Fotaleza, Brasile del Nordeste: il Forrò

Bisognerebbe tornarci almeno un’altra volta, a Fortaleza, stato del Cearà ,Brasile del Nordeste, a detta di molti uno degli stati più poveri di tutto il Paese. E basta uscire dai soliti circuiti per turisti come la passeggiata lungo la Beira mar, le “barracas” (qui gli stabilimenti balneari li chiamano così) di “Praia do Futuro” o i...
Scritto da: mass6111
fotaleza, brasile del nordeste: il forrò
Partenza il: 15/02/2007
Ritorno il: 05/03/2007
Viaggiatori: da solo
Spesa: 2000 €
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Bisognerebbe tornarci almeno un’altra volta, a Fortaleza, stato del Cearà ,Brasile del Nordeste, a detta di molti uno degli stati più poveri di tutto il Paese. E basta uscire dai soliti circuiti per turisti come la passeggiata lungo la Beira mar, le “barracas” (qui gli stabilimenti balneari li chiamano così) di “Praia do Futuro” o i locali notturni di “Praia Iracema”, gettare lo sguardo un po’ oltre, e non si fa fatica a crederci. A Fortaleza vivono più di 2 milioni di persone, di cui 700 mila nelle favelas e altri 500 mila al di sotto della soglia di povertà (i dati non sono miei, si possono verificare in molti siti internet). Qui lo stipendio medio di un lavoratore dipendente, operaio, cameriere, commessa, tanto per fare qualche esempio, è di 300 Reais al mese, (cioè poco più di 100 Euro). Considerato che quasi 200 se ne vanno tra affitto di casa, luce e acqua, significa che chi lavora, ma forse è meglio dire chi ha la fortuna di avere un lavoro, deve vivere con, più o meno, 3 Reais al giorno! E’ una terra arida e calda, il sole splende per 12 mesi all’anno, non piove quasi mai, ma le poche volte che piove, come in questo periodo, non è pioggia quella che scende dal cielo, ma un trailer del diluvio universale! Torrenti che straripano, perché sono pieni di rifiuti, strade che si allagano e che, a loro volta, allagano e riempiono di fango le case della povera gente. Se chiedi a qualcuno come possono vivere così, loro ti guardano con occhi che esprimono un misto di fatalità e rassegnazione, ti sorridono e ti rispondono “in Brasile è così!” Però bisognerebbe tornarci almeno un’altra volta, a Fortaleza, stato del Cearà, Brasile del Nordeste, per vederli ballare il “forrò”. Questa musica te la propinano dappertutto: la senti in aeroporto quando arrivi, sui taxi, nelle barracas della praia e anche sugli autobus, per non parlare della TV, in cui la suonano e la ballano da mattina a sera. A noi “gringos” (è il nome con cui le donne locali chiamano gli stranieri europei e nordamericani) al primo ascolto questa musica ricorda le melodie latino americane, come salsa, merengue, o forse anche samba, insomma quelle cose li, ma non è proprio uguale. E quando la senti le prime volte, dici, ok, è la solita musica latino-americana di una noia mortale! Poi continui a sentirla, anche per forza perché volente o nolente è dappertutto, e pensi che si, è vero, forse è la solita musica latino-americana però, piano piano, ti accorgi che c’è qualcosa di diverso, qualche cosa che ancora non capisci, ma che nelle altre non hai mai sentito. Perché il forrò, al contrario di queste ultime, è difficilmente esportabile; lo suonano, tanto, nel Nordeste, e adesso sta prendendo piede anche in tutto il Brasile, ma nel resto del mondo, nulla (o quasi). Dicono che sia nato qui agli inizi del secolo corso, durante i primi decenni del novecento, quando gli americani vennero a costruire la grande ferrovia e il sabato sera, per dare agli operai locali qualche ora di distrazione, allestivano grandi spazi aperti con un palco e sopra di esso c’era una “banda” (questo è il nome con cui qui chiamano i gruppi musicali) che suonava. All’ingresso veniva affitto un cartello con la scritta “for all”, per tutti, cioè gratis. Poi, per i brasiliani, vuoi perché a quei tempi pochi sapevano leggere, vuoi anche per il gusto tutto loro che hanno di storpiare le parole, “for all” diventò “forrò”. E così è rimasto. Le bande possono essere più o meno composite, le più piccole (e vecchie) sono formate da 4 o 5 elementi, generalmente un cantante (quasi sempre uomo), uno che suona la fisarmonica, strumento fondamentale del forrò, perché è quello che da il ritmo, e non c’è forrò senza fisarmonica, poi un basso, una batteria, tanto per dare un po’ il tempo, e a volte una chitarra, ma non sempre. Quelle nuove invece, quelle che adesso vanno per la maggiore soprattutto tra i giovani, di cantanti spesso ne hanno due (e generalmente una è sempre una donna), agli strumenti precedentemente indicati aggiungono i fiati (tromba, trombone, sax), e si presentano sul palco con un colorito corpo di ballo. La sera di “quarta-feira” (mercoledì) a Fortaleza è serata di forrò in un noto locale di Praia Iracema, abbastanza conosciuto anche dai turisti. Sul palco si danno il cambio 3 bande di forrò, generalmente ognuna suona per circa 1 ora e 30. La gente arriva presto, perché di solito alle 10.30 della notte si comincia. Nel locale molti turisti, perlopiù uomini, qualche maschio brasiliano e moltissime ragazze del luogo, tutte molto giovani, dai 18 ai 22 anni circa. Alcune indossano jeans e una piccola blusa senza maniche, altre hanno dei vestitini modello sottoveste che più che coprirle, le accarezzano la pelle. Molte di loro vivono nelle favelas, spesso senza luce e acqua corrente, portano dentro rabbia e orgoglio, rabbia per una vita precaria in cui esiste solo l’oggi, il presente, e l’unico progetto per il futuro è come fare per riuscire a trovare i soldi per comprare da mangiare domani, oltre non va. Hanno quasi tutte un sogno, a volte nascosto, altre volte dichiarato nel modo di vivere quotidiano: sognano uno straniero che le porti via, lontano da una terra che non riesce a dargli niente oltre alla miseria e alle umiliazioni, e per provare ad ottenere tutto questo si umiliano in un altro modo, vendendo illusioni d’amore in cambio di altre illusioni, ma nessuno può fargliene una colpa, comunque io no di certo. E poi c’è l’orgoglio, per la consapevolezza di essere per un po’ di tempo, almeno qualche ora, le protagoniste di questo pezzo di presente, che non sarà molto, ma per chi non può immaginare un futuro oltre domani, è comunque più di qualche cosa.

