Sabato 13 maggio 2011 – Acqua azzurra, acqua chiara…- canta giuliva la radio. Automaticamente scalcio il piumone e metto i piedi per terra. Poi lo sguardo si posa sul quadrante della sveglia… le 3:50 ?! Oh, cavolo! Che sto facendo in piedi a quest’ora? La risposta arriva silenziosa dalla borsa da viaggio a fianco del comodino: – Si va a Firenze. – Ah già, ecco… Invito anche il mucchio di coperte al mio fianco ad alzarsi e mentre mi dirigo in bagno col passo disinvolto di uno zombie, colgo un vago mugugno, forse d’assenso, della mia dolce metà, Sebastiano. L’acqua gelata fa il suo effetto e riprendo coscienza. Da lì in poi è quasi uno scherzo: in dieci minuti siamo in auto, alla volta di Cuneo, dove ci attendono Giovanna e Mauro, rispettivamente sorella e cognato della sottoscritta. Con mia grande gioia useremo la loro auto, che naturalmente è tirata a lucido e profuma di una qualche raffinata essenza che mi fa starnutire; non proprio come la mia, che avrebbe bisogno di una settimana in una Spa per rimettersi in forma. Alle 4:15 siamo pronti a partire, puntualissimi, grazie al fatto che con Bea e famiglia ci troveremo direttamente a Firenze. Fino all’imbocco dell’autostrada non incontriamo anima viva e dopo…pure. Verso le 6:00 siamo dalle parti di Genova e la mattina apre gli occhi su un cielo così fosco da far temere un imminente diluvio. Per fortuna, mentre ci dirigiamo verso La Spezia, le condizioni del tempo migliorano e cominciamo a sperare in una giornata di primavera. A parte i banchi di nebbia che a intermittenza ci fanno piombare in un’atmosfera novembrina, la giornata si sta mettendo bene. Poco oltre, da Carrara a Massa, l’autostrada attraversa fluida il bel paesaggio tra Lunigiana e Versilia: a sinistra il massiccio profilo delle Alpi Apuane, a destra una distesa verde in cui la fanno da padroni i pini marittimi, gli olivi, gli allampanati cipressi e qualche palma spavalda. Tra le chiome occhieggiano ville e palazzine dai colori delle caramelle. Si respira un’aria di vacanza incipiente. Con lo sguardo frugo l’orizzonte alla ricerca di un baluginio che indichi la presenza del mare, ma resto delusa, perché ripiombiamo in una fitta nebbia. In un batter d’occhio siamo a Viareggio e poi alle porte di Firenze. Sono appena le 8:15 quando lasciamo l’auto nel parcheggio a pagamento di Santa Maria Novella. 3€ all’ora ci sembrano effettivamente un ladrocinio, ma faccio notare ai miei compagni che questa sera, dopo aver macinato “mila mila” passi per le vie di Firenze, saremo molto contenti di avere l’auto a portata di mano, senza dover aggiungere un’ulteriore scarpinata per raggiungere un lontano parcheggio libero e gratuito. Mentre aspettiamo che la famiglia Sassetti dia un segno del suo arrivo in città, noi iniziamo il tour. Vorremmo entrare subito in Santa Maria Novella, ma ahimè tutti gli edifici sono chiusi fino alle 9:00. Vabbè, per ora ci accontentiamo di ammirare la bella chiesa dall’esterno e rimandiamo a più tardi la visita dell’interno. Seguendo la precisissima cartina allegata alla guida turistica, che sarà pure vetusta, ma resta comunque esauriente, raggiungiamo in pochi passi le Cappelle Medicee e la annessa basilica di San Lorenzo. Sono appena scoccate le 9:00 e pertanto, dopo un giro all’interno della chiesa, che ci consente di ammirare il gioco cromatico del bianco delle pareti che si alterna al grigio della pietra serena delle membrature portanti e il candido soffitto illuminato dalle decorazioni in oro, decidiamo di andare alle Cappelle Medicee. Sul sagrato mi volto ancora ad osservare la facciata incompiuta della basilica. E’ spoglia e scabra, sembra che stia ancora aspettando il “vestito della festa” per