Gambia: the smiling country
L’aereo è abbastanza puntuale. Appena decollati Matteo si addormenta, io invece sono troppo eccitata, non chiudo occhio. Prima leggo, poi guardo un film, poi inizio a sbirciare dal finestrino il deserto rosso immenso che stiamo sorvolando, il Sahara.
Arrivati a Dakar, si aprono le porte e un caldo soffocante penetra in cabina. Noi siamo bloccati sull’aereo, non ci fanno scendere, ma chissenefrega, tra meno di 20 minuti di volo saremo finalmente a destinazione.
Quando arriviamo la sensazione del sole che mi abbaglia sul pullman che dall’aereo ci trasporta in aeroporto è bellissima, era quello che sognavo. Inforco gli occhiali da sole e mi spunta un enorme sorriso. Al controllo passaporti sono tutti gentilissimi, sorridenti e in vena di scherzare (non proprio come da noi…Annoiati e spesso scostanti). Io divento subito la beniamina dei locali perché tra i turisti italiani mi distinguo grazie al fatto che parlo bene inglese (lingua ufficiale: non andate in Gambia se non sapete l’inglese). Non vogliono crederci che sono italiana! In effetti qui di turisti italiani scopriremo che ne arrivano pochi (una ventina a settimana in alta stagione) e solo da un anno. Per il momento il dominio qui è di turisti inglesi, scandinavi e spagnoli (questi ultimi, non si capisce perché, specialmente in bassa stagione, quella delle piogge).
Il responsabile Todomondo ci accoglie all’aeroporto e ci indirizza al pulmino che ci poterà al nodtro hotel, il Kombo Beach. La cosa divertente è che il pulmino non ha bagagliaio, le valigie vengono issate sul tetto da un mandingo di notevole stazza che sembra non fare alcuna fatica. Siamo circondati da gente che vuole prendersi cura di noi e dei nostri bagagli, ma che ovviamente pretende in cambio qualche moneta.
Partiamo alla volta degli hotel. Lasciamo giù quelli dello Sheraton e del Seaview, prima; in ultimo arriviamo al nostro hotel. Ci consegnano la chiave della stanza: 134. È al primo piano del primo blocco, il migliore, con vista sulla spiaggia. Mi piace! Certo la struttura non è nuovissima e la camera non è di lusso, le piastrelle sono rotte, la tv è minuscola, i vetri sono sporchi, le salviette del bagno sono un po’ stinte dai lavaggi, l’armadio è piccolo e rovinato, ma l’impressione complessiva è di una struttura vecchia ma pulita. Capiremo poi qui che la manutenzione è un concetto che in Gambia devono ancora importare…
Abbiamo scelto un regime di mezza pensione (bevande escluse), e in effetti è stato un bene così. A pranzo abbiamo sempre mangiato in giro durante le escursioni, ovvero se stavamo in spiaggia una volta siamo andati al Sailor’s (assolutamente consigliato per il cibo, anche se la pulizia non è il massimo), altrimenti ci facevamo portare dalle Fruit ladies che popolano numerose le spiagge due bei piatti di frutta tagliata fresca e sugosissima: ananas, banana, grape fruit, deliziose, alla modica cifra di 100-200 dalasi a seconda delle giornate (massimo 6 euro insomma: un euro sono 34 dalasi). Attenzione però: ciascuno deve scegliersi la propria Fruit lady “del cuore” e comprare la frutta sempre da lei. Dovete vedere come si accapigliano se una cerca di “rubare” il cliente all’altra!!! La mia Fruit Lady del cuore si chiama Tall Maria, sta al banco 21 (eh sì, qui ciascuna ha il proprio banco numerato), ed è dolcissima! Ogni giorno insieme alla frutta mi portava un regalo: una volta del croccante, una volta una collana, una volta una crema per il corpo, insomma mi ha viziato! E l’ultimo giorno ci ha tenuto a che facessimo una foto insieme e a scambiarci l’indirizzo. Le scriverò senz’altro, perché è stata carinissima, e consentitemi di farle un po’ di pubblicità! 😉 Oltre alle Fruit ladies, sulla spiaggia (di sabbia, lunga ed ampia) ci sono anche i venditori di succhi di frutta, rigorosamente uomini, anche loro ciascuno con il proprio banco. Il mio venditore del cuore era Kevin Costner, sì, avete capito bene, si (fa) chiama(re) così! La spiaggia è bellissima, e a differenza di quella antistante diversi altri alberghi, soprattutto nella zona del Senegambia, non soffre del fenomeno della erosione, cosicchè è proprio godibile. Ci sono lettini in legno per tutti e l’hotel offre teli mare e comodi materassi per godersi il sole. L’acqua del mare è pulita, anche se le onde sollevano parecchia sabbia e la rendono torbida. Certo, non è calda come quella dell’oceano indiano, ma anch’io che sono una freddolosa sono sempre riuscita a fare tanti bagni. L’unica cosa è che bisogna stare attenti alle onde e alle correnti, che sono molto forti. Io non consiglierei ad un bambino di fare il bagno in mare, e anche un adulto farebbe bene a non allontanarsi troppo da riva.
