Grande argentina

Volendo, come per gioco, trovare un aggettivo, una sola parola, che definisca il Paese, così d’istinto, senza star troppo a pensarci, direi “GRANDE!”. Sono grandi le sue dimensioni, le distanze, gli spazi, la natura, l’accoglienza e la cordialità della sua popolazione, grandi i viali, i palazzi, le piazze, i giardini della Capitale...
Scritto da: dabi
grande argentina
Partenza il: 15/01/2007
Ritorno il: 10/02/2007
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Volendo, come per gioco, trovare un aggettivo, una sola parola, che definisca il Paese, così d’istinto, senza star troppo a pensarci, direi “GRANDE!”.

Sono grandi le sue dimensioni, le distanze, gli spazi, la natura, l’accoglienza e la cordialità della sua popolazione, grandi i viali, i palazzi, le piazze, i giardini della Capitale Buenos Aires, anche a tavola le porzioni sono generose.

16 gennaio 2007 Il viaggio comincia da Buenos Aires in una bella mattinata calda e soleggiata, ci siamo arrivati solo poche ore fa dopo un devastante volo e senza bagagli.

Le poche ore di sonno che ci siamo concessi non sono state sufficienti a rigenerarci, non siamo in perfetta forma fisica, ma l’entusiasmo fa miracoli, c’è un nuovo pezzo di Mondo da scoprire! Non perdiamo tempo, cartina alla mano, per prima cosa cerchiamo di orientarci: nella “scacchiera” del centro con isolati quadrati (quadras) non è particolarmente difficile. Da La Recoleta, elegante quartiere dove si trova il nostro hotel, camminiamo per alcune ore osservando incuriositi case, palazzi, monumenti, piazze, negozi, venditori ambulanti di caffè in thermos, venditori di fiori, giornali, pellame, lustrascarpe, paseador (dogsitter) con decine di cani di diversa taglia e razza al guinzaglio, stazioni della metropolitana che ricordano quella parigina, vasi di fiori appesi ai lampioni, migliaia di taxi gialli e neri che sfrecciano veloci nel traffico cittadino e molte, moltissime altre curiosità, il tutto scandito dalle note del Tango che provengono da negozi, locali e suonatori di strada.

Durante il nostro girovagare arriviamo, quasi per caso, in Plaza de Mayo; i “pañuelos” (fazzoletti bianchi) disegnati sul lastricato, che rappresentano il simbolo della protesta delle Madri dei Desaparecidos ci fanno, inevitabilmente, riflettere su quanto accaduto durante la dittatura militare.

Non ci soffermiamo molto in questa piazza in quanto ci torneremo nel pomeriggio nel corso di un tour guidato.

Proseguiamo, quindi, lungo Avenida de Mayo, trovato lo storico Caffè Tortoni ne approfittiamo per fare una sosta e consumare uno spuntino. L’interno del locale, che conserva ancora intatti bancone e arredi dei primi del ‘900, merita una visita, se poi ci si aggiunge un servizio di ottima qualità, sedersi ad uno dei tavoli è un piacere che difficilmente ci si può negare.

Le ore passano veloci, manca pochissimo all’appuntamento con Virginia per il City Tour guidato, ma siamo lontani dal luogo di incontro, per arrivarci prendiamo la metropolitana, comoda, veloce e molto economica.

Virginia è puntuale ed anche noi, si parte all’ora stabilita per una visita dei principali quartieri (barrios) della città.

Percorrendo strade trafficate attraversiamo Avenida 9 de Julio, il più ampio viale cittadino (per gli argentini il più ampio al mondo) qui ammiriamo l’imponente Obelisco, proseguiamo fino a Plaza de Mayo dove facciamo la prima sosta per visitare l’interno della Catedral Metropolitana, vediamo esternamente il Cabildo e la Casa Rosada che in questo periodo è oggetto di restauro.

Superato il Barrio San Telmo, con la graziosa Plaza Dorrego, piazzetta quadrata alberata con bar e tavolini all’aperto che ricorda molto alcuni scorci parigini, si raggiunge La Boca, piccolo vivace quartiere operaio, famoso per le case in lamiera ondulata dai colori accesi. Fatti quattro passi tra i vicoli e lungo il fiume continuiamo il giro passando per la Bombonera, lo stadio sede della squadra di calcio Boca Juniors, è inevitabile il riferimento a Maradona, un mito per tutti gli argentini che insieme ad Evita Peron, Carlos Gardel e Che Guevara è raffigurato ovunque su posters, insegne e cartelloni, non solo a Buenos Aires, ma in tutta l’Argentina.

Dallo squallore dei dintorni de La Boca ci si sposta, percorrendo pochi chilometri, a Puerto Madero, quartiere di tendenza, dove i vecchi magazzini del porto in mattoni rossi sono stati ristrutturati e trasformati in locali e ristoranti alla moda.

Alle spalle di questo barrio si elevano maestosi grattacieli sedi di grandi imprese e società commerciali.

Proseguendo si attraversa il quartiere Retiro con un’ampia piazza alberata dedicata al Generale San Martin (el Libertador) e l’imponente stazione ferroviaria, poco dopo facciamo una nuova sosta per ammirare Floralis Generica, enorme e singolare scultura metallica raffigurante i petali di un fiore che “sboccia” ogni mattina e si richiude ogni sera.

Dopo aver visto un monumento eretto alla memoria di Evita, l’ultima sosta è dedicata alla visita del Cementerio de La Recoleta, le monumentali cappelle che si trovano al suo interno conservano le spoglie di personaggi illustri.

La particolarità di questo cimitero, decisamente macabra, è che qui le bare in legno non sono tumulate, ma stanno in “bella mostra” dietro i vetri di ciascuna cappella. Fatta questa scoperta ed il “pellegrinaggio” di rito alla tomba di Evita non abbiamo molto interesse ad approfondire la visita, ne usciamo volentieri poco dopo.

Passando in volata dal Giardino Botanico e dal Giardino Zoologico, attraversato il quartiere Palermo, il tour termina con la nostra “riconsegna” in hotel, dove – nel frattempo – sono stati recapitati i bagagli che temevamo smarriti.

Abbiamo giusto il tempo per una rapida doccia, dopo di che si va a cena in un antico teatro che propone un magnifico spettacolo di Tango… eh si, qui ci sanno proprio fare! 17 gennaio 2007 Ristorati da 8 ore di sonno e sempre carichi di entusiasmo, consultata la cartina e chieste le informazioni necessarie, partiamo alla volta di Tigre, isola nel delta del Paranà.

Raggiungiamo in taxi la stazione di Retiro, prendiamo il treno della linea Mitre, scendiamo alla fermata Mitre, ci trasferiamo, percorrendo poche centinaia di metri, alla stazione Maipù da dove parte il Tren de la costa, trenino turistico che offre la possibilità di fermate intermedie nelle antiche stazioni, ora ristrutturate, che si attraversano durante il tragitto e che ospitano diverse attrattive quali gallerie d’arte, mostre, scuole di tango, caffè, ristoranti, mercatini artigianali e d’antiquariato.

Scesi al capolinea – Delta – all’interno della stazione troviamo un botteghino che fornisce esaurienti informazioni su tutte le possibili escursioni e attività praticabili nella zona.

Siamo attratti dalla navigazione su piccole lance nei canali del delta.

Usciti dalla stazione evitiamo l’affollatissimo, e pacchiano, parco divertimenti, ammirando gli edifici coloniali dell’isola di Tigre raggiungiamo il porticciolo turistico, qui scegliamo, tra diverse, un’agenzia che organizza escursioni in barca.

Poco convinti acquistiamo il pacchetto “navigazione+pranzo” (è l’opzione pranzo che ci lascia dubbiosi!).

La navigazione è piacevole, dalla barca si possono osservare le numerose isole basse, ricche di vegetazione ed uccelli.

Le isole, delimitate dai vari rami del fiume e dai canali, cambiano spesso forma per via del deposito di sedimenti e per le periodiche inondazioni, sono collegate tra loro da una serie di sentieri e passerelle, l’insieme è grazioso ed è per la particolare conformazione idro-geografica che questa è la meta prediletta dagli abitanti di Buenos Aires che vogliono trascorrere qualche giornata di vacanza, qui sorgono, infatti, signorili case circondate da splendidi giardini, club, ristoranti, campeggi, porticcioli.

La sosta pranzo, come temevamo, ci costringe ad una pausa troppo lunga per i nostri gusti, troppa inattività e troppo cibo, si poteva/doveva evitare! Ripresa la lancia e poi il treno torniamo a Buenos Aires, vogliamo approfittare di quel che resta della giornata per visitare in modo più approfondito almeno una fetta di questa immensa città.

Consultata la cartina vediamo che il barrio più vicino alla stazione di Retiro è Puerto Madero.

Ci incamminiamo, sembrava vicino, in realtà percorriamo alcuni chilometri fiancheggiando un larghissimo viale molto trafficato; giunti nella zona pedonale, lungo le darsene, passeggiamo ammirando gli ex magazzini del porto in mattoni rossi, le barche ormeggiate, i giardini ed il modernissimo e ardito Ponte de la Mujer.

Attratti dai grattacieli che sorgono nelle immediate vicinanze di Puerto Madero, lasciamo la passeggiata pedonale e, naso all’insù, camminiamo tra i giganti ammirando compiaciuti l’effetto specchio di alcuni di essi con la calda luce del tramonto che ne esalta riflessi e colori.

La cartina ci dice che non siamo lontani dal più bello e famoso centro commerciale di Buenos Aires, correggiamo la rotta, dopo qualche isolato ecco l’imponente palazzo ottocentesco in stile francese che ospita Galerias Pacifico.

Considerata l’ora tarda ci saremmo accontentati di ammirarlo anche solo esternamente, scopriamo, invece, con sommo piacere, che è ancora aperto… come poter resistere ad un tale invito? Impossibile! L’interno è uno sfavillio di luci e colori, la volta centrale è impreziosita da dipinti e sovrasta un’elegante fontana, ci perdiamo rapiti dalla bellezza della galleria a croce con copertura in vetro che ricorda molto Galleria Vittorio Emanuele di Milano.

Negozi a parte, che costituiscono sicuramente un irresistibile richiamo, il centro commerciale merita una visita al suo interno anche solo per ammirarne la struttura.

Il palazzo di Galerias Pacifico occupa un intero isolato, esternamente durante la notte è sapientemente illuminato, ne ammiriamo gli effetti dalla via pedonale che ne costituisce un lato: passeggiata ricca di vetrine, locali e ristoranti eleganti dove fanno ancora bella mostra luminosi addobbi natalizi.

La città così illuminata ci incanta, regalandoci la visione di sontuosi palazzi, un clima piacevolmente estivo ed una vitalità incredibile, decidiamo di godercela più a lungo possibile proseguendo a piedi fino a La Recoleta dove è situato il nostro hotel, che si trova parecchio distante, ma sarebbe un peccato prendere un taxi ed interrompere così l’incanto di questa serata.

Attraversiamo, quindi, l’immensa Avenida 9 de Julio, ci incamminiamo lungo Avenida Santa Fè e quadra dopo quadra, decisamente stanchi, ma pienamente soddisfatti raggiungiamo l’hotel per una più che meritata dormita.

18 gennaio 2007 Ci aspetta una levataccia, alle 7,05 parte il volo per Trelew (nostra prima tappa in Patagonia) dove atterriamo circa due ore dopo.

Ad attenderci in aeroporto c’è Armando, simpaticissima guida, che per i prossimi due giorni si occuperà della nostra “formazione” raccontandoci fatti storici, geografici, geologici e scientifici della zona in maniera decisamente poco convenzionale, trasformando le “lezioni” in piacevoli ed anche molto divertenti momenti.

Le cose dette sui pinguini e tutti gli altri argomenti sono assolutamente veritiere (ne ho trovato riscontro sull’ottima guida Polaris!) Armando però è abilissimo nel trasformare ogni cosa in gioco, con scenette in cui, per esempio, interpreta la parte di un pinguino maschio un po’ bistrattato dalla capricciosa femmina, insomma – per farla breve – è un personaggio molto simpatico e coinvolgente, nel corso delle visite non mancheranno neppure indovinelli ed “interrogazioni”, ma è un piacere starlo a sentire, nessun “interrogato” si rivela mai impreparato, anzi le “lezioni” sono sempre molto partecipate.

