Giappone, a zonzo per Honshu, tra futuro e tesori del passato

Un assaggio di un futuro fantascientifico a Tokyo, per poi passeggiare in un medioevo orientale da favola. Un viaggio meraviglioso che...
Scritto da: Franz_Zena
giappone, a zonzo per honshu, tra futuro e tesori del passato
Partenza il: 05/08/2009
Ritorno il: 20/08/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Giappone, a zonzo per Honshu, tra futuro e tesori del passato.

Durata Viaggio: 15 Giorni

Prezzo: 1500 Euro circa a persona

Il viaggio che mi appresto a raccontare si è svolto nel 2009, ma come è successo con altri diari, riesco a pubblicarlo solo ora. Il diario narra del viaggio organizzato da me e Lula nell’isola di Honshu, in Giappone.

Mettere il principio all’inizio

Erano i primi giorni dell’estate 2009. Si trattava di una giornata come tante nel mio ufficio. Lavori lunghi mesi mi avevano portato ad avere pinnacoli traballanti di faldoni sulla scrivania e la poca luce che filtrava dalla finestra sul centro storico genovese, creava strani giochi di ombre e riflessi sul mio monitor. A tratti guardando il mio riflesso circondato dai faldoni ai lati del monitor mi sembrava di scorgere un animale preistorico nella sua tana…un animale preistorico molto annoiato! Il mio ufficio, un ambiente che stava perdendo i colori per trasformarsi in una immagine in sbiaditi toni di grigio, e poi quel ronzio ipnotico del ventilatore ed il brusio dei colleghi a tratti intervallato da sbuffi ed imprecazioni per il caldo che veniva dalla finestra aperta… Ciò nonostante, mio spirito era altrove: pensavo ancora alla Cambogia ed alle emozioni che mi aveva regalato, un tepore che mi pulsava nell’anima. Chissà, magari quest’anno avrei organizzato un viaggio in Birmania, anche se le ferie sembravano essere lontanissime.

Poi, in un attimo c’è stata una mano che ha svoltato la pagina di quel giorno, riportando vita e colori.

Improvvisamente il mio telefono ha iniziato a squillare come un pazzo e sul display è apparso il nome “Lula”. Così, scappando con uno stile e destrezza che ricordava molto Gatto Silvestro, ho guadagnato l’uscita dell’ufficio ed ho risposto.

Dall’altra parte c’era Lula che con voce eccitata mi diceva di aver trovato un’offerta incredibile della JAL (Japan Air Lines) per voli diretti Milano-Tokyo che offrivano nel prezzo anche una settimana di viaggi illimitati col treno (Japan Rail Pass). Era un’occasione imperdibile e le ho detto di prenotare subito ed io mi sarei inventato una scusa per prendere quei quindici giorni di ferie.

Grazie alle guide Lonely Planet, Rough Guide, il bellissimo libro “Autostop con Buddha” e con l’aiuto sia di internet che di una nostra amica Giapponese, siamo riusciti a pianificare un viaggio nel Giappone centrale. Ed ecco che inizia il nostro diario di viaggio! Buona lettura!

Partenza Milano-Tokyo Asakusa dove le “U” fanno la differenza

Siamo partiti da Milano Malpensa che era il 5 Agosto 2009. Per la precisione, erano le 21.45 e ci avrebbero aspettato una decina di ore di volo. Il nostro aereo ha sorvolato la Russia nella notte e la Siberia orientale quando era già illuminata dal sole: quell’area mostrava lussureggianti foreste e fiumi impetuosi; una terra lontana dove, stranamente, non si vedeva traccia dell’uomo, o quasi. Io e Lula ci siamo fermati a scrutare il panorama da un finestrino e siamo rimasi incantati da quella terra selvaggia. Che voglia di avventura che avevamo! L’adrenalina iniziava a scorrerci nelle vene ricordandoci che eravamo all’inizio di un viaggio, a poche ore da una nazione, o meglio, da un mondo che aspettava di essere esplorato.

Siamo atterrati a Tokyo Narita alle ore 16.35 e dopo la veloce procedura per il visto di ingresso, siamo stati ammessi nella terra del Sol Levante.

Mentre preparavamo il viaggio avevamo pensato se fosse stato meglio prendere un Taxi o un treno per il centro, ma dato che i treni Giapponesi godono di una fama di precisione leggendaria, abbiamo optato per questa opzione. Mi sono diretto ad un banco di una delle tante linee ferroviarie ed ho chiesto un biglietto per Tokyo-Asakusa, pronunciata com’è scritto. La ragazza ha sgranato gli occhi allungati e sorridente ci ha dato due minuscoli biglietti, dopo di che, dicendo qualcosa in giapponese, ha indicato una direzione che noi prontamente abbiamo seguito. Attraverso una moltitudine di persone, abbiamo trovato l’accesso ad una linea ferroviaria. Mi sono avvicinato ad una ragazza in uniforme e le ho chiesto se era il treno per Asakusa e lei sorridendo mi ha risposto “Yes” inchinandosi leggermente in avanti. Così io e Lula siamo saliti sul treno ed abbiamo lasciato l’aeroporto. Subito si è scatenato un temporale e mentre guardavamo il paesaggio di case basse, strade bagnate e campi che ondeggiavano nel vento, siamo stati richiamati alla realtà dal controllore che ci ha fatto capire che eravamo sul treno sbagliato; ma lui non capiva mezza parola di inglese ad eccezione del vocabolo “Train” ed io non sapevo una parola di Giapponese ad eccezione del vocabolo “Sushi”. Dopo mille e mille tentativi di comunicare ed una multa per integrare il biglietto, disperato, ci ha indicato sulla cartina la stazione di Ueno, a Tokyo e qui siamo scesi. Bene, c’eravamo già persi. Eravamo da qualche parte attorno a Tokyo, ma le sante Lonely e Rough sono venute in nostro aiuto e combinando le cartine siamo riusciti a capire che con la linea Ginza della metro saremmo potuti arrivare ad Asakusa. Qui abbiamo avuto problemi ad acquistare i biglietti perché quando abbiamo chiesto di “Asakusa” nessuno capiva. Ma eravamo davvero a Tokyo? Grazie ancora alle guide che avevano i nomi dei quartieri scritti in caratteri locali siamo riusciti a districarci da soli alle macchinette automatiche. E’ stato ridicolo essere con Lula a confrontare le combinazioni di segni per capire quale fosse il biglietto giusto: cose del tipo “Si, ho trovato il simbolo fatto a casetta” e lei “No, questo non ha la gambetta nel punto giusto” e così via.

L’avventura ci è costata un sacco di tempo ed alla fine siamo usciti dalla stazione della Metro di Asakusa che era buio e pioveva. Era difficile capire in che strada eravamo ed ogni volta che chiedevo le indicazioni ad un passante o mi confermava la direzione in cui io ero rivolto o scuoteva la testa e se ne andava.

Poi, grazie ancora alle guide che avevano descritto una statua in cima ad un palazzo, che dovrebbe rappresentare una fiamma, ma purtroppo è più simile ad una deiezione dorata, siamo riusciti a fare il punto, scoprire la strada e quindi trovare l’albergo: il bellissimo Hotel Chisun Inn Asakusa. Qui ad attenderci c’era un fax inviato dalla nostra amica Megumi che informava lo staff del nostro arrivo e ci forniva tutta una serie di contatti per chiamarla in caso di emergenza.

Ed è stato qui che ho scoperto perché nessuno mi aveva dato indicazioni giuste, il nome Asakusa, pronunciato così com’è, è sbagliato. Non si pronuncia la “U” e quindi si dice “Asaksa”. In Giappone le “U” fanno la differenza. Mentre salivamo alla nostra camera all’undicesimo piano ho inventato mille tipi di vendetta su futuri turisti giapponesi ed i loro difetti di pronuncia… Magari facendoli perdere nel labirinto del centro storico genovese.

La nostra camera era bella, pulita ed estremamente piccola. Era sostanzialmente costituita da tre ambienti. Un ingresso largo come il mio zaino ed il trolley di Lula, una stanza con un letto e circa 50 cm di spazio ai piedi del letto e sul lato destro per passare, una grossa finestra con un bel panorama verso il fiume ed un bagno microscopico, il cui water era cosparso di bottoni. C’era davvero da aver paura di quel water, se avessi sbagliato un bottone e si fosse materializzato un robottone giapponese tipo Gundam ed avesse iniziato a prendermi a laserate? Stavo impazzendo, proprio in stile Nipponico, il Giappone iniziava a stregarmi.

Sul letto abbiamo trovato, perfettamente piegate, due vestaglie che forse impropriamente, abbiamo definito Yukata, una sorta di vestaglia che ci verrà offerta in ogni hotel che avremmo incontrato.

Era troppo tardi per andare in centro, così con Lula, armati con una cartina presa nella hall dell’albergo, abbiamo esplorato Asakusa: siamo andati a nord fino al Senso-Ji Temple e qui abbiamo visitato le stradine laterali: il quartiere è decisamente bello, l’atmosfera di sera è rilassata e offre tanti scorci del Giappone che ci immaginiamo.

Qui abbiamo fatto il primo incontro col il Pachinko: questo è il gioco d’azzardo preferito dai giapponesi, è una sorta di ibrido tra il flipper e la slot machines; palline di acciaio scendono giù per un percorso ad ostacoli e il giocatore può far deviare la pallina muovendo alcune parti del percorso. L’influenza umana è minima ed il gioco è quasi del tutto basato sul caso. Per rendere il gioco, già di per sè ipnotico ed estraniante, viene suonata una musica cacofonica ad altissimo volume. L’effetto di stordimento è assicurato ed i giocatori che abbiamo visto, sembravano in trance. Abbiamo sentito avvertimenti che allertavano sul fatto che la gran parte di queste case da gioco sono nelle mani della Yakuza, la mafia giapponese. Quindi quando i buttafuori ci hanno avvertito di non fare foto, abbiamo annuito consenzienti; non volevamo trovarci due sicari giapponesi alla Kill Bill a farci compagnia nella camera d’albergo…

Dopo una breve visita nella sala da gioco, siamo scappati da quella confusione per immergerci in vie pacifiche illuminate da lampade giapponesi e decorate con piante di bambù. Finalmente il Giappone che cercavamo, quel Giappone da cartolina, perfetto, pulito, semplice e bellissimo.

Qui abbiamo scoperto un Kaiten-Sushi super affollato da gente del posto, indice che si doveva mangiare bene; infatti abbiamo fatto una scorpacciata di pesce accompagnata da una buona birra giapponese per me e un Macha Te per Lula; il prezzo è stato ridicolo, meno di 10 euro a persona.

Sulla strada del ritorno abbiamo fatto una visita al Senso-Ji temple con la via di accesso fiancheggiata da bancarelle ormai chiuse, le cui saracinesche erano decorate da motivi pittorici; bellissimo il portale a torre e le statue di demoni inquietanti che emergevano dall’oscurità. Onestamente, a me è piaciuto più di notte che di giorno. Poi siamo ritornati in albergo dove ci aspettava qualche ora di sonno perché il mattino successivo ci saremmo dovuti svegliare all’alba per andare al mercato del pesce.

Giorno 2 – Colazione al mercato poi dritto e a sinistra verso il paese delle meraviglie

Dopo una notte di sonni agitati, mi sono alzato con la sveglia che annunciava un’alba di rubino su Tokyo: dal buio, il cielo stava diventando di un rosso intenso passando per una palette infinita di nuances, dalle fredde della notte, a quelle che annunciavano una giornata dalle temperature roventi.

Ci siamo vestiti e con uno dei primi treni della Ginza Line siamo arrivati alla stazione di Shimbashi. Fin qui tutto bene, ma i Giapponesi dovevano ancora metterci lo zampino; un tragitto che per noi, guardando la cartina, poteva sembrare semplice, si è rivelato un mezzo delirio: usciti dalla stazione, abbiamo iniziato ad andare nella direzione che ci sembrava più logica, ma ad un certo punto abbiamo dovuto chiedere informazioni ad un vecchietto giapponese. Gli ho chiesto del Tsukiji Fish Market, indicandogli la cartina col nome scritto in Giapponese, lui mi ha guardato ed ha emesso un verso simile ad un “Ohhhhh” aspirato e rauco, si è guardato attorno e mi ha risposto “Dritto a Sinistra”. Beh, ci siamo fidati, abbiamo continuato per quella direzione e ci siamo trovati davanti alla stazione metro di Ginza, sul lato opposto rispetto al mercato..mai fidarsi delle indicazioni dei giapponesi, a meno che non ci si voglia perdere. Quindi, di nuovo sui nostri passi ed alla fine, grazie alla mappa, abbiamo raggiunto il mercato del pesce.