La colazione era la cosa migliore all’hotel, e non solo per la bontà e la varietà di cose (il servizio invece lasciava un po’ a desiderare..), ma per la bellezza di fare colazione su una verandina fronte mare a 10 cm dalla spiaggia. Una goduria! Vedere gli inglesi sbafarsi pentolate di fagioli e uova con funghi non era il massimo, ma io mi “accontentavo” dei miei whaffles con caramello, delle pancakes col miele, e di un bel succo di mango, oltre ad una tazza di tè. La cena invece, a buffet, proponeva un menu diverso ogni sera. Erano sempre serate a tema: gli arrosti, english buffet (saltato), gambian specialities… insomma, stimolava la curiosità.
Dopo cena c’era sempre uno spettacolino di musica o di balli africani, bellissimi.
Clima eccezionale: ho messo il maglioncino di cotone solo l’ultima sera perché siamo usciti in jeep scoperta con un gruppo di amici e avevo paura di prendere aria. Per il resto, caldo notevole e secco tutti i giorni, un paio di mattine con vento forte (e conseguente sensazione di “fresco”).
Escursioni: quelle organizzate con il tour operator, che si appoggia al tour operator locale West African Tours, erano uguali a quelle proposte dai beach boys o dalle guide locali ufficiali, ma costavano moltissimo.
Io avevo letto su internet di un certo Ousman, detto “the ferry man”, che stazionava sulla spiaggia del Sunset Beach Hotel, l’albergo di fianco al nostro, e avevo già meditato di fare le escursioni con lui, che era stato testato da altri turisti come persona affidabile, onesta ed in gamba. Il primo giorno, passeggiando con Matteo sulla spiaggia, ci siamo imbattuti nel suo cartello. Incuriositi, siamo andati a cercarlo e abbiamo fatto 4 chiacchiere con lui nel suo “ufficio” (due panchine di legno sulla spiaggia di fianco ai baracchini dei venditori di frutta). Abbiamo così scoperto che le escursioni con lui sarebbero costate un terzo di quelle con il tour operator, perché lui avrebbe applicato un prezzo a escursione e non a persona, e noi, raggruppando i pochi italiani con cui avevamo familiarizzato, avremmo speso davvero poco.
Consapevoli del fatto che il sole africano è pericoloso, abbiamo deciso di rimandare le escursioni alla seconda parte della settimana, dopo che avessimo preso una base di colore tale da consentirci di evitare ustioni di terzo grado; così abbiamo organizzato: martedì tour del sud del paese e delle spiagge incontaminate (tra cui la famosa Paradise Beach) del sud, con sosta al tramonto al villaggio di pescatori di Tanji per assistere al ritorno dei pescatori; mercoledì viaggio in Senegal a Fatala Park per un safari; giovedì Lamin Lodge, giro sul fiume in barca e sosta in un villaggio per vedere un’abitazione locale. Abbiamo formato un bel gruppetto: noi due, una coppia di ragazzi che stavano in un hotel vicino, e una simpaticissima famiglia padre-madre-figlia studentessa universitaria con la passione per i viaggi. Insieme a loro e al nostro amico (perché lo è davvero diventato) Ousman the Ferryman, siamo partiti alla scoperta di questo bellissimo paese che è il Gambia.
Alla fine la gita in Senegal abbiamo deciso di farla con il tour operator, ma abbiamo finito per pentirci perché abbiamo speso un assassinamento e in cambio ne abbiamo ricevuto un trattamento indecoroso (ci hanno preparato un pranzo indegno che siamo stati costretti a mangiare seduti un po’ sui muretti e un po’ in piedi, al sole).
