Greetings from Prague, Czech Republic
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Prima scelta, il volo e l’hotel. Ovviamente il nostro piccolo (e in questo molto sabaudo) aeroporto torinese di Caselle non ci è stato d’aiuto. Tutti i voli diretti per la Repubblica Ceca decollano da Malpensa, compagnie low-cost comprese.
E così, dopo una rapida rassegna on line, lastminute.com ci è venuta in aiuto. Volo andata e ritorno EasyJet per Praga con hotel quattro stelle a Mala Strana (il Piccolo Quartiere, a pochi passi dal centro storico) a poco più di 450 euro a testa.
Volendo si poteva anche spendere meno, ma avrebbe voluto dire allontanarsi dal centro e scegliere un albergo meno caratteristico.
Primo giorno (martedì 21 agosto)
Partenza martedì 21 agosto ore 10,30 dal terminal 2 di Malpensa. Solo bagaglio a mano, trolley di ridotte dimensioni ma senza limiti di peso. Niente borse, marsupi o zainetti in più. Tutto rigorosamente dentro l’unica valigia permessa. Altrimenti, se le misure sono più grandi di quelle standard bisogna pagare un supplemento di 30 euro e imbarcare la valigia nella stiva.
Un’ora e quindici minuti dopo atterraggio all’aeroporto di Ruzyne, 15 chilometri a nord est di Praga. E qui il consueto dilemma: siamo in quattro, autobus o taxi? Alla fine optiamo per il taxi. Dagli arrivi internazionali al Golden Star Hotel, civico 48 di Nerudova, mezz’ora di tragitto. Totale della corsa con la Skoda gialla d’ordinanza della compagnia AAA -e con tanto di gagliardetto dello Sparta- 528 corone, 22 euro. E un coupon con il 50% di sconto per il viaggio di ritorno.
Scaricati i bagagli non possiamo che dirci soddisfatti della scelta. L’hotel è in cima alla lunga salita che porta alla piazza del Castello, con vista sui tetti di Mala Strana. La camera è pulita ed ha tutto quel che serve per quattro giorni di passeggiate e relax, ad iniziare da un letto comodo e dai doppi vetri -che si riveleranno utilissimi fin dall’alba di mercoledì!
Decidiamo di lasciare la guida nello zaino, almeno per il primo pomeriggio. Anzi, lasciamo in albergo anche lo zaino. Meglio camminare in libertà e con le mani in tasca, per gli itinerari tradizionali abbiamo tutto il tempo.
Dopo un assaggio di cucina e birra ceca in uno dei tanti locali di Nerudova scendiamo verso la Città Vecchia. Ai piedi della discesa imbocchiamo Mostecka, la via che porta direttamente ai bastioni del Ponte Carlo, il monumento più famoso di Praga, che attraversa la Moldava e collega Mala Strana con Staré Mesto, la Città Vecchia appunto. Sono quasi le quattro del pomeriggio, nonostante la latitudine il termometro supera i 30 gradi e il ponte è gremito di gente. Ma questo non ci impedisce di apprezzarne la grandiosità. È lì dal 1357, da quando l’imperatore Carlo IV ne ordinò la costruzione, in una Praga che a metà del XIV secolo era più estesa di Londra e Parigi e sede della prima università dell’Europa centrale. Fino al 1741 fu l’unico ponte sulla Moldava e nei secoli è stato abbellito con una trentina di statue votive. Quelle che si possono vedere oggi sono quasi tutte copie degli originali (conservati nei vari musei della città) ma il colpo d’occhio è comunque di grande effetto. Percorriamo con tutta calma i 520 metri del ponte, fermandoci anche ad ascoltare i concerti e gli assoli improvvisati dei musicisti che hanno scelto proprio il ponte per esibirsi e ovviamente vendere i cd con le loro incisioni.
