Giamaica nel cuore

Due settimane alla scoperta di questa fantastica isola che ci ha regalato tante emozioni, paesaggi bellissimi, sorrisi, sound... e dove ho lasciato un pezzo del mio cuore
Scritto da: seven78
giamaica nel cuore
Partenza il: 17/11/2012
Ritorno il: 02/12/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Partenza da Milano Malpensa il 17/11/12, freddo, 5 gradi… volo Neos diretto, Milano – Montego Bay con arrivo alle ore 15.00 del 17/11/12. Premetto che ho acquistato in agenzia solo il volo, e le prime 4 notti in B&B a Negril, avendo però preventivamente stabilito tutte le tappe e gli spostamenti tramite internet.

All’arrivo in aeroporto troviamo, io e la mia amica, ad aspettarci, la navetta che ci porta a Negril, al Room on the beach, sulla Seven Miles beach. La camera è spaziosa, con un balconcino che dà sulla piscina, molto pulita, la colazione standard è continentale e la cucina giamaicana decisamente buona; personale gentile e disponibile. Il resort è molto carino, a pochi passi dalla spiaggia che si rivela essere davvero fantastica, sabbia bianca, acqua dai colori bellissimi, palme, localini o baracchine (come le chiamiamo noi) che vendono vari oggetti di artigianato locale, dai quali spesso arriva musica reggae di ogni tipo, rastaman dai copricapo coloratissimi che propongono escursioni o oggetti fatti da loro…

La spiaggia del resort è piccola, ma attrezzata con lettini e separata dal resto della spiaggia pubblica da un piccolo muretto, per cui i vari venditori/personaggi non possono entrarvi, anche perché sorvegliata da una guardia del resort. Ci siamo state giusto il primo pomeriggio per riposarci, ma vi assicuro che vale la pena farsi una passeggiata per vedere tutto ciò che c’è intorno e per conoscere la gente del posto. Quando sono partita avevo letto molti pareri negativi sull’approccio che hanno i giamaicani a Negril con i turisti ma devo dire che non posso confermare niente di tutto ciò che ho letto. E’ chiaro che vivono di turismo e quindi cercano di venderti un po’ tutto, dai souvenirs , alle escursioni, al cibo cucinato espressamente da loro, alla famosa ganja ( è la prima cosa che ti schiaffano sotto il naso, usciti dall’aeroporto), e persino sé stessi, ma sempre con il sorriso e basta un no grazie, scambiare due parole con loro. Nessuno si è mai rivelato troppo insistente, almeno con noi, considerando inoltre che eravamo due ragazze da sole in vacanza..

La prima sera abbiamo cenato in uno dei tanti localini che si affacciano sulla strada principale (non in spiaggia) e devo dire che il cibo era ottimo, giamaicano ovviamente, gamberi al curry con riso e verdure cotte a vapore, e red stripe che ci ha immancabilmente accompagnato per tutta la vacanza. Qui abbiamo incontrato una serie di personaggi fantastici, che abbiamo avuto modo di frequentare nei giorni successivi.

Il secondo giorno siamo rimaste a Negril, in spiaggia, abbiamo fatto una lunga passeggiata verso l’isola di Booby Cay godendoci questo mare stupendo e prendendo info dai vari ragazzi in spiaggia per le escursioni da fare in zona. Lo stesso pomeriggio, proprio con uno di loro, abbiamo deciso di andare al Rick’s Cafè , tappa obbligatoria direi, se si passa da Negril. Il posto è molto bello, è un locale decisamente caro e per turisti, a picco sulla scogliera, a pochi minuti dal resort, da cui si può godere di un tramonto fantastico e degli spettacolari tuffi dei fisicatissimi ragazzi giamaicani che si lanciano dalla scogliera, alcuni dopo averla risalita a mani nude, ed essere rimasti in bilico sullo strapiombo, ovviamente facendo la verticale sennò troppo facile, e lanciandosi con una capriola acrobatica verso il mare. Merita di essere visto.

A cena, la nostra guida giamaicana ci ha portate in un localino in cui solitamente solo loro vanno a mangiare, molto spartano, ma con ottimo cibo a prezzi davvero irrisori. Si può mangiare e bere tranquillamente, non abbiamo mai avuto problemi legati al cibo (infezioni) e l’acqua è potabile.

La serata si è conclusa con un party sulla spiaggia dove io e la mia amica eravamo le uniche bianche, direi una festa privata per persone del posto, esperienza molto carina, sound assordanti ma fantastici se amate il reggae, tra rum e personaggi di vario tipo.