Ousman si è rivelato una persona fantastica, molto umile ma al tempo stesso, diversamente da molti suoi connazionali che vivacchiano in attesa di una manna dal cielo, anche piena di iniziative. E’ un ragazzo che si dà molto da fare e gli auguro davvero tutto il meglio.
Con una favolosa jeep scoperta siamo partiti puntualissimi per la nostra prima escursione: prima tappa Bijilo Forest, dove abbiamo avuto incontri ravvicinati e molto divertenti con le scimmie (della specie green velvet); poi ci siamo diretti alla reptile farm, dove abbiamo visto diversi rettili e imparato molte cose sulle loro caratteristiche (attenzione: spiegazioni solo in inglese); quindi ci siamo diretti al confine meridionale tra Gambia e Senegal, segnato dal corso di un fiume, dove abbiamo assistito al lavoro delle donne di raccolta delle oysters, conchiglie, da cui ricavano piccoli frutti di mare (i più belli vengono venduti a ristoranti e hotels), nonché una polvere bianca dall’essiccazione dei gusci che utilizzano mischiata all’acqua per ottenere una sorta di pittura bianca con cui dipingono le case e mischiata alla sabbia per le costruzioni; successivamente siamo andati a Paradise Beach, dove ci siamo fermati per pranzo in un ristorantino sulla spiaggia (il costo medio di un pasto si aggira tra i 150 e i 300 dalasi, birra compresa, quindi tra i 5 e gli 8 euro). Nel prezzo era compreso anche l’affitto dei lettini, dove abbiamo preso un po’ di sole e fatto la classica pennica dopo pranzo. La spiaggia in effetti merita, l’acqua è anche più calda che a Kotu, anche se le onde sono sempre alte, come dappertutto sull’atlantico.
La perla della giornata è stata comunque la sosta a Tanji, un villaggio di pescatori dove la pesca è l’attività principale, se non l’unica, cui si dedica la popolazione. Sulla spiaggia al calar del sole si concentra tutta la vita del paese: gli uomini tornano a riva con le loro piroghe di legno cariche di pesce (il Gambia ha un mare pescosissimo) e le donne, cesta in bilico sulla testa, sfidano le onde per avvicinarsi alle barche (non c’è un molo) e prendere il carico di pesce per riportarlo a riva. Qui il pesce viene pulito, diviso, venduto, esaminato, c’è una grande folla che non si capisce bene cosa faccia… L’odore è fortissimo, perchè proprio alle spalle della spiaggia ci sono gli stabilimenti con i forni per affumicare il pesce (non vi dico l’odore, il fumo e le mosche che c’erano lì…), costruiti grazie ad una donazione del governo di Taiwan, principale compratore di pesce affumicato dal Gambia. Sono tornata a casa con i piedi neri, i vestiti impregnati di quell’odore e la nausea al solo pensiero di mangiare pesce, ma colpita profondamente per ciò che avevo visto e che non riesco nemmeno a descrivere a parole. In una sola parola: andateci, è uno spettacolo che non si può perdere! Mercoledì viaggio in Senegal. La cosa più spettacolare e che da sola ha reso meritevole il viaggio è stata prendere il traghetto da Banjul (capitale del Gambia, collocata sulla riva meridionale) e Barra (un villaggio a nord del fiume). Sopra c’era di tutto: dai tir alle bici, dalle auto alle mucche, dalle capre alle galline. E poi ovviamente una moltitudine di gente colorata e sorridente. Tutti insieme appassionatamente! Giovedì altra escursione con Ousman. Prima tappa il Lamin Lodge, una struttura pazzesca, interamente costruita in legno, su più piani, come se fosse una palafitta, sulla riva del fiume Gambia (o meglio di un suo diverticolo). Da lì abbiamo preso una piroga e fatto un’oretta di navigazione lungo il fiume: la sensazione principale è la tranquillità, la serenità che dà l’essere lungo un fiume, circondati da mangrovie popolate solo da granchi e da scimmie, oltre che da una miriade di uccelli (il Gambia è un paradiso per i birdwatchers!). Un vero spettacolo! Pranzo al Lamin Lodge, dove la cosa curiosa è che ci sono delle vere e proprie guardie armate di bastoni che stazionano di fianco a ciascun tavolo con il compito di tenere lontane le scimmie, che altrimenti fanno dei veri e propri assalti ai piatti di cibo e alle bottiglie di bevande zuccherate (ce n’è una, chiamata Cocktail of fruits, che amano particolarmente). Inquietante, ma in fondo divertente.
