Flash veloce in Irlanda

Arriviamo presto, di mattina. Prendiamo uno dei tanti autobus che ci sono proprio appena fuori dall’aeroporto. Frughiamo nelle tasche alla ricerca di qualche monetina da lasciare al conducente per il viaggio. Non è come in Italia per cui devi andare prima alla ricerca di un’edicola o di un bar che ti venda il biglietto dell’autobus. Lì...
Scritto da: Sergio Esposito
Partenza il: 22/04/2005
Ritorno il: 26/04/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
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Arriviamo presto, di mattina. Prendiamo uno dei tanti autobus che ci sono proprio appena fuori dall’aeroporto. Frughiamo nelle tasche alla ricerca di qualche monetina da lasciare al conducente per il viaggio. Non è come in Italia per cui devi andare prima alla ricerca di un’edicola o di un bar che ti venda il biglietto dell’autobus. Lì sali, lasci le tue monete, ma attenzione, devono essere dell’importo corretto, perché il conducente non ha il resto da darti. L’autobus parte e incominciamo ad inoltrarci tra le vie sconosciute, immagazzinando dettagli, come piante, case, tetti, vie, cielo grigio, guida sulla sinistra. Nel giro di venti minuti si è in centro, in O’Connel St., una delle vie principali che ancora non conosciamo ma che dopo poche ore sapremo essere a tre minuti di strada da Temple Bar e a cinque dalla Town House dove alloggeremo per due giorni. Lasciamo giù gli zaini nella stanza piccola con i soffitti alti e la moquette nera con le rose e con un odore acre di fumo e siamo già tra le vie di Dublino senza una metà precisa, perché alle volte per vedere di più e cose meno scontate, è meglio andare un po’ a casaccio, avendo solo alcuni punti di riferimento e poi scoprire nelle vie limitrofe alle zone turistiche o di attrazione particolare, altre interessanti scorci di una città che ci si appresta a conoscere. Così andiamo verso il Trinity College e ci mischiamo tra gli universitari e rimpiangiamo di non essere più studenti o più che altro rimpiangiamo di non avere da noi quello che vediamo. Ragazzi sparsi ovunque, sdraiati sull’erba con dei libri tra le gambe, altri intenti a giocare a pallone in un campetto da calcio, altri a giocare a criket, altri non nel campo da football gigantesco, ma lungo la via alberata che lo costeggia. Sappiamo che lì, all’interno c’è il book of keels, il libro più vecchio del mondo. Ma ci interessa anche assaporare la vita di questi giovani irlandesi e così notiamo come le ragazze vadano già in giro mezze nude pur essendo aprile e non essendoci una temperatura estiva. Solo più tardi scopriremo che è un loro modo di essere, non c’entra il freddo. Vaghiamo tra le vie, assaporando di ora in ora ogni angolo. In due giorni riesci a girartela tutta. L’importante è andare verso le cinque a Temple Bar, che in pratica sono cinque vie che si incrociano tra loro, ma c’è come una magia immersa e che si estende appena ci entri che lo noti subito che qualcosa nel paesaggio davanti a te sta cambiando. Lo noti dall’asfalto che diventa acciottolato, dai locali che ce ne sono uno dietro l’altro, dalla musica forte che esce già alle cinque e dal pienone che intravedi dai vetri. Sopra è grigio e lo sapevi e forse te lo avevano detto e magari lo avevi anche letto. Ma ora ci sei, sei lì, e non te ne frega poi molto se in Irlanda è sempre brutto tempo. Entriamo in uno dei tanti locali, il Quays Bar. Ordiniamo un paio di Guinnes. C’è il tempo tecnico di preparazione, perché non è come le altre birre. E durante l’attesa ti giri, osservi un ragazzo che potrebbe benissimo avere la tua età, o potresti anche essere tu se sapessi cantare così bene, che si esibisce su un piccolo palchetto subito vicino all’entrata. Sta cantando; alcune canzoni non le conosci altre si, tipo gli Oasis, i Coldplay, gli Stereophonics, Van Morrison (che non può mancare mai in Irlanda). Canta proprio bene e ti guardi intorno, qualche altro ragazzo segue la canzone con la testa, altri canticchiano guardando su uno schermo al plasma una partita di football, su un altro invece viene trasmessa una corsa di cavalli. C’è casino, d’altronde siamo a Temple Bar e l’atmosfera è bella e ti senti di farne parte, come se ci fosse un fluido positivo ad entrarti nelle vene. Troviamo uno sgabello libero e faccio sedere lei, la mia ragazza. Delle ragazze vicino ci fanno cenno che potremmo anche prendere un altro sgabello. Ringraziamo e da lì inizia una conversazione spontanea, tranquilla, fluida, andando a cercare nei ricordi come comporre una frase in inglese, come mettere insieme quei vocaboli che conosci, chiedendo scusa per come il tuo inglese non sia il massimo, sentendoti in risposta che non è così male, forse per cortesia o forse per davvero. Loro erano di Chicago. Facevano un’esperienza di 4 mesi in Irlanda. Wow. Ti viene quasi voglia di farlo anche tu, come ti succede sempre in questi casi. Parliamo per un’oretta, poi loro scappano e anche noi. Andiamo a mangiare da Elephant & Castle, un locale lì vicino che per trovare posto devi prenotare con largo anticipo. Dovresti passare di lì almeno per le cinque di