Il terzo giorno invece siamo andati a fare l’escursione in barca a Booby Cay, un isolotto poco distante dalla spiaggia. Abbiamo conosciuto una persona che fa escursioni in barca la sera precedente, e l’indomani assieme ad altri turisti americani ci ha accompagnato a fare snorkeling alla barriera corallina e poi all’isoletta di Booby Cay (il cui nome deriva dagli uccelli che vivono lì). Abbiamo fatto un giro dell’isolotto mentre alcuni ragazzi preparavano il pranzo a base di aragosta cotta alla brace, scelta da noi, appena arrivati sull’isola..le avevano appena pescate, erano ancora vive!! L’isola si trova davanti alla Bloody Bay ed il paesaggio circostante è davvero molto bello. Il resto del pomeriggio l’abbiamo trascorso in spiaggia, mentre la sera siamo state ad un party al Roots Bambù, locale situato sulla spiaggia di Seven Miles, dove abbiamo anche cenato. La serata è iniziata vecchi successi old reggae (Bob Marley) fino a new reggae, animata da alcuni personaggi che ballavano e che meritano davvero di essere visti, in quanto tipici rastaman con vestiti davvero particolari.

Il quarto giorno avevamo fissato un’escursione per l’intera giornata, tramite il ragazzo che ci aveva portato in barca il giorno precedente, e siamo andate dapprima al museo di Peter Tosh, direzione Montego Bay, WestMoreland. Il Mausoleo dove Peter Tosh è sepolto si trova proprio nel luogo in cui ha vissuto. Ad attenderci un simpaticissimo rastaman vestito di rosso, che ci ha fatto vedere la casa, ci ha fatto conoscere la madre di Peter (con la quale in cambio di una piccola mancia si possono fare delle foto), ci ha portato a vedere la piantagione dietro casa, spiegandoci varie cose sulla ganja e dopo averne raccolta qualche pianta, ci ha portato all’interno del mausoleo, dipinto con i classici colori rastafariani, con scritte di vario genere (Jah is my keeper), e dopo aver attaccato le piante di maria sopra la tomba di Peter, ci ha fatto un bel reportage fotografico. Da notare tutto intorno al mausoleo, la “nursery” dove sono piantate le piccole piantine di ganja, questo perché secondo lui Peter avrebbe voluto così, stare in mezzo a loro.

Da qui siamo andati ad Appleton, per vedere la fabbrica del rum più famoso della Jamaica.

Appleton si trova nell’entroterra, quindi è immersa nelle verdi colline/montagne , in un paesaggio davvero spettacolare. Non mi aspettavo di vedere così tanto verde, le piante crescono ovunque e di qualunque specie, ci sono svariati alberi da frutta (mango, papaya, akee, banani, cocco, mandorli e molte altre ancora), oltre a piante verdi mai viste ed a fiori coloratissimi. La giungla è rigogliosissima e l’erba (in tutti i sensi) cresce ovunque, è tutto completamente verde. Alla fabbrica abbiamo fatto la visita guidata che dura circa un’oretta, e che spiega tutte le fasi della preparazione de rum, dalla raccolta della canna da zucchero, alla spremitura, all’ebollizione, alla distillazione, all’invecchiamento e così via. E’ molto bella la cantina in cui tengono le botti ad invecchiare. La visita si conclude con l’assaggio libero di tutti i tipi di rum prodotti da Appleton, dal più giovane (white rum) al più vecchio (brown, a seconda dell’invecchiamento).

Tornando da Appleton ci siamo fermate alle cascate YS Falls, alle quali si arriva tramite un carro trainato da un trattore per un tragitto di circa 10 minuti. Le cascate sono all’interno di un area/parco davvero splendida, attrezzata con piscine riempite con acqua naturale e sassi, lettini, spogliatoi e quant’altro. Un percorso risale tutte le cascate che sono davvero qualcosa di eccezionale, meritano di essere viste. Il percorso si snoda in salita, risalendole, ma ci sono guide a disposizione che in cambio di soldi ti fanno risalire le cascate proprio dentro l’acqua, arrampicandoti sui sassi e facendoti le foto. Dagli alberi pendono liane utilizzate per fare i tuffi. Unica pecca, aveva piovuto da poco e quindi l’acqua non era limpida e cristallina, come ci ha spiegato la guida, ma rossiccia e quindi non si vedeva il fondo, e questo mi ha un po’ trattenuta dal tuffarmi e nuotare, anche se in parte mi sono immersa, nonostante l’acqua fosse decisamente fredda. L’isola è piena di cascate naturali come questa, meritano di essere viste, sono davvero molto belle, anche perché da noi non abbiamo posti simili.

Anche spostarsi in macchina da un posto all’altro, ti permette di vedere molte cose, di renderti conto di come vive la gente, attraversare villaggi, paesini come ad es. Lucea, che rispecchia la vita vera.