Era semplicemente immenso. Non ci sono altre parole. Solamente, Immenso. Tutto quello che viene descritto in merito all’estensione, l’organizzazione frenetica e quantità del pesce è tutto vero. Mentre la città fuori dalle mura del mercato stava ancora sonnecchiando, il mercato brulicava di vita: venditori con la loro merce in bella mostra, i pesci che loro malgrado erano i protagonisti della scena, ed un brulicare di muletti che passavano a razzo tra i banconi.

Noi ci siamo aggirati tra i banchi guardando i molluschi, pesci di ogni forma e dimensione. Poi c’era lui, il re del mercato: il tonno. Tonni congelati che sembravano siluri pronti ad essere caricati su un sommergibile per la guerra del Pacifico, tranci cremisi in bella mostra e tranci di seconda scelta a basso costo. Noi abbiamo camminato tra i banchi e alla fine ci siamo messi a scherzare con un venditore anziano che s’è messo a far giocare Lula con un polpo enorme per poi regalarci un sacchetto di ghiaccio per rinfrescarci. Quando vogliono, i Giapponesi sanno essere adorabili. Qui abbiamo comprato alcuni grossi Fasolari (intendo i cugini nipponici dei Fasolari nostrani), cioè conchiglie simili a grosse vongole rosse, vendute per pochi yen. A questo punto abbiamo cercato un punto al riparo dai muletti che sfrecciavano nel mercato e col mio coltellino ne ho aperto un paio per fare una colazione unica nel suo genere: Fasolari crudi alle sei del mattino nel mercato del pesce di Tokyo, cosa volevamo di più? Non serviva altro. Già questo meritava l’alzataccia!

Quando siamo usciti dal mercato abbiamo fatto una passeggiata per le vie limitrofe che si erano già animate e dove abbiamo potuto vedere negozi dedicati alla vendita di bacchette di legno all’ingrosso.

Vicino al mercato c’è il piccolo tempio Namiyoke, dove c’era una bellissima statua di una testa di Leone davanti alla quale tante persone si fermavano a pregare. Nonostante noi non conoscessimo bene il rito da seguire, abbiamo tenuto a purificarci lavandoci le mani con l’acqua benedetta dalla fontanella all’ingresso del tempio.

Dopo la visita del tempio ci siamo concessi una seconda colazione con i Fasolari rimasti, seduti comodamente su una panchina all’ombra; eravamo veramente affamati e questa colazione era gustosissima.

Da Shimbashi siamo risaliti per Shin-Ohashi Dori (Via Shin-Ohashi) e poi all’incrocio con Harumi Dori, abbiamo svoltato a sinistra. Lula mi ha chiesto se ero sicuro e le ho risposto, mentendo, “Certo… Dobbiamo andare Dritto a Sinistra”, ma quando mi ha sentito pronunciare le parole del vecchio Giapponese, forse non s’è convinta molto. Andando su per Harumi Dori ci siamo ritrovati a Ginza, un quartiere moderno, pulito e dai negozi extra lusso.

Lungo la strada siamo passati davanti al tradizionale teatro Kabuki-za, famoso per gli spettacoli in stile Kabuki. Poi ci siamo fermati in una bella caffetteria all’angolo di un incrocio dove abbiamo potuto fare la nostra terza colazione, questa volta finalmente a base di caffè. Si, siamo entrambi caffeinomani, e ne andiamo fieri! Qui siamo stati qualche minuto ad osservare i giapponesi e la loro dipendenza dai telefoni cellulari. Alla fine, che sia caffè o telefoni cellulari, ognuno ha la sua dipendenza che si tiene caramente stretta vicino al cuore.

Mentre eravamo al fresco nel bar, abbiamo sfogliato le guide ed abbiamo scoperto che a Ginza, a pochi incroci di distanza, avremmo potuto vedere la statua di Godzilla, o come viene chiamato in Giappone, Gojira (in Giappone il lucertolone è chiamato con una parola che è un ibrido tra Gorilla e Balena). Io mi immaginavo una statua ciclopica, magari abbracciata al grattacielo di un albergo sgranocchiandosi una camera all’undicesimo piano (Hei, fermati! Quello è il mio zaino! Ti prego, robotic-gabinetto, trasformati in robot e salvaci tu! Prendi Gojira a laserate!). Quando invece abbiamo trovato la statua ci è venuto da ridere: era altra circa 50 centimetri e la feroce espressione di Godzilla era a metà tra uno starnuto ed un’imprecazione. Non ci potevo credere! Mirto, il coniglietto di mio cucino, quando si fa coccolare, è più minaccioso… Qui abbiamo fatto qualche foto, e poi ci siamo diretti verso l’Hibiya Koen Park.

Poco distante da Godzilla, sempre seguendo Harumi Dori si arriva nel curatissimo Hibiya Koen Park. Questo parco ha tre cose particolari: è grande, confina col fossato del palazzo dell’imperatore ed è costellato da aree tematiche oltre che una replica della Lupa di Roma con Romolo e Remo. I giapponesi hanno la passione per i parchi e questo, probabilmente, è quello che ho trovato meglio curato a Tokyo.

Il sole era alto nel cielo e la temperatura era salita ben oltre le stelle. Faceva caldo ed era umido. I colori brillavano violentemente nei nostri occhi e l’umidità ci prendeva a schiaffi mentre le cicale ci strillavano la loro canzone d’amore nelle orecchie. Già, le cicale: erano ovunque. Loro, le Lady del Giappone hanno fatto da sottofondo alla colonna sonora del nostro viaggio.

Tutte quelle sensazioni si mischiavano confondendo tutti i nostri sensi. Tutto ci chiedeva di fermarci, ma non potevamo, c’era troppo da vedere e non potevamo rallentare la nostra corsa verso il centro della città. Tokyo era una affascinante signora orientale che ci stuzzicava facendoci scoprire angoli interessanti ad ogni svolta.

Superato il parco, ci siamo trovati a percorrere il fossato del palazzo fino ad arrivare ai cancelli chiusi. Qui abbiamo invertito la marcia e seguendo la direzione opposta ci siamo diretti verso la stazione di Tokyo centrale. Era in atto un cantiere, non avevamo idea dove passare per andare verso Akihabara, allora abbiamo chiesto informazioni. Ho chiesto ad un tizio incravattato: “Vai dritto e a sinistra”…avevo un déja- vu… Siamo riusciti ad uscire dal cantiere ed abbiamo chiesto ad un posteggiatore e lui, usando il linguaggio universale delle mani, mi ha indicato la strada, “ma no, è da dove ne veniamo…”. Altra informazione sbagliata. Iniziavo a chiedermi come facciano i Giapponesi ad arrivare al lavoro ogni mattina ed in orario.

Eravamo in confusione, un po’ per il caldo umido ed un po’ perchè era già dopo mezzo giorno. Così ho proposto di fare una pausa. Siamo entrati nella prima porta di accesso alla stazione e poi siamo scesi al piano interrato; qui si apriva un labirinto di negozi e ristoranti. Abbiamo guardato le offerte e poi ne abbiamo scelto uno specializzato in noodles; abbiamo ordinato due bei piatti di zuppa di noodles e rilassandoci all’aria condizionata abbiamo pensato quale strada prendere: dovevamo uscire ed andare a destra, quella era la direzione di Akihabara.

Una volta usciti dalla stazione ci siamo accertati di essere all’uscita giusta e poi abbiamo seguito il percorso della ferrovia che andava verso la nostra destra. Qui molte ragazze erano intente a vagare per la città con trolley (si, le valigie) che traboccavano di sacchetti di negozi griffati. Noi, vestiti come vagabondi e sudati fradici, eravamo all’antitesi dell’italiano stiloso che probabilmente le ragazzine immaginano.

Seguire la ferrovia si è rivelata la soluzione migliore; in questo modo abbiamo anche attraversato l’affascinante quartiere di Kanda: brulicante di vita, con insegne al neon, musica nipponica e tante sale da pachinko; ragazze in Kimono offrivano volantini ai passanti (da quello che ho capito dai disegni sul volantino, sembrava che lavorassero per un ristorante che faceva un’offerta speciale per la zuppa di noodles).

Akihabara si è presentata a noi come un quartiere di grattacieli molto vicini; alcune grosse vie attraversavano il quartiere, ma una moltitudine di vicoli si dipartivano dalle strade principali. Questa è la patria degli Otaku, i giapponesi patiti di manga, cartoni animati, elettronica e videogiochi.

Ci siamo addentrati nel quartiere ed abbiamo visitato molti negozi di elettronica finchè non abbiamo trovato un negozio di sette piani tutto dedicato a fumetti, cartoni animati, videogiochi, pupazzi ed action figures dei personaggi giapponesi: era assolutamente fantastico, ecco il Giappone che immaginavo!

Usciti dal negozio ci siamo infilati in un vicolo dove c’era un assembramento di ragazzi giapponesi: c’era un discount delle action figures vendute nei negozi ufficiali. Qui abbiamo comprato alcuni modellini di Gundam e personaggi dei manga.

In Giappone ho imparato a non stupirmi nei gusti locali il piu’ delle volte bizzarri. Una delle cose particolari di Akihabara è la presenza dei Maid Bar. Sembra che i giapponesi trovino gusto nel farsi servire da cameriere vestite in abiti vittoriani, appunto le Maids. Questo tipo di bar non implicano prestazioni sessuali, anche se non posso escluderlo a priori per tutti i Maid Bars di Tokyo. Quando il sole inizia a tramontare iniziano ad apparire le Maids ad ogni angolo di strada. Per la precisione, quelle per strada sono ragazze che distribuiscono volantini ed incitano i passanti ad entrare nei loro locali. A loro non piace essere fotografate ed è stato in questo momento che sono stato contento della mia macchina fotografica e del suo teleobiettivo.

Neanche a dirlo, essendo già noi surreali, abbiamo attratto una maid come se fossimo stati due calamite. Era totalmente fuori di testa e rideva come una pazza. Ecco che i simili si ritrovano, ovunque essi siano… Lula era dubbiosa a seguirla, ma alla fine l’ho convinta Lula a visitare il Maid Bar di questa simpaticissima pazza.

Il sole ormai era calato, e andavamo per la strada di Akihabara, in un caleidoscopio di insegne e flash; eravamo versioni improvvisate di Alice verso un paese delle meraviglie nipponico, che seguivano non un bianconiglio ma una maid in pizzo bianco fino ad arrivare ad un ascensore rattoppato e scricchiolante in uno squallido palazzo di un vicolo di Akihabara. Il confine tra le due realtà era sotto forma di una pesante porta trapuntata in rosso. Ed ecco che un mondo si è aperto davanti a noi: in contrapposizione all’aspetto esterno del palazzo, l’interno del locale era bianco, lucido, brillante ed allegro. Alice mangiò un dolce per crescere, invece a noi venne servita una fetta di torta “Sakura”, cioè alla ciliegia, per catapultarci in questa dimensione arredata da camera per bambini, con giocattoli sovradimensionati e le maids che si esibivano su un piccolo palco cantando al karaoke le sigle dei cartoni animati, tra cui la sigla di “Ponyo sulla scogliera” che è diventata anche la sigla di questa parte di viaggio. Qui abbiamo trovato l’anima contraddittoria, infantile e surreale malcelata dietro i neon, la tecnologia e la precisione giapponese.

Dopo l’esperienza delle Maids abbiamo preso la metro e siamo tornati ad Asakusa dove abbiamo cenato in un ristorantino vicino al Senso-Ji temple.

Mentre tornavamo all’albergo ho provato a ritirare soldi al Bancomat, ma non funzionava. Sembrava che nessun bancomat accettasse le nostre carte. Questo era un gran bel problema, ma che stava succedendo? Così appena entrati in albergo abbiamo usato la connessione gratuita per cercare informazioni su internet: sembra che in Giappone i soldi possano essere ritirati solo da titolari di conti in filiali della stessa banca, ma gli stranieri possono ritirare i soldi solo ai bancomat degli uffici postali. Avremmo dovuto verificare il giorno successivo.

La giornata era stata intensa e bellissima. Non vedevamo l’ora di continuare la nostra esplorazione il giorno successivo.

Giorno 3 – Shibuya, Harakuju e Shinjuku

Il terzo giorno di viaggio è iniziato in perfetto relax. Ci siamo alzati con calma e dopo una bella colazione all’albergo, ci siamo diretti verso il centro. Lungo la strada abbiamo provato a seguire i consigli trovati su internet circa i bancomat e finalmente, grazie alle Poste, siamo riusciti a prelevare dei soldi.

La prima tappa è stata Shibuya. Questo probabilmente il quartiere più caotico che abbiamo visto a Tokyo. La stazione della metro è enorme e qui maree di persone passano ogni giorno. Appena fuori dalla stazione c’è una statua che sulle guide viene indicata come punto di interesse: si tratta della statua del cane Hachinko (che noi abbiamo rinominato Pachinko): rappresenta un simbolo di fedeltà al proprio padrone, tuttavia, la statua di 50 centimetri di altezza messa ad un lato della piazzetta davanti alla stazione, non rende giustizia all’animale, che sta seduto in tutta la sua composta fierezza, in attesa che il suo padrone resusciti; nel frattempo si limita a posare fuori dalla stazione di Shibuya.

