo sforzo viene ampiamente ripagato dallo scenario che ci si para davanti quando mettiamo piede sull’orlo della falesia (non protetta da parapetto). Il panorama è davvero di quelli da non perdere, sembra quasi un dipinto, e restiamo a lungo ad osservarlo estasiati, cercando di immortalarlo da tutte le angolazioni possibili. Quindi ritorniamo sui nostri passi e ci rimettiamo in viaggio.
A poche miglia dall’ingresso del Grand Canyon National Park, facciamo una rapida sosta presso il Canyon del Little Colorado, che incontriamo lungo la strada. Il sito è occupato da un mercatino di artigianato navajo ma, nel momento in cui arriviamo, gli ultimi indiani rimasti sono intenti a sbaraccare i banchi per andarsene a casa. Si tratta di un belvedere a strapiombo sul Little Colorado River, che offre suggestivi panorami sulle tortuose acque del fiume sottostante.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo finalmente il parco del Grand Canyon, e ci rendiamo immediatamente conto, non senza un certo stupore, di come l’intera zona sia ricoperta da una fitta e rigogliosa vegetazione. In effetti ci aspettavamo che il Grand Canyon fosse un luogo arido e spoglio, tipicamente desertico insomma, e invece ci ritroviamo piacevolmente immersi in una vera e propria distesa di foreste a perdita d’occhio!
Lungo la Desert Rim Drive, prima che arrivi il buio, abbiamo giusto il tempo di fermarci presso i due viewpoints di Desert View (molto carina la torre di avvistamento, soprattutto per gli affreschi hopi dipinti sui muri) e Navajo Point, ad ammirare il sopraggiungere del tramonto sullo sfondo del fiume Colorado.
Quindi proseguiamo verso Tusayan, presso l’ingresso sud del parco, e verso le ore 20,00 raggiungiamo il nostro albergo (Canyon Plaza Resort – molto carino, soprattutto per la particolarità di avere le camere affacciate su un piacevolissimo giardino tropicale interno). Dopo avere scaricato le valigie, visti l’orario e la ormai gelida temperatura esterna, decidiamo, per comodità, di cenare nel ristorante dell’hotel, anche se un po’ caro rispetto ai nostri standard. Alla fine, per un piatto di salmone ed una succulenta bistecca con verdure, spendiamo 76 dollari, ma la qualità delle portate ci consente di andare a letto sazi e soddisfatti.
17° Giorno – 29/08/2012 (Grand Canyon National Park)
Iniziamo la giornata con una sostanziosa colazione (sempre a base di muffin e cappuccino – 12 dollari) presso il supermarket di Canyon Village. Quindi, dopo avere fatto scorta di viveri per il pranzo ed avere riempito le nostre borracce con l’ottima acqua del parco (qui, diversamente che ad Arches National Park, l’acqua del parco distribuita gratuitamente all’interno del market è davvero buona e fresca), raggiungiamo la fermata di Market Plaza Westbound e prendiamo il bus della linea blu fino ad Hermits Rest Transfer. Qui scendiamo e prendiamo il bus della linea rossa, che effettua un giro circolare lungo la West Rim Drive, meglio conosciuta come Hermit Road, strada chiusa al transito veicolare. Dopo una breve sosta al Trailview Overlook, giunti a Maricopa Point, iniziamo a percorrere il Rim Trail alternando tratti a piedi e tratti in autobus, fermandoci a tutti i viewpoints che incontriamo lungo il tragitto. I panorami che si godono da questi belvedere sono davvero grandiosi, forse talmente tanto grandiosi da offuscare addirittura la nostra capacità di coglierne la vera portata. Questo non significa certo che lo scenario del Grand Canyon risulti deludente, ma che probabilmente la maestosità del luogo, per essere percepita appieno, richiederebbe qualche esperienza più coinvolgente di una mera veduta dall’alto (una discesa a piedi sul fondo del canyon ad esempio, oppure il suo sorvolo in elicottero). Quando arriviamo a Pima Point inizia a piovere piuttosto intensamente; quindi riprendiamo il bus e raggiungiamo il capolinea di Hermits Rest, dove attendiamo per circa un’ora la fine del temporale, curiosando tra i souvenirs del bazar. Appena il rovescio si placa, torniamo in autobus a Market Plaza e, vista l’ora, approfittiamo dei tavolini all’aperto del supermercato per concederci un pranzetto a base di pane, formaggio e frutta, acquistati in precedenza e lasciati, per comodità, nel bagagliaio della macchina.
Nel primo pomeriggio ripercorriamo nuovamente in auto parte della Desert View Drive, per raggiungere i viewpoints che non abbiamo fatto in tempo a vedere la sera precedente. Lungo la strada ci imbattiamo anche in una grossa mandria di cervi che, capeggiata da un cervo maschio con un enorme palco sopra la testa, si riposa beata in mezzo alla boscaglia. Tuttavia, non riuscendo a trovare un posto per la macchina vicino alla fermata del bus diretto a Yaki Point (raggiungibile solo in autobus), decidiamo di tornare presso il Visitor Center, lasciare l’auto nel grande parcheggio ivi ubicato, e da lì prendere lo shuttle della linea arancione in direzione est, scendendo alle fermate di Yaki Point, South Kaibab Trailhead (due viewpoints particolarmente suggestivi) e Pipe Creek Vista. Per concludere raggiungiamo, sempre con l’autobus, il belvedere di Mather Point, dove ci fermiamo soltanto pochi minuti perché ormai il freddo si è fatto decisamente pungente.
