Gamarjobat Georgia

Avventure caucasiche
Scritto da: Laura Bazzoni 2
gamarjobat georgia
Partenza il: 18/06/2011
Ritorno il: 29/06/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Batumi Kutaisi Borjomi Bakuriani Akhaltsikhe Vardzia Gori UPLISTSIKHE Tbilisi Ananuri Kazbegi Davit Gareja Sighnagi

Quando abbiamo deciso di visitare il Caucaso, 3 anni fa, la nostra prima idea era stata quella di andare in Armenia. Avevamo conosciuto molti armeni della diaspora, e letto numerosi romanzi (tra cui “La masseria delle allodole”), volevo andare a vedere con i miei occhi questo paese ospitale e sfortunato. In un secondo momento abbiamo deciso di allargare il tour anche alla Georgia, e per quei curiosi casi della vita, alla fine la parte più affascinante del viaggio si è rivelata proprio la Georgia. Il merito più grande della riuscita di questo viaggio lo dobbiamo a Sofia, la ragazza dell’agenzia di Tbilisi tramite la quale ho organizzato il tour, gli spostamenti ed il soggiorno, e a Gocha, il nostro meraviglioso autista che ci ha permesso di vedere la sua nazione attraverso i suoi occhi di cittadino, e non con il solito filtro del turista di passaggio. Questo racconto è dedicato a loro.

Il nostro viaggio è iniziato il 18 giugno, abbiamo passato in Georgia 10 giorni per poi terminare la nostra visita in Armenia il 6 luglio.Vi racconterò qua “solo” la parte georgiana del viaggio.

Siamo atterrati a TRABZON (TREBISONDA), cittadina sul mar Nero nella parte nord-est della Turchia. Avevamo prenotato un albergo su internet che si è rivelato un pessimo affare. L’hotel Secilya è a 20 km dal centro di Trabzon, per cui per arrivarci dall’areoporto, e poi tornare indietro in centro il giorno successivo, abbiamo speso quasi 50 euro. Oltretutto l’hotel è lungo una superstrada rumorosa, ha l’insegna blu che illumina a giorno anche le camere, le camere puzzano di fumo e sono arredate old style. Un bidone, ma a mezzanotte non c’è tanta scelta.. La mattina dopo visitiamo Trabzon,lasciando i bagagli al deposito bagagli (gratuito, ma fondamentalmente incustodito) della stazione dei bus (otogar). Saliamo in centro con un dolmus, l’equivalente russo dei marshutska. Ne passano un sacco, basta fermarli e dire la destinazione che si vuole raggiungere. La parte più interessante di Trabzon è la chiesa di Aya Sofia, che si trova in alto rispetto alla città, e si raggiunge in dolmus. E’ una chiesa del 1200 affrescata in stile bizantino, a pianta centrale con cupola. La chiesa è immersa in un bel giardino molto curato, con fiori, panchine e lapidarium. Scoviamo anche qualche lapide armena. Accanto al giardino c’è un grazioso tea garden, popolato solo da locali che mangiano o bevono. Ci fermiamo qua per pranzo, il menù non esiste, e per spiegarci i piatti il cameriere, che non parla inglese, ci accompagna tra i tavoli degli altri clienti per mostrarci le varie pietanze. Alla fine assaggiamo un piatto di formaggio locale fuso, involtini di foglie di vite ripieni di bulgur, taccole in umido, thè e ayran (sorta di yogurt liquido salato, molto dissetante). Il conto è 31 lire turche, decisamente economico. Come sempre all’estero, ma nel Caucaso in particolar modo,mangiare sarà sempre molto economico (e le quantità sempre abbondanti). Il dolmus per tornare verso l’otogar è trash allo stato puro: dentro è decorato con due piccole ciabatte di pelo rosa a forma di coniglio, mentre i parasole del lato guidatore e passeggero completamente decorati di spilli con i ciondoli degli occhi di Fatima. Alla biglietteria dell’autostazione facciamo il biglietto per Batumi, che costa 25 lire turche. Il tempo di viaggio previsto sarebbe 3 ore, in realtà ce ne metteremo quasi 5, perchè l’autobus entra ed esce pressochè ad ogni paesino. Le partenze sono circa ogni due ore, noi partiamo alle 1330. Siamo gli unici stranieri sul bus, come era stato sull’aereo da Istanbul a Trabzon, e come sarà in molte altre circostanze. La cosa susciterà sempre una certa curiosità nei locali che ci fanno domande, anche se la conversazione languirà inesorabilmente dopo poco perchè nessuno parla inglese, il russo di Paolo non permette lunghi dialoghi, di turco poi conosciamo giusto due parole. La strada per raggiungere la frontiera è ben asfaltata, con segnaletica chiara, e corre tra il Mar Nero da un lato, tristi villaggi dall’altro, o paesini più carini arroccati sulle colline verdi. Ci sono moltissimi fiumi. Il mare non è colonizzato da bagni attrezzati come da noi, e sembra per lo più frequentato solo da locali. Arrivati alla frontiera l’autista ci fa cenno di scendere dall’autobus e riprenderci le nostre valigie. Si attraversa a piedi la buffa frontiera sormontata da uno strano monumento. Attraversata la frontiera georgiana ci accodiamo ad un gruppo di locali in attesa, si suppone del bus rimasto dall’altra parte. L’atmosfera è più povera rispetto a quella della Turchia. Nel caffè di Trabzon, ma anche lungo le vie cittadine, le ragazze erano molto curate, si notava l’attenzione nella scelta dei colori con cui abbinavano vestiti e velo, nei dettagli del trucco e dello smalto. Qua questa attenzione sembra scomparsa, la gente non sembra fare molta attenzione a cosa indossa, e ci deve essere una moda di smalti fosforescenti fucsia che imperversa, perchè ho rivisto le stesse unghie dipinte in tutto il Caucaso. Del resto da noi ci sono delle unghie finte talmente brutte che potrebbero competere al ribasso… Un’altra cosa che noto sono le tinte ossigenate. I caucasici sono mori, e hanno tratti somatici ben distinti: sopracciglia dritte e scure, naso aquilino , profilo greco. Le ragazze che non amano i capelli scuri si tingono bionde, ma il biondo ossigenato non dona ai loro visi, ne esce fuori una tinta volgare e capelli sbruciacchiati dai prodotti schiarenti. Dopo 40 minuti di inutile attesa del bus ci decidiamo a prendere il bus per Batumi, che ci mette circa mezzora per fare 10km e si popola di interessanti personaggi, tra cui un tizio che sale con un tronco di albero. Da qui si inizieranno a vedere animali in mezzo alle strade. Sarà così in tutte le strade della Georgia e in molte di quelle dell’Armenia. Tipicamente sono mucche che stazionano al centro della strada e non si spostano, ma possono essere anche galline, oche, maialini, cani randagi o greggi di pecore.