pomeriggio e il tavolo te lo danno verso le 8 p.m. All’Elephant & Castle fanno degli ottimi hamburger pieni e strapieni di salsine al curry, bacon, uova e patatina con la buccia. Ti offrono loro l’acqua, la birra è in bottiglia. Hanno delle ottime torte, noi ci siamo presi la New York Chees Cake, che non ha niente di irlandese, ma l’avevamo vista passare al tavolo vicino e ci ha fatto venire una voglia incredibile di assaggiarla. E abbiamo fatto bene. Una volta fuori dall’Elephant&Castle, siamo dentro subito nel locale Temple Bar, a bere Guinness. Ci sono dei gruppetti di ragazze che la sera vanno in giro tutte vestite allo stesso modo. E’ un modo per festeggiare l’addio al nubilato. Le vedi che camminano con i loro vestitini da sera con i tacchi anche se ci sono 5 gradi, con una fascia tracolla da miss e la corona da regina in testa. Altre con una bacchetta magica nella mano. Altre con un cerchietto con le orecchie da coniglio. E’ scontato dire che sono tutte completamente belle allegre? Domenica noleggiamo un’auto. Provo ad aprire la portiera ma non ci riesco perché non trovo la serratura. Solo dopo un momento che sarà durato almeno 5 secondi, mi si illumina la mente e ricordo che il lato guidatore è dall’altra parte. Ridiamo e siamo già in viaggio, per le strade strette in mezzo a campi sterminati di verde che sembra esser stato evidenziato ulteriormente da un gigante evidenziatore. E’ un continuo indicare con le mani le mucche, le pecore, i cavalli, dire ‘guarda quella com’è piccola!’ oppure ‘che fortuna abbiamo a trovare questo tempo, con questo sole così caldo?’. Oltrepassiamo i cartelli per Wicklow, Arklow, Wexford. Arriviamo a Waterford in poche ore e parcheggiamo davanti all’ingresso di casa della famiglia St. Joseph. Un ottimo B&B, dove una signora loquace e piacevole ci ospiterà per quella notte per poi prepararci una colazione da paura, a base di cornflakes, latte, pane burro e marmellata, uova, salsicce, tartine indefinite, bacon, caffè, succo di frutta. Lasciamo giù gli zaini e facciamo un giro sulla costa, da Dranmore East, un litorale caratterizzato da scogliere a Tramore (grande spiaggia) dove c’erano un po’ di surfisti sulle onde. La strada che collega questi due posti è semplicemente fantastica, incantevole. Stretta, in mezzo al verde, con una vista spettacolare del mare sulla sinistra, con un sole e un cielo azzurro di contorno è qualcosa che ti lascia senza fiato. Assapori il paesaggio, ti fermi ogni tanto a scattare qualche fotografia cercando di portare via con te pezzi di quello che vedi, per conservare un ricordo visivo, volendo metterci tutto, anche se non ci sta nel rettangolo della fotografia. La serata la passiamo a Waterford che non offre molto, forse perché era domenica. Decidiamo di farci un po’ di Guinnes al T&H Doolan, dove un tempo si esibiva Sinead O’Connor. C’è un tizio che suona musiche irlandesi alla chitarra, una schiera di anziani che lo ascoltano, cantano e bevono Guinness. C’è un’altra coppia di ragazzi giovani con la quale si fa amicizia. La ragazza è bella fatta, balla continuamente e ci prende per ballare insieme a lei, poi va a prendere anche qualche anziano e li fa ballare ed è bello vedere questo cerchio di persone di ogni dove ed età che ballano insieme al ritmo di una musica country irlandese. Il giorno dopo ci trasferiamo a Kilkenny, che ci colpisce subito per la sua bellezza. Ci facciamo un Irish Coffee in uno dei tanti pub. C’è poca gente e musica bassa in sottofondo. C’è una specie di calma distribuita che ci fa stare bene e moltiplica a mille la qualità dell’irish coffee e di tutto quello che ci sta intorno. Probabilmente, anzi ne sono sicuro, tutte queste belle sensazioni sono contaminate dalla visione da viaggiatore che abbiamo. Per il fatto che siamo in vacanza, che tocchiamo lievemente questi banconi, questi bicchieri di vetro, perchè parliamo in inglese e perchè vediamo la calma e socievolezza di questa gente. Mi colpisce anche vedere così tante teste bianche sbevazzare Guinnes. La notte la passiamo a Carlow, per avvicinarci a Dublino. Ma non è niente di che. Il giorno dopo, prima di fermarci all’aereoporto, facciamo un salto a Malahide, che ha un gradevole porticciolo e una vista sul mare davvero bella. Abbiamo poco tempo, rimpiangiamo un po’ il fatto di non essere arrivati qui la notte prima ed esserci fermati, piuttosto che fermarci a Carlow. Ma così è, e non ci si può fare più niente. Facciamo le ultime foto, guardiamo gli ultimi scorci di vie e casette basse e torniamo indietro, verso l’aereoporto, un po’ più silenziosi, facendo un po’ i bambini e dicendo ‘non voglio partire’. Poi siamo già al check in, i nostri bagagli sono in viaggio mentre noi ci facciamo un giro nel duty free. Mi compro una cassa da 8 lattine di birre, lei una maglietta. Giriamo l’angolo e vediamo The Gate Clock. Un pub irlandese all’interno dell’aereoporto. Non ci possiamo credere. Ci guardiamo e ridiamo. Diamo un’occhiata all’orologio. Abbiamo solo dieci minuti. Ci fondiamo al bancone, il barista ci guarda, ordiniamo una Guinness.


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