La sera siamo state da Alfred, dove c’era ovviamente un party (ogni sera c’è una festa, basta chiedere).

Questo posto a differenza del Roots, che era aperto a tutti, era un po’ più turistico e soprattutto a pagamento, quindi va da sé che molte persone non avendo i 600USJ (circa 5 euro) non potevano permetterselo. La musica non era male, qui tra l’altro abbiamo incontrato un simpaticissimo ragazzo jamaicano, Craig, che organizza escursione e di cui avevo letto su internet ma purtroppo non ero mai riuscita a contattare. Tra l’altro parla molto bene italiano, quindi se qualcuno fosse interessato (poiché la maggior parte delle persone parla inglese/pattwa ) può chiedere.

Quello che è sempre evidente in posti come Negril, agli occhi di tutti, è l’altissimo tasso di prostituzione maschile. Certo, sappiamo tutti che la Jamaica è famosa per innumerevoli cose , una delle quali il leggendario “big bamboo”, ma constatare quante donne di età decisamente avanzata ci sono, assieme a questi ragazzi giovanissimi e spesso anche molto belli, a volte dagli occhi chiari e dalla pelle scura, è impressionante. E forse fa anche molta tristezza, anche perché si parla di donne di una certa età, obiettivamente non belle, quindi va da sé…

Comunque, il nostro quinto giorno è proseguito con la fantastica escursione alle piantagioni, fatta con un bellissimo (devo essere obiettiva) ragazzo giamaicano di nome Luca. Bellissimo perché oltretutto aveva dei capelli incredibili, dredlock lunghissimi e sottili fino alla schiena, oltre a tutto il resto..

Così, alle 9 di mattina ci avviamo con lui alla piantagione di un suo amico, che vive nel Westmoreland, in un posto sperduto tra le bellissime e verdissime colline. Qui il clima è più fresco che sulla cosa, si sta decisamente bene. Viaggio in macchina con Bob Marley sparato a tutto volume, che cantiamo tutti insieme a squarciagola. Infatti la musica ti accompagna costantemente ovunque, sempre. Tutte le macchine hanno degli impianti stereo da paura, con bassi che spaccano! La musica è sempre reggae in tutte le sue declinazioni, fantastica.

Arrivati a destinazione, ci avventuriamo a casa di questo personaggio che per pochi dollari ci spiega tutto e ci mette a disposizione la produzione locale. Ci porta a vedere, passando per campi e boschetti, come funziona la coltivazione e la raccolta, ci mostra i vari appezzamenti e ce ne fa vedere uno con almeno 300 piante in crescita, di varie qualità. E’ chiaro che con il loro clima riescono a raccogliere ogni 6 settimane, ma stiamo parlando di piante di circa 1.80MT..peccato che non ce ne fossero di grandi, a causa del recente uragano Sandy, che ha devastato tutto e per evitare che perdessero “il raccolto” hanno dovuto tagliare le piante prima del tempo.. Abbiamo trascorso la mattinata chiacchierando con lui e con la sua famiglia, ci ha spiegato come è concepito il discorso ganja per i giamaicani, per la polizia, per i turisti e tante altre cose.

Dopo pranzo, abbiamo lasciato Negril per raggiungere Falmouth, avevo fissato con un driver tramite internet che è venuto a prenderci per portarci alla Greenside Villa, posto decisamente tranquillo e isolato, niente a che vedere con tutto il casino di Negril e il turismo di massa. Avevamo una specie di bilocale con terrazzina, spartano ma confortevole. Nei dintorni ci sono un paio di bar in stile tipico jamaicano, dai colori sgargianti e con buona musica. La sera siamo andate a vedere la Laguna luminosa, che consiglio a tutti, non avevo mai visto nulla del genere. Il nostro driver ci ha portato da amici suoi che hanno la barca e che ci hanno portato all’interno di questa laguna, la cui caratteristica sono i microrganismi che vivono all’interno e che se toccati, assumono una colorazione fluorescente. La laguna è composta da acqua calda salata (in cui essi vivono) e acqua dolce portata dai fiumi che vi sfociano. Se si smuove l’acqua con un bastone, o ci si nuota, o anche solo con il movimento dell’elica del motore, l’acqua diventa fluorescente. E’ davvero uno spettacolo, volendo ci si può anche nuotare, tuffandosi dalla barca nel mezzo della notte. Il giro prosegue per tutta la laguna, accompagnato da spiegazioni su tutto ciò che la circonda. La serata si è conclusa in una baracchetta in riva alla laguna, a mangiare pesce cotto al cartoccio e spezie, fantastico.