La strada per BATUMI attraversa la cittadina di Sarpi, anonima località balneare, e passa accanto alla fortezza di Gonio; fino all’areoporto di Batumi è in buone condizioni, poi il manto stradale peggiora e si riempie di grosse buche tra cui i veicoli fanno lo slalom. La periferia di Batumi è desolatissima, piena di palazzoni sovietici e case decadenti, e il centro non ci fa un’impressione migliore. Il nostro albergo sta in una traversa di fronte alla cattedrale. All’arrivo il manager (detto anche Administrator) ci fa un sacco di storie, finge di non capire che avevamo una prenotazione nonostante gli avessimo mostrato il nome dell’agenzia e tenta di farci pagare in anticipo la camera che avevamo già pagato. Noi non cediamo di un millimetro, e usciamo per procurarci una scheda sim georgiana. La scheda italiana non funziona più, si riattiverà solo in Armenia- e in ogni caso non conviene usarla perchè le schede georgiane e armene sono convenientissime anche per chiamare all’estero. Ci fermiamo a chiedere a dei ragazzi di uno studio dentistico- (aperto di domenica alle 20.00!) e loro sono così gentili che, pur non parlando inglese, telefonano ad un loro amico per farci da interprete, e scopriamo dove cercare la scheda. La scheda si compra in un tabacchi, curiosamente senza passaporto, (in Armenia l’abbiamo comprata nel negozio della compagnia telefonica, ed il passaporto l’hanno richiesto) e si ricarica nei negozi alimentari. Tuttavia telefonare e ricevere telefonate non è così banale. Infatti per chiamare i cellulari georgiani bisogna fare il 5 prima del numero; per farsi chiamare dall’Italia o farsi spedire messaggi bisogna digitare +995 (prefisso internazionale, non 00995!) 5 ed il numero. Invece per chiamare l’Italia dalla Georgia bisogna digitare +39 ed il numero (non 0039). (dall’Armenia invece, per spendere poco, si deve digitare 77 prima di +39). Queste cose ci vengono spiegate da Yuri, un simpatico cameriere del ristorante dove abbiamo cenato la sera, che è anche uno dei pochi parlanti inglese che abbiamo incontrato in tutto il nostro viaggio. Yuri ci dice anche che siamo i primi italiani a mangiare nel suo locale e in nostro onore mette un cd di musica italiana, la tipica musica che, per un qualche mistero che mi sfugge, all’estero ha ottenuto grande successo e si ascolta ancora, mentre l’italiano medio si vergogna ad essere identificato con quelle canzoni. Mi riferisco a “lasciatemi cantare con la chitarra in mano”, a canzoni stravecchie dei Ricchi e Poveri e robaccia simile. Toto Cotugno è un evergreen che mi capitò di ascoltare con un certo sgomento anche alla stazione dei bus di Sofia, e non in nostro onore (il che rese la cosa ancora più inquietante). Abbiamo lasciato a Yuri, appassionato di rock, una lista di canzoni italiane più decenti- e aggiornate diciamo. Yuri ci consiglia di assaggiare una sostanziosa zuppa georgiana, tempestata ahimè di coriandolo e dragoncello. Il coriandolo è una spezia estremamente diffusa nel Caucaso, che viene utilizzata pressochè in ogni piatto. Un po’ come in Portogallo. E’ anche l’unica spezia che non mi piace.. fortuna che l’uso che ne fanno è costante ma parco. Il conto finale sarà 31 lari, e si attesterà su questa cifra (tra i 5 ed i 7 euro a persona) per ogni pasto nel paese, Tbilisi esclusa (è un po’ più cara, ma sempre molto economica per i nostri standard). Nel frattempo, grazie alle dritte di Yuri, siamo riusciti a contattare Sofia (che ci ha risposto nonostante fosse domenica sera!) che parla con Administrator e risolve il misunderstanding. Al nostro ritorno Administrator è molto rasserenato. Ci ha anche dato una camera deluxe, perchè quella che ci aveva assegnato in origine aveva (orrore orrore) il bagno alla turca, cosa di fronte alla quale tutte le mie capacità di adattamento in viaggio hanno un potente blocco. La nuova camera è veramente bella: enorme, letto a baldacchino, bel bagno, e persino un salottino. (costo 200 lari per 2 gg).

La mattina successiva avrebbe dovuto essere il giorno di riposo in spiaggia, ma Sofia ci aveva avvertito che sarebbe stato brutto tempo. La mattina un brutto temporale ci costringe in albergo fino a tardi, e quando usciamo siamo imbacuccati negli impermeabili come in una tuta spaziale. Decidiamo di vagabondare a caso, e dalla cattedrale giriamo a sinistra. Questa parte di città ci fa una pessima impressione. Le strade sono completamente sventrate e, a causa del temporale, completamente allagate. Persone e macchine sono costrette a fare lunghi giri tortuosi per evitare le pozze, tombini aperti e marciapiedi dissestati, oppure procedere a guado. E in queste condizioni non è un’unica strada ma un’intero quartiere. Approdiamo finalmente al parco 6 Maggio, oasi di manutenzione rispetto al quartiere circostante. Ci piacerebbe fare una rilassante passeggiata, ma proprio in quel momento si scatena un nuovo acquazzone, e troviamo rifugio solo in una sorta di casetta di legno dove alcuni vecchietti giocani a scacchi e backgammon. Alla fine del viale del parco si incrocia via Rustaveli, che in ogni città è in genere il corso cittadino. Qui si apre una città diversa, tutta sistemata. Ci sono due uffici turistici efficienti e ricchi di cartine. Mentre chiediamo informazioni arriva una televisione locale che intervista le dipendenti dell’ufficio, loro ci pregano di rimanere e parlano di noi. Il giorno successivo avremo i nostri 15 minuti di celebrità in qualche televisione georgiana. Il resto di via Rustaveli è costeggiata di alberghi 4 stelle e palazzi ristrutturati, fino ad arrivare sul lungomare. Per raggiungerlo si attraversa una via con fontane d’acque, colonne e statuette di musicisti. La spiaggia è di ciottoli, non attrezzata. Tornando in centro troviamo la piazza centrale, con alcune ambasciate e la statua di Medea al centro: siamo infatti nella mitica Colchide, quella del mito di Giasone e del vello d’oro. Si è fatto tardi, ed abbiamo fame. Ci fermiamo in una panetteria che sforna buone focacce, ma purtroppo non ha acqua nè birra: qui ci tocca bere una bibita gassata dolcissima all’ananas, che è subito salita nel podio delle cose più schifose mai mangiate- anche se il primo posto è ancora detenuto dalle patatine fritte all’aceto e dal black pudding fritto, entrambi assaggiati in Inghilterra. Devo dire che questa bevanda gassata è praticamente l’unica cosa che non mi è piaciuta, ed è anche uno dei pochissimi cibi industriali che abbiamo mangiato. La maggior parte dei cibi e delle bevande in Georgia sono prodotti locali, la carne è ottima perchè il bestiame è allevato tutto allo stato brado, e anche il vino e la chacha (grappa) , le marmellate della colazione..sono tutte preparate in casa. Nel pomeriggio è tornato il sole, e decidiamo di prendere la marshutska per tornare a Gonio.

GONIO vanta una fortezza di origine romana, le cui mura sono ancora perfettamente conservate. Di fronte c’è il villaggio di Gonio, una serie di caseggiati anonimi con un paio di caffè ed il barbiere, le solite mucche e galline in giro, bambini che giocano e gente seduta a chiacchierare. La spiaggia è alle spalle del paese, si attraversano delle dune anche se la spiaggia è di ciottoli come quella di Batumi. Ci rilassiamo al sole per un paio d’ore, il luogo è molto riposante, sulla spiaggia ci sono solo un paio di pescatori e alcuni ragazzini. Non abbiamo il costume, peccato perchè è tornato caldo e un bagno ci starebbe bene, l’acqua del mare non è fredda, anche se a dire il vero non sembra particolarmente pulita. Tornati in città ceniamo alla locanda dell’ Adjara (dal nome della regione di Batumi) per assaggiare le specialità locali: i Kinkhali (ravioli lessi ripieni di carne e coriandolo) e il kachapuri, focaccia al formaggio che si trova in tutto il paese in numerose varianti regionali. Il Kachapuri dell’Imereti ha il formaggio sopra, mentre in altre regioni il formaggio rimane all’interno. Assaggiamo anche i vini. In generale i rossi sono cattivi, perchè tendenzialmente semidolci o di nessuna consistenza, mentre i bianchi sono migliori (anche se non comparabili con i bianchi italiani e francesi.) La Georgia ha anche due birre nazionali chiare, che sono fresche e leggere. (una è la Kazbegi ). Il kachapuri viene servito sempre in porzioni abbondanti, mentre per quanto riguarda i kinkhali viene sempre chiesto il numero di ravioli che si vuole (sono piuttosto grossi). L’acqua georgiana è molto buona, esistono diversi tipi di acque, per lo più sono gassate, ma si trovano anche delle acque lisce molto leggere (la Bakuriani per esempio). Fin dall’inizio del nostro viaggio non abbiamo mai avuto nessun problema alimentare, pur mangiando sempre nei localini lungo la strada, mangiando sempre insalate fresche e bevendo persino acqua di rubinetto e ghiaccio. Questo sia in Georgia che in Armenia. Entrambe le nazioni sono molto pulite, e la Georgia in particolare è ricchissima di fiumi e torrenti di montagna.