Proprio davanti alla stazione c’è il famosissimo “Shibuya Crossing”, cioè l’incrocio di Tokyo con cinque attraversamenti pedonali (quattro a quadrato ed uno che attraversa il quadrato in diagonale) dove eserciti di passanti si scontrano ad ogni luce pedonale verde. A guardare la scena da uno dei passaggi rialzati della stazione, sembra di vedere quattro eserciti che corrono all’assalto frontale, uno contro l’altro, per incontrarsi puntualmente al centro. E prima che la luce del passaggio pedonale diventi rossa, con puntualità Giapponese, l’incrocio è nuovamente libero.

Siamo entrati nell’incrocio, abbiamo affrontato l’orda di passanti che ci arrivava incontro ed abbiamo guadagnato l’altro lato; ci siamo appostati con le nostre macchine fotografiche a fare incetta di immagini di passanti vestiti in maniera bizzarra.

Dalla stazione ci siamo diretti verso nord lungo la strada che fiancheggiava la linea Yamanote della metro, fino ad arrivare al curatissimo ed enorme Yoyogi Koen Park; quel giorno era particolarmente popolato da ragazzi organizzati in tanti set cinematografici; c’erano i cameramen, chi teneva i diffusori argentati per la luce, eventuali presentatori e presentatrici alcune delle quali in abito tradizionale, make-up artists e ragazzi che distribuivano bottigliette d’acqua. Chissà, magari era una sorta di compito in classe di qualche scuola di cinematografia?

Il parco era diviso in tante aree, alcune con laghetti, ponti ed aiuole ben curate, altre erano lasciate un po’ troppo a se stesse. Noi ci siamo diretti al centro dell’enorme parco e siamo arrivati a quello che probabilmente è il tempio principale di Tokyo: il Meiji Jingu Temple. La via d’accesso principale è segnata da un enorme portale Torii rosso fiammante; è lunga ed è costeggiata da alberi altissimi, e ad un certo punto si trovano accatastati, in ordine perfetto, molti contenitori di Sakè e barili di vino. Questa strana esposizione è in realtà per ricordare una sorta di gemellaggio con il comune francese di Bourgogne.

Il tempio è molto grande ed è costituito da diversi padiglioni e cortili. Qui abbiamo avuto la fortuna di assistere a due matrimoni giapponesi. In entrambi l’uomo aveva un kimono molto elaborato dal colore scuro, mentre la sposa aveva un abito candido con un copricapo che le avvolgeva la testa, sembrava un personaggio di una principessa extraterreste di un film di fantascienza! I giapponesi erano contenti di vederci e, sposi a parte, gli altri si divertivano a farsi fotografare dai turisti.

Dal tempio siamo andati a Harakuju station da dove, con la Yamanote line, siamo arrivati a Shinjuku. Questo quartiere era un alternarsi di strade larghe e pulite, con strade più piccole e caotiche ai lati. In questo quartiere abbiamo iniziato a girare senza una precisa meta e siamo finiti a pranzare in un ristorante lungo un viale alberato. Quel giorno avevamo voglia di noodles, e ci siamo fermati in un ristorante che offriva dei piatti di bell’aspetto e prezzi ridotti. Non capendo una parola di ciò che vi era scritto, ci siamo affidati alle fotografie dei piatti. Una cameriera gentilissima ci ha fatti accomodare vicino ad una vetrata e ci ha offerto due bicchieri di acqua ghiacciata, dopo di che, è passata prendere l’ordine. Abbiamo chiesto un piatto di quella che sembrava pasta alle verdure e frutti di mare ed una zuppa di noodles. La ragazza ha sorriso ed è sparita. Dopo pochi minuti è tornata coi piatti e in un inglese nipponico mi chiede “Is… You… Genovese?” (Sei… Te… Genovese?), io, sbalordito, ho risposto in inglese “Si, come fai a saperlo?”. Lei ridendo mi ha messo davanti il piatto di pasta con salsa verde e gamberi. Non volevo crederci. Ero a Tokyo ed ero finito per ordinare, inconsciamente, un piatto di pasta al pesto e (bestemmia!) gamberi! Invece il piatto di Lula era una zuppa di noodles. Il mio pesto sapeva di menta e gamberi, praticamente una pasta condita con un Mojito ai gamberi. Tuttavia, forse per la fame, forse per l’ambiente, forse per la simpatia di questi pazzi giapponesi, me la sono davvero goduta.

Una volta riacquisite forze, ci siamo diretti verso la prossima tappa, il Taisoji Temple e lungo la strada abbiamo trovato la filiale della famosa catena italiana di gelaterie Grom, la cui fila di giapponesi arrivava lungo il marciapiede.

Il tempio Taisoji è piuttosto piccolo, ma vista la scarsa presenza di turisti, riesce a dare una migliore sensazione di pace e spiritualità. Dietro al tempio c’è anche un cimitero giapponese visitabile. E’ stato strano aggirarci tra quelle lapidi costituite da tavole di legno circondate da palazzi, mancava quella sensazione di isolamento tipico dei cimiteri italiani e dei loro alti muri.

Troppo presto è arrivato il momento di tornare verso l’albergo. Nel pomeriggio avevamo sentito la nostra amica giapponese e ci eravamo accordati per vederci quella stessa sera, quindi dovevamo tornare ad Asakusa per darci una bella ripulita. Da Shinjuku abbiamo preso la Yamanote line e poi la Ginza Line. Il viaggio è durato circa 45 minuti e durante il percorso ci siamo accorti che quasi tutte le persone sulla Yamanote dormivano. Sembravano ipnotizzate. Poi la sonnolenza ha preso anche noi. Ed ecco che eravamo caduti vittime di quello che avremmo poi battezzato “Effetto Yamanote”.

Arrivati in albergo abbiamo ricevuto un messaggio, era Megumi, la nostra amica che ci dava le indicazioni per incontrarci a cena: Shinjuku, uscita Est. Non potevo crederci, eravamo appena tornati da Shinjuku e dovevamo già rifare tutto il percorso.

Velocemente ci siamo lavati, cambiati e siamo tornati per strada. Lungo il percorso abbiamo comprato un piccolo regalo per Megumi e poi ci siamo imbarcati prima sulla Ginza Line e poi sulla Yamanote. Naturalmente, lungo il percorso di 45 minuti, anche noi ci siamo riaddormentati per svegliarci ad Harakuji, proprio la fermata prima di Shinjuku.

Megumi ci aspettava esattamente dove ci avevo detto e una volta usciti dalla stazione ci ha traghettati attraverso un labirinto di stradine fino ad arrivare ad un centro commerciale dove siamo scesi nei piani interrati. Qui ci ha condotti in un ristorante che aveva tante piccole salette separate, arredate in stile tipico giapponese. L’atmosfera era rilassata ed i rumori erano smorzati dalle porticine scorrevoli di bambù e carta di riso che delimitavano le piccole stanze da pranzo. Luci soffuse e musica lounge facevano il resto. Megumi ha ordinato la cena per tutti facendoci assaggiare una vasta gamma di piatti tipici a partire da omelette, spiedini, verdure e tantissime altri piatti sia di mare che di terra. Il piatto che per me è stato più sorprendente è stato uno spiedino di verdura e cartilagini di pollo.

Quando siamo usciti dalla bella serata con Megumi, lei si è scusata ed è tornata a casa perché il giorno dopo sarebbe dovuta tornare a lavorare, mentre noi ci siamo messi alla caccia di un locale per un chill-out. E questo è stato un problema. Tokyo è una città piena di vita e molti dei locali sono ai piani elevati dei palazzi e non al piano della strada come da noi. Quindi, per noi è stato difficilissimo trovarne uno, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e non ci siamo fatti mancare due gustosissimi Mojiti.

Era già notte quando ci siamo imbarcati sulla Yamanote e siamo riusciti a prendere l’ultima corsa della Ginza line. Lungo il percorso siamo caduti ancora vittima dell’Effetto Yamanote.

Tokyo anche oggi era riuscita a stupirci, ma il giorno dopo saremmo andati ad esplorare la costa e non vedevamo l’ora di fare un bagno in mare.

Giorno 4 – Kamakura la casa di Amithaba

Luglio 2009:

“Fra, e poi c’è Kamakura…”, “Una tua amica immaginaria?”, “Nooo! E’ un posto! Fai il serio! Senti qua: Kamakura è una città sita nella prefettura di Kanagawa, a circa 50 chilometri da Tokyo. La città è stata anche capitale del Giappone prima di spostare la capitale a Edo, che è il vecchio nome di Tokyo”, “Edo è anche il signore che abita in fondo alla via…”, “Una leggenda dice che il nome Kamakura derivi dalla fusione delle parole Kama (forno) e Kura (magazzino) in quanto la città è circondata dai monti dai tre lati ed è aperta sul davanti, sul mare, come è aperto il forno o un magazzino. Nel 1200 la città era la quarta città più popolosa del mondo, nel 1400 circa la città è stata vittima di uno Tsunami che ha provocato ingenti danni, tra i quali, la totale distruzione di un tempio buddista. Il mare quando si è ritirato ha lasciato solo la statua bronzea del Buddha Amida o Amithaba nel punto in cui è sempre stata, nel tempio che ora non esiste più. Da allora la statua è stata lasciata all’aperto in memoria di quel giorno… E poi ci sono tanti altri templi… Guarda qui… Che dici Fra?”, “Dico che dobbiamo proprio visitarla, aggiungila alla lista!”.

Agosto 2009:

La nostra sveglia chi ha richiamati al mondo reale che era prima mattina. La città di Tokyo era già viva più che mai. Noi ci siamo preparati scavalcandoci a vicenda in quella stanza minuscola e, dopo una bella colazione con una tanica di caffè, siamo partiti. Ecco la Ginza Line fino a Tokyo central e poi il treno che ci ha portati attraverso Tokyo e Yokohama fino ad arrivare alla piccola, carina e colorata Kamakura. Questa città vive sul turismo sia straniero che locale, infatti è una delle località balneari preferite degli abitanti di Tokyo.

La stazione non dista molto dal famoso tempio Tsarugaoka Hachiman-Gu , il tempio Scintoista che è anche il simbolo della città; per chi non volesse farsi una passeggiata, ci sono anche molti ragazzi che si offrono di portare i turisti sui loro Rickshaw che trainano a braccia.

Il tempio Tsarugaoka Hachiman-Gu è costituito da un bellissimo giardino corredato da stagni, ponti ed aiuole, tutto perfettamente curato; sembra di camminare dentro una cartolina del Giappone.

La parte più importante del tempio è costituita da un gruppo di edifici molto belli, tra i quali, il più scenografico ed importante è arroccato in cima ad una scalinata.

Dopo aver visitato il Tsarugaoka Hachiman-Gu siamo tornati sui nostri passi, e seguendo le mappe, siamo arrivati, dopo le ormai usuali indicazioni sbagliate dei giapponesi, al tempio Zeniarai Benten. Questo piccolo tempio, conosciuto anche come “Tempio del Lavaggio del Denaro” ha la particolarità che per raggiungerlo si debba passare attraverso una galleria. E’ particolare stare in questo posto, soprattutto dopo che i fedeli hanno acceso l’incenso, quando l’aria nel piccolo piazzale si satura di fumo profumato. La tradizione vuole che in questo tempio si debba lavare il denaro con l’acqua santa per propiziare guadagni, e poi, il denaro deve essere fatto asciugare sul fumo dell’incenso nel piazzale.

Da questo tempio abbiamo seguito un percorso alternativo per arrivare alla statua di Amida. Infatti, avevamo trovato indicazioni circa ad un percorso sulle alture con un bel panorama, praticamente un trekking molto semplice che evitava di passare per il centro abitato. Vicino al percorso ci sarebbe dovuto essere anche un tempio con molte statue di volpe. Il percorso che si è rivelato una passeggiata piacevole, sebbene il sole iniziasse ad essere piuttosto forte. Come noi, tanti turisti, per la maggior parte Asiatici, erano su questo percorso. Purtroppo, lungo la via, non abbiamo trovato indicazioni per raggiungere il tempio delle volpi, peccato, probabilmente sarebbe stato bello.

Scesi dal monte ci siamo trovati in una via che andava verso il mare: era costellata di negozi di souvenir, molti dei quali rappresentavano la famosa statua del Buddha Amida, questa era una traccia evidente che ne eravamo vicini. Infatti, poco più distante, abbiamo trovato l’ingresso all’area dove è posta la statua.