sentirsi alla pari con le sorelle più eleganti. In realtà a me piace molto così, di nudi mattoni che delineano un decoro a linee orizzontali. E la nota di colore, se proprio ne sentissimo la mancanza, è data dalle decine di bancarelle del mercato che le si affollano intorno. Non ricordo di aver visitato prima d’ora le Cappelle Medicee, perciò entro nel buio atrio con un formicolio di curiosità. Ciò che vediamo per prima è la cripta, sorretta da basse volte, all’interno della quale fanno bella mostra numerosi reliquiari risalenti al XVII e XVIII secolo. E’ tutta una sfilata di tibie e pezzi assortiti di ossa di vari santi, racchiusi in preziose e talvolta eccessive teche d’argento e oro. Pensando a quante sono le chiese che vantano il possesso del dito indice o del femore di questo o quell’altro santo, c’è da credere che più d’uno di questi gloriosi personaggi abbia avuto come minimo tre gambe e tre braccia, per non parlar del numero delle dita! Gingillandomi con queste amene considerazioni, imbocco l’ampio scalone che conduce al piano superiore dove si apre la vasta ed altissima Cappella dei Principi. Le impalcature dei restauratori deturpano un po’ la scena, ma si coglie comunque il fasto e l’opulenza dell’insieme, data dai coloratissimi intarsi realizzati con pietre dure e semipreziose: coralli, madreperla, lapislazzuli,… Da poco ripuliti, i decori brillano di colori talmente intensi da sembrare “finti” o opera di un artista della Pop Art. Dalla Cappella dei Principi si accede alla Sacrestia Nuova, uno dei capolavori di Michelangelo architetto e scultore. La Cupola tondeggiante, candida e a cassettoni, è stupenda e ricorda molto quella del Pantheon a Roma. Delle statue che dire? Basta il nome “Michelangelo” per far capire che sono imponenti, massicce, e che sprigionano una forza espressiva indicibile. Il contrasto tra le figure femminili perfettamente cesellate e quelle maschili non finite è deciso. Il Giorno ha il volto appena abbozzato e la Notte, che gli sta accanto, ma di spalle, ha un’espressione di completo abbandono. Dopo esserci gustati pienamente le Cappelle Medicee, torniamo all’aperto dove, dopo una congrua attesa e una decina di telefonate e messaggi, ci ricongiungiamo finalmente a Pietro, Luigi ed Enrico. Bea non c’è perché impegnata in un corso d’aggiornamento e si unirà a noi solo nel pomeriggio. Con i ragazzi che vivacizzano la giornata e ci tengono sempre sul chi vive, perché non si sa mai cosa potrebbe combinare l’imprevedibile Enrico, ci dirigiamo verso il Mercato Centrale, che si trova a poche centinaia di metri da San Lorenzo. L’edificio in ferro con grandi vetrate è affollatissimo, ma nulla può fermare i Sassetti affamati che, sgomitando quanto basta, riescono ad accaparrarsi un panino al Lampredotto. Soddisfatti i bisogni primari, possiamo riprendere il tour per le vie di Firenze. Passiamo accanto al Palazzo Riccardi, elengantissimo e solido col suo rivestimento in bugnato e svoltiamo nell’ ampia e ariosa via Cavour. Facciamo una sosta all’ufficio del turismo dove scopriamo che questa sera molti musei della città saranno aperti e ad ingresso gratuito: un’occasione da non perdere! L’impiegata ci informa inoltre che nel primo pomeriggio Firenze vedrà il passaggio della Mille Miglia. Inutile dire che i nipoti ( e non solo loro) vanno in brodo di giuggiole e si fanno indicare con precisione il luogo migliore per assistere al passaggio delle auto storiche. Riprendiamo la passeggiata e in pochi minuti raggiungiamo piazza San Marco, sulla quale si affacciano l’omonima chiesa ed il convento. La facciata, in stile neoclassico, è piuttosto sobria; l’interno invece è impreziosito da numerose opere d’arte, tra