21 giugno Solstizio d’estate, il tempo è tornato stabile e soleggiato, e si manterrà così per il resto della vacanza. Mentre scendiamo a colazione troviamo il nostro autista Gocha a chiacchiera con un tizio che assomiglia a Tiziano Terzani, entrambi parlano in un inglese fluente. Sentire Gocha parlare in inglese mi ha subito confortato, e la sorpresa è stata scoprire che il Tiziano Terzani del Caucaso è un professore di cinema dell’Università di Teheran, rimosso dall’incarico – come diceva Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran– o anche insegnare cinema- sono lavori particolarmente difficili sotto la dittatura della repubblica islamica. Poichè l’Iran è una delle nazioni che vorrei visitare-nonostante il regime, e situazione politica permettendo- tempesto Tiziano Terzani persiano di domande. Lui mi conferma che gli iraniani sono davvero ospitali e diversi da come vengono dipinti, ma che forse ora non è momento di visitare il paese. Poi parliamo con Gocha della situazione della Georgia. Lui sostiene che le guerre sono solo fomentate da interessi politici, i diversi gruppi etnici e religiosi hanno sempre convissuto in Georgia senza particolari problemi. Dopo il conflitto con l’Ossezia la nazione ha faticato molto a risollevarsi, tuttora la disoccupazione è al 52%, ed infatti si vedono molti ragazzi ciondolare in giro senza avere niente da fare. Inoltre il governo non sostiene la piccola imprenditoria, ed è molto complesso ottenere anche micro prestiti dalle banche. Non ci sono adeguate infrastrutture e, al momento, turchi ebrei ed arabi, che hanno disponibilità economica, fanno grossi affari comprando fabbriche locali (che però almeno così non chiudono, commenta lui).

Verso le 11 partiamo, lungo la strada Gocha ci fa notare le piantagioni di thè. La zona di Batumi ha un microclima subtropicale e molte specie di piante sono endemiche. Lungo la strada ci sono molti banchetti di persone che vendono verdure del loro orto (o marmellate, liquori..). Il paese è povero, le pensioni si aggirano sui 100 euro, lo stipendio medio sui 400, e spesso in famiglia lavora solo una persona. Tuttavia ha buone potenzialità di sviluppo, decisamente migliori rispetto a quelle dell’Armenia, che nonostante sia una meta turistica forse più battuta, tuttavia ancora fatica a risollevarsi. Sulla Georgia Gocha è moderatamente ottimista, sostiene che il loro peggior nemico è la disinformazione, e il miglior esempio è la lonely planet in italiano del 2004, quella che avevamo con noi e che è risultata pessima quanto a terrorismo psicologico e disinformazione. Ci fermiamo a uno dei banchetti e acquistiamo amarene, che da noi sono quasi introvabili, mentre nel Caucaso le vendono ad ogni angolo- e uno strano frutto verde e un po’ aspro, simile ad una piccola prugna, con il quale preparano una salsina che accompagnano alla carne. La frutta è deliziosa. Gocha ci dice che in Georgia, nonostante ci siano larghi territori che producono ottima frutta, molta frutta viene importata dalla Turchia perchè costa meno.

La prima tappa della giornata è il monastero di GELATI, dove arriviamo attraversando un paesaggio verde e rilassante. Il monastero, in posizione elevata, è un complesso formato da più chiese e altre strutture, solo una è affrescata ed è patrimonio dell’umanità. Gli affreschi ricoprono interamente le pareti e sono ben conservati. Fuori dal complesso sulla sinistra c’è anche un curioso cimitero. Su alcune tombe il defunto è ritratto a figura intera. Fuori dalla chiesa ci sono le vecchiette che chiedono qualche spicciolo, ci saranno in tutte le chiese, ma al di fuori di Tbilisi non abbiamo visto altri mendicanti in giro. Scendendo da Gelati ci fermiamo al ristorante Gelati, che è giusto sotto il complesso. Siamo gli unici clienti, è un bel posto, con un grande spazio all’aperto e numerose casette di legno per pranzare più riparati in caso di fresco o pioggia. Sotto scorre un fiume e fa fresco. Gocha ci racconta dei suoi viaggi con i clienti, ne ha accompagnati molti anche in Armenia, ma solo una volta è stato in Azerbajan. Con tutti i visti armeni che ha sul passaporto gli hanno creato un sacco di problemi. Pare inoltre che aprano le valigie per controllo, se trovano oggetti comprati in Nagorno Karabakh con la scritta “Armenia” li considerano illegali e li sequestrano. Per di più non è che ci siano grandi cose da vedere, fatta eccezione di Baku che sembra sia una bella città.

La tappa del dopo pranzo è MOTSAMETA. Qua il monastero non è particolarmente interessante, ma la posizione sopra la gola di un fiume è sicuramente molto pittoresca. Ultima tappa della giornata è BAGRATI, altro monastero patrimonio dell’Umanità. Questo è un po’più deludente, perché è chiuso per restauro e completamente avvolto da impalcature. Si trova in posizione panoramica sulla città di Kutaisi, che però è abbastanza anonima. Arriviamo quindi alla guest house di KUTAISI, che si trova lungo una via di villette, alcune carine e restaurate, altre alquanto decrepite. La guest house è davvero bella, ha molte stanze completamente ristrutturate, con bagno in camera, molte hanno l’aria condizionata. E’ organizzata su 3 piani ed in alto ha una terrazza panoramica dalla quale si vede Bagrati e la città di Kutaisi. C’è anche una terrazza per mangiare. La gestisce una famiglia molto gentile. Scegliamo la camera e torniamo in città per fare due passi. La città è un quadrilatero intorno ad una piazza, con un curioso monumento, il teatro e qualche casa elegante, niente di più. La cosa migliore è l’ufficio turistico.

Ecco, questa è una cosa che ci ha colpito, e che abbiamo ritrovato anche in Armenia in maniera ancora più marcata. Talora capita che in posti che dovrebbero essere turistici non ci siano strutture adeguate, mentre in posti che sono francamente privi di interesse succede a volte che si trovino alberghi molto lussuosi o uffici turistici estremamente efficienti. Questo di Kutaisi è gestito da un ragazzo entusiasta, che è molto felice che gli stranieri visitino la sua nazione (ed è ancora incredulo che ne transitino almeno una decina al giorno dal suo ufficio!). Ci dà un sacco di mappe regionali e ci parla di un itinerario trekking che può essere fatto anche a cavallo; lo ha creato lui insieme ad una struttura ricettiva del posto. Si arriva ad una zona dove ci sono 4 cascate ed un antico torchio in pietra. Pare sia un posto molto bello e vicino a Kutaisi, che spesso neppure i locali conoscono.

Alla guest house ci servono una cena imperiale per 5 euro a testa. La classica cena georgiana, dove ci deve essere sempre tanta roba in tavola: pollo, pesce arrosto, melanzane con salsa di maionese e noci, insalata di pomodori e cetrioli (non esiste l’insalata di foglie verdi come da noi), insalata di carote e cavolo, kachapuri, zuppa, purè con funghi, formaggio. Dal tavolo accanto di viene offerta la chacha, la grappa locale prodotta in casa, che è fortissima ma buona (quella industriale è completamente diversa).

La mattina successiva siamo svegliati dal canto del gallo.

Una delle cose che ho più apprezzato di questa nazione è il silenzio. Nel complesso mi viene da pensarla come una nazione in cui la natura è selvaggia, ovvero ancora libera di appropriarsi dello spazio che le spetta. Animali e piante si insinuano nelle strade e all’interno dei paesi, e regna praticamente dappertutto un vasto silenzio, per cui si distinguono il gorgoglio dei ruscelli, i canti degli uccellini,i muggiti delle vacche o appunto, il canto del gallo. Ovunque ci si giri c’è molto verde, e quasi sempre le strade corrono lungo i fiumi, seguendone il percorso nelle gole o risalendo verso le foci. E’ un paesaggio incredibilmente rilassante, e poco costruito, per cui lo sguardo può spaziare tra le colline e la montagna senza interruzioni. La natura ancora tende a prevalere sull’uomo: basta una pioggia per far franare strade e rocce, o straripare fiumi, non c’è particolare manutenzione in questo senso (per esempio nessuna parete rocciosa è imbragata), la gente sembra però rassegnata ad una convivenza talora anche scomoda con questa natura.