Dopo il “fenomeno” Armando, la Patagonia reclama la nostra attenzione, lo fa in maniera teatrale: la scenografia raffigura cielo azzurrissimo, aria tersa, luce vivida sopra una infinita distesa ricoperta da arbusti interrotta qua e là da basse colline d’argilla… che dire? Già ne siamo affascinati! Ci spostiamo in direzione sud per un centinaio di km fino a raggiungere la Reserva Natural de Punta Tombo.

La riserva accoglie ogni anno, da settembre a marzo, oltre 500.000 pinguini di Magellano, che approdano qui e si riproducono.

Dalla spiaggia e per un paio di km all’interno si vedono pinguini ovunque, il suolo sembra un enorme gruviera, ogni buco ospita una famiglia, in questo periodo ci sono i nuovi nati, due per ciascuna coppia, sono tutti buffissimi, i piccoli strattonano gli adulti, che hanno l’aria di nutrire una certa indifferenza, e strillano reclamando cibo.

Camminando tra di essi si assiste a divertenti saghe famigliari, bisogna, inoltre, prestare attenzione a non disturbare o calpestarli; in effetti il sentiero pedonale è delimitato da paletti e filo metallico, ma i pinguini “sconfinano” con estrema facilità e noncuranza, risultato: attenzione a dove si mettono i piedi! Il paesaggio regala notevoli vedute sull’oceano, il primo impatto con la Patagonia e la fauna è decisamente superiore alle aspettative.

Prima di raggiungere Puerto Madryn, dove pernotteremo, facciamo una sosta a Gayman, cittadina incastonata nella fertile valle del Rio Chubut interamente circondata da belle colline di argilla dalla cima piatta.

La città che fu fondata, nella seconda metà dell’800, da coloni provenienti dal Galles, ancora oggi conserva le antiche case con facciata in mattoni a vista in perfetto stile gallese e la tradizione del tè.

Nell’emisfero australe le stagioni sono invertite, qui ora è piena estate, la temperatura durante il giorno è gradevole, il sole tramonta dopo le 21, possiamo così beneficiare di molte ore di luce.

Giunti a Puerto Madryn, cittadella con poche attrattive affacciata sull’Oceano Atlantico, ma strategica in quanto via d’accesso alla Reserva Faunistica Peninsula Valdés, ci resta, nonostante sia già sera, ancora il tempo per una passeggiata sul lunghissimo molo affollato da pescatori, madri con bimbi, persone che passeggiano, che bevono il Mate, che leggono o che semplicemente stanno a guardare il mare.

Lasciato il molo andiamo a cena presso il ristorantino di una cooperativa di pescatori, ce lo ha consigliato una persona del luogo e si rivela un ottimo suggerimento, soddisfatti prenotiamo già per la sera in cui faremo ritorno qui.

19 gennaio 2007 L’escursione odierna, guidata dallo spassoso Armando, prevede l’esplorazione della Peninsula Valdés, isola dalla curiosa forma di fungo unita alla terraferma dalla sottile striscia dell’Istmo Carlos Ameghino, quest’ultimo delimita il Golfo San Josè a nord ed il Golfo Nuevo a sud.

La strada corre attraverso un paesaggio piatto punteggiato dalla tipica vegetazione che caratterizza la steppa patagonica, fino all’Istmo Ameghino il panorama non subisce mutamenti.

Superata la barriera d’accesso alla Reserva Faunistica visitiamo il Centro de Interpretacion dei guardiafauna che espone pannelli didattici illustranti flora e fauna presenti nella zona.

Dall’alto di una torretta d’osservazione ammiriamo lo spettacolo dei due Golfi, proseguiamo, quindi, fino a Punta Piramides attraverso un paesaggio caratterizzato da alte scogliere.

Da una terrazza naturale possiamo vedere una colonia di leoni marini le cui femmine hanno da poco partorito, è presente, infatti, un discreto numero di cuccioli.

Lasciata la zona costiera ci addentriamo nel cuore della penisola, depressione di oltre 200 kmq che racchiude diversi laghi salati. Raggiungiamo poi una località sulla costa denominata Caleta Valdés, una splendida insenatura delimitata da un “braccio” di terra e detriti che corre parallelamente alla costa per oltre 30 km, in questo luogo si concentra una gran varietà di mammiferi marini ed uccelli.

Nella stagione attuale (estate australe) sono presenti numerosi gruppi di elefanti marini, sono perlopiù esemplari giovani che stazionano sulla spiaggia in stato di semi immobilità, questo è il periodo in cui stanno subendo la muta che rappresenta un momento critico, quasi come si trattasse di una malattia.

Sostiamo in questo luogo spettacolare per compiere una passeggiata fino ad un mirador (belvedere) che regala allo sguardo una superba veduta dell’insenatura e del lungo braccio sottile che la delimita, consumiamo poi uno spuntino presso l’Estancia La Elvira che sorge qui isolata.

Seguendo per parecchi km la costa, raggiungiamo Punta Delgada; Armando e gli altri turisti proseguono, noi ci fermiamo qui per il resto della giornata e fino al tardo pomeriggio di domani.

Il posto è molto suggestivo, ci troviamo in mezzo al “nulla” su un’alta scogliera che domina l’Oceano, siamo ospiti del complesso del vecchio faro, pochi edifici che un tempo ospitavano la scuola per guardiani di fari e che attualmente, dopo restauro, è stato trasformato in hotel.

E’ una giornata bellissima, l’aria tersa rende i colori ancora più brillanti, la vista spazia senza limiti sulla steppa o sull’Oceano, siamo raggianti per la consapevolezza di essere in un luogo speciale.

Impegniamo il pomeriggio con una bella passeggiata sulla spiaggia che raggiungiamo scendendo da una ripida scalinata, possiamo così avvicinarci agli elefanti marini ed osservare gli stadi della muta, i loro sgraziati movimenti, le espressioni buffe di alcuni che ci notano e sembra vogliano avvicinarsi ancor di più per rinunciare subito dopo. La vista così ravvicinata di questi enormi animali, unita allo scenario che ci circonda ed agli effetti della bassa marea, sarà certamente uno dei ricordi più forti di questo viaggio attraverso la Patagonia.

Dopo lungo tempo lasciamo la spiaggia, risalita la scogliera per un diverso sentiero andiamo a curiosare qua e là, ci imbattiamo nel faro, non possiamo resistere alla tentazione di entrarci, di salire fino alla sua sommità e di ammirare il paesaggio sottostante.

Parentesi: il faro è ancora funzionante! Questo luogo selvaggio e speciale ha in serbo per noi una straordinaria sorpresa: poco dopo il tramonto, nel cielo con le ultime sfumature rosso/rosate che stanno ormai lasciando spazio al buio vediamo nettamente la cometa, non provo neppure a descrivere l’emozione, non ci sono parole adeguate, concludo il resoconto di questa memorabile giornata dicendo che non potevamo trovarci in un luogo migliore per assistere ad un evento così raro.

20 gennaio 2007 Il sole, la luce intensa ed una temperatura gradevole caratterizzano il nuovo giorno, non c’è traccia del temuto vento patagonico, il tutto ci mette una gran voglia di fare, di vedere, di stabilire un nuovo contatto con la natura e l’ambiente che ci circondano.

Tra le varie proposte di escursione scegliamo di visitare la Salina Chica, un bacino di sale di circa 18 kmq.

La strada, abbandonata la costa, si dirige verso la parte centrale della penisola, attraversa la steppa che in prossimità della salina cede il posto a verdi pascoli dove stazionano centinaia e centinaia di pecore, uccelli e choique (la miniatura di uno struzzo).

Camminiamo tra le greggi attraversando un’ampia zona erbosa, avvicinandosi alla salina la vegetazione dirada fino a scomparire del tutto, dopo un tratto di terreno tanto secco da presentare un reticolato di crepe finalmente raggiungiamo un esteso bacino costituito da un deposito naturale di salnitro che presenta una superficie compatta e dal colore bianco abbagliante. Camminiamo sullo strato di sale meravigliandoci delle sue numerose sfumature di colore, in alcuni punti il suolo è ricoperto da un sottile strato d’acqua e perde la sua compattezza, la cosa è piuttosto inquietante, si ha l’impressione di sprofondare da un momento all’altro, la guida ci tranquillizza, non c’è alcun pericolo, mettendo così a tacere la mia irrazionale paura delle sabbie mobili.

Il ragazzo che ci accompagna porta al collo una vecchia Nikon, un gioiello d’altri tempi, non me ne intendo granché di modelli di macchine fotografiche, nel senso che non conosco le sigle e la loro corrispondenza, ma capisco che si tratta di roba da professionisti, infatti il ragazzo è un fotografo free lance, approfittiamo immediatamente della sua competenza e, soprattutto, della sua disponibilità per “scroccare” consigli su inquadrature che rendano giustizia a questa magnifica ed abbagliante distesa di sale sovrastata da un cielo striato di nuvole dalle forme strane anch’esso meritevole di essere immortalato.

Bel colpo di fortuna! Memorizzo preziosi consigli che cercherò di mettere in pratica da qui in avanti.

Dopo l’interessante escursione che ci impegna per mezza giornata, riprendiamo l’auto e torniamo sulla costa, salutiamo il nostro accompagnatore, ci prendiamo solo una breve pausa e, subito dopo, via di nuovo alla scoperta di un altro pezzo di questa immensa penisola.

Prendiamo un sentiero ben tracciato che corre alto sulla falesia regalandoci vedute spettacolari della costa sottostante, la bassa marea scopre ampi lembi di spiaggia popolati da elefanti marini che continuano a consumare la loro sofferenza per la muta in quello stato di abbandono e di immobilità quasi angosciante per noi spettatori impotenti.

Per il ritorno scegliamo un sentiero più interno che ci offre l’opportunità di osservare da vicino la vegetazione della steppa, infinito spazio popolato da pecore, cavalli, lepri e conigli selvatici. Per due ore abbondanti tutto questo è solo nostro, indescrivibile il senso di libertà e di integrazione con la natura che questo luogo solitario ha saputo donarci.

Prima di lasciare definitivamente la Peninsula Valdés c’è ancora il tempo per un’ultima escursione in fuoristrada, accompagnati da una nuova sorridente e simpatica ragazza raggiungiamo un diverso punto panoramico che si affaccia sull’ennesima spiaggia abitata da leoni ed elefanti marini che coabitano in perfetta armonia. Immagazziniamo queste ultime suggestive immagini, facciamo poi ritorno in hotel dove tra non molto passerà un autista a prelevarci per riportarci, entro sera, a Puerto Madryn.

Mentre stiamo seduti su una panchina ad attendere il nostro uomo, analizzo mentalmente la descrizione che la guida Polaris fa dell’hotel Faro Punta Delgada classificandolo nella categoria “lusso”, l’aspetto lussuoso, anzi direi privilegiato, di questo piccolo, semplice ed ordinato complesso sta nella sua spettacolare collocazione isolata, caratteristica quest’ultima che lo rende speciale, lussuoso appunto, e che, in questo contesto, apprezzo molto. Al contrario se il termine “lusso” fosse legato solo agli ambienti di una struttura con mille addobbi ed accessori, ma senza “personalità”, pur non disdegnando, non mi procurerebbe particolare entusiasmo.

Alle 17 arriva puntuale l’autista, personaggio che se avesse incontrato Bruce Chatwin avrebbe sicuramente trovato spazio tra le pagine del suo celebre libro “In Patagonia”.

Durante le due ore di trasferimento ci racconta storie di Sante ed Eroi popolari venerati ancor più dei Santi ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, ci narra di fatti miracolosi e ci mostra, lungo i bordi della strada, piccole ed improvvisate cappelle votive dove i devoti depositano in omaggio bottiglie d’acqua, nastri colorati, cibo e qualsiasi altra cosa possa servire al mantenimento in buona salute del Santo o Santa di turno.

Siamo così presi dai racconti che ci dimentichiamo presto del paesaggio, ma in fondo la Patagonia non è fatta solo di vento, strade polverose, bassi arbusti e cieli con nubi dalle forme mai viste prima, la Patagonia è ricca anche di leggende, fatti, credenze, tradizioni e personaggi curiosi, ai quali è un piacere dedicare tutta la nostra attenzione.