le quali spicca un brillante mosaico medievale raffigurante la Vergine. Scopriamo sulla guida che la chiesa ospita le tombe di Pico della Mirandola e del poeta e musicista Poliziano, perciò con Luigi ed Enrico ci mettiamo in caccia. Troviamo le lastre tombali ai lati di una bella statua in bronzo di Girolamo Savonarola, che ci colpisce per la precisione dei particolari: i lacci delle scarpe sono così ben modellati da sembrare veri. Altri quattro passi e davanti ai nostri occhi si apre la piazza della SS. Annunziata. La chiesa e l’Ospedale degli Innocenti formano un elegante angolo porticato: esili colonne sorreggono archi impreziositi dalle formelle di ceramica bianca e azzurra, il cui artefice è indiscutibilmente un Della Robbia, in questo caso Andrea. Per coinvolgere Enrico e tenerlo buono, gli propongo di cercare l’Ape Regina che secondo la guida si trova sul basamento della statua equestre che domina il centro della piazza. Troviamo l’insetto e scopriamo che è circondato da ben 90 piccole api finemente scolpite. Quale sarà il significato di questa rappresentazione? La guida non si pronuncia, perciò mi terrò il dubbio fino a casa, quando potrò interrogare il web. Un’idea comunque me la sono fatta: l’Ape regina potrebbe essere lo stesso duca Ferdinando I circondato dai suoi fedeli e operosi sudditi, le api operaie, che lo onorano e lo servono, ma non lo temono. Un’occhiata all’orologio ci lascia stupiti: nonostante abbiamo già percorso un bel po’ di strada e visto parecchi monumenti, è ancora presto e prima di pranzo abbiamo la possibilità di vedere anche il Duomo che, peraltro, si trova a breve distanza da dove siamo ora. Tre file chilometriche di turisti in coda per accedere rispettivamente al duomo, al campanile di Giotto e al Battistero ci fanno desistere immediatamente dall’impresa. Dal momento che tutti abbiamo già avuto modo in passato di visitare questi splendidi edifici, concordiamo di accontentarci di una accurata esplorazione esterna. Con i nasi all’insù ammiriamo Santa Maria del Fiore, che si staglia grandiosa contro il cielo azzurro. La facciata è spettacolare e poco importa se è stata completata solo alla fine dell’ 800. Racconto a Luigi che la cupola, la più grande mai costruita interamente in muratura, è un vero capolavoro di ingegneria e che per la sua consacrazione un famoso musicista dell’epoca (Guillaume Dufay) compose un mottetto costruendone ritmo e melodia sulle stesse formule matematiche usate dal Brunelleschi per progettare l’edificio. Ci divertiamo poi a valutare ad occhio l’altezza del Campanile di Giotto. Ci arriva molto vicino Pietro, che “offre” 80 m, ed infine ci soffermiamo a lungo ad ammirare la bellissima Porta del Paradiso del Battistero. Di nuovo sfido i nipoti, che sembrano apprezzare questo modo di scoprire l’arte, ad individuare alcune delle scene e dei personaggi rappresentati nei pannelli: la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, il sacrificio di Isacco, … Sono veramente bravi e trovano tutto ciò che propongo. Arrivano addirittura a chiedere di poter vedere anche le altre porte!!! Come dire di no a tanto entusiasmo… Intanto il tempo vola e un languorino non trascurabile ci fa capire che il mezzogiorno è passato da un po’. – Che ne dite di tornare al Mercato per fare uno spuntino veloce? – propone Pietro. Nessuno si oppone e quindi torniamo sui nostri passi, fino al grande mercato coperto. Un tavolo d’angolo, qualche difficoltà con le ordinazioni, ma poi… panini succulenti ripieni di vere delizie: porchetta, pomodorini, prosciutto di Parma,… il tutto innaffiato da un’abbondante e frizzante dose di allegria. La sosta è così piacevole che non ci accorgiamo che