22 giugno

Dopo una sostanziosa colazione, ci dirigiamo a SATAPLIA, sito dove sono conservate alcune impronte di dinosauri e delle grotte carsiche. Sataplia è una riserva naturale, Sofia mi aveva detto che era molto bella, io ero un po’perplessa, perchè dei dinosauri non mi interessa granchè, nemmeno delle stalattiti, tuttavia era molto vicino a Kutaisi e ci siamo lasciati convincere. La riserva apre alle 10, nell’attesa sfamiamo con un intero pacchetto di biscotti due poveri cani abbandonati. Ci sono molti cani abbandonati in giro in tutto il Paese, ma non sono aggressivi. La riserva è tenuta bene, ha strade acciottolate, e segnaletica in inglese. Entriamo nel museo che ospita le impronte dei dinosauri conservate nella roccia. Come immaginavo non sono entusiasmanti, all’uscita ci costringono a seguire un gruppo per raggiungere la grotta delle stalattiti-stalagmiti. E’ una grotta di circa 900 metri con 3-4 sale, ci sono un paio di stalattiti grosse, illuminati da luci fosforescenti rosa e blu (!) ma non immaginatevi Postumia. Uscendo dalle grotte mi piacerebbe raggiungere il punto panoramico, ma non riesco a trovarlo, tento di inoltrarmi in un breve sentiero segnalato, con pannelli esplicativi sulla flora e fauna locale. Anche in questo caso però, inspiegabilmente, il capogruppo viene a ripescarmi e mi costringe a tornare indietro. Ripartiamo e ci attende un lungo sentiero di montagna, perchè la strada diretta è chiusa a causa di una grossa frana che si è staccata qualche giorno prima e ha provocati incidenti. La deviazione è una strada che (scopriremo successivamente) costeggia il confine con l’Ossezia del Sud, per questo vediamo diverse macchine con polizia ai lati della strada. Tuttavia sembravano lì a controllare il traffico più che la frontiera: a causa della frana, il traffico sulla stretta e tortuosa stradina di montagna, tutta saliscendi, era triplicato e vi viaggiavano anche numerosi camion (uno si era anche ribaltato fuori strada in curva). Ci fermiamo a mangiare in un ristorantino lungo la strada, e anche qui la nostra presenza suscita curiosità. Ottimo come al solito il BBQ di maiale, con insalata e formaggio. La deviazione risulta essere molto panoramica, Gocha ci racconta anche che la chiusura della frontiera con l’Ossezia del sud ha bloccato i contrabbandi da Tshkinvali (capitale dell’Ossezia del sud, a pochi km dal confine, e patria del contrabbando). Alla fine della lunga deviazione riprendiamo la statale per BORJOMI, il famoso paese dove si produce l’acqua minerale frizzantissima, esportata anche all’estero (noi la assaggiammo nei Paesi Baltici). Borjomi vanta il bel parco delle acque minerali, lungo cui scorre un fiume attraversato da svariati ponti. Il parco è molto vasto, e, tra l’area tutta l’area di di Borjomi è parco nazionale. All’ufficio turistico della città non hanno mappe, ma ci dicono che c’è un ufficio del parco molto ben fornito, che dà tutte le informazioni sui sentieri trekking.

La tappa finale dell’itinerario giornaliero è AKHALTSIKHE, che si raggiunge con una strada che corre lungo la gola di un fiume, dove dormiremo.

23 giugno

Sono curiosa di conoscere i camperisti italiani che ho visto ieri qua fuori. In genere non attacco bottone agli italiani in vacanza, ma da brava ex camperista i camperisti mi stanno simpatici, e sono notoriamente una fonte indiscussa di informazioni utili, in quanto viaggiatori autonomi. Si tratta di coppie provenienti per lo più da Padova e dal nord Italia, che stanno ritornando a casa dopo aver già visitato l’Armenia. Mi raccontano che anno scorso hanno visitato l’Iran in camper, e mi confermano che è un paese meravigliosamente ospitale. Hanno visto anche il Medio Oriente in camper, e quindi sono dei veri pionieri: anno scorso da Aleppo al deserto del Wadi Rum non abbiamo mai incrociato un camper in 19 giorni di viaggio. Ci preannunciano che la strada per raggiungere il MONASTERO RUPESTRE DI VARDZIA è splendida, e non hanno affatto torto. La statale corre parallela ad un fiume, circondata dalle montagne verdi del Piccolo Caucaso che inizia qui e termina in Abkhazia. Oltre ad essere verdissime, le montagne sono piene di fiori. Gocha si ferma per farci vedere un’aquila e un falcone, e fotografa anche una vipera serenamente arrotolata al centro della strada (serenamente per poco più immagino). Facciamo una sosta sotto le rovine del castello di Tmogi ed in un punto panoramico di fronte a Vardzia, da cui si ha una splendida vista panoramica sul monastero. L’ingresso al monastero rupestre costa 3 lari, cifra standard per entrare in quasi tutti i musei in Georgia, fatta eccezione per l’esoso museo di Stalin a Gori. Entriamo e usciamo da tutte le grotte, ma non riusciamo a trovare un tunnel per procedere oltre e raggiungere la chiesa con gli affreschi della regina Tamar.Tuttavia ci sediamo per rilassarci e goderci il silenzioso paesaggio. Sembra di essere in Trentino. Al ritorno mangiamo in un ristorantino subito dopo il ponte. Qua assaggiamo il BBQ di pesce, e un vino rosato della casa dal sapore particolare ma buono. Tornando indietro Gocha si ferma alle rovine del CASTELLO DI KXERTVISI, che conserva belle mura esterne, ma dentro non è niente di che. Più interessante è invece la sosta a ASPINDZA. Durante l’Urss qua si trovava un famoso sanatorium, e ci sono ancora molte strutture dell’epoca ormai in disuso. Tuttavia c’è ancora un edificio principale dove una signora faceva le pulizie, da cui ho dedotto che probabilmente è ancora in uso, nonostante le strutture siano alquanto vecchie. Ci sono tante piccole stanzette con delle vasche smaltate-le vecchie vasche di casa della nonna per intenderci- collegate a tubature da cui sgorga direttamente acqua calda mineralizzata a 35 gradi. Intorno stanno ristrutturando alcune case. Rifletto che se ci fossero adeguati investimenti il settore termale potrebbe attrarre un segmento di turismo che in Occidente si è sviluppato abbastanza velocemente. Ritornando ad AKHALTSIKHE chiediamo a Gocha se si può fermare per farci visitare la città, dato che lonely planet decantava un quartiere di case antico molto grazioso. Si vede proprio che la lonely planet è scritta da americani, che hanno una concezione piuttosto diversa da quella degli europei in merito a antichità e bellezze architettoniche. Il centro di Akhaltsikhe è costituito da vecchie case piuttosto rovinate, alcune hanno una graziosa verandina in legno, o una tettoia carina sopra la porta, ma niente che meritasse espressamente una visita. E’ attraversato da strade sterrate e polli che razzolano dalle case alla strada. Ovviamente siamo gli unici turisti, un vecchietto ci saluta mandandoci un bacio, mentre una ragazza ci ferma chiedendoci la nostra nazionalità. Paolo potrebbe tranquillamente mimetizzarsi con i locali, mentre io sono costantemente scambiata per una tedesca. Una vecchietta ci crede ebrei e ci indirizza alla sinagoga, che per puro caso in quel momento è aperta. Dentro c’è il custode che ci invita ad entrare e ci racconta che prima della seconda guerra mondiale lì viveva una comunità di 3000 ebrei, mentre ora ce ne sono solo 8 . Ci mostra la bella sinagoga e ci esorta a fare foto. Poi Gocha ci accompagna al castello sopra la città, dentro cui c’è un museo. Qui sperimentiamo la famosa maleducazione per cui erano famosi gli impiegati sovietici. Arriviamo alle 16.45, e Gocha contratta per farci entrare. Il museo chiude alle 17 (capiremo dopo), quindi una vecchietta contrariata ci porta al museo, che apre per noi. Sembra una scena di Non ci resta che piangere, un vero e proprio salto nel passato. Il polveroso museo, allestito tale quale come 50 anni fa, conserva a piano terra schegge del paleolitico , manufatti romani e ceramiche medievali. Il secondo piano è più interessante, la porta e le luci ci vengono accese da una giovane acidissima, che poi si mette di punta a guardarci male per tentare di farci sbrigare. Qua ci sono un paio di curiosi vestiti da donna, una divisa, fucili di epoca ottomana. All’uscita ricompare la vecchietta, che brusca come al solito ci trascina nella vecchia moschea, dove sono conservate le lapidi provenienti da alcuni antichi monasteri georgiani. Dopo di che, visto che mi stavo attardando fuori dalla moschea per fare foto, veniamo cacciati in malo modo. Anche la vista della fortezza da fuori è bella. L’ultima meta serale è BAKURIANI, località di villeggiatura invernale. Per raggiungerla tuttavia non si può prendere la strada diretta che avevo visto sulla cartina, perchè è in pessime condizioni e percorribile solo in jeep, bisogna necessariamente tornare a Borjomi. Gocha ci dice anche che più a sud c’è una strada diretta per Tbilisi (immagino quella da Nipotsiminda) che è stata sistemata dopo il 2008, quando i russi bloccarono la strada principale che passava per Gori. Per arrivare a Bakuriani passiamo davanti alla stazione del treno di Borjomi, una breve linea ferroviara che collega Borjomi a Bakuriani. Pare che sia molto panoramica e molto lenta. C’è anche l’ex fabbrica delle bottiglie per l’acqua Borjomi, fabbrica che un tempo lavorava molto. Ci sono anche numerosi ex centri termali, che in era sovietica erano famosi sanatorium. La strada sale fino a 1700 metri ammantata di pini, una zona però è disboscata, perchè fu bombardata dai russi nel 2008. Mentre il paesaggio è molto bello, il paese di Bakuriani non merita una visita. Inoltre fa piuttosto freddo, sono 16 gradi, ed il tempo non è granchè. Gocha ci dice che il paese è più animato in inverno che d’estate. La montagna fuori stagione , che da noi è comunque molto apprezzata, lì pare non riscuota grande successo. Usciamo per acquistare alcune cose in un alimentari, Gocha ci suggerisce di assaggiare in curioso formaggio intrecciato affumicato, che assomiglia al caciocavallo ma è molto più salato. In albergo Gocha ci suggerisce dei cambiamenti da fare all’itinerario armeno, poi andiamo tutti insieme a mangiare al ristorante ucraino vicino all’albergo. E’ un po’ più caro rispetto alla media, ma l’ambiente è molto carino e si mangia bene. Visto che fa freddo mi prendo un borsch, la zuppa di rape rosse servita con smetana (panna acida) e un’ insalata di lingua.