L’indomani mattina (sesto giorno) siamo partite alla volta di Ocho Rios, sempre con lo stesso driver, con cui avevamo pattuito i costi dei trasporti ancora prima di partire, e che si sono rivelati decisamente buoni. Avevamo fissato una stanza al Rooms on the beach, per due notti. Devo dire che Ocho Rios mi ha un po’ delusa, nel senso che la spiaggia del resort è “privata”, la gente del posto entra solo pagando l’ingresso, e quindi era frequentata da turisti e pochi personaggi del posto. La cosa terrificante è che in questa piccola baia attraccano le navi da crociera, che sostano tutto il giorno e ripartono la notte ed è un impatto terrificante per il paesaggio, davvero …sciupa tutta l’atmosfera del posto. Inoltre, sulla spiaggia si vedono queste due grosse costruzioni alberghiere modernissime che niente hanno a che fare con la realtà dell’isola, e che sono effettivamente di cattivissimo gusto. Ciò non toglie che la baia è molto bella, e vicina ad innumerevoli altre piccole baie, tra cui Reggae beach, Dolphin Cove. Alle spalle del resort c’è la città di Ocho Rios, così chiamata perché appunto vi confluiscono 8 fiumi. Qui puoi farti un’idea della vita reale giamaicana nella città. Da evitare spassionatamente i luoghi turistici per i pasti, consiglio vivamente di frequentare ristoranti e baracchine dove mangiano gli stessi giamaicani, in quanto il cibo costa la metà ed è favoloso. Degno di nota è anche il mercatino artigianale che c’è in centro, coloratissimo, nel quale si possono trovare cose davvero carine, come collanine, orecchini o braccialetti fatti con i semi delle piante, oppure sculture in legno di vario genere, rastafariane e non oltre a magliette di tutti i tipi e moltissime altre cose. Contrattate sempre sui prezzi, ma con educazione e gentilezza, e offritevi di guardare ogni singolo baracchino anche se poi non comprate niente, qualora richiestovi. Con un semplice no grazie non riceverete richieste insistenti, ma riservate una visita ad ognuno di essi. La miglior soluzione è pagare in moneta locale.

La sera le strade di Ocho sono spesso animate da feste in cui le persone ballano per strada, con musica ad un volume assordante e sound system improvvisati ed enormi che diffondono reggae, dancehall e quant’altro.

Noi ci siamo avventurate ma devo dire che come al solito eravamo le uniche ragazze bianche, scortate però da una personaggio del posto che si è preso cura di noi in cambio di soldi, ovviamente. Non consiglio di girare per Ocho Rios da soli e di sera, anche perché ti si propongono personaggi non sempre ben intenzionati e quindi meglio evitare problemi. Non accettate mai regali gratuiti fatti dalle persone tipo ganja, braccialetti o altro perché sono pretesti per chiedere soldi e poi dovete darglieli. Chiedete sempre prima, in modo da chiarire l’eventuale equivoco, così come se si offrono di accompagnarvi al ristorante se siete in cerca di cibo o cose simili.

Il settimo giorno abbiamo fissato un’escursione con una guida conosciuta in spiaggia a Ocho, destinazione Nine Miles e Dunn’s falls. Per raggiungere Nine Miles siamo passati da Fern Gully, una specie di tunnel naturale fatto di piante e felci, dove una volta scorreva un fiume, molto bello. Nine Miles si trova in altura, è strano vedere montagne completamente verdi, vegetazione esplosiva, bellissima. Nine Miles è dove è nato Bob Marley, si entra pagando 20US e la visita dura circa un’oretta. Inizia dalla casa in cui è nato Bob, ed in cui sono esposti alcune cose a lui appartenute, come una delle sue chitarre, vari dischi d’oro e articoli di giornale dell’epoca, oltre che al piano di sua madre Cedella sul quale ha imparato a suonare. Nel cortile c’è un gruppo di musicisti rasta che suona alcune canzoni di Bob, e da lì vieni indirizzato alla casetta vicina, Mount Zion, dove ipoteticamente si trova il letto al quale si riferisce nella canzone “Is this love” ed altre suoi oggetti. Dicono che andasse lì per trovare l’ispirazione e per suonare la chitarra, così come sul sasso dipinto con i colori rasta che si trova appunto davanti alla casa. A Mount Zion si trova inoltre il mausoleo in cui è sepolta sua mamma Cedella, ed il mausoleo in cui è sepolto lui, il re del reggae. Si entra scalzi, ma non si possono fare foto perché sono ossessionati dalla paura che tali foto vadano vendute, più che per una questione di rispetto, in realtà. E’ un luogo che per gli appassionati del genere ha una forte carica emotiva non c’è che dire. Lì Bob riposa con la sua chitarra preferita, il pallone da calcio e un ramo di ganja, assieme a suo fratello. Lì si respira quel “natural mysthic “ di cui lui parla nella sua canzone, ve lo assicuro. Volendo, è possibile fumare, in suo onore, è permesso. E’ messo in modo che la sua faccia sia sempre rivolta al sole che sorge.Ho chiesto alla nostra guida se Bob fosse davvero sepolto lì, perché alcune voci dicono che è stato portato in Etiopia, dove voleva andare, ma mi hanno confermato che lui è lì, a Nine Miles, anche se la moglie Rita ha più volte provato a fare in modo che ciò avvenisse.