In pomeriggio ci siamo spostati per andare al mercato di Serekunda, la città più popolosa del Gambia. Anche qui fare una descrizione che possa rendere l’idea di ciò che ho visto è impossibile. Bisogna andarci, ma attenzione ad evitare le ore mattutine, perché è un vero e proprio carnaio, meglio andarci di pomeriggio.
Infine, Ousman ha voluto portarci a casa sua, per mostrarci come vive veramente una famiglia gambiana e illustrarci la differenza tra i “flat”, gli appartamenti, a cui siamo abituati noi, e i “compound”, praticamente le baracche, dove vivono loro.
Il perimetro della casa è fatto di lamiera. All’interno si apre un cortiletto di terra dove sono accatastati tutti gli averi della famiglia (qualche catino) e dove viene coltivato un angolino. A sinistra una lamiera separa il “bagno”, un buco nella terra, accanto al quale noto una spazzola di plastica rosa, evidentemente per “strigliarsi”. La famiglia di Ousman è molto povera, non ha l’acqua corrente (che si fanno prestare dai vicini e mettono in secchi), né il gas (costa molto, quindi cucinano con la legna), né la corrente elettrica. Nell’altro angolo del giardino c’è un altro pezzo di lamiera che separa la “cucina”, una stanza col pavimento di terra su cui poggiano un paio di pentole. Infine, le camere da letto. Ne vediamo solo una, perché nell’altra c’è il padre di Ousman, che riposa a letto poiché è malato. Ousman vive con mamma, papà, tre sorelle e tre fratelli (uno in questo momento non c’è perché ha la fortuna di poter studiare e vive in una specie di collegio). Dormono tutti in un unico letto matrimoniale (una brandina con appoggiato sopra un materasso), che è l’unica cosa che c’è nella stanza. Sono dolcissimi e affettuosi, ospitali come non mai. Ci hanno aspettato per mangiare e ci offrono una pentola di “domoda”, piatto tipico a base di riso, carne e crema di arachidi (le arachidi sono il prodotto principale dell’agricoltura del Gambia). Loro mangiano con le mani, accovacciati per terra intorno alla pentola, per noi tirano fuori dei cucchiai, ma siamo combattuti tra il desiderio di onorare la tavola e non offenderli e quello di non privarli di quel poco cibo che si possono permettere. Quando stiamo andando via Ousman ci ringrazia per avere aiutato con i soldi delle nostre escursioni la sua famiglia. A me viene da piangere… Tornati in hotel Ousman a sorpresa ci propone di passare l’ultima serata con lui ed i suoi amici, prima sulla spiaggia a suonare i bonghi e cantare, e poi in un tipico ristorante gambiano frequentato solo da gente del posto dove – ci assicura – mangeremo benissimo e spenderemo 3 euro a testa. Questa, dice Ousman, è una “excursion for free”, per celebrare la nostra ultima sera in Gambia.
Ovviamente accettiamo tutti di buon grado, e abbiamo fatto bene perché la serata si è rivelata la più bella della vacanza.
Non potete immaginare la malinconia che ci assale durante le nostre ultime ore in spiaggia il giorno successivo, quando arriva il momento dei saluti. Io faccio una figuraccia, perché al momento di salutare Ousman scoppio a piangere commossa… Questa vacanza è stata proprio super, anche grazie alla compagnia degli italiani che abbiamo conosciuto qui, un gruppo veramente bellissimo con cui sarebbe bello fare tanti altri viaggi! Arrivati in aeroporto ci godiamo gli ultimi minuti di sole e mangiamo il primo gelato dell’anno (un po’ presto stavolta!), con la tristezza nel cuore al pensiero dei meno 10 gradi che ci accoglieranno a Malpensa, con 30 cm di neve abbondanti ai bordi delle strade.
Gambia, sei stato una scoperta, tu e la tua gente sorridente e ospitale. Tornerò, e stavolta per almeno 15 giorni e con l’obiettivo di viaggiare anche all’interno lungo il fiume fino a Georgetown ed oltre…Sempre con il mitico Ousman the Ferryman ovviamente! Chiunque voglia informazioni non esiti a contattarmi via mail. Il mio indirizzo è totta73CHIOCCIOLAhotmail.Com