24 giugno

Oggi la colazione dell’hotel ci regala gli ottimi blinis, sorta di pancake da mangiare con panna acida o marmellata. Prima tappa della giornata è un fuori programma proposto da Gocha: a 3,5km da Borjomi c’è la chiesettadi TIMOTESUBANI, antica ed affrescata. Non è molto frequentata dai turisti, e purtroppo quando arriviamo è ancora chiusa, tuttavia si trova in un bel posticino, a fianco ad un fiume e per raggiungerla si attraversano un paio di paesini con vecchie case in legno. La seconda destinazione della giornata è GORI, città natale di Stalin. Mentre entriamo in città Gocha ci fa notare i campi profughi dove ancora vivono diverse migliaia di persone, e ci porta a vedere anche due edifici che i russi bombardarono nel 2008, causando la morte di diverse persone. Sono stati ricostruiti e un monumento commemora i caduti. Nel 2008 i russi bloccarono la strada da Poti a Gori, e fecero razzia di tutto quello che la gente aveva in casa, incluso giochi e tricicli di bambini, ci racconta Gocha. Le truppe delle Nazioni Unite sono ancora presenti in città, ma oggi la città appare come una sonnolenta città di provincia. Il museo di Stalinè un bell’edificio immerso in un grande parco. L’ingresso al museo+casa di Stalin+locomotiva privata costa 15 Lari, decisamente un’esagerazione, per non parlare del costo dei souvenir nel negozietto adiacente, che sembra un furto anche se valutato con gli occhi di un turista occidentale. Per esempio degli accendini a proiettile con la faccia di Stalin costano 12 euro, così come delle spille di Stalin! Tuttavia nel biglietto è inclusa la visita guidata in inglese, e ci accompagna nel museo una ragazza che parla velocissimo e con un accento piuttosto forte. E’ utile perchè le didascalie del museo sono solo in georgiano e russo. Ci sono moltissime foto che ritraggono Stalin con vari personaggi, alcuni rivoluzionari con i quali venne arrestato, poi Lenin, alcuni scrittori come Majakovski e Gorki, con i capi di stato alle conferenze di pace dopo la fine della seconda guerra mondiale. E’ mostrata una raccolta di poesie sulla Georgia che aveva scritto da giovane, si scopre che aveva anche studiato canto polifonico. (!) Una sezione piccola riguarda la sua famiglia, la prima moglie morta giovane, la seconda morta suicida (c’è da capirla poveraccia), i figli (Svetlana, l’unica ancora in vita, chiese asilo politico agli Stati Uniti). In una sala sono esposti i regali che Stalin ha ricevuto dalle varie nazioni europee, è la sezione più curiosa ma purtroppo la guida è abbastanza sbrigativa, da citare un regalo proveniente dall’Italia con la seguente dedica: “Le donne italiane di Montone a Giuseppe Stalin campione della pace”. (!) Alla fine del museo una sala piuttosto lugubre conserva uno dei 9 ritratti ufficiali dipinti alla sua morte, nonchè la sua maschera funeraria. C’è un’unica stanza non celebrativa, dove si può vedere la prigione, la scrivania dalla quale le persone venivano condannate ed i nomi delle persone di Gori esiliate in Siberia o uccise. Il resto del complesso è puramente celebrativo; a fargli da contraltare pare sia un museo di Tbilisi sulla via Rustaveli, che non abbiamo avuto l’opportunità di visitare ma di cui ci ha parlato un signore italiano conosciuto a Davit Gareja. E’ un museo sull’occupazione sovietica, con una sezione aggiornata anche agli episodi del 2008. Al di fuori del museo di Stalin è conservata come una reliquia la casa dove Stalin è cresciuto, ed attorno alla quale è sorto successivamente il museo. Una casetta di una stanza di legno, dentro cui non si può entrare. Una vera perla è invece il vagone ferroviario privato, composto da varie stanze, nella sua stanza privata c’era bagno e vasca, inoltre c’è una cucina ed una sala riunioni con l’aria condizionata. Dopo pranzo ci dirigiamo a ATENIS SIONI, attraversando una strada ombreggiata da tettoie con vite. Gli affreschi di Atenis Sioni non sono belli come quelli di Gelati. Una parte sono sbiaditi, una parte sono anneriti. In Georgia ci si deve coprire la testa con un fazzoletto quando si entra nelle chiese. In molte chiese ci sono dei foulard a disposizione di chi entra. In alcune chiese si deve anche indossare un gonnellone, anche se si hanno pantaloni. Anche questo è in genere fornito. Questa forma di rispetto così stringente non si ripete in Armenia, dove anche a Echmiadzin, nel cosiddetto Vaticano armeno, sono in molti con la testa coperta, ma anche molti senza velo,e da nessuna parte abbiamo mai visto indossare questi gonnelloni sopra i pantaloni. La ritualità dei fedeli è anche piuttosto interessante: si fanno il segno della croce innumerevoli volte, e baciano le pareti ma anche il pavimento e gli arredi sacre della chiesa, infine escono dalla chiesa camminando all’indietro. Le messe sono spesso cantate, in alcuni casi abbiamo assistito a cori polifonici davvero belli, in altri invece era il sacerdote o anche i fedeli a pronunciare una noiosa e lunga litania monocorde. La chiesa di Atenis Sioni ha un fiumiciattolo che scorre sotto, ma forse è meno interessante di altre che abbiamo visto. La tappa successiva è la seconda città rupestre del paese, UPLISTSIKHE. Lì funziona così: c’è una guida (un signore di mezza età).Si può pagare il biglietto e poi accordarsi privatamente con la guida per la visita, mi sembra costi 10 lari, oppure pagare biglietto e guida in biglietteria, in questo caso però costa di più (15 lari) e la guida si arrabbia moltissimo perchè la sua percentuale è più bassa. Noi non avevamo capito la dinamica, abbiamo pagato tutto in biglietteria e naturalmente lui è stato furibondo per un bel po’, almeno finchè non gli ho risposto male e si è dato una calmata. Il tizio parla un inglese piuttosto approssimativo, ma la visita dura 30 -40min, e lui focalizza una serie di cose che sulla guida sono spiegate sommariamente, per cui tutto sommato è valsa la pena sorbirsi la sua scorbuticheria. La città rupestre si trova in alto, in una splendida posizione; in basso scorre il fiume Mtqvari, e ci sono le rovine del villaggio medievale. La città rupestre è molto ventosa, e le case sono esposte in modo da evitare il vento. In terra si possono ancora vedere i fori per i pali che sostenevano le verande delle botteghe. C’è anche un palazzo in arenaria con finte travi scavate nella pietra e una stanza per la conservazione del vino. L’approvvigionamento idrico proveniva da un acquedotto a 6 km di distanza, che fu distrutto dai Mongoli. Dopo quell’evento fu scavato un tunnel sotterraneo per raggiungere il fiume, tunnel che è tuttora percorribile. I mongoli bruciarono anche tutte le foreste di cui era ricoperta la zona, e nonostante siano passati secoli la zona è rimasta brulla. In tarda serata arriviamo a TBILISI, e passiamo dall’agenzia Omnes tour dove lavora Sofia, che peraltro è in centro e vicinissima al nostro albergo. Sofia, Irakli (il manager dell’agenzia) e un’altra ragazza dell’agenzia hanno studiato italiano in Italia e all’università, per cui lo parlano fluentemente. A causa del terrorismo psicologico della Lonely planet–nonostante numerosi consigli favorevoli- avevo deciso di saltare l’escursione nello Svaneti, e adesso colgo l’occasione per farmi spiegare da Sofia come sta veramente la situazione. All’epoca in cui è stata scritta la guida, cioè 7 anni fa, in effetti lo Svaneti era una zona dove c’erano fenomeno di banditismo a danno di stranieri. Poi il governo ha investito molto per farla diventare area di resort montani, è stato costruito un piccolo areoporto e numerose strutture di alloggio, ed oggi è una zona sicura da visitare, oltre che molto selvaggia e bella. La popolazione locale continua a mantenere una lingua e tradizioni proprie. Tuttavia il viaggio per arrivare là è faticoso. L’aereo è da 12 posti, parte il venerdì da Tbilisi ma non è prenotabile dagli stranieri, che vi possono accedere solo se non si riempie. Ritorna la domenica, e spesso durante l’inverno non funziona a causa delle forti nevicate nella zona. Ci si può quindi arrivare da Tbilisi, in bus (solo per masochisti) oppure in auto. Non serve la jeep, anche se le strade sono messe male e occorre calcolare almeno 10 ore di viaggio, e andare da metà giugno a settembre. Dopo il rischio meteo o frane è sempre in agguato. Mi faccio raccontare anche delle altre tre regioni remote della Georgia.