Oggi quest’area è composta da due grosse piazze con alcuni piccoli edifici ai lati, mentre al centro svetta l’enorme statua del Buddha Amida. Lui Amithaba, il Buddha che se pregato correttamente può interrompere i cicli di reincarnazioni, siede in meditazione ed in un attimo ha catturato la nostra attenzione con la sua dolcissima espressione di serenità; in contrapposizione, se pensavamo alla furia che doveva aver avuto lo Tsunami che aveva spazzato via il tempio dove questa statua era conservata, nel lontano 1400.

Abbiamo salutato Amida che il sole era ancora alto e ci siamo diretti sulla spiaggia vicina. Qui ci siamo presi un po’ di relax prendendo il sole e facendo il bagno nell’oceano. La spiaggia era di sabbia nera e questo dava al mare una tonalità altrettanto scura. I giapponesi adoravano farsi letteralmente tumulare sotto quella sabbia. Sembrava che la spiaggia fosse cosparsa di collinette di sabbia dalle quali spuntavano le teste dei giapponesi.

Il mare era un po’ agitato e poco dopo ha iniziato ad alzarsi la marea, e con essa, una bagnina, una vera furia di un metro e cinquanta per 40 chili, quando bagnata, in costume rosso, siluretto alla Bay Watch e megafono s’è messa a correre per la spiaggia a gridare ai bagnanti per farli uscire. Scene che rievocavano il film “Lo Squalo”, ma con la differenza che questa furia di bagnina, avrebbe fatto impallidire qualsiasi pesce cane dell’Oceano Pacifico. E tutto per colpa della marea… Mai contraddire una bagnina giapponese!

Troppo presto è arrivata l’ora di tornare alla stazione e poi, passando per Yokohama che ora era tutto un festoso luccichio di insegne al neon, siamo tornati alla stazione centrale di Tokyo e da qui, alla nostra Asakusa.

Dopo una bella doccia siamo tornati al nostro Kaiten Sushi preferito e poi un’altra visita al tempio Senso-Ji nella quiete della notte.

Poi è stata l’ora di andare a dormire, ma la notte giapponese ci avrebbe regalato altre emozioni… il Giappone è sempre imprevedibile!

Giorno 5 – Tokyo tra spade e terremoti, parte prima

Erano le cinque e mezza del mattino, il cielo iniziava a rischiararsi; mi sono girato nel letto tra Lula ed il muro. Il Sake della sera prima, se pur ottimo mi aveva regalato una notte con poche ore di sonno, ed ora ero sveglio. Mi sono alzato per andare a darmi una rinfrescata e quando sono tornato a sdraiarmi sul letto, ho iniziato a sentirmi ondeggiare. Dannato Sake!

Poi un rumore di scricchiolio dai vetri e Lula si è girata verso me:

“Fra, che cosa stai facendo?”

Se lo sentiva anche lei, non era il Sake…

“Lula, è il terremoto!”

La stanza ha iniziato a tremare ed ondeggiava tanto che ci sembrava di essere su un’altalena. Si, intrappolati in un’altalena all’undicesimo piano.

Alla parola “Terremoto”, Lula è passata dalla fase REM allo stato di “Sono sveglissima e sono terrorizzata!” e mentre stavo ancora finendo la parola “Terremoto” era già in piedi che correva per la camera… non che ci fosse tanto da correre, sarà stata due metri quadrati.

Tutto tremava e scricchiolava. Io sono balzato dal letto e mi sono ricordato del detto “Il luogo più sicuro è sotto l’arco della porta”… ma non sapevo se la regola fosse stata valida anche con le pareti in cartongesso degli alberghi giapponesi. Quando abbiamo aperto la porta abbiamo visto i nostri vicini che scappavano giù per le scale, lui in boxer e lei in camicia da notte… noi, almeno, indossavamo gli Yukata! Poi, com’è arrivato, il terremoto è cessato. Il personale dell’albergo non aveva battuto ciglio, tutto sembrava essere normale.

Circa due anni più tardi, sono state divulgate nuove linee guida per i sismi: in caso di terremoto bisogna rintanarsi sotto un tavolo..a trovarlo in un albergo Giapponese come il nostro!

Siamo così tornati a dormire e poche ore più tardi ci siamo svegliati in una Tokyo sotto una vera e propria tempesta. Questo sarebbe stato il giorno della visita ad Hakone ed al Monte Fuji, ma visto il tempo, abbiamo deciso di rinunciare. Era meglio rimanere a Tokyo ed avremmo girato per il centro.

Prima cosa dopo colazione mi sono collegato ad internet a cercare se ci fossero state notizie sul terremoto, e sembrava che si fosse trattato di un terremoto di magnitudo 7,5 Richter ed era durato circa 30 secondi. Trenta secondi che erano sembrati molti, molti, molti di più.

Usciti dall’albergo ci siamo diretti a visitare il tempio Senso Ji dedicato alla Dea Kannon. Il tempio durante il giorno sembrava totalmente diverso dalla notte precedente. Ora erano aperte molte bancarelle e brulicava di gente; a fianco ad esso c’erano anche dei bellissimi giardini, a fianco ai quali abbiamo scovato una delle Onsen, cioè bagni termali più antichi di Tokyo ed abbiamo deciso di provarlo. L’Onsen di per sè non era tenuta molto bene, ma qui si possono incontrare i monaci del tempio vicino che vengono a fare il bagno alla mattina. Una nota sull’etichetta: quando si entra viene fornito un minuscolo asciugamano che serve per coprirsi le parti intime quando si entra, e non va tenuto in spalla, ma questo me l’hanno spiegato molto dopo… C’erano due vasche, una di circa 30 gradi ed una che sfiorava i 50. Il muro che separava le piscine maschili da quelle femminili era coperto da un bellissimo mosaico. Siamo stati nell’Onsen una buona mezz’ora, ma poi l’elevata temperatura s’è fatta sentire ed abbiamo deciso di uscire e tornare nel fresco della Tokyo dopo la pioggia.

La prima tappa è stata Ginza, dove abbiamo fatto un bel giro tra i negozi e c’è anche stato il tempo per un bel caffè fumante. Intanto aveva smesso di piovere e l’umidità era salita al massimo. Nonostante il caldo umido, era un piacere vagare per la città. L’Onsen ci aveva dato nuove energie, anche se la memoria tornava spesso al terremoto della notte precedente.

In questa giornata un po’ improvvisata, abbiamo deciso di prendere la cartina e fare un “Piano B”: fare shopping ed andare a vedere la Tokyo Tower. Così da Ginza siamo arrivati a Shinbashi e da qui abbiamo preso la Sotobori Dori fino alla stazione Tranomon. Più ci allontanavamo da Ginza e Shinbashi, più i negozi diventavano semplici ed ordinari, fino a perdersi nell’oblio dell’omologazione. Un negozio scuro uguale all’altro, un sushi restaurant uguale all’altro, un negozio di elettronica uguale all’altro e così via.

Una volta arrivati alla stazione Tranomon abbiamo svoltato su Sakurada Dori e ci siamo diretti verso il quartiere di Kamiyacho. Qui, i negozi hanno iniziato ad essere un po’ più brillanti e la strada è diventata più larga, luminosa e meno trafficata. Lungo questa via abbiamo trovato due punti di interesse. Il primo è stato un tempio che per raggiungerlo si deve salire una lunga scalinata. Non abbiamo capito il nome, ma allontanandosi dalla stazione di Tranomon è quasi in fondo a Sakurada Dori, sulla destra ed in cima ad una lunga scalinata contrassegnata da un portale Torii. Il tempio è piccolo, ma ci è piaciuto molto. Era il primo tempio che abbiamo visto senza turisti, e finalmente abbiamo trovato quella sensazione che cercavamo nei templi giapponesi: pace, suono delle loro campane e raccoglimento. Ci è voluto un po’ per staccarci da questo tempio, ma poi siamo dovuti tornare giù per la scalinata e di nuovo in Sakurada Dori.

Lungo questa strada abbiamo trovato un negozio che vendeva spade giapponesi.

Will Fergusson una volta scrisse che facendo autostop una signora si fermò per caricarlo, ma prima di farlo salire gli chiese se per caso lui fosse un criminale “E’ un bene che lei creda nei criminali, ma non nei criminali disonesti”. Will aveva ragione, e l’avrei capito quel giorno.

La prima cosa che ci attratti nella vetrina è stata un’armatura da Samurai, o maglio, da Katanaka, spadaccino giapponese. Era bella, anzi, spaventosa, con quell’espressione furiosa… era troppo Kitsch per non entrare nel negozio.

Una volta dentro, ci siamo trovati nell’impero della spada, il sogno ardito dello spadaccino, un’orgia di lame cromate. Strumenti di morte tanto aggraziati che sarebbero potuti sembrare opere d’arte. Noi ci siamo messi a girare per il negozio, e un ragazzo ci si è avvicinato forse con la speranza di vendere una spada. Prima ci ha fatto vedere alcune spade “da turisti”, poi mi ha chiesto se fossi bravo a tirare di spada, onestamente i pochi anni di Aikido non mi hanno insegnato molto, ma l’uso base bel Bokken, la spada di legno, era parte del curriculum. Quando ha sentito “Aikido” e “Bokken” si è illuminato ed ha tirato fuori le sue spade migliori, io lo ringraziavo e gli facevo i complimenti, finchè, a suon di elogiarlo, si è eccitato e, chiave in mano, ha aperto una grata e mi ha passato uno dei suoi “pezzi migliori”, era una lama di una lega che a suo dire era super resistente e a mia sensazione leggerissima. A questo punto, lui si è inginocchiato davanti a me per allacciarsi una scarpa, col collo scoperto… Sei fortunato che non sono nè un delinquente, e neanche disonesto, sennò finiva male!

Quando si è alzato ho passato la lama a Lula che l’ha provata per un po’, e poi ce ne siamo andati ringraziandolo tanto.

Poco lontano dal negozio di spade, dietro una curva e su per un salita, si erge la famosa Tokyo Tower. Probabilmente i detrattori di Parigi storceranno il naso a pensare ad una replica della Torre Eiffel dipinta di rosso, ma questa è Tokyo e non si devono fare domande.

Il nostro dubbio era, una volta arrivati alla base della torre, se valesse la pena salire; alla fine abbiamo deciso di provare. Per arrivare in cima si usano ascensori super veloci e in men che non si dica, si arriva al punto panoramico da dove si può ammirare tutta la città. La Torre permette una vista di 360° su tutta la città, e per aiutare i turisti a riconoscere i vari posti, sono stati installati sia cartelli che indicano le direzione, sia posters con i nomi dei palazzi che si hanno davanti, sia monitor che mostrano filmati in time-lapse come evolve il panorama nell’arco della giornata. La visita è stata molto bella e fortunatamente, nonostante un po’ di foschia, il panorama era molto bello.

Una volta usciti dalla Torre di Tokyo abbiamo preso la Gaien Higashi Dori e siamo arrivati nel quartiere di Roppongi. Secondo le nostre guide questo è un quartiere più che altro di alberghi e locali, di conseguenza, non abbiamo trovato nulla di davvero interessante. Da Roppongi abbiamo preso la metro e siamo tornati in centro, in zona Ginza-Shinbashi dove abbiamo continuato la nostra esplorazione.

Siamo tornati verso l’albergo che era quasi ora di cena e ci eravamo prefissati un obiettivo pretenzioso: andare sulle tracce del famoso viaggiatore Patrizio Roversi.

Prima di partire per il viaggio abbiamo guardato le vecchie puntate di Turisti per Caso in Giappone e tra una scena e l’altra, ci aveva colpito il ristorante di serpenti. Per me non erano proprio una novità, visto che ho avuto i miei precedenti in Laos, ma questi mancavano a Lula ed abbiamo deciso di andare a provare questo ristorante.

Sulla strada di ritorno da Ginza abbiamo deviato su Ueno dove sembrava che fosse ubicato il ristorante, pero’purtroppo abbiamo trovato le saracinesche abbassate. Non abbiamo avuto modo di sapere se il ristorante fosse solo chiuso per ferie o definitivamente.

Quindi, da Ueno siamo andati a piedi ad Asakusa ed abbiamo deciso di fermarci in un ristorante vicino al nostro albergo. All’esterno era contraddistinto dalle tipiche bandiere giapponesi strette e late, oltre che dalle lampade giapponesi. Una volta entrati siamo stati fatti accomodare in una sala rialzata dal pavimento in legno. Dovevamo stare seduti per terra, e lunghe (e basse) tavolate correvano attraverso la sala. Il locale era gremito, segno che ci si doveva mangiare bene. La specialità del posto erano pesci fatti cuocere su piastra con porri tagliati fini e una salsa segreta. Abbiamo ordinato la specialità della casa ed nel giro di pochi minuti, cameriere in abiti tradizionali ci hanno portato un fornello in ghisa con dentro del carbone, una piastra sempre in ghisa con sopra i pesci (simili a piccole acciughe), una ciotola di porri e un piccola brocca di “salsa segreta”, il bello del ristorante era che erano i clienti a dover cucinare. Ho avuto un Deja-Vu del film “Lost in Translation” dove Bill Murray si trovava in una situazione analoga, ma con la carne.