si sono fatte quasi le 14:00; se vogliamo vedere il passaggio dei bolidi della Mille Miglia dobbiamo affrettarci, anche perché il tragitto da compiere non è brevissimo. Con un occhio alla mappa e un altro ai bei palazzi che ci sfilano a fianco, zampettiamo rapidi verso il Ponte Rosso dove, ci ha assicurato l’impiegata dell’ Ufficio turistico, vanno a piazzarsi i Fiorentini e quindi c’è la possibilità di avere una buona visione dello spettacolo. Fa parecchio caldo e il sole è abbagliante e , ovviamente, il nostro punto d’osservazione è tutto allo scoperto: non un albero o una pensilina d’autobus ad offrire un po’ d’ombra. Io farei volentieri come Giovanna che si è trovata un posto a sedere sul gradino di un negozio sotto i portici, ma i miei nipoti mi hanno precettata come fotografo ufficiale ed è un continuo: – Guarda, zia, quella è una Lotus! Hai fotografato la Maserati blu? E la Ferrari? E’ proprio come quella del modellino di nonno! E le vecchissime macchine da corsa? Dopo un’ora e mezza e più di 150 scatti, finalmente, transitano le ultime auto storiche e noi ci avviamo verso il luogo dell’appuntamento con Bea. Sento la faccia in fiamme e mio marito, ridendo, mi conferma che posso fare concorrenza ai semafori! Che spiritoso… Ovviamente, nella miglior tradizione di casa Sassetti, Bea non finisce il suo corso alle 16:00, come promesso, e neppure alle 16:30. Per un po’ attendiamo pazientemente sotto il palazzo, poi Enrico comincia a perdere la pazienza e ad invocare ad alta voce: – Liberate la mia mammaaaa! Bea riconosce la voce dell’adorato rampollo (d’altra parte tutte le finestre sono aperte) e vergognandosi come una ladra sorpresa con le mani nel sacco, manda un accorato e perentorio SMS: “Portatelo via o…” Non aspetto di leggere cosa ha scritto dopo la “o”, ma ho ragione di credere che non manchino le parole “uccido” e “sangue”, perciò trascino via il manifestante verso i giardini che intravedo poco più avanti e ne compro il silenzio con un fresco ghiacciolo. Pericolo scongiurato! Mezz’ora dopo (era ora!) ci siamo tutti. Io sono in crisi profonda: ho respirato talmente tanti pollini da rischiare una crisi d’asma. Urge una farmacia e un potente antistaminico. Giovanna vorrebbe prendere un autobus per andare al parcheggio, ma ci rendiamo conto che manca meno di un chilometro a Santa Maria Novella, perciò ci incamminiamo, aggiungendo una nuova consistente dose di passi a quelli già fatti. Dopo tre farmacie chiuse, ne troviamo una aperta in stazione; la farmacista vede il mio stato pietoso e mi dà la medicina senza chiedere neanche la ricetta medica, che tanto non avrei. Appena fuori ingoio la compressa con la bramosia di un drogato e spero che faccia effetto molto presto: ho esaurito tutti i fazzoletti e ho gli occhi che mi stanno uscendo dalle orbite, a furia di strofinarli nel vano tentativo di alleviare il prurito. Nel frattempo raggiungiamo il parcheggio dove troviamo l’auto fresca ed accogliente. Ci lasciamo sprofondare nei sedili e mentre Mauro imposta il navigatore, io mi appisolo (ma solo poco poco). Villa Merlo Bianco, l’istituto religioso nonché casa d’accoglienza per turisti presso cui abbiamo prenotato le camere, ci attende in via di Ripoli 82. Se le camere corrisponderanno alle immagini viste sul sito web, sarà come essere trasportati nel ‘700: caminetti in pietra, soffitti a cassettoni, grandi specchi in cornici dorate, poltrone rivestite di damaschi,… Speriamo che i bagni però siano di tre secoli più recenti! Purtroppo già partiamo male: lo “Scimmione del Crodino”, ovvero la voce che quel gigione di Mauro ha scelto per il suo TomTom, ci fa compiere un giro infinito prima di imboccare la strada giusta per