Alle estremità il ponte è sormontato da due torri, speculari ma non identiche, esempi notevoli di stile gotico. Siamo arrivati nella Città Vecchia e continuiamo a camminare lungo Karlova. Ci facciamo largo non senza difficoltà tra la folla e le immancabili comitive di turisti giapponesi. Pochi minuti e arriviamo in Staromestske, la piazza della Città Vecchia. Qui le case le chiese e i palazzi, a cominciare dal Municipio, raccontano tutta la storia di Praga. Barocco romanico e gotico si inseguono da una facciata all’altra, creando una tavolozza di colori e stili che vale la pena di ammirare, anche seduti a terra nel bel mezzo della piazza. Nella torre del municipio non possiamo non notare l’orologio astronomico: allo scoccare di ogni ora le allegorie della Morte, della Vanità, della Cupidigia si animano e ha inizio la processione dei dodici apostoli. Un piccolo gioiello di meccanica di precisione che monopolizza l’attenzione di tutti, di fatto bloccando qualsiasi attività sulla piazza.
Ma mancano più di venti minuti alle cinque del pomeriggio, così decidiamo di continuare la nostra passeggiata, rimandando a una prossima occasione lo spettacolo dell’orologio astronomico.
Da Staromestske imbocchiamo Parizska (via Parigi) la via del lusso e dello shopping. Una teoria ininterrotta di firme e griffe di alta moda e gioielli. Ma basta alzare lo sguardo per accorgersi che i palazzi non sono meno belli e preziosi di quanto Rolex o Prada mettono in vetrina. Siamo già in Josefov, il Quartiere Ebraico, nella sua parte più nuova: qui, lungo Parizska, le case risalgono alla fine dell’Ottocento, quando le autorità cittadine decisero di risanare l’intera zona, entrata a far parte della città nel 1850. Gli edifici più fatiscenti vennero abbattuti e ricostruiti. Si salvarono solo il Municipio ebraico, le sinagoghe e il cimitero.
E svoltando a sinistra lungo Siroka costeggiamo proprio il muro del vecchio cimitero ebraico. Pochi passi e -concedetemi l’amarcord automobilistico- non resisto e devo fotografare una Trabant d’annata, di colore indefinito ma nel complesso ben tenuta, parcheggiata a pochi metri dall’incrocio con Krizovnicka, all’altezza della Facoltà di Filosofia.
Siamo arrivati in piazza Jan Palach (Namesti Jana Palacha): da un lato l’Università, dall’altro il Rudolfinum, sede dell’Orchestra filarmonica ceca, palazzo che si affaccia sulla Moldava custodito dalla statua di Antonin Dvorak.
A questo punto decidiamo di tornare a Mala Strana. Costeggiamo il fiume lungo i giardini tra il ponte Manesuv e il ponte Carlo, con un paio di soste sulle panchine per godere del panorama della città verso il castello e la collina. Riattraversiamo Karluv most e una volta in piazza Malostranské ci accorgiamo per la prima volta di quanto sia ripida Nerudova e prendiamo coscienza del fatto che il nostro hotel si trova proprio in cima alla via. Tutto bene per i primi duecento metri, poi, arrivati all’altezza dell’ambasciata italiana, la salita si fa seria. Se vi piace camminare (e camminare tanto) è la sistemazione ideale. Qui gli autobus non arrivano.
Pur essendo in piedi dalle sei di mattina dopo cena non ci sentiamo sufficientemente stanchi: torniamo ancora sul ponte Carlo per una passeggiata in notturna. Ma alle undici i locali chiudono e ci concediamo il meritato riposo. Ma non senza aver percorso per la seconda volta la ripida salita di Nerudova.
Secondo giorno (mercoledì 22 agosto)
Vi ricordate i doppi vetri alle finestre della camera? Bene, ecco la loro funzione: tenere fuori dalla stanza l’allegro vociare dei netturbini praghesi, che alle cinque di mattina completano il loro giro proprio in cima a Nerudova, proprio sotto le finestre del nostro hotel!
Memori della doppia salita del giorno prima, dedichiamo la giornata di mercoledì al Castello. In fondo si tratta solo di completare l’ultimo tratto di strada che porta in cima alla collina. Questa volta mettiamo mano alla guida e armati di buona volontà ci presentiamo ai cancelli del palazzo. È la sede del presidente della repubblica ma a presidiare l’ingresso nel primo cortile sono solo due guardie nelle loro garitte. Per gli amanti del genere, ogni ora va in scena la cerimonia del cambio, con tanto di fanfara a mezzogiorno. Ma come per l’orologio astronomico anche qui arriviamo in ritardo.