La lunga e felice giornata si conclude con un’abbuffata di pesce presso il ristorantino di Puerto Madryn che già conosciamo e che si conferma un ottimo posto.

21 gennaio 2007 La nuova giornata inizia molto presto, raggiungiamo l’aeroporto di Trelew in tempo utile per prendere il volo delle 8,15, circa due ore dopo atterriamo a El Calafate: cittadina turistica che si affaccia sulle rive del bellissimo Lago Argentino e che costituisce l’unica via d’accesso al settore meridionale del Parque Nacional Los Glaciares, parco che ospita il famoso Glaciar Perito Moreno, nonché il meno noto, ma più imponente Glaciar Upsala ed altri ghiacciai di tutto rispetto quali Spegazzini, Onelli, Agassiz, Bertacchi che visiteremo nei prossimi due giorni.

Non perdiamo tempo, facciamo una bella passeggiata attorno alla Laguna Nimez, riserva ornitologica poco distante dal centro cittadino, popolata da numerose specie di uccelli e ricca di flora, lasciata la Laguna visitiamo un piccolo parco, poi prendiamo confidenza con la nuova località girando senza meta per le vie principali curiosando tra i negozi, le agenzie che numerose propongono escursioni nei dintorni, locali e ristoranti vari, attendiamo l’orario di apertura dell’unico ufficio di cambio presente (oggi è domenica, le Banche sono chiuse) prenotiamo per domani sera un tavolo presso il ristorante La Tablita che mi è stato caldamente consigliato e che non vogliamo perdere, poi per l’ora di cena rientriamo in hotel, mangiucchiamo qualche cosa e, vinti dalla stanchezza, andiamo a dormire anche se non è del tutto buio. Essendoci spostati più a sud, le giornate sono ancora più lunghe, è una sensazione strana quella di affacciarsi alla finestra, vedere in lontananza la Cordillera delle Ande innevata, paesaggio invernale che induce a pensare a lunghe notti buie mentre, di fatto, le ore di luce sembra non si esauriscano mai, è proprio su questi pensieri che il sonno cala il suo nero sipario.

22 gennaio 2007 Per tutto il giorno siamo impegnati nell’escursione dal nome inequivocabile “Todo Glaciares”.

Un minibus passa a prenderci in hotel e ci conduce a Puerto Banderas, piccolo porticciolo che si raggiunge costeggiando, in direzione ovest, il Lago Argentino, qui ci si imbarca su grossi e moderni catamarani, dopo di che ha inizio la spettacolare navigazione.

Imboccato il Brazo Norte, l’imbarcazione scivola veloce sull’acqua lattiginosa che pare densa, il cielo è piuttosto grigio, ma il colore del lago sembra non risentirne e mantiene una bella sfumatura azzurro/turchese, ci posizioniamo sul ponte esterno e, nonostante l’aria gelida, non abbandoneremo mai la postazione, in silenzio ammiriamo quello che presto si trasforma in un paesaggio polare costituito da imponenti colate di ghiaccio che dalle montagne scendono fino al livello del lago, arrestandosi sull’acqua con fronti di diversi km di lunghezza ed un’altezza che sfiora e, a volte, supera i 60 metri.

L’imbarcazione si avvicina e si ferma davanti ai muri di ghiaccio dandoci la possibilità di vedere le guglie, le spaccature e le incredibili sfumature di colore che passano dal bianco all’azzurro al blu cobalto, non avrei mai immaginato che il ghiaccio potesse essere così colorato! Proseguendo si incontrano i primi blocchi di ghiaccio che, staccatisi dai ghiacciai, galleggiano sull’acqua fino a sciogliersi, processo più lento durante l’inverno (mesi) e più veloce durante la stagione estiva (settimane).

Avanzando aumenta il numero dei blocchi di ghiaccio ed aumentano le loro dimensioni, presto il catamarano scivola tra enormi iceberg, ognuno con forme e sfumature di colore diverse, sembrano tante sculture messe lì in bella mostra da un artista, siamo senza parole di fronte a tale spettacolo, fotografiamo ogni caverna, grotta, anfratto, spaccatura, pinnacolo, da vicino, da lontano, da ogni prospettiva, ogni iceberg è un’opera d’arte e sono tantissimi. Ci spostiamo da un lato della barca all’altro per cercare di non perderne neppure uno.

Il timoniere è molto bravo, si avvicina e si ferma davanti agli iceberg più imponenti e più belli, dandoci così l’opportunità di ammirarli e di memorizzarne i particolari. Meraviglia ed emozione davanti a questi colossi sono indescrivibili.

L’imbarcazione procede, a tratti, lentamente e, a volte, più veloce avvicinandosi ai fronti dei ghiacciai Upsala e Spegazzini. Non riusciamo a capacitarci che ciò che vediamo sia solo la parte terminale (i bracci) di un unico immenso ghiacciaio perenne chiamato Hielo Continental che ricopre una superficie di diverse migliaia di kmq, neppure con la buona volontà riusciamo ad immaginarne le reali dimensioni, per noi già quel che vediamo, ed è solo una piccola parte, è immenso.

Imboccato il canale Onelli, la barca approda su una stretta lingua di terra, sbarchiamo, attraversato un boschetto raggiungiamo la Laguna Onelli dove possiamo vedere altri tre ghiacciai (Agassiz – Bertacchi – Onelli) che scendono nella piccola baia disseminandone la superficie di blocchi di ghiaccio.

Sazi di tanta bellezza riprendiamo il catamarano, comincia a piovere ed anche piuttosto forte, mentre tutti si ritirano al caldo in coperta, noi sostiamo ancora sul ponte, troviamo un riparo per non bagnarci ed in totale solitudine assaporiamo l’ultima parte della navigazione in un ambiente quasi surreale, il cielo è grigio, la pioggia crea una cortina spessa, quasi nebbiosa, che limita la visibilità, ma l’acqua del lago è ancora incredibilmente turchese e lattiginosa. Con le immagini dei colori di questa enorme “pietra preziosa” si conclude la nostra prima meravigliosa escursione tra i ghiacciai.

Tornati in hotel abbiamo giusto il tempo per una rapida doccia, poi si esce a cena.

Il ristorante La Tablita ci regalerà uno dei migliori pasti di tutto il viaggio e dopo l’ottimo cordero (agnello) patagonico alla brace, per non sottrarci all’incantesimo, quale dessert scegliamo il gelato alle bacche di Calafate.

La leggenda del Calafate così recita: “chi assaggia la bacca agrodolce del Calafate non tarda a sentirsi attratto e conquistato dallo spirito della Patagonia, e dal momento in cui si macchierà le labbra del succo bluastro non riuscirà più a dimenticare questa terra, e sempre un senso intenso di nostalgia lo spingerà a tornare”.

23 gennaio 2007 La nuova giornata ci vede trepidanti, tra poco vedremo “lui”, il Re dei ghiacciai, il famoso Perito Moreno, situato tra il Brazo Rico ed il Canal de Los Tempanos, entrambi rami del Lago Argentino, il cui fronte si estende per una lunghezza di 5 km ed è alto oltre 60 m.

Partiamo in bus costeggiando il lago per un lungo tratto, dopo circa 80 km raggiungiamo la Penisola di Magallanes, mirador di fronte al ghiacciaio che regala allo sguardo uno spettacolo straordinario: l’immensa parete di ghiaccio sembra nascere dalle acque lattiginose del lago e perdersi nella massa dello Hielo Continental che a sua volta pare sfumare, in lontananza, nel cielo.

Purtroppo piove, il clima avverso non ci fa rinunciare a percorrere il circuito seguendo la serie di passerelle e sentieri che permettono di ammirare il ghiacciaio da diverse angolazioni, nonostante il cattivo tempo i colori del ghiaccio comprendono tutta la gamma dei bianchi, degli azzurri, dei blu.

Il Perito Moreno con la sua bellezza ed imponenza ci lascia inebetiti, stiamo ad ammirarlo – senza fiatare – incuranti della pioggia, facciamo lunghe pause per “ascoltarlo”, proprio così il ghiaccio si spacca in continuazione e produce rumori simili a quelli dell’artiglieria, riusciamo a vedere un paio di blocchi di ghiaccio che, staccatisi dal fronte, precipitano con fragore nelle acque sottostanti.

Madre Natura continua a strabiliarci con le sue innumerevoli creazioni! Lasciata la zona delle passerelle, dopo un breve trasferimento in bus, ci spostiamo sul lato del ghiacciaio che si affaccia sul Brazo Rico, un piccolo battello attraversa il ramo del lago e ci sbarca in una meravigliosa zona boschiva, da qui, seguendo un basso sentiero che costeggia la riva, ci avviciniamo al fianco del Perito Moreno, accompagnati da due guide esperte, muniti di ramponi, facciamo un mini trekking di circa 1,30 ore. Camminare sul ghiaccio è più facile di quel che sembra, è abbastanza faticoso, soprattutto in salita, comunque sotto l’occhio vigile delle guide non è poi tanto pericoloso, basta seguire il percorso indicato evitando di allontanarsi dalle zone sicure e di commettere imprudenze in prossimità dei crepacci.

Mentre riprendiamo fiato, le guide si esibiscono in arrampicate su pareti verticali e discese in profondi canaloni, siamo incantati da tanta disinvoltura.

Il trekking termina con il superamento di “un ultimo pericoloso passaggio” queste le parole esatte pronunciate dai nostri accompagnatori. Il gruppo, dopo l’annuncio, si fa serio, ci si domanda, con una certa apprensione, cosa ci aspetta.

Il passaggio “pericoloso” è rappresentato da una generosa dose di Whisky on ice (del ghiacciaio of course!) manciate di cioccolatini e fragorose risate per l’inaspettata sorpresa.

Bella esperienza, la ricorderemo con molto piacere ed alla “passeggiata” sul ghiacciaio assoceremo il ricordo di una deliziosa famigliola, residente nel Nord dell’Argentina, in vacanza in Patagonia, composta da: madre di origine sarda, padre argentino e due figli adolescenti che frequentano entrambi una scuola italiana.

Torniamo a riprendere il battello per un sentiero più alto che attraversa il bosco, dove il sole, che finalmente ha il sopravvento sulla pioggia, crea bellissimi giochi di luci e ombre, ci allontaniamo poi con una punta di malinconia dal maestoso Perito Moreno, infine, il bus ci riporta in hotel.

Concludiamo l’indimenticabile giornata con una cena raffinata presso il ristorante Casimiro Biguà.

24 gennaio 2007 Di buon mattino, in bus, lasciamo El Calafate, la nostra meta è El Chalten, considerata la capitale nazionale del trekking.

La cittadina è collocata nella parte settentrionale del Parque Nacional Los Glaciares che comprende le famose vette del Cerro Torre e Fitz Roy, le cui pareti verticali sono meta ambita dei più grandi alpinisti mondiali, vinte in poche occasioni per le difficoltà tecniche della scalata sommate alle avverse condizioni climatiche originate dallo scontro di grandi masse d’aria, provenienti dall’Atlantico e dal Pacifico, che scatenano violente tormente.

Costeggiamo il lago Argentino in direzione est fino ad immetterci sulla leggendaria Ruta 40, strada che presto diventa sterrata dove si incrociano pochissimi altri mezzi, perlopiù motociclette e avventurosi ciclisti solitari.

La strada sale diritta verso nord costeggiando e superando, diverse volte, il corso sinuoso del Rio La Leona, ampio fiume bordeggiato da scenografiche colline brulle che hanno l’aspetto del suolo lunare e sono sormontate da cordoni di roccia.

Il trasferimento dura 4 ore che passano velocemente, la bellezza del paesaggio è catalizzante, riconosciamo gli scenari riproposti dai documentari televisivi, provando soddisfazione per aver concretizzato un altro grande sogno.

A metà strada il bus fa una breve sosta permettendoci di rifocillarci presso una bella Estancia che sforna, per i viaggiatori di passaggio, squisite empanadas dolci e salate.

Scattiamo qualche fotografia al suggestivo paesaggio, si riparte dopo circa un quarto d’ora viaggiando sino a raggiungere il lago Viedma oltre il quale si staglia la Cordillera andina.