Dopo essere rientrati in albergo per cambiarci e coprirci a dovere, torniamo a Canyon Village per recarci a cenare all’Arizona Room, un ristorante consigliato dalla nostra guida. Impieghiamo non poco tempo per trovarlo, in quanto il locale è imboscato dietro al Bright Angel Lodge, e per nulla segnalato. Spendiamo 57 dollari per mangiare due abbondanti piatti di carne con verdure. Dopodiché, per sfuggire al gelo della sera, torniamo a Tusayan e ci infiliamo rapidamente sotto le coperte.
18° Giorno – 30/08/2012 (Grand Canyon National Park – Phoenix)
Oggi ci trasferiremo a Phoenix, ultima tappa del nostro splendido viaggio. Tuttavia, prima di lasciare il Grand Canyon, vogliamo sperimentare l’ebbrezza della discesa verso il fiume Colorado, percorrendo almeno una piccola parte del Bright Angel Trail, il sentiero in assoluto più celebre della zona. Pertanto, dopo la solita colazione presso il supermarket di Canyon Village (12 dollari), prendiamo il bus della linea blu fino all’Hermits Rest Transfer. Qui scendiamo ed imbocchiamo, a piedi, e con la borraccia piena, il sentiero.
Dopo avere camminato in discesa per circa 45 minuti (senza avere raggiunto alcun punto di approvvigionamento), siamo costretti, mio malgrado, a tornare sui nostri passi. Nino infatti ha preso alla lettera una raccomandazione riportata sulla cartellonistica disseminata un po’ ovunque attorno al canyon, in base alla quale la risalita dal canyon comporterebbe il doppio del tempo rispetto a quello impiegato per scendere. Io sono molto scettica al riguardo; oltretutto mi piacerebbe proseguire per arrivare almeno fino alla prima resthouse. Tuttavia, non volendo essere criticata per la mia consueta vena polemica, accetto di tornare indietro senza fare storie. E come volevasi dimostrare…in 45 minuti esatti siamo di nuovo sul Rim, impiegando quindi lo stesso identico tempo per salire e per scendere! Per evitare inutili polemiche, alla delusione di Nino per l’errata previsione, ribatto semplicemente con un ironico “Te l’avevo detto…!”.
Rientrati in bus a Market Plaza, ci infiliamo in macchina e, verso mezzogiorno, partiamo alla volta di Phoenix. Durante il viaggio vorremmo fare qualche sosta intermedia ma, giunti dalle parti di Sedona, siamo colti di sorpresa da un violento temporale, che sopisce in men che non si dica qualsiasi nostra velleità di avventurarci fuori. Ci fermiamo quindi soltanto un’oretta a Flagstaff, per fare spesa in un supermercato e per consumare il nostro pranzo a base di pane, formaggio e frutta.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo la trafficatissima e afosissima Phoenix. Il nostro albergo (Best Western Airport) si trova proprio accanto all’aeroporto; pertanto, siccome l’indomani avremo il volo per Atlanta verso le ore 7,00, per evitare di dover sbrigare troppe pratiche all’alba, decidiamo di riconsegnare subito l’autovettura all’agenzia aeroportuale dell’Avis. Scaricati pertanto i nostri bagagli in camera, raggiungiamo l’aeroporto in macchina e, una volta liquidata la pratica, rientriamo a piedi in albergo, osservando sbalorditi la quantità di traffico aereo che romba continua sopra le nostre teste (praticamente un decollo ed un atterraggio al minuto). Dopo avere cenato, per comodità, nel ristorante dell’albergo (62 dollari per due piatti di carne con verdure più un dolce), torniamo in camera e, preparate le valigie, ci corichiamo, con la triste consapevolezza che questa sarà la nostra ultima notte trascorsa sul suolo americano.
19° Giorno – 31/08/2012 (Phoenix – Atlanta – Milano Malpensa)
Buttati giù dal letto dalla sveglia alle 4,00 del mattino, raggiungiamo l’aeroporto con lo shuttle bus gratuito messo a disposizione dal nostro albergo. Dopo avere sbrigato tutte le pratiche necessarie per l’imbarco, ed avere fatto colazione presso lo Starbucks del nostro terminal (13,50 dollari), alle ore 7,00 decolliamo da Phoenix per Atlanta. Qui, dopo uno scalo di qualche ora, ci reimbarchiamo per Milano Malpensa, dove atterriamo, sotto una pioggia scrosciante, e con la sensazione di essere stati catapultati in un vero e proprio paese in miniatura, verso le 8,00 del mattino successivo.
La nostalgia per i grandi spazi americani, dalle dimensioni così sconfinate ma allo stesso così piacevolmente umane, pervaderà le nostre giornate per parecchio tempo, facendo prepotentemente crescere in noi la consapevolezza che l’avventura a stelle e strisce non potrà e non dovrà finire qui… quindi… Good Bye America… ci rivedremo presto!