Il castello risale al IX secolo e domina dall’alto la pianura della Moldava. Al suo interno, oltre al palazzo vero e proprio, anche tre chiese e un monastero. Ci interessa visitare il palazzo e ovviamente la cattedrale di San Vito. L’ingresso è a pagamento ma esistono varie categorie di prezzo e riduzioni. Noi ce la caviamo con appena 10 corone (vale a dire poco più di 40 centesimi) grazie ad un ingresso-stampa.
Il percorso, pur non essendo segnalato alla perfezione, è piuttosto semplice e intuitivo. Prima la cattedrale, poi il palazzo, poi il convento di San Giorgio, il Vicolo d’Oro e infine la Torre Dalibor. Piccola precisazione: se possibile merita dedicare al castello e alla zona circostante una giornata intera -un po’ di più di quanto abbiamo fatto noi .
«Entrare nella cattedrale di San Vito significa percorrere a ritroso mille anni di storia» scrivono le guide. Ed hanno ragione. Come Staromestske nella Città Vecchia anche San Vito è un compendio di storia e di arte praghese, non solo per la cappella di San Venceslao. La cattedrale gotica è del 1334 ma venne completata solo nel XX secolo: bisogna vederla per apprezzarne la maestosità.
Usciti da San Vito è la volta del Palazzo Reale. Qui sì la segnaletica lascia piuttosto a desiderare, forse anche per via dei lavori di restauro. Oltrepassata l’entrata ci si trova immediatamente nella vasta sala Vladisalo. E da lì in poi la visita è tutta fai-da-te. Noi abbiamo raccolto al volo qualche parola di una guida di una comitiva francese, tanto per orizzontarci. E abbiamo trovato così la strada per la cancelleria boema, la piccola sala che affaccia sui bastioni del castello dove avvenne la defenestrazione del 1618, primo atto delle Guerra dei Trent’Anni.
Individuata la prima sala è stato poi più semplice stabilire il nostro personale percorso di visita tra le stanze: la sala della Dieta, quella delle nuove Tavole del paese, il Consiglio imperiale e la scala dei Cavalieri che riporta all’esterno, davanti alla basilica di san Giorgio.
Appena usciti incrociamo il picchetto del cambio della guardia diretto ai cancelli. È mezzogiorno ma invece di tornare indietro preferiamo continuare, alla volta del Vicolo d’oro. Ha un che di familiare, ricorda le botteghe del borgo medievale del Valentino. Ma qui le case sono del Seicento e sono vere: furono costruite per le guardie del castello, poi divennero laboratori orafi. Oggi sono ancora suggestive ma completamente votate al turismo, trasformate in piccoli negozi di artigiani.
La via è stretta, molto caratteristica e a senso unico. In fondo una piccola scalinata, bassa e ripida, porta a un cortile e alla torre Dalibor. Era il carcere del castello, usata come prigione fino al Settecento. Oggi conserva la riproduzione di alcuni strumenti di tortura medievali: è ancora possibile vedere l’angusta cella sotterranea dove nel XV secolo venne tenuto segregato il primo prigioniero, che diede anche il nome alla torre, il cavaliere Dalibor di Kozojedy. Altre scale ripide e passaggi stretti. E affollati.
Tornati alla luce del sole, sazi di castello riprendiamo il cammino. Riattraversiamo i cancelli e ancora una volta manchiamo l’appuntamento con il cambio della guardia. Poco male, in fondo ce n’è pur sempre uno ad ogni ora! Abbiamo ancora buona parte del pomeriggio a disposizione e dalla piazza Hradcanske seguiamo l’itinerario di strade e vie intorno al Loreto. Paragonata alla congestione del castello qui tutto sembra deserto. E la cosa non ci dispiace. Vie ordinate e pulite, con bei palazzi e le immancabili rappresentanza diplomatiche (Praga è pur sempre una capitale di stato). Ci fermiamo davanti a Palazzo Sternberg (Galleria Nazionale) al monastero dei Cappuccini e a quello di Strahov. Davanti al Loreto non si può non notare palazzo Cernin, con le sue trenta colonne, un tempo palazzo dell’ambasciatore a Venezia e oggi sede del ministero degli Esteri. Ma sono soprattutto le piccole case con i loro colori, le finestre e i bovindi a impreziosire l’intero quartiere, anticamente una città a sé stante, cresciuta proprio intorno al castello.