La giornata è soleggiata e limpidissima, abbiamo l’onore di vedere il Fitz Roy sgombro dalle nuvole che spesso lo nascondono, giriamo attorno al lago costeggiandone, in seguito, la sponda settentrionale dalla quale è ben visibile l’immenso Glaciar Viedma, panorama davvero notevole! All’ingresso di El Chalten facciamo una seconda sosta per ricevere dal personale dell’Oficina Parques Nacionales cartine ed informazioni sui possibili trekking e sulle norme di comportamento da rispettare durante la permanenza nel parco.

Il viaggio termina poco dopo, alla stazione scendiamo dal bus e, recuperato lo zaino, raggiungiamo la graziosa Hosteria El Puma distante solo poche centinaia di metri.

El Chalten, con le vie sterrate, le casette di legno colorate sparse in modo disordinato, le basse staccionate che delimitano ampi prati, i cavalli ed i cani randagi, ha un aspetto che ci fa pensare al Far West, è meta di molti campeggiatori, escursionisti ed alpinisti, c’è una bella vitalità, i bus di linea scaricano due volte al giorno viaggiatori in gruppo, in coppia o singoli attrezzati di pesanti zaini e tende e ripartono portandosi via chi ha già compiuto grandi o piccole imprese.

Poche le auto, in prevalenza fuoristrada impolverati, la polvere della mitica Ruta 40 che corre, da Nord a Sud, parallela alla catena delle Ande attraverso tutta l’Argentina.

Il clima vivace della cittadina ci contagia fin da subito, ci infiliamo gli scarponi e cominciamo la perlustrazione della zona con una facile camminata.

Lasciato l’agglomerato di case, percorriamo una vasta piana ghiaiosa attraversata da un ampio fiume che scorre ramificandosi seguendone il corso per alcuni chilometri. Prendiamo poi un sentiero che attraversa boschi di lenga e ñire (piante endemiche della zona sub-antartica) e vasti prati fioriti, proseguiamo fino a raggiungere una bella cascata, Chorillo del Salto, che precipita per una ventina di metri formando, alla base, un piccolo laghetto color smeraldo, gradevole passeggiata, comoda, comoda e panorama molto bello.

Dopo una sosta “meditativa” ripercorriamo a ritroso lo stesso sentiero, fermandoci lungo il fiume ad osservare prima i numerosi pesci che guizzando veloci risalgono la corrente poi è la volta dei campeggiatori indaffarati a montare le tende.

Raggiunto il “centro” cittadino tiriamo sera curiosando nei negozi di articoli sportivi e souvenir.

Rientro all’Hosteria, cena e di nuovo quattro passi dopo cena, solita storia: avremmo voglia e bisogno di dormire, ma il buio non arriva mai.

25 gennaio 2007 Oggi si fa sul serio, dopo un’abbondante colazione, infilati gli scarponi, si parte alla volta della Laguna Torre, percorso su sentiero che si sviluppa in salita per il primo tratto, poi a saliscendi tra boschi e lungo il Rio Fitz Roy ed, infine, con un ultimo strappo, sulla morena residuo di un ghiacciaio scioltosi.

Dopo tre ore di cammino raggiungiamo la suggestiva Laguna Torre nella quale termina il Glaciar Grande; il Cerro Torre ed altre cime fanno da corona al laghetto, purtroppo, nonostante la giornata soleggiata, soffia un forte vento, le nubi che ricoprono la famosa vetta girano vorticosamente senza scoprirla mai o solo in rare occasioni.

Ci piazziamo al riparo di enormi massi ed insieme ad altri escursionisti attendiamo il “miracolo”, si dice che la “dannata” guglia potrebbe apparire nel giro di pochi minuti, ma la nostra attesa (2 ore) è vana.

Scendiamo fino alla sponda del lago dove galleggiano blocchi di ghiaccio, lo scenario è notevole, peccato che il Cerro Torre continua a celarsi dietro una fitta cortina di nuvole.

Rassegnati lasciamo il luogo.

Prima di riprendere il sentiero diamo uno sguardo al Campamento De Agostini, campo base per gli scalatori che “attaccano” la difficile vetta, proviamo autentica emozione nel trovarci esattamente dove molti grandi alpinisti tra cui Mauri, Bonatti, Maestri hanno dato l’avvio a tormentate imprese.

Sulla via del ritorno, attratti dal vociare eccitato di un gruppo di escursionisti, volgiamo lo sguardo verso il punto indicato e vediamo lo spettacolo del Fitz Roy libero dalle nubi, scattiamo veloci qualche fotografia a ricordo del momento, sostiamo in quel punto in attesa che la stessa sorte tocchi al vicino Cerro Torre, ma ancora inutilmente, resterà anche per noi una cima “inviolata”.

Il ritorno richiede altre tre ore di cammino, nell’ultimo tratto ci godiamo, dall’alto, la vista della cittadina e di verdi pascoli.

Raggiunta l’Hosteria El Puma, piccolo hotel che sorge su un ampio spiazzo verde, troviamo, a sorpresa, sei lama dalla pregiata e rara lana bianca, con quest’ultima immagine bucolica si conclude un’altra emozionante giornata.

Soddisfatti prendiamo possesso di una panchina posizionata al sole e vi sostiamo fino all’ora di cena. Per il pasto serale scegliamo il ristorantino Ruca Mahuida, una baitella verandata con bella vista panoramica, panche di legno ricoperte da pelli di pecora e tavoloni rustici che serve ottimi piatti elaborati, posto da consigliare a chi apprezza la buona cucina.

26 gennaio 2007 Con un minibus percorriamo, per 37 km, una pista sterrata che costeggia e supera con piccoli ponti il bel Rio de Las Vueltas, il tragitto è vario e panoramico, in alcuni punti vediamo da un lato il fiume, dall’altro piccole lagune e stagni, attraversiamo boschi e zone con vegetazione bassa e rigogliosa.

La strada termina in prossimità del grande Lago del Desierto dalle acque trasparentissime color verde smeraldo sulla cui superficie si specchiano le verdeggianti montagne che lo circondano.

Con una lancia attraversiamo il lago per tutta la sua lunghezza, sbarchiamo in un luogo remoto dove, salvo una stazione di gendarmeria, non c’è alcuna altra abitazione.

Il posto è rilassante, ci sono bei boschetti, ampi prati verdi e cespugli fioriti, da qui partono avventurosi viaggiatori che a piedi (6 ore) o in bicicletta raggiungono il vicino Cile.

Assistiamo divertiti alla partenza di un paio di intrepidi, incerti e “smadonnanti” ragazzi toscani, che non hanno chiara la giusta direzione in quanto il sentiero non è affatto segnalato… in bocca al lupo ragazzi, speriamo che questa sia proprio la “diritta via”!.

Per le 14,30 siamo di ritorno ad El Chalten, pranziamo presso il grazioso Fuegia Bistro (ottima la carne!) quindi, per ingannare il tempo, in attesa del bus che parte alle 18, facciamo un giro per negozi, qualche acquisto ed un’ultima sosta sulla “nostra” panchina al sole.

In 4 ore il bus ci riporta ad El Calafate, stessa strada, stessa sosta, stesso panorama, ma esaltato da un cielo particolarmente blu e da belle nuvole dalla forma curiosa, sembrano tanti dischi sovrapposti, che, verso le 22,00, il tramonto incendia con anelli che sembrano di fuoco.

Ho sempre pensato che i tramonti africani non avessero rivali, mi devo ricredere: un bel tramonto è uno spettacolo magico ovunque lo si osservi.

27 gennaio 2007 In fuoristrada lasciamo El Calafate e la Patagonia argentina per entrare in Cile, precisamente nel Parque Nacional Torres del Paine.

Andiamo ad imboccare nuovamente la RN40, questa volta in direzione sud, attraversando la sconfinata steppa, ora fiorita, qui – dice l’autista – Benetton è proprietario di un milione di ettari di terreno: un’esagerazione che non riusciamo a quantificare.

Avanziamo sulla “caretera austral” per diversi km, poi pieghiamo verso ovest seguendo una pista stretta e sconnessa fino a raggiungere il posto di confine di Cerro Castillo, superata la frontiera proseguiamo fino all’ingresso del Parco (Porteria Sarmento) che ci sorprende da subito per la sua bellezza e abbondanza di guanachi che sembrano attenderci ai bordi della strada.

Per raggiungere il nostro alloggio dobbiamo attraversare tutto il Parco, poco male! Consideriamo questa parte del trasferimento come una piacevole escursione, l’autista è in gamba, fa soste nei punti più spettacolari per permetterci di scattare fotografie declamando i nomi di laghi e fiumi che via via superiamo, attraversiamo, fiancheggiamo.

Avevo letto che questo è uno dei più bei Parchi del Sudamerica, ero, quindi, preparata a qualche cosa di bello, ma la realtà supera di gran lunga le aspettative.

Il Parque Nacional Torres del Paine (Riserva della Biosfera dell’UNESCO) è un dedalo di vie d’acqua, al suo interno sono presenti immensi laghi dalle incredibili sfumature di turchese, ciascun lago è collegato da fiumi che a loro volta si ramificano in canali, nella sua parte centrale si erge maestoso il massiccio montuoso che comprende i Cuernos e le Torri del Paine ben visibile da qualsiasi punto ci si trovi.

Dopo 5 ore totali di viaggio raggiungiamo l’Hosteria Cabañas del Paine, piccolo complesso di edifici in legno, che si affaccia su una splendida ansa del Rio Serrano.

Ci informiamo sulle possibili escursioni scoprendo che per muoversi all’interno del Parco i soli trasferimenti sono molto costosi, questo aspetto condiziona le nostre scelte, siamo costretti ad escludere alcuni spostamenti per gli eccessivi costi, sacrifichiamo, per questa ragione, l’escursione e relativa navigazione sul Lago Grey dove termina l’omonimo ghiacciaio, ci diciamo che, avendo già visto ghiacciai più imponenti ed importanti, forse è più opportuno destinare le nostre “risorse” a cose nuove e diverse.

Stabilito un programma per domani facciamo una lunga e rilassante passeggiata costeggiando il fiume, tra stagni, cavalli e inquietanti, ma nello stesso tempo scenografiche, distese di alberi fossilizzati.

Per la cena, non essendoci alternative, dobbiamo sostare in hotel, non è da “guinness” e neppure a buon mercato, il personale, in compenso, è molto gentile.

E’ sempre dura tirar tardi con giornate tanto lunghe, il nostro organismo non si è ancora adeguato ai ritmi solari, ad una certa ora noi si crolla anche se il sole non è ancora tramontato! 28 gennaio 2007 Come concordato un minibus ci porta a Pudeto, località sul Lago Pehoè, passerà a riprenderci in questo stesso punto in serata.

Prendiamo un catamarano ed attraversiamo il bellissimo lago, sbarchiamo sull’estremità opposta nei pressi di un campeggio che ha tutta l’aria di essere molto frequentato e ben organizzato.

Seguiamo un viottolo che ci regala magnifici scorci sul lago dal colore così bello tanto da sembrare il mare di Sardegna, il sentiero prosegue tra boschi e arbusti fioriti fino ad affacciarsi su un altro piccolo bacino d’acqua e continua in un circuito che può essere percorso in 7/8 giorni campeggiando o bivaccando nei refugios, noi torniamo indietro, riprendiamo il catamarano e da Pudeto imbocchiamo un nuovo sentiero per visitare una diversa zona del Parco, ci avviciniamo dapprima al Salto Grande, bella, ruggente cascata, seguendo il Lago Nordenskiöld, tra “palloni” (cespugli) di fiori gialli ed insenature che, anche se non li ho mai visti, mi fanno pensare ai fiordi norvegesi raggiungiamo un mirador che offre alla vista una superba e ravvicinata panoramica dei Cuernos.