uscire da Firenze. Ma i guai peggiori sopraggiungono quando ormai dovremmo essere a poche centinaia di metri dalla meta. Lo scimmione dichiara tronfio e soddisfatto di aver assolto il suo dovere, ma guardandoci attorno ci rendiamo conto che nulla corrisponde all’edificio che stiamo cercando. Inoltre la strada è a senso unico e possiamo solo andare avanti. E’ allucinante! Le targhette con i numeri civici sembrano essere state affisse da un folle: un portone dopo l’altro si susseguono un 92, un 216 e un 104!? Chiediamo informazioni a un tipo che forse era meglio non incontrare, perché ci manda direttamente al paese successivo. Dopo il terzo passaggio a vuoto, io chiamo Bea, mentre Mauro contatta la fantomatica Suor Claudia. Mia sorella conferma che loro sono arrivati senza problemi e che sono già in camera da un po’. L’altra sorella, quella col velo, stupefatta dalle nostre difficoltà, rispiega a Mauro la strada da seguire. Ora sembra tutto chiaro e infatti…sbagliamo di nuovo. In pratica rifacciamo cinque volte lo stesso anello prima di individuare la svolta giusta, subito prima della Banca di Toscana, e arrivare di fronte all’agognato portone. La suora ci squadra per bene: sfido…mica capitano tutti i giorni dei tontoloni come noi! Poi ci consegna le chiavi e dalla spiegazione un po’ troppo stringata, mi sembra di capire che io e Sebastiano dormiremo in biblioteca… Faccio un sorriso di circostanza e mi sforzo di aggiungere una battuta di spirito, mentre dentro di me maledico il “piccolo pinguino”. Ma in che razza di posto siamo capitati? Dormire in una biblioteca!? Poi tutto si chiarisce: la biblioteca c’è e ha il classico odore non proprio gradevole di libri molto molto vecchi e polverosi, ma non ci sono letti, per fortuna. Diverse porte di legno scuro si aprono tra gli scaffali e danno accesso alle camere. Meno male! A tentoni trovo l’interruttore e ci ritroviamo in una stanza da letto dalle dimensioni di una sala da ballo. Lampadario di cristallo, camino, sormontato da sontuoso specchio in cornice dorata, cassettone con busto muliebre, crocefisso ligneo in stile gotico fiorentino, guardaroba quattro stagioni in noce massello, e letti rigorosamente in tinta. Caspita! Non avevo ancora mai dormito nella suite imperiale e neanche in un museo. Il bagno in compenso è formato bomboniera, ma va bene così; c’è tutto quel che occorre, compresa un’ampia dotazione di soffici asciugamani. In un batter d’occhio ci mettiamo comodi e dopo una doccia e un’abbondante dose di crema su viso e collo che sono color pomodoro maturo, mi concedo una piacevole e meritata pausa sul letto, con le sue morbide lenzuola che profumano di sole e sapone. Che bello! “Dovranno venirmi a tirare giù a forza dal letto, perché giuro che non mi alzerò per mia volontà!” penso, ma poi mi alzo perché verso le 19:00 ci ritroviamo per andare a cena. L’idea è quella di mangiare in una trattoria poco distante, suggerita da Suor Claudia, e poi di prendere l’auto per un tour di Firenze by night. Mauro brandisce una mappa ed è perentorio: si va a sinistra, si superano un paio di incroci e troviamo sulla destra la trattoria “da Beppino”. O la mappa è approssimativa, o sbagliamo direzione, fatto sta che dopo venti minuti di marcia sostenuta non abbiamo ancora trovato neanche la prima delle vie indicate sulla carta. Chiediamo di nuovo indicazioni ad un tabaccaio e ad un passante e di nuovo commettiamo un terribile errore: una trattoria in effetti la troviamo, ma non è quella dove abbiamo prenotato. Mauro richiama la cara Suora e scopre che “forse” dovevamo prendere a destra e non a sinistra, ergo, abbiamo fatto un paio di chilometri nella direzione opposta. Ah ah! Lemme