Felici di non doverci inerpicare per Nerudova, una volta tanto imbocchiamo la discesa verso il nostro hotel. Per la sera abbiamo un appuntamento nella Città Nuova, dietro a piazza San Venceslao. Tavolo in birreria (ma di quelle frequentate da pochi turisti e tanti praghesi), con boccali di Urquell scodelle di minestra boema piatti di gulash e strudel. Cena ipercalorica di tutto rispetto a meno di 13 euro a testa.
Terzo giorno (giovedì 23 agosto)
Sigillate le finestre alle prime luci dell’alba per tenere fuori gli ormai familiari rumori della strada, subito dopo colazione imbocchiamo l’altrettanto familiare discesa di Nerudova alla volta del quartiere ebraico. Per tacito accordo abbiamo deciso di visitare Praga a piedi: niente autobus, tram o metro. Anche perché le strade più belle sono quasi tutte pedonali e nei tre giorni di permanenza in città ci siamo concentrati sui soli quartieri del centro storico.
Salutiamo ancora una volta il ponte Carlo e torniamo in piazza Jan Palach, all’angolo con Siroka. Qui ci mettiamo in coda per entrare nel cimitero ebraico. Oltrepassato il muro di cinta, prima di poter accedere al cimitero vero e proprio, un bagno di umiltà e di riflessione: sulle pareti della vecchia sinagoga Pinkas sono scritti a mano i nomi dei 77mila ebrei cecoslovacchi deportati nel campo di concentramento di Terezin e mai tornati. Oggi la sinagoga è un monumento e un museo e raccoglie in una mostra i disegni dei bambini di Terezin.
Nel cimitero si contano dodicimila lapidi: qui sono state seppellite centomila persone in trecento anni, fino al 1787. Il percorso obbligato intorno al campo fa perdere molta della suggestione e del coinvolgimento che il luogo ispira. Sedici anni fa (ai tempi della mia gita del liceo…) era ancora possibile camminare tra le lapidi, fermandosi a interpretare i simboli sulle tombe. Anche se non si conosce la scrittura ebraica le allegorie degli animali, della frutta, delle professioni raccontano molto della vita terrena delle persone sepolte qui. Oggi ci si deve accontentare di camminare ai lati del cimitero, senza oltrepassare il limite segnato da una corda di sicurezza. Questo però non ci impedisce di onorare la tradizione e anche noi in segno di rispetto, prima di uscire, lasciamo sulle tombe i nostri sassolini, ciascuno con il suo desiderio.
Fuori dal cimitero, una piccola delusione. Lungo il muro di cinta si affollano gli immancabili banchetti con souvenir e cartoline. Ispirate certo alla tradizione ebraica ma che banalizzano e sminuiscono il percorso nella memoria e l’invito alla riflessione appena vissuto. Uno su tutti, il furgone di un ristorante, decorato con una scena di banchetto: a tavola rabbino e notabili della comunità, in cucina e vestiti da camerieri due figure che riproducono le fattezze del Golem, il leggendario uomo d’argilla creato -raccontano le storie del ghetto di Praga- dal maestro della scuola talmudica Rabbi Low nel XVI secolo.
Ma anche questo, a quanto pare, fa parte della Praga turistica. E lo registriamo nel nostro diario.
In Josefov ci sono ben sei sinagoghe: l’ingresso è a pagamento, compreso nel biglietto del cimitero. Attenzione però: per la sinagoga Vecchia – storica e certamente più caratteristica – occorre specificare bene, perché è l’unica non compresa nel biglietto cumulativo. L’anziana signora che controlla i ticket all’ingresso è inflessibile e poco incline ad offrire spiegazioni! Quindi rinunciamo (anche in virtù della scortesia) alla visita alla sinagoga Vecchia e ci dedichiamo alle meravigliose architetture del quartiere. Prima di tutto al Municipio, con il doppio orologio: in cima alla guglia quello tradizionale, poco sotto l’orologio con le cifre ebraiche e le lancette che ruotano in senso antiorario, così come la scrittura ebraica che va da destra verso sinistra. Gli edifici e i palazzi del quartiere risalgono ai primi anni del Novecento e sono in stile Art Nouveau, ma non manca qualche esempio di cubismo. Stupisce poi incontrare una chiesa cristiana, dedicata al santo Spirito: è di impianto gotico con inserti barocchi.