Tornati al luogo d’appuntamento con il minibus, essendo un po’ in anticipo ci sediamo su una staccionata vista lago (Pehoè) stiamo ad osservare i movimenti di una coppia di enormi uccelli che “pascolano” in un campo di fiorelloni di camomilla, il cielo che ha una luce molto particolare ed il catamarano il cui bianco abbagliante spicca sull’acqua blu turchese del lago: che pace e che colori! Durante il tragitto di ritorno sentiamo un insistente miagolio, molto ravvicinato, sembra provenire dall’interno del minibus, ci fermiamo, guardiamo dappertutto, troviamo un micino infilato in una nicchia tra il motore ed una ruota, è spaventatissimo, noi più di lui, cerchiamo di tirarlo fuori, ma è troppo incastrato, l’autista non ha un attrezzo adeguato per smontare quella parte di carrozzeria, bisogna raggiungere la più vicina sede dei guardiaparco. Avanziamo a passo d’uomo preoccupatissimi per la sorte del gattino che chissà come ha fatto ad infilarsi in quel buco.

Tutto è bene quel che finisce bene: il micio è stato salvato e compie il viaggio di ritorno quale ospite d’onore tra carezze e coccole nostre e dell’eroico autista, ragazzo di origine croata di cui non abbiamo mai imparato il nome tanto è impronunciabile.

La cena di questa sera è migliore rispetto alla precedente, il personale è sempre molto attento e gentile, ci conquista letteralmente per aver sottratto (in modo del tutto spontaneo) la nostra razione di dolci dall’ “assalto” al buffet ad opera di un gruppo di turisti israeliani. Molto bravi, bel colpo! Prendiamo poi accordi per l’escursione di domani; approfittando del trasferimento di quattro francesi riusciamo a spuntare un prezzo “umano” e mentre i “cugini d’oltralpe” saranno impegnati in un trekking con guida noi, insieme all’autista, visiteremo altri punti di interesse all’interno del Parco.

29 gennaio 2007 Subito dopo la colazione, ottima e abbondante, si parte per l’escursione concordata, lasciati i francesi e la guida al loro destino (trekking 8 ore A/R base Torri del Paine) raggiungiamo la parte centrale del Parco che ci regala paesaggi con spazi molto ampi, una grandiosa veduta delle tre Torri del Paine e l’incontro con un bell’esemplare di aquila.

Seguendo il corso del Rio Paine raggiungiamo il punto in cui questo precipita in un canyon formando una spettacolare cascata, durante la breve passeggiata il simpatico autista croato, dopo aver narrato la leggenda, ci invita a raccogliere bacche di Calafate che mangiamo con gusto.

Visitiamo la splendida Laguna Amarga sulla quale si specchiano superbe le Torri del Paine, ci fermiamo, in seguito, presso una piccola laguna salata che ospita alcuni fenicotteri. Seguono diverse soste panoramiche, fotografiche e didattiche, infine percorriamo a piedi il “Sentiero per l’osservazione della fauna” che dopo un primo ripido strappo si snoda su un vasto altopiano interamente popolato da guanachi, praticamente ci camminiamo in mezzo, sono tanti e bellissimi. Dopo un paio d’ore abbondanti di cammino il sentiero termina, scendiamo verso il Lago Sarmiento, nei pressi del cancello di ingresso al Parco ci raggiunge il ragazzo croato dal nome impronunciabile, che carino, ci accoglie sorridente offrendoci biscotti, frutta e succhi da bere. La squisitezza delle persone incontrate durante il nostro viaggio è una costante e non finisce mai di stupirci.

Riattraversiamo il Parco, pur rivedendo gli stessi luoghi di due giorni fa sembra tutto diverso grazie alla luce differente che colora diversamente i laghi ed i numerosi corsi d’acqua, per esempio in questo momento soffia il vento ed un lago che due giorni fa aveva la superficie piatta, liscia come l’olio e color azzurro intenso oggi si presenta di un colore più cupo, tendente al verde, con grosse onde spumose che si infrangono su piccoli scogli proprio come fosse il mare. Facciamo molte soste per fotografare e per ammirare scorci di notevole bellezza, infine, soddisfatti, torniamo in hotel.

Otteniamo una stanza più spaziosa e graziosa, un bungalow con una bella veranda, riusciamo così a smettere di rimpiangere il mancato soggiorno presso Hosteria Las Torres (strategicamente situata nella parte più centrale del Parco) che ha tenuto in sospeso la prenotazione per 6 mesi, comunicandoci solo poco prima della partenza di non avere disponibilità.

Durante la cena, molto buona anche stasera, incrociamo la guida che ci da notizia della “debacle” dei francesi: hanno rinunciato al trekking quasi subito! Non siamo indovini, né maghi, ma ci avremmo scommesso, è bastata un’occhiata alle loro scarpette di tela.

Abbiamo il rammarico di non averci provato, purtroppo la posizione decentrata dell’hotel in cui ci troviamo e gli elevati costi dei trasferimenti all’interno del Parco hanno influito sulla scelta delle escursioni, in compenso abbiamo visto zone del Parco e animali che, altrimenti, non saremmo riusciti ad avvicinare, chiudiamo, pertanto, in pareggio e relativamente al trekking ci potremo sempre rifare sulle nostre Dolomiti. Il Parco Torres del Paine si conferma, comunque, una delle più belle tappe del nostro viaggio.

30 gennaio 2007 Oggi si conclude il nostro itinerario attraverso la Patagonia, tra poco lasceremo il Cile per raggiungere l’aeroporto di El Calafate, da lì con un volo di un’ora e un quarto ci sposteremo nella Tierra del Fuego.

Facciamo colazione con comodo, l’appuntamento con un autista per il trasferimento ad El Calafate è alle 9, il volo per Ushuaia è previsto per le 16,50, c’è tutto il tempo per fare ogni cosa con calma.

L’autista arriva puntuale, è un uomo allegro, molto ben disposto alla conversazione, si comincia con i soliti preamboli… di dove sei tu?… Di dove sono io!… Lui è di Puerto Natales, importante crocevia turistico, è proprietario in quella cittadina di una piccola guesthouse, lavora molto durante la breve estate australe (con 17/18 ore di luce al giorno) per il resto dell’anno, quando il flusso turistico si riduce insieme alle ore di luce (max 5/6 al giorno) va in “letargo” con tutta la famiglia.

Noi? è ovvio, siamo italiani, in questa parte del Sudamerica la nostra nazionalità ci privilegia, siamo i Campioni del Mondo, perse le speranze per le proprie Nazionali qui tutti, durante la finale del 9 luglio 2006, hanno tifato per gli Azzurri. Oltre a questo abbiamo cantanti famosi quali Nicola Di Bari, Raffaella Carrà e Gigliola Cinquetti, di cui il “nostro” uomo possiede tutti i dischi… proviamo imbarazzo nel non ricordare neppure una delle tante canzoni di Di Bari, per rinfrescarci la memoria, lui, l’autista, inizia a cantare con una bella voce intonata “Chitarra suona più piano”, poi “La prima cosa bella” innescando così vecchi ricordi, lo seguiamo dapprima timidamente, poi, man mano che ricordiamo i testi, con più vigore.

Apro una parentesi: per me cantare è un evento eccezionale, sono stonata e inibita dalla vergogna, non canto neppure quando sono sola. Quest’uomo però è tanto contagioso da riuscire a sbloccarmi.

Carrellando da Di Bari alla Carrà raggiungiamo il culmine con “Non ho l’età” della Cinquetti.

Passiamo, infine, a cose serie, è la volta dei rispettivi inni nazionali, prima quello cileno, bellissimo e cantato egregiamente, poi il “lamento” di Mameli (povero, nel sentirci si sarà rigirato più volte nella tomba!) dopo di che il gemellaggio Cile/Italia è sancito.

Peccato che il nostro nuovo amico non ci accompagnerà per tutta la durata del trasferimento, alla frontiera ci dobbiamo salutare, lui carica altri turisti e torna indietro, noi proseguiamo con un altro mezzo ed un autista taciturno, che da l’impressione di non conoscere la strada o di essere eccessivamente timoroso nel guidare, avanza anche sui tratti asfaltati ad una “velocità” di 50 km orari, facendoci addirittura temere di non arrivare in tempo in aeroporto.

Ce la facciamo, ma non con tanto margine, vabbè… quel che conta è che ora siamo in volo verso l’estremo Sud, dal finestrino vediamo sfumare la gemma turchese del Lago Argentino incastonata nella steppa color ocra rossa, sorvoliamo la costa lambita dall’Atlantico che ha straordinari colori e trasparenze, passiamo sopra uno spesso strato di nuvole che dirada giusto in prossimità dello Stretto di Magellano, che anche dall’alto appare larghissimo.

Raggiunta l’Isla Grande riconosciamo il Canal de Beagles sulle cui acque sembrano galleggiare piccoli isolotti: anelli rocciosi circondati da alghe che disegnano splendidi arabeschi fluttuanti e si distinguono nitidamente attraverso la trasparenza dell’acqua.

Affacciata sul Canale si scorge la città di Ushuaia con alle spalle belle montagne innevate.

Vedo la pista d’atterraggio che si protende nell’acqua ed avverto forte il senso di “fine del mondo”, durante la virata sull’Isla Navarino (che sta dall’altra parte del Canale dirimpetto ad Ushuaia) e la successiva manovra di abbassamento provo un’emozione molto intensa, non si tratta di paura, non ho timore di volare, non mi agito per una pista che – vista dall’alto – sembra troppo corta, la mia emozione è felice, ma non so spiegarla, è come se fosse scattata improvvisamente una molla, stiamo volando sulle ultime terre, più giù ci sono solo i ghiacci perenni dell’Antartide, non è tanto il saperlo che mi emoziona, è la netta percezione che ho avvertito a fior di pelle a rendermi così raggiante.

Atterriamo qualche minuto dopo e con un breve trasferimento raggiungiamo una zona marginale all’estremità orientale della città, vedendo cataste di containers, enormi capannoni e depositi mi preoccupo un po’ temendo di aver sottovalutato la posizione dell’hotel prenotato, ma, abbandonata la strada principale, un viottolo ed un paio di curve cambiano completamente lo scenario, ci fermiamo ai margini di un bel bosco di lenga.

Tra gli alberi si intravede una deliziosa casetta di legno che sembra la dimora descritta nelle fiabe: è l’Hosteria Los Fuegos.

Facciamo due passi nel bosco, sopra gli alberi vediamo volare alcuni condor, troviamo anche un piccolo fiume che aggiunge maggior valore al sito, la permanenza qui si prospetta molto piacevole.

Ceniamo poi a nanna, domani si va alla scoperta della Fin del Mundo.

Come sempre le cose andrebbero valutate da diverse ottiche e punti di vista, nello specifico gli abitanti di Ushuaia sostengono che qui anziché finire tutto potrebbe esserci “l’inicio de todo”.

Sull’amletico dilemma “fin del mundo?” o “inicio de todo?” calano le ombre del sonno, per quelle della notte siamo messi male, alle 23 c’è ancora luce! (per la cronaca, quest’ultima è solo una battuta, non può che farci piacere di avere a disposizione giornate lunghissime).

31 gennaio 2007 Con una breve corsa in taxi raggiungiamo il centro di Ushuaia, cittadina molto animata, qui le grandi navi da crociera sbarcano ogni giorno centinaia di turisti che si riversano negli eleganti ristoranti, pasticcerie e negozi duty free specializzati, in particolare, in abbigliamento tecnico/sportivo e souvenir.

Daremo libero sfogo alla voglia di shopping nel pomeriggio, per il momento ci limitiamo alla ricerca dell’Ufficio Turistico, di una Banca e della stazione dei minivan. Prendiamo accordi con un conducente che per una cifra modestissima ci porta alla base della seggiovia (Aerosilla) che sale al Glaciar Martial, non particolarmente entusiasmante (dopo i Glaciar Upsala e Perito Moreno, è dura trovare soddisfazione!) in compenso si gode di una bella vista su Ushuaia e sul Canale di Beagle.

Tornati in città visitiamo l’interessante Museo Marittimo, che raccoglie modellini di navi e battelli dell’epoca della colonizzazione oltre a documenti, foto, oggetti che riconducono alla storia fuegina, visitiamo, inoltre, l’adiacente Museo del Presidio, dedicato alla storia della prigione ed ai suoi ospiti più famosi (tra questi Carlos Gardel, il “padre” del Tango).