lemme ci incamminiamo e dopo mezz’ora (più o meno) e mille maledizioni (più che meno), ci portiamo all’estremità opposta di via di Ripoli. Sorpresa: della trattoria “Da Beppino” neanche l’ombra, ma c’è una pizzeria. La fame e la stanchezza cominciano a farci sragionare. C’è chi propone di accoppare Suor Claudia o in alternativa Mauro, chi vuole sedersi sul marciapiede e lasciarsi morire d’inedia, chi propone (io, modestamente !) di tornare a Villa Merlo Bianco, facendo un’incursione nella sala della colazione per rubare pane, burro e marmellata. Poi però entro nella pizzeria e chiedo indicazioni. La risposta del cameriere, che conosce benissimo Suor Claudia, è sconfortante: – Siete in auto? Noo? Allora dovete fare un bel pezzo a piedi, perchè “Da Beppino” è QUI…- e indica un punto all’estremità opposta di via di Ripoli che, tra parentesi, è lunga come un’interstatale americana. – Ma come? – ribatto sconcertata – Lì ci siamo già stati e la trattoria non l’abbiamo vista… – Sì, però dovevate svoltare dietro quest’angolo. Per farla breve: si riparte tra mugugni e maledizioni all’indirizzo di tutto e di tutti. Ci si mette anche suor Claudia che ci intercetta a mezza via per farci la ramanzina perché siamo in ritardo e il signor Beppino ci sta aspettando da un pezzo. Chi può allunga il passo. Io e Luigi stacchiamo il gruppo, spinti dalle ultime forze rimaste e finalmente troviamo la trattoria, che è a meno di 50 metri da dove ci trovavamo un’ora fa. Alla spicciolata arriviamo tutti e ci lasciamo cadere a peso morto sulle sedie. Riprendiamo vita e un po’ di buon umore quando ci troviamo nel piatto delle succulente fiorentine. Basta rimbrotti e recriminazioni: ora parlano le forchette, i coltelli e i calici. Vista l’ora e le condizioni psico-fisiche del gruppo mi auguro che a nessuno venga in mente di tornare in centro dopo la cena, ma con Pietro Sassetti non si sa mai… E invece anche l’inossidabile cognato deve aver accusato il colpo, perché si limita saggiamente a proporre di prendere un gelato sulla via del ritorno. Trascinandoci, più che camminando, rientriamo a Villa Merlo Bianco, dove già tutto tace. Per concludere alla grande la serata Mauro si lascia sfuggire di mano il pesante portone in ferro che si chiude con un clangore assordante. Oddio! Ci manca solo che Suor Claudia esca in camicia da notte, cuffietta (ma le suore portano la cuffia quando vanno a letto) e…doppietta, per freddarci sul posto! Lievi come farfalle e muti come pesci (riesce a tacere anche Enrico) raggiungiamo le rispettive camere e…Buona Notte!
Domenica 14 maggio 2011 Notte fonda in camera, ma fuori dev’essere giorno perché una lama di luce filtra sotto la porta del bagno. A fatica allungo il braccio verso il comodino e afferro l’orologio. – Seba, sveglia, sono già le 8:25. Ho ancora un sonno paralizzante, ma bisogna alzarsi, altrimenti sprechiamo tutta la mattina e rischiamo anche di saltare colazione. A fatica lascio il caldo abbraccio delle lenzuola e gemendo mi alzo. Le mie gambe sono invecchiate di vent’anni in una sola notte: le anche dolgono come se fossi artritica. Speriamo che rimettendosi in movimento riacquistino un po’ di sprint. Scendiamo a colazione e attraversiamo alcuni salotti molto eleganti prima di raggiungere la raffinata sala da pranzo. Due cristalliere mettono in mostra splendide collezioni di stoviglie in ceramica e su un lungo buffet troneggia un vero ben di dio; ce n’è per tutti i gusti: pane, biscotti, brioches, fette biscottate, marmellate, cioccolata, succhi di frutta,… Per non far torto a nessuna di queste prelibatezze, ci serviamo di tutto e mangiamo con gusto. Giovanna e Mauro ci hanno preceduti, i Sassetti arrivano dopo un