Il Tusheti è tuttora una regione raggiungibile solo in jeep, solo una piccola parte dei villaggi ha l’elettricità a causa della mancanza di manuntenzione delle linee elettriche dopo la caduta dell’URSS. Nella zona al confine con la Cecenia si sono trasferiti molto ceceni , e di fatto si parla la loro lingua. Gocha diceva che la tristemente famosa valle del Pankisi non è più così pericolosa. Il Kehvusureti è una regione che si sta attrezzando al turismo, infatti è entrata negli onori della cronaca Lonely planet solo nella guida 2008. Il Racha infine pare sia una regione molto interessante, ma ancora priva di infrastrutture turistiche adeguate. Mi ha anche spiegato che le agenzie georgiane non propongono partenze fisse, ma lavorano con gruppi già precostituiti, per lo più di stranieri.

25 giugno

Oggi non sono previsti spostamenti, è dedicata al riposo e alla visita di TBILISI. Innanzitutto ci rechiamo all’ufficio turistico in piazza della Libertà, una delle piazze centrali della città. La delusione è grande: mentre il piccolo ufficio di Kutaisi era fornitissimo, qua non solo non hanno mappe delle varie regioni della nazione, ma neppure una mappa della città! Ci garantiscono che tra una settimana sarebbe tornato tutto, peccato che non passeremo così tanto tempo a Tbilisi. Torniamo su via Leselidze, cuore del quartiere antico della città da cui si dipartono innumerevoli viuzze. Ci sono case antiche, bei balconi, molti negozi. Ci fermiamo in wine shop a degustare un po’ di vini locali. Assaggiamo diversi rossi, ma non ci piace nessuno, sono molto leggeri ed inconsistenti, peggio ancora i rosati. Invece tra i bianchi ne individuiamo un paio discreti, e uno poi ce lo compreremo (tsinandali). Purtroppo il viaggio aereo limita un po’ questo tipo di acquisti, e dovevamo tenere spazio anche i cognac da comprare in Armenia. Alla vineria si mangia piuttosto bene, assaggiamo del fegato cucinato in coccio. Dopo pranzo siamo risaliti in piazza libertà e abbiamo percorso via puskin, in fondo alla quale c’è la piccola e antica chiesetta di Anchiskati. La parte bassa di Tbilisi è costellata di innumerevoli chiese medievali estremamente graziose. Ci troviamo di fronte al museo delle bambole di cui avevamo visto la pubblicità all’ufficio turistico, in realtà è una galleria d’arte per bambini, al secondo piano ci sarebbe una stanza con bambole e marionette, ma purtroppo è chiusa. Al di fuori del museo la via Shavteli conduce ad una curiosa piazza con alcuni caffè, una torre pendente e alcuni balconi antichi in legno. Ci spostiamo poi sul lungo fiume per cercare il ponte Chugureti. Qua, ci aveva detto Gocha, il sabato e la domenica c’è un mercatino di artigianato e delle pulci. In effetti gli oggetti esposti sono anche di una certa qualità e originalità, ma il mercato ha prezzi pressochè europei, per cui non facciamo grandi affari. Ci innamoriamo di alcuni quadri vagamente naif che ritraggono le vie di Tbilisi, ma il pittore non li vuole mollare per meno di 50 euro, che considerando i prezzi locali è decisamente un’esagerazione. Peggio per lui, se li è tenuti, ma ho fatto un sacco di foto (da cui eventualmente potrò trarre ingrandimenti utili da farne un quadro). Tra l’altro il giorno successivo Gocha ci dice che per esportare i quadri- anche se palesemente moderni- serve comunque un certificato del Ministero dei beni culturali che attesti che non è un bene storico. Al mercato ci sono articoli in legno, sciarpe o oggetti di lana (tipici in tutto il paese), sciarpe di seta dipinte a mano, molti oggetti in ceramica dipinta che sono la mia passione . Tra gli acquisti fatti in Georgia e Armenia ho riempito una vetrina di casa di coppette e tazze in ceramica. La parte di mercato delle pulci vero e proprio è meno interessante: qua, come al Vernissage di Yerevan, sono venduti prevalentemente servizi di ceramica, posate e cianfrusaglie. Il Vernissage di Yerevan è forse leggermente meno caro, ci sono anche più banchi con prodotti tipicamente turistici, per cui è buona norma confrontare bene qualità e prezzi. Proseguendo sul lungofiume si arriva ad un ponte avveniristico che conduce all’altra sponda di Tbilisi, qua c’è una piazza moderna, in parte non ancora conclusa, dove la gente va a passeggiare. Sullo sfondo c’è una fontana con giochi d’acqua e musica, e delle scale salgono verso il quartiere soprastante. Ho visto il campanile di una chiesa antica e salgo le scale per trovarla, è nascosta tra le viuzze, e si sta celebrando la Messa. Ridiscesi dal quartiere Paolo torna in albergo mentre io proseguo il mio giro da sola, vedendo un’altra chiesa con terrazza panoramica prima di riattraversare il ponte e scoprire di trovarmi in una piazza all’inizio di via Leselidze. Da qui continuo ad esplorare la città a caso: un paio di chiese dentro un bel giardino, un’altra chiesa grande vicino al museo, in una animata viuzza, per concludere con la via pedonale chiusa al traffico, dove si trovano i caffè più alla moda ed una bella serie di edifici antichi ristrutturati. C’è persino un locale che si chiama kgb still controls you!