Dopo la cultura lo shopping reclama il suo spazio, percorriamo la via principale (Avenida San Martin) visitandone i numerosi negozi e locali, quindi Avenida Maipù sul lungomare ammirando i giardini, il porto ed il traffico di imbarcazioni, provando una punta di invidia per chi parte alla volta dell’Antartide.

Per cena scegliamo il ristorante Volver, locale storico che conserva una consistente collezione di oggettistica d’epoca. Per gli appassionati d’antiquariato c’è di che lustrarsi gli occhi! Con un taxi torniamo alla casetta nel bosco e buona nanna.

1 febbraio 2007 Percorrendo la RN 3 che supera belle montagne (molto frequentate durante l’inverno per la pratica di sport invernali) vaste torbiere e castorere giungiamo al Passo Garibaldi (Luis! niente a che vedere con l’eroe dei due mondi) lasciato il minibus imbocchiamo un largo sentiero che attraversa un fitto bosco ed in circa 45 minuti scendiamo al Lago Escondido, piccola laguna senza troppe pretese, in lontananza scorgiamo il più grande Lago Fagnano che raggiungiamo poco dopo.

Il lago è molto bello, la superficie increspata dal vento ed il colore che sfuma dal trasparente al blu scuro ci fanno pensare al mare.

Tuttavia, scoprendo che l’itinerario termina qui proviamo grande delusione. L’Agenzia che organizza questa escursione offre un buon servizio, la guida che ci accompagna è una sportivissima madre di 4 figli, molto competente, attenta e simpatica, ma non riusciamo ad accontentarci ed a sentirci soddisfatti della vista di quest’unico pezzetto di lago sapendo che la sua lunghezza totale è di 110 km. Pazienza, è andata così! Dopo la sosta pranzo in una Estancia, a metà pomeriggio, rientriamo in hotel, pausa di alcune ore, poi, alle 19,15, si parte per una nuova escursione alla ricerca dei castori, mammiferi che, importati dal Canada nel 1946, si sono, qui, ben ambientati e riprodotti a dismisura al punto da costituire una calamità.

Sono animali intelligenti, lavoratori e professionisti dell’ingegneria idraulica, ma il loro elevato numero, l’opera di abbattimento di alberi, la creazione di dighe e la conseguente inondazione dei terreni sta mettendo in pericolo i boschi, problema che gli abitanti fuegini cercano di arginare con varie iniziative tipo la ripiantumazione e creazione di nuove zone boschive e l’abbattimento programmato di un certo numero di castori.

Raggiunto un bel boschetto, si indossano stivali di gomma ed a piccoli gruppi, ciascuno accompagnato da una guida, si attraversa una torbiera dal suolo morbido fino ad arrivare nella zona dove gli “ingegneri” hanno eretto le loro tane: rifugi di forma circolare di legno, fango e pietra costruiti nei bacini d’acqua creati dalle dighe le cui gallerie di ingresso sono esclusivamente subacquee e possono raggiungere la lunghezza di 3 metri.

Purtroppo piove e c’è molto vento, quest’ultimo è la sola condizione che impedisce ai castori di uscire dalle tane, cosa che normalmente avviene verso il crepuscolo.

Attendiamo per molto tempo sotto la pioggia, spostandoci di tanto in tanto da un bacino d’acqua ad un altro, il vento però continua a soffiare, riusciamo a vedere un solo castoro che nuota ed un altro che si arrampica sull’argine terroso per sparire subito dopo.

Due castori non sono un gran “bottino”, siamo comunque soddisfatti per l’emozionante clima surreale, di silenzio e di aspettativa; anche se lo scenario e, soprattutto il meteo, sono differenti proviamo le stesse sensazioni che si avvertono in Africa, quando, all’alba o al tramonto, tutto tace e pare immobile, quando con la paura di far rumore solo respirando si resta in attesa di vedere apparire una macchia o un movimento nella savana, non importa di quale animale, è il passaggio dalla staticità al movimento che fa scattare la scintilla dell’eccitazione.

Tornando ai castori… guardandoci attorno ci rendiamo conto che il loro operare è devastante, sembra sia passato un uragano, ci sono residui di alberi abbattuti e morti ovunque, l’ambiente ha un certo che di spettrale, è difficile credere che, con i soli denti, i castori riescano a rosicchiare la base di un albero fino a farlo cadere. Proviamo un misto di ammirazione per la laboriosità di questi mammiferi e di sconforto nel vedere ampie zone di bosco così devastate.

Continua ad esserci vento e non succede più nulla, dopo lunga e vana attesa la guida, seppur con rincrescimento, ci invita a lasciare il luogo.

Ci rifugiamo al caldo, prodotto da una bella stufa, all’interno di una baita di legno; la guida insieme ad un’amica residente a Buenos Aires, ora in vacanza, si siede al nostro stesso tavolo, trascorriamo il resto della serata conversando piacevolmente e ridendo di gusto come vecchi camerati, se poi aggiungiamo ottimi ed abbondanti stuzzichini, dolci e buon vino il risultato è delizioso. Di nuovo grazie alla simpatia ed alla cordialità degli argentini! 2 febbraio 2007 La pioggia, durante la notte, alle quote più elevate si è tramutata in neve, ci svegliamo con il sole e con lo spettacolo delle montagne spolverate di bianco.

La giornata è ricca di programmi, partiamo, dopo aver fatto colazione, per l’escursione all’interno del Parque Nacional Tierra del Fuego.

Il Parco si affaccia (a sud) sul Canal de Beagle e si estende (a nord) fin oltre il Lago Fagnano su una superficie di 63.000 ettari. La parte visitabile, aperta al pubblico, si limita alla zona meridionale costiera (circa 2.000 ettari) caratterizzata da numerose calette, piccoli promontori, spiagge e scogliere che costituiscono l’habitat ideale per volatili di varie specie e fauna marina. Allontanandosi dalla costa si trovano piante caratteristiche del bosco sub-antartico che crescono spontaneamente e si sviluppano, alla ricerca della luce, soprattutto in altezza.

La varietà degli alberi si riduce a tre sole specie: lenga, ñire e coihue magellanico.

Visitiamo la prima porzione del Parco a bordo dei vagoni del Tren Fin del Mundo, pittoresco trenino turistico che segue parte del tracciato dei binari dell’antica ferrovia della colonia penale.

Tra sbuffi di vapore e fischi attraversiamo una bella vallata verde dove scorre il Rio Pipo.

Prima fermata alla Estacion Cascada la Macarena; considerata la faticosa e ripida scalinata che raggiunge la sommità della “cascata” riteniamo che la definizione, associata al rigagnolo d’acqua che compare davanti ai nostri occhi, sia un po’ esagerata, diciamo che il panorama sottostante è interessante e che tenersi in moto fa bene così riusciamo a dare un senso alla fatica.

Il trenino avanza tra distese verdeggianti, boschi, torbiere, torrenti e zone con alberi tagliati (all’epoca dei lavori per la costruzione del carcere) e morti, ma ancora intatti, qui il processo di decomposizione (grazie ai forti venti ed al clima particolarmente secco) è lentissimo, può durare centinaia di anni.

Terminato il tragitto ferroviario, raggiungiamo la suggestiva Bahia Ensenada che, affacciata sul Canal de Beagle, regala un’incantevole vista sulle isole ed isolotti disseminati qua e là.

In questo luogo remoto ha sede un piccolissimo ufficio postale che applica sulle cartoline e, volendo, anche sui passaporti un simpatico timbro che “certifica” il passaggio dalla Fin del Mundo. Consegniamo al “postino” le nostre cartoline (incrociando le dita) per quanto riguarda la timbratura del passaporto preferiamo tenere le pagine libere e disponibili per futuri viaggi.

Nota di merito all’ufficio postale: le cartoline sono state regolarmente ricevute dai destinatari ed il bel timbrone applicato è stato molto apprezzato.

Il giro prosegue con la sosta al bellissimo e verdissimo Lago Roca che raggiungiamo camminando attraverso un esteso spiazzo erboso popolato da numerosi conigli selvatici.

Ultima sosta nei pressi del segnale che indica la fine della RN3, strada che ha inizio a Buenos Aires esattamente 3.063 km più a nord.

Parentesi: la RN3 in realtà è più lunga, ma gli argentini, noti per lo smisurato campanilismo che li contraddistingue, hanno detratto dal conteggio totale i km che la strada attraversa in territorio cileno.

Dal cartello, camminando in leggera salita all’interno di un bosco, giungiamo ad affacciarci sulla spettacolare Bahia Lapataia, seguendo una serie di passerelle ci avviciniamo all’incantevole insenatura che ammiriamo deliziati e con queste suggestive immagini termina il percorso all’interno del Parco.

Apro una parentesi per ricordare un episodio molto singolare: in coda alla biglietteria del Tren Fin del Mundo, tra centinaia di altri turisti, conosciamo una coppia di italiani, fino a qui nulla di straordinario, siamo un popolo di viaggiatori, è facile incontrare connazionali ovunque nel mondo, ma conversando con Cinzia e Fabio sulle rispettive provenienze il campo si restringe sempre di più… dapprima, genericamente, siamo tutti milanesi, poi residenti nei dintorni di Monza ed infine scopriamo di abitare nello stesso piccolo paese che all’anagrafe conta circa 3.500 anime e, non solo, le nostre abitazioni distano poco più di un chilometro l’una dall’altra. Dopo lo stupore iniziale, ridiamo divertiti del fatto di non esserci mai incontrati a casa nel raggio di un chilometro e di esserci, invece, conosciuti a ben 13.500 km di distanza.

Questo evento sarà, con tutta probabilità, riportato anche sul giornaletto periodico pubblicato dal nostro Comune di residenza.

Naturalmente, a viaggio concluso, ci siamo rivisti trascorrendo una piacevole serata/nottata all’insegna dei ricordi sull’Argentina e della visualizzazione di centinaia di fotografie.

Tornati in città facciamo un veloce spuntino, poi ci imbarchiamo su un catamarano per la navigazione sul Canal de Beagle.

Il termine “canale” suona riduttivo per questo tratto di mare che, con i suoi 120 km di lunghezza, unisce l’Atlantico al Pacifico e separa, con la sua larghezza di 4 km, le grandi isole settentrionali della Terra del Fuoco da quelle più piccole e meridionali che costituiscono l’ultimo lembo di terra prima dell’Antartide.

L’ampia baia di Ushuaia vista dal mare è uno spettacolo unico, non avevo mai visto prima d’ora mare e montagne innevate nello stesso contesto, la visione di questa “cartolina” rafforza la sensazione di fine del mondo.

La giornata continua ad essere abbastanza soleggiata, il vento però è forte, ciò nonostante durante la navigazione sostiamo sul ponte facendoci subito catturare dal paesaggio e dal colore blu intenso e profondo del mare.

Il catamarano si avvicina a diversi isolotti regalandoci suggestive scene da documentario: alcuni isolotti sono letteralmente ricoperti da “eserciti” di cormorani, altri ospitano colonie di leoni marini ed otarie, altri ancora sono imbiancati dal guano, è un susseguirsi di immagini straordinarie accompagnate da suoni, odori e dal continuo alzarsi in volo di enormi stormi di questa o quella specie di volatili.

E’ davvero difficile rendere, a parole, l’esatta proporzione della grandezza e bellezza che la natura sa regalare, è una continua esibizione spontanea e gratuita a disposizione di chiunque, senza termini e condizioni. Provo un dolore acuto pensando che, grazie al comportamento sconsiderato dell’unico “animale” (l’uomo) dotato della parola e di una forma di intelligenza superiore a qualsiasi altra, tutto questo potrebbe un giorno (pare neppure troppo lontano) finire.

Fa ancora più male pensare che proprio qui, su queste terre quasi disabitate, prive di inquinamento, dalla bellezza esagerata si sia aperto il “famoso” buco nello strato di ozono che riveste la superficie terrestre.

Mi sono permessa questa “divagazione” non per eccessiva negatività o perché non sappia godere di un bel momento o paesaggio, bensì per indurre chi avrà la pazienza di arrivare in fondo alla lettura di questo lungo resoconto ad una riflessione sulla bellezza e generosità della natura e l’importanza del rispetto di essa da parte di ciascuno di noi.