La passeggiata è piacevole ed evitando Parizska (troppo cara per le nostre tasche) le vie laterali nascondono comunque botteghe di qualità. Ci lasciamo incantare da un orologiaio, che oltre a parlare un perfetto italiano, tira fuori dai cassetti orologi di pregio degli anni Quaranta e Cinquanta a prezzi tutto sommato accessibili.
Anche oggi non ci siamo risparmiati e passo dopo passo abbiamo camminato a sufficienza. Anche per questo tornati per l’ennesima volta in Karlova, prima di imboccare il ponte Carlo optiamo per un classico della visita a Praga: il battello sulla Moldava. Non di quelli mastodontici con ristornate compreso, preferiamo un’imbarcazione decisamente più piccola, non più di trenta posti. Seduti in coperta ci lasciamo cullare dalla placida corrente del fiume e ascoltiamo le spiegazioni del comandante che in un inglese chiaro e puntale racconta la storia del ponte Carlo e di Praga, prima e dopo la guerra. Fino ad arrivare nei canali dell’isola di Kampa, che qui con forse eccessiva pomposità chiamano piccola Venezia. Ci piace e decidiamo che sarà la prima meta del giorno dopo, ultimo della nostra breve vacanza.
Quarto giorno (venerdì 24 agosto)
Ormai abituati al rumore che puntuale alle cinque di mattina ci ricorda l’avanzare del nuovo giorno, senza più scomporci aspettiamo il suono della sveglia e ci rimettiamo in cammino. Questa mattina niente ponte Carlo, una volta percorsa Mostecka (dopo l’ennesima discesa di Nerudova…) svoltiamo in Lazenska alla volta di Kampa. Quartiere piccolo nel cuore del Piccolo Quartiere, con pittoreschi palazzi e vecchie chiese. Al fondo della via Lazenska la piazza del Gran Maestro con il suo palazzo, antica sede dei Cavalieri dell’Ordine di Malta. Poco distante la casa dell’Unicorno d’Oro, con la targa che commemora e ricorda il soggiorno praghese di Beethoven. E appena svoltato l’angolo l’immancabile ambasciata, questa volta quella francese in palazzo Buquoy. E sul muro esterno del giardino del palazzo del Gran Maestro il murales dedicato a John Lennon. Qui facciamo in tempo a goderci la veduta d’insieme e scrivere i nostri nomi tra i testi delle canzoni dei Beatles tradotti in tutte le lingue prima che una vera e propria ondata di giapponesi con macchine fotografiche spianate ci costringa a lasciare campo libero al turista nipponico (tra l’altro proprio vicino all’ambasciata del Sol Levante).
L’isola di Kampa vera e propria inizia dopo un piccolo ponte sul ruscello del Diavolo (canale laterale della Moldava), dove periodicamente si allenano i canoisti. Qui esiste ancora un vecchio mulino, con tanto di ruota restaurata. Pochi passi e dopo aver attraversato un’altra piazza ecco il parco, sempre lungo le rive della Moldava. Qui, a dieci anni dall’alluvione, una mostra fotografica racconta e ricorda cosa è successo nell’agosto 2002. Ed è difficile immaginare oggi -oltretutto dopo aver navigato sulla sua corrente- che un fiume profondo appena tre metri abbia potuto devastare interi quartieri. Le gigantografie ci accompagnano fino all’ingresso del museo di arte moderna e qui ci concediamo una pausa, regalandoci una ennesima prospettiva sulla città.
Arrivati al fondo di Kampa, poche rampe di scale e attraversiamo il ponte Legii alla volta di Narodni, il lungo corso che divide Stare Mesto da Nove Mesto, impreziosito da eleganti palazzi in stile Liberty. Lo percorriamo fino a piazza San Venceslao, più che una piazza un largo viale in parte chiuso al traffico, centro nevralgico della Città Nuova.