E’ chiaro che è diventato tutto molto turistico, mi chiedo quanto effettivamente ci sia di originale rispetto a come erano le cose negli anni in cui Bob era vivo, però bisogna riconoscere che ci sono delle “good vibrations” nell’aria e che arrivano dritte al cuore. Non mi piace la speculazione che si sta facendo attorno al suo personaggio, trovi qualsiasi tipo di souvenir con la faccia di Bob, ecco, questo trovo che sia poco rispettoso e non il fare le foto all’interno del mausoleo in cui è sepolto. Inoltre tutto ha costi davvero esosi, il negozio (tappa obbligatoria all’uscita) è davvero inavvicinabile, vi consiglio di acquistare souvenir con Bob Marley in altri luoghi, sicuramente risparmiate parecchi soldi.

Sulla via del ritorno abbiamo fatto tappa alle fantastiche cascate Dunn’s Falls, a pochi minuti da Ocho. Sono ancora più belle ( e diverse) delle precedenti. Il fiume che scende dalle montagne arriva con piccoli salti, cascate e pozze d’acqua in cui nuotare, fino ad Ocho. E’ davvero molto bello, l’acqua è cristallina e si fa spazio tra la rigogliosa e colorata vegetazione. Anche qui è possibile risalire il fiume, meglio se vi procurate come noi, un paio di scarpette di gomma da scoglio. Le guide vi accompagneranno per tutta la risalita e penseranno, dietro un adeguato compenso, a farvi le più svariate foto durante la risalita. Le cascate sono piuttosto affollate, quindi consiglio di andarci presto, per evitare di incappare negli enormi serpentoni fatti da turisti che si tengono per mano cercando di risalirle. Intorno alle cascate si trova un mercatino con oggetti artigianali, e volendo, è possibile fermarsi nel parco circostante.

Il giorno successivo (ottavo) è trascorso tra la spiaggia, lo shopping ad Ocho Rios ed al mercatino. Nel tardo pomeriggio è arrivato Pete, l’autista mandatoci da Carla, che ci ha portato fino a Port Antonio, a sound di reggae. La guest house che ci ha ospitato l’ultima settimana si chiama Draper’s San ed è un posto davvero meraviglioso, gestito da una italiana, Carla Gullotta, che vive in Giamaica da più di 20 anni e che lavora al consolato a Kingston, oltre che essere molto attiva a livello sociale e ben introdotta con la gente del posto.

La guest house non è tanto grande, trattasi di poche camere, alcune con veranda privata, come quella che avevamo scelto noi (rasta cottage), ed i prezzi decisamente buoni. Camera molto carina, grande, colorata e ben arredata, con piccola verandina privata che si affaccia sul mare…che dire…non si può non innamorarsi di un posto così. Carla ci ha dato molte dritte anche sul da farsi, oltre che essere molto disponibile. Diciamo che la prima serata è stata di riposo, abbiamo cenato da lei, tra l’altro il cuoco mia ha cucinato (non mangiando carne), un curry di pesce davvero buono.

Il giorno successivo siamo state a Port Antonio, raggiungibile da Drapers (8 km c.ca) con 100JMD ( poco più di un dollaro) con i taxi collettivi, assolutamente da provare. Basta fargli un cenno, loro si fermano e raccolgono tante persone quante ne riescono a caricare, con fermata su richiesta, basta che il percorso sia lo stesso. Fantastici, in 7 in macchina e in 22 nei mini pulmini. Port Antonio è un paesino molto tranquillo, decisamente differente da Negril e dal caos e dal turismo che vi regnano. La vita si svolge tranquilla, i turisti possono aggirarsi tranquillamente per il paese senza incorrere in particolari problemi, c’è molto rispetto. Molto carino è il mercato che si può visitare tutti i giorni, nel centro del paese dove si trovano cibo, vestiti e prodotti artigianali. Le strade sono piene di piccoli negozietti e localini in cui mangiare, non locali turistici, ma come ho già ribadito, locali frequentati da loro in cui peraltro si possono assaggiare piatti della cucina giamaicana a prezzi irrisori. A Port Antonio merita inoltre una passeggiata a Errol Finn’s Marina, passeggiata lungo il mare. Vi capiterà di essere fermati da persone che vi propongono creme con Aloe o rimedi contro le punture delle sand flyes, a base di erbe (bushes, tipo King of the forest o altro), o da persone che vogliono semplicemente scambiare due parole.