La navigazione prosegue fino a doppiare il solitario Faro Les Eclaireurs, che segna l’ingresso nel porto di Ushuaia, si torna poi lentamente verso il punto di partenza.

L’ultimo affascinante spettacolo cui assistiamo ci è offerto da un “isolotto” di colore bianco, avvicinandoci ci rendiamo conto che non si tratta di terra, ma di migliaia di gabbiani che, compatti tanto da sembrare un’isola, stanno probabilmente banchettando a pelo d’acqua alle spese di un enorme banco di pesci, mi si fanno gli occhi lucidi dall’emozione quando l’intera massa bianca spicca il volo.

A questo punto è poco naturalistico e per nulla romantico parlare di shopping, ma sono le nostre ultime ore di permanenza nella città “tax free” quindi “ora? o mai più?”, inutile dirlo “ora!” facciamo così scorta di abbigliamento tecnico e sportivo di ottima qualità senza “svenarci”.

Ceniamo presso la Cantina Fueguina, ristorante rinomato per la centolla (grosso granchio) al naturale, specialità locale servita intera accompagnata da squisite salsine e verdure. Superba! Con un taxi torniamo, per l’ultima volta, alla casina nel bosco, lottiamo un po’ per chiudere i bagagli e – da non credere – riusciamo a far tardi andando a dormire col buio.

3 febbraio 2007 Lasciamo l’estremo sud dell’Argentina per trasferirci 4.000 km più a nord nella Provincia di Misiones.

Partiamo da Ushuaia alle 9 del mattino e tra il ritardo di un volo, una sosta prolungata durante uno scalo intermedio ed uno scalo fuori programma raggiungiamo Puerto Iguazu verso le 19, il lungo viaggio ed il nervosismo ci hanno stroncato, questo, tuttavia, non ci impedisce di apprezzare i colori (verde la foresta, rossa la terra) e la temperatura estiva.

Rimandiamo a domani qualsiasi iniziativa, per questa sera quel che occorre è una buona cena ed una profonda dormita, in hotel c’è tutto quel che occorre, quindi doccia, abiti leggeri e relax fino all’ora di andare a nanna.

4 febbraio 2007 Ci troviamo nella zona delle Cataratas del Iguazù: I (acqua) Guazù (grande) nella lingua indigena guaranì.

Iniziamo dal lato argentino. Entrati nel Parque Nacional Iguazù imbocchiamo il Sentiero Verde che per 600 m attraversa la fittissima foresta sub-tropicale e termina in prossimità della stazione del Tren Ecologico della Selva, il trenino costeggia il Rio Iguazù per alcuni km e raggiunge la Estacion Garganta del Diablo, da qui parte una passerella lunga 1,2 km che, scavalcando il fiume, permette di arrivare proprio a pochi passi dalla gigantesca ed impressionante Garganta del Diablo (gola del diavolo) senza dubbio il punto più spettacolare e scenografico delle Cataratas, lo spettacolo è inimmaginabile, la massa d’acqua che precipita nella gola sottostante con un salto di 80 metri ha una potenza enorme, solleva grandi nuvole di vapore che ci bagnano completamente, siamo costretti a rinunciare alle fotografie, ma sostiamo a lungo ad ammirarne la forza storditi dal rumore assordante e dal precipitare ininterrotto di un muro d’acqua che genera un senso di vertigine, a momenti pare che l’acqua anziché precipitare vada in senso opposto cioè in salita, proviamo l’incredibile ebbrezza di sentirci “dentro” la cascata. Che fantastica esperienza! Ripreso il trenino, torniamo alla Estacion Cataratas, da qui partono due circuiti che rendono possibile l’avvicinamento ad altri importanti salti e di averne una visione da prospettive diverse.

Percorriamo prima il Paseo Superior, serie di passerelle che consentono di raggiungere terrazze panoramiche strategicamente collocate sopra o di fronte a diversi salti, quindi il Paseo Inferior, ripida scalinata che scende quasi a livello del fiume cui segue un percorso su passerelle che offre l’opportunità di ammirare le cascate dal basso.

E’ difficile descrivere ogni singola cascata, credo che neppure le foto riusciranno a rendere giustizia ad un simile spettacolo, sono favolose e da vedere! Raggiungiamo la riva del fiume ed il piccolo pontile, posto di fronte all’Isla San Martin, da cui inizia l’escursione in gommone dal nome che la dice tutta “Gran Aventura Nautica”.

Fa molto caldo, ci mettiamo in fila in paziente attesa, indossiamo i giubbotti salvagente che cacciano ancora più caldo, proviamo invidia nei confronti di chi, bagnato fradicio, ha appena terminato la navigazione ed ha tutta l’aria di essersi parecchio divertito, non vediamo l’ora di darci una rinfrescata. Arriva finalmente il nostro turno, nel frattempo s’è messo a piovere, saliamo a bordo del gommone, si parte, aggirando sul lato destro l’Isla San Martin, con un primo avvicinamento al salto San Martin, secondo solo alla Garganta del diablo, sostiamo qualche minuto per ammirarne bellezza e potenza poi il gommone si allontana spostandosi sull’altro lato dell’isola, facciamo la prima “doccia” sotto una cascata minore, è bellissimo, l’acqua, che non è affatto fredda, si insinua dappertutto infradiciandoci completamente, senza avere il tempo di riprenderci altra lavata sotto un secondo salto, l’eccitazione è al massimo ed è contagiosa, tutti ridiamo e gridiamo per sottolineare l’apprezzamento.

Dopo le “finte” si fa seriamente, il timoniere si dirige nuovamente in prossimità della cascata San Martin, qualche secondo di attesa e poi sotto a tutto gas… che botta! l’acqua è proprio “spessa”, manca il fiato, ma è stupendo, tanto ci è piaciuto che all’unanimità chiediamo il bis e di nuovo sotto.

Ancora qualche minuto di osservazione, un’ultima incursione sotto un salto meno impetuoso, poi si sfreccia per alcuni chilometri lungo il corso del Rio Iguazù con virate a pelo d’acqua ora a destra ora a sinistra.

Presi dalle cascate e da tutto il resto non ci eravamo resi conto che l’intensità della pioggia è aumentata, lo realizziamo solo ora sentendo le gocce che sulla pelle sono vere e proprie staffilate. La nostra euforia si mantiene ad un livello molto elevato, ridiamo anche per l’acquazzone… tanto più bagnati di così! Il fiume è bordeggiato, da ambo i lati, da foresta molto fitta, alla nostra destra c’è il Brasile, a sinistra l’Argentina, le linee di confine invisibili mi procurano sempre una certa emozione.

Dopo le ultime acrobazie del timoniere si sbarca, ma l’avventura non è finita… ci aspetta una lunga scalinata in salita ed il tragitto per una buona mezz’ora sul cassone di un camion scoperto che, attraversando la foresta, ci riporterà al punto di partenza.

Veniamo investiti da un violento nubifragio tropicale, la guida protetta da una robusta mantella gialla comincia a raccontare di flora e fauna locali e continua imperterrita sino a fine corsa, siamo però troppo fradici e, dopo pochi minuti, anche infreddoliti per riuscire a seguire la “lezione”, con il passare del tempo proviamo, anzi, il desiderio di zittirla. Di tutto quel che ha raccontato c’è una sola cosa che ci resta molto ben impressa: quest’area sub-tropicale, in un anno, riceve circa 2.000 mm (Sissignori 2 metri!) di pioggia, considerato il mezzo metro che ci è caduto sulla testa in due soli giorni non abbiamo motivo di dubitarne! Raggiunto l’hotel, una doccia calda ed abiti asciutti ci fanno sorridere della “Gran Aventura”.

La stanza sembra un campo di battaglia, abbiamo teso una corda e steso tutto ad asciugare, zaini compresi.

5 febbraio 2007 La giornata inizia con un alternarsi di piogge e schiarite, abbiamo la necessità di cambiare un po’ di soldi, decidiamo di sfidare la pioggia ed in taxi raggiungiamo il centro di Puerto Iguazù, sbrigate le operazioni di cambio, visitiamo il luogo simbolo della cittadina chiamato Hito Argentino de las Tres Fronteras dove il Rio Iguazù confluisce nel Rio Paranà segnando il confine naturale tra Argentina, Brasile e Paraguay.

La curiosità di questo sito è che ciascuno Stato ha eretto un piccolo obelisco con i colori della propria bandiera e che tutti e tre gli obelischi sono perfettamente visibili da questo punto panoramico, proviamo un po’ di emozione nel vedere contemporaneamente 3 importanti Paesi.

Con un bus torniamo in centro, facciamo acquisti di graziosi oggetti di artigianato in legno, infine, in un negozio di articoli per pescatori, troviamo due robuste mantelle antipioggia con cappuccio e visiera, ha smesso di piovere, ma dovendo sostare nei dintorni per altri 4 giorni e memori del livello di precipitazioni annue non ci pensiamo due volte: le acquistiamo.

Con un taxi facciamo ritorno in hotel, recuperato lo zaino con il necessario per due giorni siamo pronti per il trasferimento nel cuore della Selva Misionera.

La strada passa attraverso tratti di foresta alternati a campi coltivati, attraverso il finestrino del bus vediamo scorrere piantagioni di manioca, Mate, tabacco, tè e villaggi di poche casette, la terra è rossa, superiamo diversi corsi d’acqua ed un grande bacino lacustre formato da una possente diga, dopo circa un paio d’ore di strada asfaltata ci fermiamo e cambiamo mezzo di trasporto, ci trasferiamo sulle panche del cassone di un vecchio camion militare ricolorato a tinte vivaci e, ora, adibito al trasporto di turisti.

Prendiamo una pista sterrata che, tra il verde delle piantagioni, si snoda in un lungo nastro color mattone, superati piccoli villaggi ci inoltriamo nella foresta sempre più fitta fino ad arrivare, dopo circa un’ora, allo Yacutinga lodge che dall’esterno è poco visibile. I piccoli edifici di cui è composto sono interamente ricoperti dalla vegetazione che conferisce a tutto l’insieme un aspetto selvaggio.

Ci sentiamo subito a “casa”, intorno a noi solo foresta lussureggiante con i mille suoni e richiami di insetti, uccelli e animali che la popolano.

Prendiamo possesso del bungalow assegnato, è molto spazioso e arioso, ha finestre su tre lati aperte sulla foresta, ha inoltre una spaziosa veranda dalla forma di voliera protetta solo da zanzariere, si ha così l’opportunità di apprezzare la Selva con i suoi svariati movimenti, suoni e odori al riparo da insetti e quant’altro.

Gli arredi di Yacutinga ci riportano all’infanzia, i tavoli sono ricavati da enormi dischi di tronchi d’albero, gli appendiabiti da grossi rami, contorte radici fanno da base a qualsiasi piano, per la realizzazione di alcune pareti vetrate, anziché le classiche mattonelle di vetrocemento, sono state utilizzate bottiglie di vetro spesso con l’accortezza di abbinarne i colori (alcune pareti vetrate sono di colore bianco trasparente, altre gialle, altre ancora verdi…) tutto l’insieme, oltre ad essere molto originale, ci fa sentire tanto Fred & Wilma dei cartoni degli Antenati.

Andiamo ad “esplorare” gli esterni, scoprendo che volendo fare un tuffo rinfrescante c’è una piccola piscina, troviamo amache appese agli alberi, piante e fiori sconosciuti di dimensioni esagerate. Facciamo amicizia con una specie di rettile che non riusciamo a classificare come iguana e neppure come varano.

Attratti da una torretta di osservazione ci saliamo, raggiunta la piattaforma troviamo un lungo ponte di corde sospeso che ci permette di passeggiare tra le cime degli alberi. Ho un debole per i ponti in generale, in particolare ho un’autentica passione per i ponti di questo tipo, trovarne uno qui, inaspettatamente, è fonte di immensa gioia, lo percorro più volte scrutando sotto e tra i rami meravigliata dalle dimensioni della vegetazione ed alla ricerca di eventuali “ospiti”. Dovrebbero essere presenti scimmie cappuccino e tucani oltre a diversi altri uccelli… speriamo di vederli! Lasciamo il ponte e la torretta per il briefing con le guide, il luogo d’incontro è fissato sotto un ampio padiglione circolare attrezzato con panche di legno ed un grande braciere al centro del quale è stato acceso un bel fuoco che aggiunge caldo al caldo, ma che noi apprezziamo molto perché ci ricorda tante serate africane.