Quindi, calatomi nella parte di Bob mi sono destreggiato a cucinare usando le bacchette. Lula – Charlotte, si offriva a farmi da assaggiatrice di tanto in tanto, e nel frattempo rideva alla scena e per imitare una massaia s’era legata il fazzoletto in testa… e non avevamo ancora toccato il Sakè. Ma quando si tratta di cucinare, per me non esistono sfide alle quali mi sottragga… eccetto il Tajine alle prugne, quella è la mia Nemesi culinaria, ma è un’altra storia.

Nel frattempo è entrata nel ristorante un’altra coppia di italiani che il personale ha fatto sedere accanto a me e Lula; erano i due ragazzi, Mr. Portatore di Boxer e Miss. Indossatrice di Camicia da Notte, che la notte precedente abbiamo visto scappare durante il terremoto, cosi’abbiamo passato la serata a parlare con loro di questa Tokyo che lentamente stavamo iniziando ad imparare a capire, o forse no…

La cena è stata spettacolare, i pesci sono stati fantastici, e per dessert abbiamo preso un gelato al Macha Tea, del Melone ed un bicchiere di Sakè freddo.

Dopo cena siamo tornati all’albergo, ci aspettava una bella dormita; l’indomani sarebbe stato dedicato all’esplorazione di un’altra parte del Giappone.

Giorno 6 – Nikko, Akihabara tra Fumetti, Robot e Terremoti parte seconda

Era già quasi una settimana che eravamo in Giappone e ci sembrava di essere appena arrivati. Ogni giorno scoprivamo cose nuove e visitavamo posti nuovi. La mattina del nostro sesto giorno giapponese, ancora molto assonnati, abbiamo preso la Ginza Line e dalla stazione centrale di Tokyo siamo partiti alla volta di Nikko con uno Shinkansen. Il nostro viaggio sul treno non è durato molto e siamo scesi alla stazione intermedia di Utsunomiya, dove abbiamo preso un trenino per Nikko attraverso la campagna Giapponese.

Usciti dalla stazione, in una Nikko sotto un cielo grigio di nuvole, ci siamo diretti verso l’area dei templi. La strada è semplice, breve e piacevole. Il primo punto di interesse è il ponte Shin-Kyo, a dorso d’asino, di colore rosso brillante, un’attrattiva per i passanti. Le fotografie di questo ponte sono entrate tra le mie foto che rappresentano al meglio la mia idea di Giappone, quello leggendario, dei samurai, geishe e fiori di sakura.

Vicino al tempio c’è una scalinata che porta all’interno dell’enorme complesso templare: è gigantesco e ci vuole quasi tutta la giornata per visitarlo; ogni edificio, ogni decorazione ed ogni angolo è ricco di significato, intriso di leggende.

Il primo è stato il massiccio tempio Sambutsu-do con il suo tetto a pagoda. Poi siamo passati al tempio Yakushido con al sua torre pagoda a cinque piani e l’ordinatissimo giardino circondato dal tempio stesso. L’area successiva è stata quella del tempio Toshogu, famoso per l’edificio con I bassorilievi delle scimmiette. Camminando in cerchio attorno all’edificio si può vedere rappresentazioni delle fasi della vita dove le persone sono state sostituite dalle scimmiette. Si passa dalla nascita, all’infanzia, pubertà fino alla fondazione di una famiglia, da dove nascerà una nuova scimmietta che riprenderà il cerchio. La scena più famosa è quella delle tre scimmiette “Talk no evil, Hear no evil, See no evil”. In questo tempio c’è anche il Padiglione del Drago, riconoscibile dalle teste incise fuori dalla facciata. Una volta dentro si rimane sbalorditi dalla formidabile scultura di Drago appesa al soffitto. Qui un monaco/cicerone ci ha parlato del drago e poi ci ha chiesto di fare silenzio. Lui ha sbattuto con forza due tavolette di legno e s’è formata una strana eco, simile ad un fischio o un sibilo. La leggenda vuole che sia il Drago a rispondere al richiamo.

Da questo tempio siamo passati attraverso un’area circondata da alberi altissimi per arrivare al tempio Futarasan dove vi sono diverse belle camere da visitare. Seguendo il fiume, si arriva alla scalinata che conduce al bellissimo tempio Taiyuin-Byo; la fatica è ripagata largamente dalla bellezza del tempio. Gli alberi erano guardiani che apparivano nella nebbia, la foschia avvolgeva questo scenario da favola, rumori ovattati, il canto di qualche lontano uccello era l’unico suono che avvolgeva questo luogo incantato. Ecco, avevo trovato il Giappone zen che cercavo!

Da questo tempio abbiamo fatto tutta la strada a ritroso finchè dal varco di accesso all’area dei templi abbiamo preso un bus di linea e siamo andati al paesino Chuzenji Onsen. C’era una nebbia assoluta, non si vedeva niente. Non lontano dal lago Chuzenji-Ko c’erano le cascate Kegon, che abbiamo trovato ma abbiamo potuto sentirne solo il rumore tanto era fitta la nebbia.

Dopo una bella cioccolata calda, siamo tornati a Nikko e quindi siamo tornati a Tokyo.

Abbiamo passato la nostra ultima sera tra Ginza e Akihabara dove abbiamo mangiato in un ristorantino in un centro commerciale, senza che le verdure al dente, il riso bollito e la zuppa di tofu ci impressionassero più di tanto. Akihabara di sera da’ il meglio di se’: i palazzi si illuminano di insegne al neon mentre camion circolano per le strade con grosse insegne di pubblicità. Robot, personaggi manga e cartoni animati sono ovunque. Un appassionato di queste cose qui può perdere il senso dell’orientamento.

Siamo tornati in albergo ad Asakusa e mentre facevamo le valigie, tutto ha iniziato a muoversi ed i vetri a scricchiolare nuovamente. Io ho fissato Lula e le ho detto “No, non è colpa mia!” e siamo corsi sotto l’arco della porta. Sentivamo grida dalle stanze vicine alla nostra. Il terremoto è durato quello che sembrava un’eternità e poi, lentamente, è passato. Il giorno successivo ho scoperto, grazie ad internet, che si era trattato di un terremoto di magnitudo 7,3 ed era durato circa 35 secondi. Era stato decisamente spaventoso.

Abbiamo passato gran parte della serata a girovagare per Asakusa e siamo tornati a dormire che era notte fonda. L’indomani saremmo partiti per l’adorabile Kyoto.

Giorno 7 – Kyoto, Padiglione d’argento, palazzi e camminate filosofiche alla ricerca di cerimonie del te

Era l’alba ed abbiamo lasciato il nostro albergo in direzione Tokyo central. Erano passati così tanti giorni che ormai la strada per la stazione della metro era familiare come la strada sotto casa. Da Asakusa, con la Ginza Line, siamo arrivati alla stazione centrale di Tokyo da dove, con un treno Shinkansen, siamo partiti per Kyoto.

Il viaggio in treno è durato poco meno di tre ore e dopo aver abbandonato la vasta periferia di Tokyo, ci ha portati attraverso un paesaggio di campagne e campi fino quasi a Kyoto. Mi immaginavo il Giappone meno verde.

Arrivati a Kyoto ci siamo sistemati nel bel Apa Horikawadori Hotel. Abbiamo scelto questo hotel per due ragioni: la prima è che era uno dei più economici, la seconda è che era vicino alla stazione, quasi di fronte alla Kyoto Tower. L’hotel era bello e pulito; la nostra camera, tuttavia, era estremamente piccola, forse ancora più piccola di quella che avevamo a Tokyo e anche qui abbiamo trovato degli Yukata da indossare in camera e degli origami fatti a Gru sul letto.

Subito ci siamo lanciati per le strade di Kyoto. Prima un bus che ci ha portati a Shirakawa Dori, e poi una passeggiata fino al vicino tempio Ginkakuji. Kyoto è una città tranquilla, dall’aspetto molto più rilassato di Tokyo; i palazzi sono in genere più bassi e da l’idea di essere una città con più storia. Lungo la strada abbiamo anche avuto modo di provare una Fanta all’Uva, molto popolare in Giappone, una bevanda gassata, molto, molto, molto dolce e col gusto di Bubble-Gum!

La nostra esplorazione di Kyoto è iniziata con il tempio Ginkakuji, conosciuto anche come “Padiglione d’Argento”: si articola tra padiglioni, laghetti e giardini curatissimi che offrono scorci da cartolina.

Una volta usciti dal tempio Ginkakuji, abbiamo preso la vicina Tetsugaku-no-Michi, la Passeggiata dei Filosofi: questa è una lunga strada alberata che segue un fiume; il quartiere è residenziale e molto tranquillo. Poco prima di partire per l’esplorazione di Kyoto, ci eravamo informati presso ente turistico locale dove poter assistere ad una Cerimonia del Te, e casualmente, abbiamo scoperto che c’era un locale proprio sulla Passeggiata dei Filosofi, così ci siamo fatti scrivere il nome in Giapponese in modo da poter chiedere informazioni una volta in zona.

La Passeggiata dei Filosofi è piacevole, soprattutto grazie alle fronde degli alberi che forniscono una bella ombra nelle giornate calde e soleggiate. Ho chiesto ad una moltitudine di giapponesi informazioni circa la Tea House, e dopo una snervante quantità di indicazioni sbagliate, abbiamo incontrato la padrona di un negozio di abbigliamento che ci ha indirizzati al posto giusto.

Dopo un ponte ed abbiamo trovato il locale: era aperto e deserto; siamo passati attraverso le tendine dell’ingresso e nella penombra degli spazi semi vuoti ed arredati in maniera essenziale come nella tradizione giapponese, è apparsa una signora; Lei non camminava, lei scivolava, forse fluttuava, si avvicinava ed i suoi passetti non facevano quasi rumore. Per fortuna che gli Dei hanno voluto che lei parlasse inglese; abbiamo contrattato per “Una cerimonia del Tè” per due persone.

La signora ci ha accompagnati in un’altra stanza e ci ha fatto accomodare su due poltroncine dietro un tavolo basso. Poi, dopo pochi minuti, è entrata una ragazza vestita in abiti tradizionali che portava con sè un vassoio sul quale aveva posato un vero proprio arsenale di attrezzi, teiere e tazzine. Lei ci ha salutati ed ha cominciato la cerimonia del te: era delicata, complicata ed ipnotica, danzava elegantemente, il suo partner era il Te, noi eravamo gli spettatori. Con frustate ritmate del suo pennello di bamboo ha miscelato il Tè verde, con l’abilità di una giocoliera ha lavato, sciacquato e bagnato nuovamente le teiere e le tazzine, per arrivare alla fine alla creazione della sua alchimia: due tazze di Tè dal colore verde vivo, denso e schiumoso e ad accompagnarlo due dolcetti di pasta trasparente di riso con ripieno di salsa di fagioli dolci.

Il Tè verde non è da tutti, o ti piace o no (massima uscita dopo chilometri di Passeggiata dei Filosofi?), onestamente, non ha nulla a che fare col nostro Tè, col Tè inglese o Indiano, un’altra categoria alimentare, e beato chi l’apprezza. I dolci ai fagioli sono gommosi e dolcissimi, ecco un’altra cosa che potrebbe non piacere a tutti. Lula ha adorato entrambi, ma lei adora ogni cosa che sia giapponese o che abbia scritto sopra “Japan”… E’ stata comunque una cerimonia suggestiva.

Dopo ci siamo diretti verso il Tempio Heian: davanti ad esso c’è una piazza immensa, il tempio è colorato di rosso ed ha i tipici tetti a pagoda, ma il meglio è nel retro, ci sono dei giardini enormi con un lago e un ponte coperto che l’attraversa.

Era il tramonto e noi giravamo da soli nel tempio. E’ stato magnifico sdraiarsi qualche attimo ed ascoltare i rumori della natura del parco attorno a noi, mentre il giorno andava ad incontrare l’Occidente e la Luna faceva capolino, una gru cantava, lo sciabordio dell’acqua ci cullava, qualche insetto ronzava e nient’altro. Kyoto sembrava lontana mille chilometri, c’era la pace… era bellissimo!

Siamo tornati in centro, nella zona di Kawaramachi, che era già buio. Volevamo trovare un ristorante prima di tornare all’albergo ed ormai, avendo imparato il trucco di cercare nei piani alti dei palazzi, non ci abbiamo messo molto a trovarne uno con indicazioni in inglese.