Il nono giorno l’abbiamo dedicato alle spiagge nei dintorni di Port Antonio, nonostante il tempo fosse incerto. Ha piovuto la mattina, ma solitamente questi episodi sono abbastanza brevi, circa un quarto d’ora e la temperatura rimane comunque alta. Devo dire che rispetto a Negril, il clima a Port Antonio è sicuramente più umido ma sempre molto caldo.

Spiagge che sicuramente meritano di essere viste sono la Long Bay, a 10/15 minuti di macchina da Drapers. Baia caratterizzata da un lungo tratto di sabbia bianca, mare dalle sfumature turchesi/blu, costellata da piccoli rum bar coloratissimi, alcuni con dipinti raffiguranti simboli rastafariani (leone di giuda) o di Bob Marley, il più bello secondo me è quello che propone per metà Bob dai lunghi dredlocks e per metà la testa del leone. La parte finale della spiaggia è costituita da scogli e sabbia. Alcuni dei locali erano ancora in fase di “restauro” se così si può dire, a causa dei danni subiti dal recente uragano Sandy, che ha comunque creato diversi problemi. Si vede anche dalle piante, molte sono spezzate all’estremità, oppure cadute e sradicate anche se tutto è tornato più o meno alla normalità. Il pomeriggio siamo rimaste nei dintorni di Drapers, e la sera siamo tornate a Port Antonio per la cena, da Anna Banana. Il locale è carino, sicuramente turistico o frequentato in parte da persone del posto, con musica, direttamente sul mare. Fanno un buonissimo curry di verdure, anche se ovviamente il prezzo delle portate è sicuramente maggiore rispetto ai posti in cui normalmente abbiamo mangiato. Accanto a questo locale si trova una piccola baracchina che fa cibo I-tal, e che avrei voluto provare, ma anche questa era inagibile a causa dei danni dell’uragano.

Altre spiagge che abbiamo visitato nei giorni successivi sono la bellissima Boston Bay (la mia preferita), Frenchman’s Cove, Winnifred Beach, San San Beach e la bellissima Blue Lagoon.

Boston bay un angolo di paradiso, la prima volta che si siamo state eravamo le uniche due turiste. Il posto è davvero eccezionale, merita di essere visto. La baia è famosa oltre che per la sua bellezza, per il surf, praticato dai ragazzi del posto. In particolare, abbiamo conosciuto un ragazzo di cui però non ricordo il nome, che vive in tenda praticamente sul mare e che oltre a insegnare surf, vende souvenir di vario tipo ai turisti. Chiedetegli se vi fa vedere come sfida le onde, è veramente bravo: prende la sua tavola, e si tuffa dalla scogliera vicina, per poi fare dei numeri incredibili. E’ bravissimo anche con lo skate. Ci sono anche altri personaggi che meritano di essere conosciuti, fermatevi a scambiare due parole con loro, ne vale la pena. Nelle vicinanze della spiaggia c’è un famoso jerk center, provatelo, ma definite il prezzo al momento in cui vi fanno vedere il cibo che andranno a prepararvi, per non incorrere in fraintendimenti. Vicino e raggiungibile in pochi minuti c’è anche una baia meno conosciuta (potete farvi accompagnare da qualcuno del posto), credo si chiami Sacred beach, anch’essa molto bella ma incontaminata rispetto a Boston bay, nel senso che non ci vive nessuno e che non ha attrezzature di nessun tipo. Si raggiunge passando per un viottolino tra una distesa di bushes e piante di vario genere. Molto carina.

Winnifred beach è una spiaggia anch’essa libera, più frequentata rispetto a Boston Bay, molto bella ma che si raggiunge a piedi con circa 5 minuti di cammino dalla strada. Per mangiare vi consiglio Cinzia (mi sembra si chiami così), i piatti di pesce sono ottimi. Se vi capita, scambiate due parole con Jah Tiger, un rastaman che sicuramente vi proporrà i suoi cd reggae, facendovene ascoltare alcuni con il suo lettore cd. La spiaggia è bella, come tutte le piccole baie circostanti e vale la pena fermarcisi per una mezza giornata.