In totale siamo 16 ospiti, le guide descrivono le attività in programma per domani, alcuni particolarmente “sportivi” rinunciano, dopo di che ci suddividono in due gruppi, 6 di noi faranno l’escursione in barca la mattina ed un trekking nella foresta il pomeriggio, gli altri 6 le stesse attività in ordine inverso.

Le chiacchiere attorno al fuoco proseguono fino all’ora di cena.

Per i pasti si utilizzano ingredienti coltivati qui, o acquistati presso i vicini villaggi, che elaborati dalle mani di un cuoco creativo e di ottima scuola si tramutano in piccole opere d’arte dai sapori ottimi.

Dopo la squisita cena ed un po’ di conversazione con gli altri ospiti, pienamente soddisfatti di trovarci in questo luogo, ci ritiriamo nel bungalow e ci addormentiamo con il sottofondo dei suoni provenienti dalla foresta.

6 febbraio 2007 La nostra giornata inizia alle 5,45, come avviene in Africa anche qui la sveglia consiste in una energica bussata alla porta, veloci ci vestiamo, facciamo colazione e, prima di partire per l’escursione, passiamo da una casupola dove, in fila ordinata, troviamo stivali di gomma che si rivelano utilissimi per camminare nel fango.

Ci accompagnano un indigeno guaranì e Mary, studentessa di Buenos Aires presso una scuola con indirizzo turistico ecologico attualmente “residente” qui allo scopo di compiere un tirocinio della durata di alcuni mesi.

Prendiamo un sentiero camminando fino a raggiungere il Rio San Francisco, saliamo su un gommone, Mary ed il guaranì remano seguendo la corrente, noi osserviamo la vegetazione che bordeggia il fiume attenti a cogliere anche il più piccolo movimento.

Con i primi raggi di sole, dal fiume l’umidità sale in forma di nebbiolina, avanziamo in uno scenario quasi irreale in assoluto silenzio prestando attenzione ai suoni provenienti dalla foresta ed alla voce sommessa di Mary che indica uccelli e racconta, con molta competenza, a quale specie appartengono, le abitudini e così via.

Il Rio San Francisco è un affluente del più grande Rio Iguazù nel quale sfociamo tempo dopo e percorriamo per qualche chilometro semplicemente seguendone la corrente, molto suggestivo l’effetto delle nuvolette bianche che si specchiano sulla calma superficie d’acqua, rigogliosa la vegetazione sulla sponda che stiamo costeggiando, sull’altra riva anche se il paesaggio è lo stesso si affaccia il Brasile.

Sbarcati dal gommone ci arrampichiamo un po’ a fatica sull’argine fangoso, ci inoltriamo poi nella foresta molto fitta dove la bravissima Mary ci mostra ben 5 diverse specie di bambù, ci descrive le caratteristiche di piante, fiori, insetti, ci invita ad assaggiare bacche, frutti mai visti e radici.

La camminata è lunga, caldo, umidità e zanzare ci tormentano, ma le spiegazioni di Mary sono tanto interessanti da far passare in secondo piano i piccoli disagi. Arriviamo al lodge accaldati e piuttosto infangati, ma molto soddisfatti per la piacevole escursione, peccato si siano visti solo pochi uccelli e ragni giganti… per l’avvistamento di altri animali contiamo di rifarci nel pomeriggio.

Il attesa dell’ora di pranzo raggiungiamo la torretta ed il ponte sospeso, scrutiamo tra gli alberi stando in totale silenzio nella speranza di vedere tucani o scimmie: niente da fare! Anche questa “spedizione” va buca.

Andiamo a consolarci con i manicaretti confezionati dal cuoco che, anche oggi, ci sorprende per la sua abilità.

Prima del trekking pomeridiano abbiamo un paio d’ore libere che decidiamo di non impegnare, ci rifugiamo nel bungalow arioso con l’intenzione di leggere, ma la stanchezza ha il sopravvento e ci addormentiamo. Tempo dopo veniamo svegliati di soprassalto dai rumori del vento e della pioggia scrosciante, sulle prime la cosa non ci preoccupa, manca ancora diverso tempo all’appuntamento con Mary ed il gruppo, potrebbe smettere nel giro di poco, ma le nostre personali previsioni meteorologiche sono tanto ottimistiche e poco reali. Piove a dirotto per diverse ore e così forte che è impensabile uscire. Dopo aver atteso a lungo in veranda, con una candela accesa (solo per far luce! non è il caso di smuovere i Santi per un acquazzone) senza risultato, decidiamo di dormirci su (non c’è corrente ed è impossibile leggere) e pazienza per l’escursione ormai persa! Smette poco prima dell’ora di cena, passiamo in zona fuoco a darci una scaldatina poi onoriamo lo chef che questa sera presenta pollo in salsa di clorofilla, curiosissimo da vedersi con quella glassa color azzurro/verde e dal sapore delizioso.

Fatte due chiacchiere in “società” si va di nuovo a nanna con la speranza che non piova, anche le guide sono preoccupate per lo stato della pista che domani dovremo percorrere a ritroso per rientrare a Puerto Iguazù.

7 febbraio 2007 Il tempo è splendido, facciamo colazione, chiudiamo lo zaino, ritentiamo la fortuna con un ultimo giro sul ponte sempre senza vedere il becco di un tucano, oggi non si incontrano neppure le iguane/varano… ma dove vi siete cacciati tutti? Spero di vedere almeno un serpente, ne ho una paura tremenda, ma non voglio arrendermi a lasciare questo luogo perfetto senza aver visto animali “esotici”.

Devo, invece, rassegnarmi! Il camion è pronto, salutiamo le simpatiche persone che lavorano a Yacutinga. Per la “cerimonia” d’addio il fantastico cuoco ha sfornato empanadas di verdure ed empanadas di carne, un ultimo brindisi con Mate freddo e via si parte lungo la pista rossa che, nonostante, la pioggia, non è tanto malmessa e ci consente di procedere ad andatura media. In meno di tre ore raggiungiamo l’hotel di Puerto Iguazù.

Approfitto del clima caldo e soleggiato per fare l’ultimo bucato, poi esamino la guida per capire come impegnare il resto del pomeriggio.

Decidiamo di fare due passi qui attorno e di visitare La Aripuca, colossale struttura costruita con i tronchi giganteschi di ben 30 alberi diversi che riproduce una piccola trappola per uccelli un tempo usata dai guaranì.

Gli alberi utilizzati per la costruzione di questo eco-simbolo sono tutti caduti per cause naturali e recuperati allo scopo di sensibilizzare i visitatori sull’importanza della conservazione della Selva Misionera. Volendo, qui, è possibile aderire al programma di adozione a distanza di alberi.

All’interno del Centro La Aripuca trovano spazio anche diverse esposizioni e bottegucce di artigiani locali che propongono begli oggetti in legno. Al termine della visita ci concediamo un gelatone al gusto di Yerba Mate.

Tornati in albergo c’è ancora una cosa che possiamo fare: la proprietà include un pezzo di foresta all’interno della quale è stato creato un percorso salute lungo un paio di chilometri, percorriamo il sentiero osservando le diverse specie di alberi e piante, vediamo moltissime farfalle grandi e colorate e fameliche zanzare che teniamo a bada con una rapida e generosa spruzzata di repellente.

Fatta anche questa, decidiamo di abbandonare i panni sudaticci da “esploratore” e di fare, per una volta, i turisti modello villaggio all inclusive, vale a dire asciugamano, lettino, idromassaggio, piscina ed anche una mezz’ora di acquagym… niente male! soprattutto la sguazzata in piscina.

Segue cena presso il fornitissimo buffet, quattro chiacchiere seduti al bar della piscina e poi a dormire contenti, domani si varca la frontiera brasiliana.

8 febbraio 2007 Con le Cataratas abbiamo un “credito”: la visita dal lato argentino è stata “bagnata”, per pareggiare i conti l’escursione dal lato brasiliano è all’insegna di una magnifica giornata soleggiata.

Entriamo in Brasile senza difficoltà, superata la frontiera percorriamo alcuni chilometri e raggiungiamo l’ingresso del Parque Nacional do Iguaçu.

Le Cataratas hanno un fronte di 2,6 km, all’incirca 170 salti e si sviluppano per 2 km sul lato argentino, per 0,6 km su quello brasiliano, la Garganta del Diablo (il salto più spettacolare) sta a cavallo di due parchi: P.N. Iguazù in Argentina e P.N. Do Iguaçu in Brasile.

Sul versante argentino si vedono i vari salti da molto vicino, sopra e dal basso, naturalmente lo spettacolo è straordinario, ma non si riesce ad avere un’idea complessiva della disposizione e dello sviluppo del fronte delle cascate.

Da dove ci troviamo ora la visione è superba, siamo esattamente di fronte alle Cataratas, sull’altra sponda del Rio Iguazù, ne vediamo l’intero fronte riconoscendo i salti cui ci siamo avvicinati giorni fa e ne ammiriamo di nuovi.

Una visita alle Cataratas del Iguazù non può dirsi completa se non le si vede da entrambi i lati.

All’interno del Parco brasiliano ci si muove a bordo di coloratissimi bus a due piani scoperti, si segue poi un percorso su passerelle che termina alla Garganta del Diablo, una serie di terrazze sapientemente collocate alla base ed al culmine della cascata (che si raggiunge con un ascensore) offrono visioni da lasciare senza fiato, non ci sono davvero parole che possano descrivere degnamente una simile meraviglia, l’ho già detto e lo ripeto con convinzione… assolutamente da vedere! Per concludere il “capitolo” Cataratas facciamo un volo panoramico in elicottero, anche la vista dall’alto non è uno scherzo, impressionante la voragine che si spalanca improvvisamente nel terreno, il “fumo bianco” sopra la Garganta del diablo e l’immensa foresta interrotta solamente dal nastro rossiccio del Rio Iguazù.

Lasciato il Parco ed il Brasile ci dirigiamo in aeroporto per prendere il volo delle 17 che ci riporta a Buenos Aires.

Ormai siamo agli sgoccioli, questa è la nostra ultima serata in terra argentina, decidiamo di passarla a Puerto Madero, dopo aver scelto a caso un ristorante facciamo il pieno di luci e colori passeggiando lungo le darsene, infine con un po’ di malinconia rientriamo in albergo.

9 febbraio 2007 Il volo per Roma parte questa sera alle 23,30, dedichiamo buona parte della giornata al Barrio San Telmo, quartiere ricco di botteghe di antiquari e rigattieri, la nostra passione! Le ore passano veloci tra banconi e scaffali impolverati stracolmi di oggetti curiosi e d’altri tempi e tra divertenti contrattazioni con simpatici venditori che si risolvono in acquisti, saluti, baci e abbracci (Si, proprio così… baci e abbracci!) A metà pomeriggio siamo carichi di borse e pacchetti, soddisfatti degli acquisti e decisamente affamati. Fortunatamente a Buenos Aires si mangia a qualsiasi ora e non è un problema, alle 15, trovare un localetto per una sosta pranzo.

Da San Telmo, a piedi, quadra dopo quadra, piazza dopo piazza, passando per il Palacio del Congreso, raggiungiamo Abasto, il vecchio mercato alimentare ora trasformato in moderno centro commerciale che, al suo interno, ospita, oltre a negozi, bar e ristoranti, un intero piano dedicato al divertimento dei bambini con tanto di ruota panoramica.

Camminiamo per l’ultima ora ancora ininterrottamente cercando di memorizzare i dettagli di questa immensa città che avrebbe ancora tante cose da mostrarci, ma il nostro tempo è scaduto, dobbiamo tornare in hotel, recuperare i bagagli e, da lì, dirigerci all’aeroporto internazionale.

Il volo di rientro è lunghissimo, snervante, scomodo, ma questo dettaglio non farà parte del nostro bagaglio di ricordi, passata la stanchezza quest’ultimo “capitolo” sarà presto dimenticato.

In attesa che le bacche del Calafate facciano il loro effetto archiviamo nel cuore e nella mente l’esperienza vissuta in Argentina… GRANDE Paese in tutti i sensi!



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