26 giugno

E’ arrivato il grande giorno: si va per la strada militare georgiana, che costeggia l’Ossezia del Sud e raggiunge il confine con l’Ossezia del Nord (e con la vicina Cecenia), per visitare la CHIESETTA DI SVETI SAMEBA (GERGETI) , simbolo della tenacia di questa nazione perchè costruita in un luogo di difficile accesso, di fronte alla cima del Monte Kazbegi, 5047 m, la vetta più alta della Georgia. E’ uno dei luoghi simbolo che ci tenevo moltissimo a visitare, e per di più è una splendida giornata di sole. La strada militare georgiana collegava Tbilisi con Vladikavkaz. Le due città sarebbero abbastanza vicine in linea d’aria, distano solo 140 km, ma per raggiungere Stepanotsminda, paese da cui si sale verso la chiesetta, occorrono circa 3 ore e mezzo, e siamo ancora 12 km dal confine. La strada è comunque tutta molto panoramica. La prima foto spetta al LAGO ZHINVALI, bacino artificiale in cui confluiscono 3 fiumi. Due di questi fiumi (Gvari) sono detti il fiume nero ed il fiume bianco: essi confluiscono tra di loro a monte del lago, ma nel punto di confluenza il letto di un fiume è scuro e l’altro è chiaro. Anche qua in epoca sovietica c’erano molti resort, ma quando iniziarono i problemi con la Russia furono tagliate le forniture di gas alla Georgia, ed i resort dovettero chiudere. Una sosta d’obbligo è la FORTEZZA DI ANANURI, arroccata in posizione spettacolare su un lago, e che protegge al suo interno due chiese. Una è molto semplice, mentre l’altra è davvero bella, ha portali scolpiti con animali e colonne affrescate. Entrambe sono medievali. Sotto la fortezza c’è un prato dove alcuni prendono il sole, il lago è balneabile anche se nessuno sta facendo il bagno in quel momento. Sarebbe perfetto sdraiarsi un po’, la temperatura sui 25 gradi invita veramente al riposo. Tutta la fortezza nel suo complesso è davvero splendida. La strada sale poi fino a GUDAURI, famosa località di villeggiatura invernale, che però d’estate è deserta, per lo stesso misterioso motivo di Bakuriani. Gocha ci dice che d’estate saranno aperti solo 2 o 3 alberghi. Abbiamo incrociato anche un curioso monumento di stampo sovietico che merita una sosta solo perchè costruito su un dirupo da cui si gode di una vista spettacolare .

Dopo Gudauri ci sono 20 km di strada sterrata, in condizioni discrete. Numerose gallerie affiancano la strada, sono utilizzate d’inverno per evitare le frane. Poi la strada torna asfaltata, ma viene lambita da strisce di ghiaccio perenne. Qua scopriamo una vera leccornia. Delle vecchiette vendono una cosa avvolta a mò di candela di cera, che in effetti sembra una candela, in realtà sono fogli di frutta essiccata e avvolta in questo modo. Un ottimo snack! Arrivati a Stepanotsminda pranziamo al ristorante di una signora russa, mi metto al sole perchè la temperatura gradevole non me ne fa percepire la potenza, ma siamo sui 2000 metri, la sera avrò l’abbronzatura a mezze maniche tipica del muratore.

Per raggiungere CHIESA DI SVETI SAMEBA c’è da affrontare una salita di almeno 7km su una strada sterrata molto dissestata. Siamo stanchi e decidiamo di noleggiare una jeep (ce ne sono molte in paese che fanno questo servizio, e poi il mitico Gocha conosce sempre tutti). Il costo, confrontato con gli standard locali, è esorbitante: 25 euro. Tuttavia è stata una scelta giusta, perchè la salita era davvero lunga, e non particolarmente panoramica. Arrivati in cima l’autista ci aspetterà per circa 40 min. La posizione della chiesetta è davvero spettacolare, mentre l’interno è piuttosto anonimo. Il Monte Kazbegi spicca imponente alle nostre spalle. Esattamente come mi successe nel centro di Damasco, anche qui mi viene da riflettere sulla discrepanza tra i luoghi e gli avvenimenti. Quel monte guarda due versanti, a pochi km dal confine giace l’impenetrabile Cecenia, che sicuramente gode dello stesso splendido paesaggio ma non della stessa quiete, dall’altro versante i turisti a prendono il sole sulle panchine della chiesetta. Zone di equilibri talmente precari, dove tutto si trasforma in brevissimo tempo, e la montagna sembra stare a guardare implacabilmente muta l’incessante susseguirsi di guerre e pace. Sulla via del ritorno Gocha ci propone di vedere la GOLA DI DARJALI, oltre la quale si arriva al confine con l’Ossezia del nord (confine chiuso agli stranieri) . La sera al ristorante sperimentiamo una variante dell’insalata cetrioli-pomodori: trattasi del “verde”, ovvero un misto di erbe aromatiche composto da prezzemolo, basilico, dragoncello, erba cipollina, cipolline, ravanello. Naturalmente senza olio, perchè non si coltivano olivi nel Caucaso.

27 giugno

Altra giornatona campale: da un confine all’altro, stavolta si va a sud, al confine con l’Azerbajan,per vedere il terzo monastero rupestre della nazione, tuttora abitato da monaci: DAVIT GAREJA. La strada per raggiungere il monastero è piuttosto dissestata, anche se si può percorrere con una macchina normale, tuttavia non è il caso di andare in caso di pioggia. Da Tbilisi ci vogliono circa 2 ore, e anche oggi avvistiamo un’aquila. Il luogo è più brullo, ugualmente verde ma privo di alberi, ed è veramente molto isolato. Appena arrivati vado al bagno (sporco e alla turca) e dalla cannella del lavandino spunta fuori una vedova nera…(avvelenata, è il caso di dirlo, perchè l’acqua le aveva distrutto la ragnatela). Fuori dal monastero c’è un piccolo negozio di souvenir, che però non vende acqua ma solo articoli religiosi. Il monastero (Lavra) è disposto su 3 piani, in basso c’è la chiesa, scavate nella roccia ci sono le abitazione dei monaci. Secondo me la vera ragione di visitare Davit Gareja è salire sulla montagna sopra il monastero per poter ammirare il panorama dalla linea di cresta.

Prima di affrontare la salita dotatevi di cappellino, crema solare e acqua.

La salita inizia a sinistra del negozio di souvenir, e la prima parte del sentiero è ripidissima. Il sentiero è ben segnato ma molto faticoso, inoltre non è percorribile con la pioggia perchè molto scivoloso. La seconda parte della salita è meno ripida, ad un certo punto si arriva ad una struttura che sembra una casa, da lì si svolta a sinistra; si è arrivati sulla linea di cresta ed il panorama si apre vastissimo sull’Azerbajan:un’ampia distesa non abitata, fino ad un grande lago. Quasi in cima ci sono gli affreschi, io li vedo molto sbiaditi e passo oltre, credendo fossero più avanti (invece erano proprio quelli). In cima c’è una chiesetta chiusa, da un lato si vede la Georgia, dall’altro l’Azerbajan. La salita è durata circa 1 ora, sotto il sole implacabile. Scendendo incontro un signore milanese, e torno indietro con lui dall’altra strada, molto più agevole ma meno panoramica, che ci riporta a terra in circa 25 minuti. Dopo pranzo (non ci sono ristoranti per circa 1 ora e mezzo nei paraggi del monastero) raggiungiamo la CHIESA DI S. BOBDE, dove è seppellita Santa Nino. A parte essere immersa in un bel parco, direi che non è particolarmente significativa per i non devoti, e ci spostiamo senza indugiare oltre a SIGHNAGI. Questo è davvero un bel paesino, antico, con le case con i balconi di legno colorati, tutto ristrutturato. Il centro è acciottolato, e diverse statue di bronzo lo decorano; è circondato da mura enormi dove un tempo si rifugiavano gli abitanti delle valli circostanti per difendersi dagli attacchi dei nemici. In alto c’è anche un castello.

La sera ceniamo con Sofia in bel ristorante vicino piazza della libertà, con balli tipici georgiani e musica dal vivo.

