Grecia, solo pochi scatti
Scrivere è ricordare. Scrivere è l’unico modo per non dimenticare. So che alle parole potrò aggrapparmi un giorno per potere rivivere ciò che in passato avevo vissuto davvero, anche se soltanto con la mente.
Improvvisamente vedo davanti mille scatti impressi ovunque nella mia testa. Io seduta sull’acropoli di Atene, di fronte al Partenone mentre scatto qualche foto, mentre il volantino viene disperso dal vento giù dal muretto e ondeggia verso il basso. Io che guardo il panorama e lascio cullare il mio viso e i miei capelli dallo stesso vento, e guardo la distesa della città tutt’attorno alla montagna sacra.
Io che mi sveglio presto, parlo al signore dell’albergo e mi faccio insegnare qualche parola in greco, io che a passo rapido sotto il sole cocente entro nel museo archeologico e guardo finalmente dal vivo con occhi meravigliati ogni cosa prima studiata e rido tra me.
Io che osservo seduta in traghetto le fattezze delle persone che mi circondano provo ad immaginare la storia della loro vita e che affascinata dal mare blu e dalle terre arse mi giro una sigaretta di tabacco.
Io che in una spiaggetta di Paros devo alzarmi continuamente per il caldo e gettarmi tra le acque limpidissime, e che poi mi rifugio all’ombra quasi inesistente di un cespuglio ricoperto su tutta la sua superficie dalla finissima sabbia dai bagliori argentei.
Io che sfreccio con molta impacciatura su un quoad tra le montuosità a ridosso della costa di Naxos, mentre tra il paesaggio brullo caprette salgono meglio di esperti arrampicatori a brucare le foglie di arbusti grovigliosi disseminati qua e là.
Io che mi godo assieme a Sara e Martino una luna splendente sul mare mentre beviamo vino e mangiamo seduti sulla spiaggia pane e tzatziki.
Io che coraggiosamente vago tra traghetti, metropolitane, autobus e stazioni con tanto di doppio zaino, e che finalmente mi concedo il meritato riposo avvolta nel mio sacco a pelo distesa su una panchina sul ponte della nave mentre l’aria salmastra scivola tutt’attorno.
Io che seduta al bar, guardo dall’oblò cercando di capire dove mi trovo mentre leggo un libro.
Io che dopo giorni di sole e clima caldo e fantastico approdo a Venezia che oscurata da una fitta nebbia e grondante di un’aria umida che mi penetra tra le ossa ormai stanche mi provoca uno schiaffo interiore.
Io che siedo qui, pensando a queste immagini non troppo lontane ma sicuramente inafferrabili, irraggiungibili come gli dei del mio personale Olimpo. Il Viaggio.