In cima alla piazza il monumento equestre di Venceslao, patrono della Boemia. Alle sue spalle il palazzo del Museo Nazionale, uno dei motivi che ci hanno convinto a scegliere Praga per le nostre vacanze. È dagli anni del liceo che volevo tornarci ma come temevo il museo è chiuso, per restauri e per preparare i nuovi allestimenti delle sezioni di storia naturale. Un vero peccato, anche perché i cantieri, dicono i cartelli, dureranno ancora qualche anno.
Poco distante, alla sinistra del museo, un rapido sguardo al teatro dell’Opera e poi di nuovo in piazza san Venceslao. Sotto la statua la targa che dal 1989 commemora le vittime del comunismo, a fianco della lapide che ricorda il gesto di Jan Palach.
La mattina è letteralmente volata e noi dobbiamo ancora tornare al municipio della Città vecchia: sarebbe un peccato andarcene senza aver prima visto l’orologio astronomico in funzione. Arriviamo alla torre pochi minuti prima delle 14 e finalmente, spalla a spalla con un centinaio di persone, riusciamo a goderci lo spettacolo. Semplice, essenziale ma comunque d’effetto. Sarà che eravamo ancora a stomaco vuoto ma, in tutta onestà, ci saremmo aspettati qualcosa in più!
Il problema dello stomaco vuoto, però, lo risolviamo in fretta: svoltato l’angolo del municipio ecco in stile sagra di paese i chioschi con l’immancabile prosciutto di Praga. Si mangia in piedi, con il prosciutto appena tolto dal fuoco, accompagnato da pane nero, senape e innaffiato dall’ennesimo boccale di birra.
Ristorati nel corpo e nello spirito, dopo chilometri e chilometri percorsi per vedere quanta più Praga possibile riponiamo ancora una volta la guida: è il momento di passeggiare nuovamente senza meta e, per chi vuole, infilarsi in tutti i negozi e le botteghe da Staromestke all’ormai familiare ponte Carlo.
Attraversata per l’ennesima volta la Modava ecco ancora la salita di Nerudova. Ma questa volta l’affrontiamo con tutt’altro spirito e determinazione. Per le sei di sera dobbiamo essere davanti ai cancelli del Castello. C’è il cambio della guardia e per poter dire «io c’ero» dobbiamo sbrigarci. Detto fatto e la giornata di venerdì va in archivio con il sole che tramonta sulla città, panorama che ci godiamo comodante seduti ai piedi della statua di Tomas masaryk, primo presidente della repubblica cecoslovacca, posto in prima fila per il picchetto d’onore del cambio della guardia.
Ultimo giorno (sabato 25)
Il nostro aereo decolla alle 13,30. C’è tutto il tempo per la colazione, i bagagli e un ultimo sguardo ai tetti di Mala Strana. Poi ecco il nostro taxi, alla volta di Ruzyne. Diversamente dal viaggio di andata, il tassista del ritorno ha una guida decisamente meno sportiva. Lancetta del tachimetro incollata sui 45 km orari e i venti chilometri per l’aeroporto sembrano molti di più. Ma chi va piano va sano e lontano e soprattutto, come ci spiega il nostro autista in uno stentato inglese ma con gesti chiarissimi, evita gli autovelox! Al momento di pagare -in contanti e solo in corone- ci ricordiamo del coupon di sconto e la corsa costa 264 corone, 11 euro la metà esatta dell’andata.
Sicuramente un buon modo per fidelizzare la clientela. Avete mai provato a prendere un taxi per Caselle?
In conclusione, Praga merita di essere vista, magari con più calma e tempo di quello che noi ci siamo concessi. Si gira benissimo a piedi (a patto di indossare scarpe basse, comode e con una buona suola per assorbire i tratti di pavé spesso sconnessi), conserva scorci e angoli di assoluta bellezza anche fuori dai percorsi tradizionali. E poi si mangia e si beve bene a prezzi contenuti, un aspetto che in tempi di revisione di spesa certo non guasta. Un consiglio, se siete appassionati di caffè mettetevi l’animo in pace e rinunciate. Molto meglio una tazza di tè o un infuso freddo, che quasi tutti i locali preparano, spesso con piacevoli aromi di frutta fresca.