Questa sera, dopo pranzi e cene di pesce o vegetariane, abbiamo optato per una cena di carne: io ho ordinato delle piccole fettine di carne alla piastra, Lula ha preso degli spiedini ed entrambi come contorno abbiamo scelto due insalate miste e per finire la cena, un bel Sakè freddo.

Siamo tornati all’albergo soddisfatti della nostra prima giornata a Kyoto, ma il mattino ci aspettava un piccolo viaggio nel passato Giapponese. Era ora di andare a dormire.

Giorno 8 – Himeji

L’ottavo giorno del nostro viaggio è iniziato con un’abbondante colazione in albergo, poi siamo andati alla stazione dietro l’angolo e ci siamo imbarcati su uno Shinkazen. Il bullet train ci ha portati ad Osaka dove abbiamo cambiato ed abbiamo preso un treno locale. Il nuovo treno, lentissimo, ci ha portati sulla costa giapponese, e dopo Kobe, ci siamo diretti a sud, verso Himeji. Ad accompagnarci, Helldorado dei Negrita.

Himeji è una cittadina che vive sostanzialmente sul turismo legato al suo castello: è uno dei più antichi del Giappone e risale al 1600 circa. La città durante la seconda guerra mondiale venne pesantemente bombardata e solo nel 1950 circa iniziarono i lavori di restauro del castello, che comunque era stato solo minimamente danneggiato. Di recente il castello e di conseguenza la città ha riacquistato popolarità essendo stato parte del set di film famosi come “007 Si Vive solo Due Volte” e “L’Ultimo Samurai”. Ed ora poteva anche vantare la visita di Fra e Lula!

Il castello non è lontano dalla stazione e dal basso è un vero spettacolo: bianco, elegante e regale ci scrutava dall’alto di una collina. Tra noi e lui c’era una sorta di labirinto di passaggi, piazze, muri, cortili e quant’altro. Un tempo servivano per fermare gli attacchi nemici, oggi affascinano i turisti che vedono cambiare la fisionomia del palazzo ad ogni curva.

La parte più bella è stata l’ultimo piano dove c’era un museo di armature ed una vista su Himeji spettacolare. Siamo rimasti al lungo ad ammirare il panorama e poi siamo dovuti tornare a Kyoto. Lentamente siamo tornati giù per la collina. Poi, treno locale fino ad Osaka e Shinkanzen per Kyoto.

Quella sera, ci siamo diretti nel centro di Kyoto dove abbiamo cenato con ottimi noodles, sushi e Sakè.

Quando siamo usciti dal ristorante abbiamo fatto una passeggiata per il centro, che quella sera era deserto. Kyoto, con la sua notte stellata e brezza tiepida ci augurava la Buona Notte.

Giorno 9 – Kyoto tra Padiglioni d’Oro, Giardini Zen, Volpi e Memorie di Geishe

Quella mattina ci siamo svegliati tardi. Con assoluta calma abbiamo preparato gli zaini piccoli e ci siamo diretti verso un giorno di esplorazione di Kyoto.

Subito fuori dalla stazione abbiamo preso un bus e ci siamo diretti verso il primo monumento da visitare: il Padiglione d’Oro, o tempio Kinkakuji, simbolo, icona, fede e desiderio misti assieme. In realta’ il “Padiglione d’Oro”è solo una parte del Kinkakuji. Infatti, il tempio è costituito da un vasto parco che include il fianco di una piccola collina, un laghetto ed un edificio a pagoda chiamato Rokuon-ji con due tetti le cui pareti sono rivestite di foglia d’oro.

Appena si entra nel perimetro del tempio, ci si trova davanti alla vista spettacolare del Rokuon-ji che si specchia nel laghetto immobile. Alberelli piantati ad arte ed aiuole curatissime creano un’immagine molto evocativa.

Tutto attorno al Rokuon-ji vi è un bellissimo parco dal quale, una volta saliti sulla collina, si può godere di una bella vista su Kyoto.

All’uscita dal tempio, una gentile signora in abito tradizionale ci ha offerto un bicchiere di tè nel quale era stata sbriciolata della foglia d’oro ;il tè, dal colore smeraldo scuro screziato di frammenti d’oro in superficie, era buono e dolcissimo.

Una volta usciti dal Kinkakuji si può prendere un autobus che con poche fermate porta al tempio Ryoanji, il famoso Tempio Zen. Anche questo tempio è circondato da un giardino molto grande, ma la parte più importante è il curatissimo giardino Zen di sabbia: i monaci creano paesaggi rastrellando la sabbia e posizionando sassi come se fossero ipotetiche isole nel mare. Tutti siedono su un terrazzo che da sul giardino, tutti scalzi e coi piedi nel vuoto. Questo è il regno del silenzio, della pace e della ricerca introspettiva. Se ci fossero meno persone sarebbe perfetto, ma qui si deve scendere a compromessi. E’ un luogo magico!

Dopo la parte spirituale è entrata in gioco quella più edonistica della nostra giornata. Infatti, una volta tornati in centro abbiamo prima fatto tappa in una gelateria e poi ci siamo dedicati a fare shopping. Il centro è costellato di bei negozi e c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Ma la nostra voglia di esplorazione ha peso il sopravvento, cosi’abbiamo deciso di prendere un treno metropolitano per andare a sud di Kyoto al famoso tempio Fushimi Inari Taisha, chiamato anche Tempio delle Volpi.

Come vuole la nostra regola , fondamentale ed immutabile, siamo arrivati che era già tardi. Il cielo stava imbrunendo sotto una densa coltre di nuvole. Ci siamo addentrati nel complesso del tempio che copre una vasta area della collina. Le strade che portano da un’area all’altra sono coperte da lunghissime serie di portali Torii uno di seguito all’altro, a creare gallerie segmentate di colore cremisi. Camminarvi dentro è ipnotico!

Eravamo soli, attorno a noi solo i rumori della natura al tramonto rompevano il silenzio, pochi raggi filtravano attraverso i portali Tori ed il tempio stava sprofondando velocemente nell’oscurità.

Il tempio è molto famoso anche perchè è stato un set del film “Memorie di una Geisha”, e noi non potevamo che rievocare una scena, con Lula che correva lungo le gallerie nei panni di Chiyo, la protagonista del film.

Il tempio è chiamato anche “Tempio delle Volpi” perchè ospita numerose statue di volpe. La volpe, che in giapponese si chiama Kitsune, è protagonista di numerose leggende popolari; secondo la tradizione, sembra possedere grande astuzia, è in grado di trasfigurarsi in persone ed in questo modo puo’ far cadere in trappola gli umani; sono anche guardiane fedeli, amiche, grandi amanti e mogli fedeli; inoltre, sono anche messaggere della divinità Inari Okami, la divinità della fertilità.

Qui, in questo tempio, le volpi sono venerate quasi quanto esseri divini e spesso davanti alle statue si possono trovare offerte dei fedeli.

Poi, una goccia.. “Lula, mi è sembrato di sentire una goccia…”, BAAAAAM! Un tuono. E poi, è iniziato a piovere a dirotto. Io ho detto: “Sicuramente se camminiamo nei tunnel di Tori, ci ripareremo dalla pioggia, i giapponesi l’avranno ben inventati per quello!”. Venti minuti più tardi eravamo nella parte più alta del tempio, sulla collina, zuppi fradici.

Il buio ci circondava, e l’aria era riempita dal rumore della pioggia nella boscaglia. I lampi facevano apparire le statue di Kitsune in una sinistra luce bluastra. Era un misto di spaesamento e carica adrenalinica . In quel delirio di pioggia, lampi, portali Tori e volpi di pietra, noi ridevamo come dei folli. Si, le volpi avevano fatto un’altra magia. Ci avevano regalato un’emozione indimenticabile!

Lentamente siamo tornati a valle ed abbiamo preso un treno metropolitano verso il centro di Kyoto. Per la prima volta abbiamo notato che i giapponesi, di solito imperturbabili, ci hanno lanciato certe occhiatacce per il modo in cui eravamo conciati. Loro, con i loro ombrelli, sembravano puliti ed asciutti come ad essere appena stati partoriti da una lavanderia, noi, l’opposto.

Quando siamo tornati all’hotel, ci siamo cambiati e siamo andati nel centro di Kyoto a festeggiare la nostra ultima sera in questa bellissima città.

La pioggia era finita ed il cielo si stava aprendo.Abbiamo girato per il centro finchè non abbiamo trovato un ristorantino di Sushi gremito di gente del posto, segno che era buono. Abbiamo fatto una bella cena assaggiando una moltitudine di tipi diversi di Sushi, tutti ottimi. Il nostro preferito era quello al tonno, una vera favola!

Come la sera precedente abbiamo festeggiato con dell’ottimo Sakè, ma questa volta, complice il caldo e la stanchezza, ci ha stroncati. Era tardi, troppo tardi. I pullman dell’ultima corsa erano gia’ partiti. Le strade erano popolate da auto truccate, da tamarri, che si esibivano a suon di neon e schermi LCD tra vie di negozi chiusi. Si, a Kyoto, alle undici sembra di essere in una città sotto coprifuoco in tempo di pace. Tutto chiuso, solo noi, qualche turista che vagava alla disperata ricerca di un locale aperto, ed i tamarri. Così, rassegnati, lentamente siamo tornati a piedi all’albergo. Ad aiutarci, la nostra amica Kyoto Tower che svettava da lontano ad indicarci la posizione del nostro albergo. Circa tre chilometri più tardi, un paio di incroci sbagliati, una ventina di foto che non saranno mai state mostrate ai giapponesi, tante risate e un gran mal di piedi per le scarpe chiuse in quel caldo, siamo arrivati all’albergo. Ed è stato in questo momento che ci siamo resi conto che quei lunghi corridoi ricordavano una versione più moderna, luminosa e pulita dello Stanley Hotel di Shining.. hiiiiihiii…

Giorno 10 – Nara, terra di cervi, templi e lanterne

Quella notte Lula non è stata bene ed il mattino dopo, mentre preparavamo gli zaini ha giurato solennemente sulla testa del venditore di spade di Sakurada Dori che non avrebbe più toccato Sakè per il resto del viaggio.

Dopo una colazione con tantissimo caffè, siamo partiti alla volta di Nara.

Un nuovo treno, un nuovo panorama. Nonostante fossimo a soli 40 circa chilometri da Kyoto, sembrava già un altro mondo. Il treno ci mette circa un’ora ad arrivare a destinazione e quando si scende dal treno, ci si trova in una pacifica cittadina di collina. Quel giorno abbiamo trovato un sole splendente e la città ci ha accolti con un sorriso brillante.

Come per Kyoto, anche qui abbiamo preso un albergo nelle vicinanze della stazione, era l’Hotel Nikko: pulito e, come da regola, con camere piccolissime; per un attimo abbiamo pensato di esserci infilati in una di quelle casette per i bambini, ma questo aveva poca importanza, avremmo usato questo albergo solo per una notte. Così, una volta lasciate le valigie in albergo ci siamo precipitati nella città. Nell’ufficio del turismo locale abbiamo ricevuto molte informazioni e molti opuscoli. Così ci siamo diretti su per una strada costeggiata di bellissimi negozi e pulitissima, fino ad arrivare ad un laghetto. Siamo saliti su per una scalinata proprio di fronte al lago e ci siamo già trovati davanti al primo complesso templare. Davanti a noi c’era il Sanju No To, parco con la sua torre a tre tetti. Un’altra scala ci ha portati al parco del tempio Kofukuji, dove abbiamo visto i primi cervi. Qui a Nara i cervi sono sacri ed è molto frequente vederli nel complesso dei templi, soprattutto perchè attratti dai turisti che gli portano da mangiare. In questa parte del tempio si può anche vedere una torre con cinque tetti, che simboleggiano gli elementi della natura. E’ dentro questo tempio che c’è la massima concentrazione di cervi. Molti giapponesi vendono biscotti, i turisti li comprano e vengono praticamente assaliti da orde di cervi, cosa pericolosa, visto che non ci penserebbero due volte ad incornare una persona per un biscotto. E poi è arrivato lui, il cervo appassionato di fibre, ma quelle di carta: ha aspettato che facessi una fotografia a Lula e in quell’attimo mi ha sfilato dalla tasca la mia adorata mappa di Kyoto.. dovevo riprendermela! Prima che la mangiasse l’ho afferrata dall’altro lato ed è iniziata una gara di tiro della mappa, tra me e il cervo.

Mi sono immaginato Lula che passava con un cartello con scritto “Round 1” gridando “All’angolo destro Fra, il genovese che non vuole spendere i soldi per comprare un’altra mappa! Applaudite! All’angolo sinistro il cervo mappofago giapponese! Fischiatelo!”.