Esce la prima banda, 5 minuti per accordare gli strumenti, poi cominciano a suonare. E inizia lo spettacolo! Non sul palco, ma un po’ più in basso, in pista. Le ragazze cominciano a ballare, prima quasi da ferme, i piedi (curatissimi, così come le mani: qui manicure e pedicure sono quasi una religione) praticamente ancora non si muovono ma il corpo è già suddiviso in tre tronconi distinti: il bacino, le spalle, la testa, ognuno compie movimenti totalmente differenti, ma con una sincronia perfetta. Anche i gringos cominciano a ballare, ma dopo una manciata di secondi si accorgono che non è cosa, perché questo ritmo non si sa da che parte prenderlo, nemmeno andando a scuola di ballo per tutto il resto della vita. E allora i più capiscono, si fanno da parte, tirandosi ai bordi della pista, e lasciano spazio. Perché il forrò è questo, è una melodia che viene da dentro, nasce con te, vive con te e con te rimane per tutta la vita, e solo così riesci a ballarlo. La musica continua, le ragazze adesso ballano con gli uomini del posto, qualcuna anche tra di loro, perché i ballerini sono quasi sempre in minoranza. I corpi si legano e si sciolgono continuamente, in un abbraccio che esprime desiderio e passione, direttamente, senza equivoci. C’è poco da commentare: in Brasile è così! Tra gli uomini, i più bravi a ballare sono i gay (non lo dico io, lo dicono le ragazze), i “maricones”. L’altra sera ce n’era uno che ballava in maniera meravigliosa, facendo compiere alla ragazza movimenti tanto veloci quanto perfetti, sembrava che ad ogni momento lei andasse a sbattere contro altre coppie rischiando di farsi davvero male, tanta era la velocità con la quale tutti si muovevano in pista, invece un attimo prima di ogni impatto le direzioni cambiavano e al massimo si sfioravano i capelli. Eh già, i capelli: per una ragazza sono importantissimi, per ballare il forrò devono essere lunghi, perché fanno parte della coreografia del ballo, frustano l’aria con colpi secchi e precisi, quasi a volerla tagliare ad ogni cambio di passo. Qui tutte le ragazze hanno i capelli lunghi, se hai i capelli corti non balli il forrò, o magari lo balli comunque, ma non è la stessa cosa. Adesso succede una cosa quasi incredibile: lui, il “maricon” sta ballando con due ragazze contemporaneamente, le muove con traiettorie perfette, ognuna in modo differente, ma nessuna delle due perde il ritmo, nemmeno per un attimo, e non si incrociano mai! Varrebbe la pena, per un matematico, di perderci un po’ di tempo a studiarle quelle traiettorie; io sono convinto che dentro di esse ci si potrebbe trovare qualcosa che assomiglia al numero aureo, alla divina proporzione.

La canzone finisce, i ballerini si staccano, le ragazze sono sudate, anche perché ci sono 25 gradi anche di notte, ma le gocce di sudore sulla pelle color ambra (perché qui le ragazze bianche, o come dicono loro, “loire”, sono poche) sembrano piccoli diamanti che brillano intensamente nei chiaroscuri della luce. Guardo meglio il “maricon” e mi accorgo di un particolare che prima, rapito dalla meraviglia del ballo, mi era sfuggito: nei piedi non calza scarpe, ma un paio di comunissime ciabatte che qui tutti indossano, tanto per rendere la cosa un pochino più difficile. Uno schiaffo morale ai pochi gringos che per un po’ di tempo hanno continuato a ballare, solo loro sanno che cosa, e adesso sono tornati mestamente in disparte. Magari si rifaranno più tardi, prima o poi qualcuno dovrà anche offrire da bere! Si, bisognerebbe proprio tornarci almeno una volta, a Fortaleza, stato del Cearà, Brasile del Nordeste, per vedere ballare il forrò così come lo ballano loro: da Dio. A proposito di Dio: io non so se a Lui piace ballare, ma se gli piace, di sicuro balla il forrò!



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