28 giugno

L’ultimo giorno a Tbilisi prevede la visita di Jvari e Mts’kheta, l’antica capitale. JVARI significa croce, perchè qui Santa Nino pose una croce, come al solito è più interessante la posizione panoramica, che guarda dall’alto la georgian military highway, Mts’kheta e la confluenza di due fiumi, che la chiesa in sè e per sè. MTS’KHETA vanta la chiesa più grande del paese, circondata da mura e da un bel giardino. L’interno è molto interessante: ci sono diversi affreschi lungo le pareti e due pulpiti affrescati. La cittadina è ristrutturata ma moderna, visito il museo archeologico, ed anche qui una signora gentile mi guida per le sale, accende e spenge le luci solo per me, mi spiega in francese quali sono i pezzi più interessanti della collezione (tra cui una conchiglia Saint Jacques di origine iraniana su cui era scolpito un tempio del Dio Sole). Per il resto collane, spille, spade, boccette per profumo ed uno strano pettorale. Gocha ci porta anche a vedre la chiesa di SAMTRAVO lì vicino. Sono due chiese all’interno di un giardino. L’architettura è interessante, e all’interno ci sono anche alcuni affreschi e una tavola dipinta. Anche la piccola cappella in fondo al giardino è completamente affrescata. Pranziamo nel ristorante Salobie, poco fuori Mts’kheta, e famoso per il lobio, che è una specialità locale; si tratta di una ministra di fagioli e coriandolo da mangiare accompagnata a pane di mais e cetriolini. Nel pomeriggio torniamo a TBILISI in albergo, dopo la preparazione delle valigie esco di nuovo a sfidare la calura. La prima mission da compiere è la caccia al francobollo, e decido di andare in via Rustaveli, così colgo anche

L’occasione per vedere il corso cittadino. Rustaveli è un largo e rumoroso viale attraversato da 4 corsie di strade. E’costeggiato da molti palazzi eleganti, e farci una passeggiata, nonostante il rumore, è comunque piacevole. Per il francobollo chiedo informazioni al portiere del Marriot, che mi indirizza in un sottopasso. A differenza di quello che passa sotto Piazza della libertà, questo è per lo meno illuminato. Vi sono negozi e banchetti di ogni tipo. Trovo la cartoleria che mi hanno indicato, ma non ha il francobollo, continuo la caccia dal tabacchino subito fuori, che si appella a un signore che stava comprando le sigarette, e parlava bene inglese. Lui mi dice che i francobolli si comprano solo alla posta, e mi augura anche buona fortuna con le coste caucasiche, tuttavia per maggiori dettagli mi rimanda alla libreria inglese Prospero’s book, al n. 34 di Rustaveli. (Alla fine chiederò a Gocha di spedirmi le cartoline, che, per la cronaca, sono arrivate dopo circa 20 giorni.)

La libreria si trova in una sorta di corte interna ed ha di fronte un grazioso caffè. I commessi parlano inglese, e mi metto a scuriosare tra i libri. Hanno un ‘interessante sezione sul Caucaso, argomento che in in genere è difficile da trovare, alla fine esco con 3 libri. Parlando con il commesso di alcune cartoline dell’Abkhazia, mi sono sentita commentare”il territorio che abbiamo perduto”. Parallelamente una guida armena, al monastero di Tatev, ci disse, parlando del Nagorno Karabakh, “è una parte di Armenia che non daremo mai indietro”.

Proseguo lungo Rustaveli, in fondo alla via trovo bancherelle che vendono ciarpame ma anche qualche pezzo più interessante di artigianato. Arrivo in una grande piazza con una fontana dove alcuni bambini stanno facendo il bagno nudi. La città ha moltissimi mendicanti, non solo vecchi, ma anche donne con bambini. Trovo finalmente la metro, e scatta un dibattito sul biglietto. A quanto ho capito non esiste il biglietto usa e getta, bisogna fare una carta e ricaricarla, e si può anche restituire una volta che non si utilizza più (tipo la Oyster card di Londra). La commessa è determinata a non farmela, perchè ha capito che mi serve per un solo viaggio, alla fine mi carica i soldi del viaggio sulla scheda di quella dietro di me, e le dice di passare due volte la sua scheda. Naturalmente la segnaletica non esiste, quindi sbaglio direzione del treno, però è vero che ad ogni stazione viene annunciata la successiva anche in inglese, come mi avevano detto quelli della libreria.

Al ritorno in albergo ero abbastanza tramortita, ma sono voluta comunque riscendere lunga tutta via Leselidze per far vedere a Paolo la via pedonale, e anche per vedere Abanotubani, i mitici bagni sulfurei, almeno dall’esterno. La facciata è in mattonelline modello moschea islamica, ed intorno nella piazza vi sono numerose cupole. Davvero suggestiva. Gocha ci aveva suggerito di andare nel pomeriggio perche dalle 19 cominciano a riempirsi, ma faceva troppo caldo…

Sulla stessa piazza c’è un bistrot francese, piuttosto caro per gli standard locali, ma decidiamo di brindare all’ultima sera georgiana con un bicchiere di vino buono. Tra le canzoni che ci mettono in sottofondo, Je ne regret rien, che ci tornerà in mente dopo il primo giorno di disavventure in Armenia, quando siamo stati sul punto di fare armi e bagagli e tornare indietro a Tbilisi. Alla fine facciamo tardi e molti ristoranti sono già chiusi, ci rifugiamo al cafè Electrique al n.28 di via Leselidze, localino che avevo puntato il giorno prima perchè in una cortile interno raccolto e grazioso. Probabilmente però è meglio andarci per bere qualcosa piuttosto che per mangiare.

29 giugno

Infine è giunto il giorno in cui andremo in Armenia. Da Tbilisi a Sadakhlo, cittadina di confine, ci vuole circa un’ora di macchina. Dobbiamo salutare Gocha, e dall’altra parte ci attende un autista che non parla una parola di inglese, e che ci dovremo sorbire in silenzio per i primi 4 giorni. Un incubo. Alla frontiera georgiana, che si attraversa a piedi, con sommo stupore veniamo sottoposti ad un questionario di customer satisfaction in relazione alla nostra vacanza ed ai servizi ricevuti. Simile questionario a Fiumicino, sempre sulla Georgia, mentre attendevamo i bagagli!

Conserviamo uno splendido ricordo di questo viaggio a lungo sognato .Abbiamo organizzato il tour decidendo da noi le tappe, e chiedendo ad un’agenzia locale di prenotarci gli alberghi e di fornirci un autista che parlasse inglese. Non ci piacciono i tour organizzati a tappe forzate insieme a grupponi garruli di connazionali che si sentono in dovere di sparare cavolate per tutto il viaggio per essere simpatici. Una cosa insopportabile. Preferiamo decidere noi cosa vedere, anche località fuori dagli itinerari turistici, avere i nostri tempi e confrontarci solo con gente del posto. Purtroppo però nel Caucaso la maggior parte delle persone non parla inglese, per cui senza il russo è estremamente faticoso interagire e farsi capire. Le strade, sia in Georgia che in Armenia, sono in discrete condizioni (fatta eccezioni per alcune regioni meno turistiche che si possono esplorare solo in jeep), la cartellonistica è sempre presente ed è in doppia lingua (georgiano/armeno-carattere latini), di conseguenza in teoria si potrebbe anche noleggiare una macchina e andare per conto proprio. Bisogna fare attenzione agli animali in mezzo alle strade (anche dentro le gallerie non illuminate) e mettersi l’anima in pace nelle stradine di montagne, dove i sorpassi sono difficili, e ci sono molti camion (che spesso fanno sorpassi molto azzardati).

Tuttavia avere avuto con noi Gocha non è stato solo avere un autista esperto che ci ha portato nei vari posti (incluso alcuni interessanti fuori programma che ci ha proposto), ma è stato avere con noi un interprete di tutto quello che vedevamo, una persona gentile, simpatica e interessante, capace di rispondere alle nostre domande, capaci di farsi da interprete con la gente del posto, e alla fine lui è stato il valore aggiunto della nostra vacanza. Sofia dal canto suo ha interpretato perfettamente l’idea di vacanza che avevo in mente: non solo ci ha trovato Gocha, ma ci ha prenotato dei deliziosi alberghi familiari, tutti ristrutturati e puliti, gestiti da alcune famiglie particolarmente gentili. Le avevo chiesto di non mandarci negli albeghi delle catene alberghiere, quelli dove di solito alloggiano i gruppi dei tour organizzati. Insomma,questa vacanza è stata esattamente così come me l’ero immaginata. Contatti:

Agenzia tramite la quale abbiamo organizzato il tour: Omnes tour, Tbilisi Referenti: Sofia, Irakli .Parlano italiano

Autista: Gocha

Alberghi dove abbiamo alloggiato (fatta eccezione dell’hotel di Tbilisi, in nessun altro parlano inglese):

Batumi, Hotel Marani Kutaisi, guesthouse Gora Akhaltsikhe – Hotel “Bonadea Bakuriani Hotel new house

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cena georgiana

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Vardzia

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Monastero di Gelati

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Davit Gareja

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Tbilisi terme sulfuree

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strada militare georgiana

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Monte Kazbegi

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Davit Gareja- a sinistra Azerbajan a destra la Georgia



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