La Blue Lagoon (nota per l’omonimo film) vi lascerà senza parole. Si accede dalla strada, troverete alcune persone che si offriranno di portarvi o in barca, o con la zattera di bamboo, a fare un giro della laguna e dell’isola vicina. Trattate il prezzo e la durata della gita. La laguna è molto profonda, ha sfumature di colore che variano in base alla luce, al sole, alle correnti ed è formata da acqua dolce ed acqua salata. E’ davvero molto bella, circondata da una rigogliosissima vegetazione. L’escursione con la barchetta comprende il giro della baia vicina, su cui si affaccia la spiaggia di San San (a pagamento), e nella cui baia ci sono casette molto carine di villeggiatura utilizzate da personaggi famosi che vi hanno trascorso le vacanze, o che vi si sono fermate durante le riprese di alcuni film, come ad esempio Tom Cruise (Cocktail), oppure i figli di Marley. Il soggiorno è decisamente costoso, la definirei una zona turistico-residenziale. Da qui si vede anche Alligator Point, una scogliera che sembra senza dubbio la testa di un coccodrillo, e l’isola di Monkey Island. Rientrando in laguna, è possibile fermarsi sulla piccola spiaggia per fare il bagno. La laguna si intravede tra la vegetazione, anche dalla strada, ma merita di essere vista.

Frenchman’s Cove, altra bellissima spiaggia a pagamento, si raggiunge attraversando un parco che costeggia un fiume dalle acque turchesi, e che sfocia nel mare, proprio accanto alla spiaggia. Nel parco si possono osservare vari tipi di piante tropicali; la spiaggia è carina, piccola, con lettini a pagamento (200JMD), ma vale la pena fermarvisi. Questa piccola baia è protetta dalla scogliera, mentre nel fiume che costeggia la spiaggia ed il parco, prima di gettarsi in mare, è possibile fare il bagno oppure anche solo risalirlo con la zattera di bambù. Queste piccole baie sono davvero degli angoli di paradiso, spero solo che nel tempo rimangano tali e che non siano presi d’assalto da resort e turismo di massa.

Se sostate a Drapers, per cena potete provare Woody’s, che prepara ottimi hamburger (anche vegetariani), il posto è carino, e c’è musica. Ci sono altri localini che preparano piatti giamaicani ma và chiesto in anticipo, altrimenti rischiate di non trovare niente perché la cucina è espressa e devono avere tempo di organizzarsi.

Un localino che vi consiglio spassionatamente per bere una birra ed ascoltare una buona reggae music è sicuramente (a Drapers) il bar accanto al minimarket con portico, dai colori rasta e con dipinti i personaggi della cultura rasta ( Marcus Garvey, Hailè Salassie I, Bob Marley). Ha tre grandi gradini, non potete sbagliare. Qui la sera dopo cena, potete bervi una Stripe e del Rum, ascoltare musica e ballare. Abbiamo conosciuto dei ragazzi del paese che la sera montavano questi assurdi sound system che sparavano reggae (old and new) a volume altissimo, cantando e ballando fino a tardi, e vi assicuro che anche questa è un’esperienza, abbiamo passato davvero delle belle serate. Hanno la musica nel sangue, non ci vuole molto a capirlo, è una vibrazione che si percepisce e che ti contagia senza neanche che te ne rendi conto.

Da Drapers abbiamo fatto le seguenti escursioni: Reach Fall’s e Kingstone.

Le Reach Falls sono delle cascate raggiungibili in c.ca 45 minuti di auto, molto belle perché sono forse le più naturali. Anche queste possono essere risalite con l’aiuto della guida, altrimenti è possibile fare il bagno ed un trattamento idro sotto il getto della cascata, o ancora attraversarla per rifugiarsi sotto le rocce, osservando l’acqua che cade come dietro ad una tenda.