Mentre tiravo, con i turisti che ridevano della scena, ed il cervo che non ci voleva la telepatia per capire che si stava incavolando, ho avuto un’idea: ho continuato a tenere la mappa con una mano e con l’altra ho rovistato in tasca dove avevo un biscotto; sperando che avesse una tossicodipendenza per gli acidi grassi saturi ed i zuccheri semplici, gliel’ho sventagliato davanti ai suoi occhi da serial killer. In un attimo ha lasciato la mappa e s’è concentrato sul più gustoso biscotto, che ho lanciato lontano. Mentre il cervo se la prendeva con altri cervi per quel biscotto, io contemplavo la mia mappa in parte masticata. Non potevo perdere quella mappa, vi avevo annotato sopra un indirizzo importantissimo di Kyoto…

Sul lato opposto rispetto alla torre con cinque livelli, siamo passati davanti ad un altro edificio antico e molto bello, è la Tokon-Do Hall, e qui vicino siamo tornati sulla strada. Abbiamo proseguito verso “la salita”.

Nara è una cittadina piena di templi collegati tramite stradine lungo la collina e la boscaglia, tutte perfettamente curate e tracciate da lanterne in pietra.

Il primo incontro è stato con la Porta Nandaimon, un antico portale fatto a palazzo con tanto di tetto a pagoda, che fa da varco per accedere al tempio successivo situato un po’ più avanti.

Il tempio successivo è stato il maestoso Todaiji: è enorme, fantastico, con statue ciclopiche e bellissime con uno stagno a fianco.

Attraverso la Nigatsu-Do Hall, siamo arrivati dopo una passeggiata al Kasuga Grand Shrine: questo è stato il mio posto preferito a Nara; questo tempio nella boscaglia era vivo per i preparativi per il festival della stessa sera; la boscaglia intorno al tempio era costellata di lanterne in pietra ed anche qui si poteva scorgere qualche cervo. Attenzione alle mappe!

Dopo questo tour di templi, ci siamo recati nel centro storico della città: case basse e dedali di stradine si aprivano davanti a noi. E’ stato un vero piacere vagare per queste stradine soleggiate. Durante la nostra passeggiata abbiamo acquistato un Dragon Fruit, ci siamo seduti su una panchina ed è stata una gustosa merenda in un posto meraviglioso.

La sera stessa siamo tornati in città per assistere al Festival delle 10000 lanterne, non volevamo perderlo! Al calare delle tenebre, la città si è accesa di piccole lanterne. Noi abbiamo seguito lo stesso percorso che abbiamo fatto di giorno, per scoprire una città che aveva cambiato volto. Ora tutta la città era in festa e brillava grazie a miriadi di lanterne.

Quella sera è stata davvero emozionante. La gente per strada faceva festa, c’erano bancarelle, musica ed allegria. La festa mondana era per le strade, e nei templi erano in corso cerimonie religiose. Noi eravamo nel mezzo di questa festa ed è stata un’esperienza indimenticabile.

A notte tarda, siamo andati a mangiare in un ristorantino del posto, per poi scoprire che avremmo dovuto cucinare noi. Lula ha ordinato noodles, mentre io ho avuto il coraggio di ordinare una Okonomiyaki, in pratica ho fatto una specie di frittata di spaghetti. Lula ha cucinato i suoi noodles che erano perfetti, mentre la mia Okonomiyaki era tanto orribile da poter essere iscritta nel registro delle armi di distruzione di massa.

Dopo cena, quando siamo usciti dal ristorante abbiamo scoperto che Nara aveva ancora una volta cambiato volto. L’efficienza giapponese lasciava sbalorditi. Non c’erano più lanterne in giro e le persone stavano lentamente tornando a casa. Per un attimo ho creduto che il festival delle 10000 lanterne non fosse esistito, ma sia stato, solamente, un sogno bellissimo.

Giorno 11 – Hiroshima e Miyajima

Il nostro undicesimo giorno giapponese si è aperto con un altro viaggio in treno. Alla stazione abbiamo comprato dei Bento, cioè pacchetti da viaggio con riso e pesce, magnifici esempi di visual food! Lungo la strada il tempo ha iniziato a peggiorare fino ad arrivare ad Hiroshima che pioveva. Alla stazione abbiamo lasciato i bagagli in un coin locker e poi, con un tram ci siamo recati al memoriale della bomba atomica.

Il primo monumento che si incontra è il famoso A-Bomb Dome, uno dei pochi edifici rimasti in piedi alla furia della bomba atomica. Oggi Hiroshima non mostra più segni di quell’atroce evento se non per il parco memoriale.

Vicino all’A-Bomb Dome c’è il monumento dei giovani lavoratori, cioè i ragazzi costretti a lavorare nelle fabbriche della seconda guerra mondiale.

Vicino al monumento dei giovani lavoratori c’è un ponte che conduce al Peace Memorial Park, la pioggia insistente si stava trasformando in una pioggerella mista a nebbia, che aumentava il senso di drammaticità di ciò che avevamo davanti.

Nel Peace Memorial Park abbiamo visitato il monumento dedicato a Sadako Sasaki, una bambina morta di leucemia a seguito delle radiazioni della bomba atomica. La tradizione vuole che chi vi si rechi debba lasciare un origami a forma di gru; così ho preso dallo zaino la mia mappa di Kyoto, la stessa masticata dal cervo, ne ho tagliato un pezzo, abbiamo ricavato due origami fatti a gru e li abbiamo aggiunti agli altri nella teca. Una enorme tristezza ci copriva in quei momenti, proprio come la pioggia che ci stava inzuppando.

Nel Peace Memorial Park c’è anche il museo della Bomba Atomica. Non abbiamo potuto evitare di visitarlo. Consci che sarebbe stato triste, non potevamo evitare di prenderci anche questo pugno dalla storia. Come previsto, le testimonianze archiviate lì dentro erano allucinanti. Capisco che nella Seconda Guerra Mondiale ognuno ha fatto la sua parte di atrocità, giapponesi compresi, ma perchè tutta quella sofferenza gratuita? In quel tempo il Giappone era in ginocchio e continuava a prendere batoste. Come si è arrivati a tanto?

Siamo usciti dal museo che aveva smesso di piovere e filtrava già qualche raggio di sole. Sembrava che in qualche modo, lasciando Hiroshima, anche il sole avesse voluto rasserenarci. Così, presi i bagagli, siamo saliti su un treno locale che ci ha portati al molo dove avevamo il traghetto.

Abbiamo attraversato il piccolo specchio d’acqua che separa la terra ferma dall’isola di Myajima. Ad accoglierci, il famosissimo portale O-Torii che si erge dalle acque. Qui, una volta scesi dal battello, abbiamo incontrato il pulmino che ci ha portati al nostro hotel il Ryokan Miyajima Seaside.

L’Hotel, forse il più caro che abbiamo preso in tutto il viaggio, è stato fantastico. Appena entrati si devono lasciare le scarpe all’ingresso dove vengono fornite delle pantofole, poi, una volta fatto il check-in lo staff ci ha accompagnati alla nostra camera, al secondo piano, vista mare.

La camera è arredata in tipico stile giapponese, praticamente vuota. Gli armadi sono a muro ed a scomparsa. Il tavolino è basso, e si dorme su futon. Vicino alla terrazza però c’era un tavolino occidentale e due comode poltrone.

Visto che aveva smesso di piovere già da un po’ ed era ancora pomeriggio, abbiamo deciso di scendere ed andare ad esplorare i dintorni. Appena girato l’angolo ci siamo trovati in un porticciolo che dava l’idea di essere abbandonato; ad intervalli regolari vi erano mucchi di conchiglie di ostrica alti quanto una persona. A Myajima la coltivazione di ostriche è un’industria fiorente.

In lontananza un cervo si stava mangiando qualcosa nel mucchio di ostriche in decomposizione.

Attraversata una galleria ci siamo trovati su un altro versante dell’isola: qui c’era una lunga spiaggia di sabbia marroncina che non dava l’impressione di essere proprio pulita e l’acqua sembrava piena di alghe. Tutt’altro che invitante, ma questo confermava ciò che avevamo letto sulle spiagge giapponesi: se qualcuno cerca un bel mare in Giappone, deve andare ad Okinawa.

Il sole ha iniziato a calare, e siamo stati costretti a tornare sui nostri passi, lungo la spiaggia, la galleria, il porticciolo fino ad arrivare al nostro albergo.

Quella sera, dopo un relax nell’onsen dell’albergo, lo staff ci ha apparecchiato una romanticissima cena tipica in camera. Mentre eravamo seduti sul nostro terrazzo a guardare il mare di notte e sorseggiare Sakè, il personale è arrivato a sparecchiare ed a prepararci i letti, cioè, i futon.

La notte è scesa su Myajima, un angolo di pace. Un cervo girava libero sulla spiaggia davanti all’albergo mentre in lontananza le luci di Hiroshima si riflettevano sul mare a specchio.

Quella notte abbiamo dormito con la finestra aperta con il suono del mare in sottofondo. Buona Notte Myajima.

Giorno 12 – Myajima

Ci siamo alzati nella nostra camera con vista mare. Il tempo prometteva bene, nonostante ci fosse ancora qualche nuvola stava spuntando il sole. La spiaggia era deserta ed il mare con la bassa marea si era ritirato di parecchio, lasciando scoperti scogli e nuovi tratti di spiaggia.

Indossando i nostri Yukata siamo scesi nella hall a fare colazione, questo era l’unico pasto che non veniva portato in camera, ma una volta entrati, ci siamo accorti che eravamo gli unici ad indossare gli Yukata, non lo facevano nemmeno i giapponesi, evidentemente avevamo sbagliato qualcosa! Per iniziare bene la giornata io ho ordinato una colazione “tipica giapponese”, mentre Lula ne ha ordinata una europea. La colazione giapponese era costituita da una enorme sequela di piattini con diverse specialità, alcune per noi difficilmente conciliabili con la colazione: c’era la zuppa, il Tofu, la verdura ed il pesce sia in carpione che fritto. Ho invidiato il caffè e la brioche di Lula!

Quando siamo tornati in camera a cambiarci, l’efficientissimo staff ci aveva già rassettato la camera ed i futon erano già spariti dentro gli armadi. Ci siamo preparati e siamo partiti per l’esplorazione di Myajima. Con il pulmino dell’albergo siamo andati fino al molo dove eravamo arrivati la sera precedente e da qui abbiamo proseguito nell’interno del paese fino a raggiungere la funivia per il Monte Misen.

Abbiamo attraversato vallate e picchi di montagna con panorami bellissimi, da lontano potevamo scorgere sia Hiroshima che le coltivazioni di ostriche in mare. Una volta scesi dalla funivia abbiamo iniziato il nostro trekking: prima attraverso un bosco, poi su per il monte. Tutto attorno a noi era facile scorgere scimmie e cervi. Il caldo umido era opprimente, e già dopo pochi metri, eravamo fradici di sudore. Ci chiedevamo com’era possibile che i giapponesi non sudavano, ed era sorprendente il numero di donne giapponesi vestite di tutto punto, con tailleur e scarpe col tacco che facevano il nostro stesso percorso, ma a differenza di noi, in una compostezza surreale.

Lungo la salita abbiamo incontrato diversi luoghi sacri oltre che punti dove i giapponesi si sono dilettati a fare stoning, cioè pile di pietre.

Il primo tempio è stata la Reika-Do Hall, la sala che protegge la fiamma sacra. Secondo la leggenda, al suo interno c’è un braciere nel quale arde una fiamma che è stata accesa la prima volta da Kobo Daishi, un monaco fondatore della scuola Buddhista giapponese, oltre che codificatore della calligrafia e grande religioso. Secondo la tradizione, da allora la fiamma non è più stata spenta e la stessa fiamma è stata usata per accendere la Fiamma della Pace nell’Hiroshima Peace Memorial Park.

Il tempio successivo è la piccola Misenhodo Hall, che si trova proprio davanti alla Reika-Do Hall. Da questo punto abbiamo proseguito e siamo arrivati alla Sanki-Do Hall. Si tratta di un piccolissimo edificio, ma con una particolarità che l’ha fatto salire ad uno dei nostri preferiti. Su un lato c’è un balcone con dei cuscini dove ci si può fermare a meditare davanti al panorama della vallata e del mare. E’ semplicemente bellissimo!

Lungo la salita si passa anche davanti ad una piccola grotta ricavata tra grossi massi accatastati da eventi geologici, o forse da ciclopiche divinità Shintoiste, chiamata Fudo Iwa Cave Shrine. Affianco a questo tempio c’è un passaggio angusto sotto una roccia e in breve si arriva sulla cima del monte.

Eccoci, eravamo sulla vetta del Monte Misen. Uno splendido panorama appariva davanti a noi. Il caldo, l’umidità e la fatica erano spariti mentre ammiravamo questo angolo di Giappone dall’alto. Ne era valsa la pena, per davvero!