Kingston, anch’essa merita di essere vista ma andateci con qualcuno del posto. Noi ci siamo fatti accompagnare dal driver di Carla, Pete. Per arrivarci si costeggia un tratto di costa, per poi addentrarsi nell’entroterra verso le Blue Mountains, le verdi e bellissime montagne della giamaica. Sono costellate di piccolissimi agglomerati di case/baracche dove la vita si svolge tranquilla, come se il tempo si fosse fermato. La Old Kingstone è da vedere, specialmente la parte in cui fanno il mercato, è sorprendente: odori, persone, colori, cibo, abiti, oggetti, un caos totale, tutto mescolato assieme. Questa parte della città è costituita dai quartieri poveri e spesso malfamati, nei quali è sconsigliato addentrarsi da soli. La povertà fa da padrona, le case sono spesso baracche di legno e lamiera. Trenchtown si trova in questa parte della città. Oggi è diventato una specie di museo/centro sociale-culturale. E’ il posto in cui è cresciuto Bob Marley, il famoso Governament Yard di Trench Town di cui si parla nella canzone “ Woman no cry”. Nella visita guidata vengono spiegate tutte queste cose, come sono nati gli yard, come viveva la gente all’epoca, ognuno aveva una stanza all’interno di questi Yard, con un cortile, bagno e cucina comune a tutti gli altri. Qui ha vissuto Bob per un lungo periodo, infatti vi sono conservati ritagli di giornale della sua carriera, una delle sue chitarre, ed altre foto che lo riguardano. Qui ha vissuto inoltre il suo mentore Tata, è possibile visitare la stanza che una volta era sua. Nel cortile comune c’è una statua di Bob Marley, oltre ai resti del pulmino che veniva da lui utilizzato quando si spostavano in tour. Chiaramente il cortile è ristrutturato e ben tenuto, ma all’epoca le cose erano sicuramente diverse, così come si può vedere da qualche vecchia foto dell’epoca. All’interno vi soggiornano rastaman davvero degni di nota, che potranno raccontarvi qualcosa su Trenchtown e Bob Marley o Tata. Quello che ho conosciuto, ci ha accompagnato a vedere i murales delle strade circostanti che ritraggono oltre a Bob, Tata, anche Peter Tosh e tutti i vari simbolo del credo rastafari. Interessante direi.

La parte nuova di Kingston invece si differenzia dalla precedente perché può essere definita la parte moderna e ricca della città in cui si trovano banche, centri commerciali e gente benestante. Sembra quasi impossibile che questi due emisferi possano convivere a così pochi chilometri di distanza, eppure è così. Ricorre il 50° anniversario di indipendenza della Giamaica, per cui tutti i grandi palazzi sono tappezzati da pubblicità inerenti il tema. Carino l’Emancipation’s Park. In questa parte della città si trova anche il Bob Marley Museum, allestito nella casa in cui Bob Marley ha vissuto e lavorato. Al solito, non i possono fare foto all’interno del museo, ma solo all’esterno, presso cui si trovano una statua del cantante circondata da due leoni di pietra, proprio davanti all’ingresso; l’albero sotto il quale è stata scattata una delle sue foto più famose e una serie di Murales che ritraggono lui e i figli da una parte, mentre dall’altro lato si trovano delle gigantografie di foto che ritraggono alcuni momenti salienti della sua vita/carriera. La casa (come si può vedere anche da un disegno conservato all’interno ) è stata successivamente modificata e ritoccata, ma mantiene comunque la sua struttura originaria. Al piano terra sono conservati tutti i riconoscimenti avuti per la vendita degli album oltre ad una serie di fantastiche foto, articoli e documenti che lo ritraggono durante la sua vita e durante la sua carriera artistica, oltre che allo studio di registrazione, attualmente utilizzato dai figli per progetti solisti. Al piano superiore ci sono due stanze tappezzate interamente di articoli di giornale dell’epoca, tutti parlano di lui, e teche contenenti parte del suo abbigliamento (camicia di jeans, pantaloncini da calcio e una chitarra, se non sbaglio). C’è anche la cucina che dovrebbe essere rimasta com’era una volta, con svariati utensili utilizzati da lui e dalla moglie Rita, oltre che alla camera da letto (arredata) e al piccolo negozietto nel quale vendevano dischi, prima che diventasse famoso. C’è una piccola veranda, vicino alla camera, in cui Bob pare amasse riposare sulla sua amaca rasta, e da cui si vedono le montagne di Nine Miles, dove è nato. C’è anche la cucina in cui si trovava Bob la sera che è stato vittima di un attentato, con tanto di foro dei proiettili nel muro. La visita si conclude con un filmato della durata di 20 minuti sulla vita del cantante e poi si viene introdotti in una ultima sala, tappezzata di fotografie la maggior parte delle quali inedite, di Bob Marley. Devo dire che sono davvero belle. Poi come ultima tappa, al solito, il negozio che vende vari souvenir dell’artista, compresi cd e libri a prezzi astronomici che vi consiglio di comprare altrove.

L’ultimo giorno prima della partenza l’abbiamo trascorso a Boston Bay, in completo relax tra sole, musica, chiacchiere, ed abbiamo festeggiato l’ultima serata nel nostro solito localino reggae.

Cosa dire…ci abbiamo lasciato un pezzo di cuore… vi consiglio di andare, di girare il più possibile e di non essere prevenuti nei confronti della gente del posto, evitando le grandi città e con un po’ di buonsenso si eviteranno inutili problemi. E soprattutto, sappiate che la Giamaica non è lo stereotipo di cui tutti parlano, c’è molto altro che vale la pena di vivere.



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