Dopo una sosta per una gassosa locale, siamo tornati giù per la montagna con un percorso alternativo, poi abbiamo raggiunto la funivia ed ecco ancora giù, fino al paese.

Una volta usciti dalla stazione della funivia, lungo la discesa, abbiamo deciso di fermarci in un ristorantino nel bosco. Una signora, che sembrava uscita da un cartone animato, ci ha portato un menù consunto in inglese dal quale abbiamo scelto dei Noodles e delle Ostriche. Eravamo in una delle patrie delle ostriche giapponesi e non potevamo farcele scappare. La signora ha sorriso e dopo pochi minuti è arrivata con i nostri Noodles fumanti: erano, buonissimi, forse i più buoni che abbiamo mangiato in tutto il Giappone; erano misti ad Alga Nori ed erano gustosissimi. Poi sono arrivate le Ostriche e con stupore abbiamo scoperto che erano lesse, proprio come noi facciamo le cozze. All’inizio abbiamo dubitato, ma poi, assaggiandole abbiamo scoperto che anche loro erano ottime! Ci siamo sentiti fortunati ad aver scovato questo ristorantino con la signora sorridente che ci ha serviti.

Siamo scesi sulla costa, ma abbiamo subito ripiegato verso un altro tempio nell’interno del paese, era il tempio Daisho-In. Onestamente, a chiamarlo tempio è come paragonare una basilica ad un oratorio. E’ enorme, gigantesco, vario, multiforme e bellissimo. Noi siamo entrati aspettandoci un semplice tempio col suo giardino attorno, ma invece, passaggi portavano da un’area sacra all’altra, per fare un esempio, si passa dal portale Niomon alle 500 Statue Rakan, dal Dai-Hannyakyo Sutra alla campana Belfry che porta fortuna se suonata. Ma poi ci sono numerose statue della Dea Kannon, Rotoli da preghiera in stile tibetano, Mandala di sabbia, stanze con 1000 immagini di Fudo e ancora tantissimi altri posti.

Siamo usciti dal tempio Daisho-In che la sera si stava avvicinando. Siamo passati davanti al tempio su palafitte chiamato Itsukushima-Jinja e ci siamo fermati sulla spiaggia ad ammirare il rosso portale O-Torii che si ergeva fiero davanti a Myajima, mentre la marea si stava alzando.

Dopo un po’ di riposo, siamo tornati al nostro Ryokan, dove stanchissimi, ci siamo concessi una doccia. Come la sera precedente abbiamo avuto un’ottima cena in camera e poi abbiamo preparato gli zaini per il giorno successivo, si tornava a Kyoto.

Giorno 13 – Kyoto tra castelli imperiali, parchi e sogni di Geisha

Come quando ci si sveglia da un bel sogno, noi ci siamo svegliati a Myajima. Dalla finestra aperta veniva il rumore del mare. Di notte avevamo sentito dei rumori, era un cervo nel prato davanti la nostra finestra. Il sole entrava nella camera senza filtri di tende e ci chiamava a gran voce. Non abbiamo imparato dormire sul futon, e per la seconda notte di seguito, più che materassi erano ridotti ad un campo di battaglia. Lo zaino ed il trolley erano pronti, l’uno a fianco all’altro nell’angolo della stanza, e sembravano anche loro chiamarci per la nostra nuova tappa.

Ancora assonnati siamo scesi per la colazione mi è stato chiesto se avessi voluto un’altra colazione tipica giapponese “European… Coffeeeeee… Bread…. and whatever….” e poi, piano “questa volta non mi freghi…” il cameriere, imperterrito “Eggs?” “Yes, two scrambled with beacon, please, you’re very kind to ask!” lui mi ha sorriso ed è sparito col suo taccuino dove aveva annotato l’ordine.

Dopo colazione siamo partiti da Myajima, abbiamo preso il traghetto, il treno metropolitano fino ad Hiroshima, uno Shinkansen e via, come proiettili fino a Kyoto, dove siamo arrivati che era quasi mezzo giorno. Il nostro albergo era lo stesso del nostro soggiorno precedente, solo che la camera era ancora più piccola.

Siamo usciti subito e ci siamo diretti in centro dove abbiamo visitato il Nijo Castle: entrare in questo castello dalle mura massive è stato come saltare dritti nel medioevo giapponese. Il giardino tutto attorno era bellissimo ed all’interno era ospitata un’esposizione di antiche armature e spade. Una cosa molto particolare era il pavimento interno che era stato progettato per scricchiolare; questo serviva come allarme contro eventuali attentati ai signori del palazzo. Naturalmente noi ci siamo divertiti a provare a passare senza farlo scricchiolare, ma per tanto aggraziati che fossimo, non siamo riusciti a non fare rumore!

Da questo castello ci siamo diretti ai bellissimi Gyoen National Garden e ne è valsa davvero la pena visitarli. Purtroppo, quando abbiamo raggiunto l’Imperial Palace, esso era chiuso, ed abbiamo potuto solo ammirarlo dal portale, chissà come sarebbe stato bello l’interno.

Lula mi ha chiesto “Dove andiamo? Ho letto che c’è anche…” io ho guardato l’orologio, ho preso la cartina, ho controllato il sole per la direzione, l’ho presa per mano e con un “Seguimi!” mi sono diretto a passo spedito verso sud. “Ma dove andiamo?” mi chiedeva Lula “Fidati!” rispondevo “No, non mi fido!”, “Fai bene..!” e intanto acceleravo. Avevamo un appuntamento importante, solo che lei non lo sapeva ancora.

Abbiamo attraversato diversi quartieri residenziali, poi il centro, un fiume, Gion che è il quartiere delle Geishe, fino ad arrivare ad un ponte.

“Cavoli, dev’essere qui…!”

“Qui cosa?” Era Lula.

“Aspetta!” mi sono girato su me stesso alcune volte, con la mia mappa di Kyoto, tutta stropicciata, piegata una miriade di volte, masticata da un cervo a Nara e strappata ad Hiroshima. Poi, puntando un dito verso un edificio dimesso “E’ laggiù, seguimi!” correndo.

Ho aperto la porta del negozio e sono entrato “Hello! It’s you Fran?”, alla mia risposta “Yes” hanno invitato Lula ad accomodarsi. Era troppo tardi, era caduta nella mia trappola.

Io amo i musical, e tutto quello che può essere scenografico. E così, l’avevo iscritta, a sua insaputa, ad una serata da Geisha. Un veloce ragguaglio sulle movenze da tenere e poi via con il Make-Over per trasformarla in una geisha che nessuno, giapponesi compresi, avrebbero potuto pensare fosse europea. Durante la fase di vestizione ci hanno fatto vedere una moltitudine di abiti ed alla fine Lula ne ha scelto uno da Maiko, cioè da allieva Geisha, che devo dire, anche secondo me era il più bello. La signora che l’ha truccata, una simpatica giapponese attempata, era curiosa del nostro viaggio ed ci ha intrattenuto raccontandoci aneddoti della sua vita.

Quando la signora ha finito col trucco, Lula, ormai irriconoscibile, è stata invitata in uno studio fotografico attrezzato con scenografia tradizionale, dove un fotografo professionista le ha scattato un set di fotografie. Poi, è iniziata la parte più bella. Con un SUV siamo stati portati a Gion, il quartiere delle Geishe ed il fotografo, facendo da guida, ha condotto Lula attraverso i posti più significativi per le Geishe, alcuni templi, la strada chiamata “Maiko Town” per arrivare al tempio nel quale le Maiko accendono lanterne votive con sopra il proprio nome per propiziarsi la carriera da Geisha. Tutto questo tour passeggiando per strada in costume, e c’è da dire che l’effetto è stato travolgente. Decine di persone si sono fermate a fotografare Lula, molte delle quali senza rendersi conto che fosse europea, fino ad arrivare a dei giapponesi che le hanno rivolto delle domande in giapponese credendo che fosse una vera Maiko. Lula faceva fatica a mantenere la compostezza della Maiko e sarebbe voluta scoppiare a ridere in ogni momento! E’ stata una serata bellissima!

Dopo il tour in abito tradizionale, Lula è stata ricondotta allo studio fotografico dove le hanno tolto l’abito ed il trucco, poi, eravamo liberi di tornare a girovagare per Kyoto. Prima siamo tornati a Gion, poi, abbiamo attraversato un quartiere con locali su un fiume molto belli, fino a trovare un ristorante di Sushi.

Quando siamo entrati, vista la tarda ora, eravamo gli unici clienti. Il cameriere gentilissimo ci ha consigliato cosa ordinare e cosa evitare. Mentre cenavamo, è entrata molta altra gente, e forse i giapponesi in quei momenti ci hanno odiati, visto che, forse avrebbe voluto chiudere. Alla fine della ottima cena, abbiamo festeggiato con un altro Sakè e poi siamo tornati in albergo. Era stata davvero una bellissima giornata.

Giorno 14 – Osaka

Il nostro ultimo giorno in Giappone si è aperto con un viaggio in treno fino ad Osaka, che è vicina a Kyoto.

Una volta arrivati ad Osaka, abbiamo lasciato i bagagli in un coin-locker e abbiamo preso un treno metropolitano. La stazione è in un quartiere abbastanza anonimo ed il castello è coperto da alcuni grossi palazzi, quindi, qui la mappa torna davvero utile.

Noi siamo usciti dalla stazione e praticamente da subito abbiamo avuto dubbi su che direzione prendere. Così abbiamo attraversato una strada e ci siamo diretti verso un ponte. Ad un certo punto, abbiamo visto uscire una signora da uno degli ultimi palazzi prima del ponte e, chiedendo prima se sapesse parlare inglese, le abbiamo chiesto le indicazioni per il Castello di Osaka. Per aiutarci, le abbiamo fatto vedere la mappa col nome del Castello di Osaka scritto in giapponese. Lei ci ha guardati, poi ha guardato la mappa, ci ha guardati, s’è guardata attorno, ha guardato ancora la mappa e, facendo con la bocca una forma a metà tra un imbuto ed il becco di un Ibis, ci ha detto “Dritto, e poi a sinistra”con tanto di movimento di mani per farci capire meglio. Figuriamoci!

In breve, ci siamo ritrovati in un agglomerato di piccole case, una sorta di slum giapponese, ma molto più pulito e siamo finiti nel giardino di una vecchietta di qualche migliaio di anni che, vestita in abito tradizionale, ci ha gridato di tutto…alla faccia del self control giapponese!

Finalmente abbiamo ritrovato il fiume ed abbiamo visto il Castello di Osaka.

Così, con Lula, siamo tornati sui nostri passi, facendo attenzione ad evitare il giardino della nonna-samurai, per tornare sul ponte e finalmente siamo arrivati al parco davanti al Castello, dove tanti giapponesi facevano jogging. Il castello vale la visita: è davvero bello, anche se si assomiglia parecchio, a mio avviso, a quello di Himeji, intendo gli interni, fuori è tutta un’altra cosa. Dalla cima del castello si può godere di una bellissima vista sulla città a 360 gradi.

Dopo abbiamo deciso di girovagare per la città fino sera ed ammirare il tramonto da un ponte. Il cielo era rosso fuoco ed i caldi raggi del sole creavano giochi di glitter sull’acqua del fiume; barconi scendevano sonnecchianti seguendo la corrente, in silenzio, come a non volerci distrarre dalla nostra contemplazione di questo tramonto giapponese.

Troppo presto siamo dovuti tornare alla stazione, recuperare i nostri bagagli ed andare all’aeroporto. Qui avevamo prenotato la camera nell’Hotel AP, nel quartiere appena fuori dall’aeroporto. L’hotel era comodo, le camere erano piccole, però offriva WiFi libero in tutto l’albergo e navetta gratuita per l’aeroporto.

Quella sera siamo andati a fare ancora un piccolo giro nel quartiere dietro all’hotel per scoprire che era un’area residenziale, tranquilla ma con tanti ristorantini e negozietti. Qui abbiamo cenato e poi abbiamo comprato alcune cose in un supermercato.

Quella sera siamo andati a dormire presto, perchè il mattino successivo ci saremmo dovuti svegliare molto prima dell’alba per andare all’aeroporto.

All’alba del nostro quindicesimo giorno in Giappone abbiamo iniziato il nostro rientro a casa. Da Osaka siamo tornati nella bella Tokyo e da qui, un volo fino a Milano Malpensa.

Il viaggio è stato davvero intenso e ci ha portato non solo a visitare luoghi, ma a coinvolgerci totalmente immergendoci nella vita giapponese, con la nostra amica Megumi, le Maids, le feste e tutti quei pazzi giapponesi che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Bello, bellissimo, il Giappone ci ha stregati; questo è un posto a cui abbiamo detto Arrivederci, con l’intento concreto di tornarci. Non so quando, ma ci incontreremo di nuovo, nel frattempo, caro Giappone, tieni in fresco il Sakè!

Sayonara!

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