po’ e la tavola si anima, col solito Enrico che pensa bene di riempire una scodella con una dose di caffè sufficiente a servire una decina di commensali. E poi è subito ora di saluti e di …conti. Paghiamo volentieri gli 80 € per la camera doppia, perché l’accoglienza e il servizio sono stati eccellenti. Ahimè! Appena mettiamo il naso fuori casa, comincia a piovere, e non è una pioggerellina. Non è giusto! Le previsioni del tempo avevano promesso che i temporali sarebbero arrivati solo nel pomeriggio. E va beh, ci adatteremo. Per fortuna, la previdente zia Giò ha con sé ben tre ombrelli. Anche la temperatura è ben diversa da quella di ieri e in pratica ci mettiamo addosso tutto il guardaroba! Tanto è stato difficile arrivare, tanto è semplice andar via: in pochi minuti siamo in Firenze e siccome siamo dei temerari, abbiamo l’ardire di cercare un parcheggio gratuito. Gira e rigira, alla fine lo troviamo ed è pure relativamente vicino a Ponte Vecchio. Forse Giovanna ha passato la notte a suonare il fischietto “scaccia sfiga” che si è comprata ieri? Piove! A tratti debolmente, a tratti un po’ meno, ma non sarà un po’ d’acqua a fermarci. Il tour di oggi prevede: un su e giù per il Ponte Vecchio (voto 6, perché a me tutto quest’oro mica interessa tanto), gli Uffizi, ma solo da fuori perché non c’è tempo (voto 5), piazza della Signoria (voto 9 perché è fantastica anche sotto il diluvio e nonostante un nugolo di micro-giapponesi che la invadono come formichine…gialle). Qualche “click” tra una goccia e l’altra per immortalare parenti e monumenti e poi ci spostiamo a Palazzo Strozzi dove speriamo di poter vedere la mostra dedicata a Picasso, Miro e Dalì. Per fortuna alla biglietteria non c’è coda e ci accaparriamo facilmente cinque biglietti, grazie ai quali potremo nutrire lo spirito…restando all’asciutto. Mauro e Giovanna non hanno voglia di pittura e ripiegano sulla Rinascente, meno arte ma sicuramente altrettanto asciutto. E restare al coperto, almeno per un po’, è fondamentale, dal momento che gli scrosci si fanno sempre più ravvicinati ed insistenti. La mostra è bella (voto 8) e ben organizzata; i quadri esposti sono davvero interessanti e mi fanno scoprire gli stretti legami tra i tre artisti che fino ad ora avevo considerato come entità espressive del tutto separate. Durante la visita mi colpisce la serietà con cui Enrico si ferma ad osservare le opere e come, senza leggere i cartelli esplicativi, sappia interpretare così bene il pensiero e le emozioni degli artisti. E ci divertiamo anche un sacco, alla fine del percorso, a realizzare la nostra personale “opera d’arte” su una cartolina, che poi esponiamo orgogliosamente accanto a molte altre. La visita si conclude con un piccolo incidente: Luigi, con la somma nonchalance che contraddistingue gli adolescenti, ha lasciato l’ombrello prestatogli dagli zii contro un pilastro e adesso (chissà come mai ?!) non c’è più. Pensare di ritrovarlo è utopia, perciò ci rassegniamo ad acquistarne uno nuovo da uno dei tanti venditori ambulanti che sono spuntati come funghi appena il cielo si è coperto di nuvoloni scuri. Raggiungiamo di corsa il precario riparo offerto dalla rientranza di una vetrina, mentre sopra di noi si aprono le cateratte. L’acqua viene giù a secchiate e ci costringe a cambiare programma. Pietro ha adocchiato una trattoria dietro l’angolo che fa al caso nostro. Approfittando della breve pausa tra due rovesci, ci fiondiamo verso il “paradiso”: una tavola ben apparecchiata, dei profumini deliziosi e un gradevole tintinnio di stoviglie. Il proprietario è un tipo assai particolare: non so se per vezzo o perché è veramente troglodita, tratta male i clienti. Mi riprometto di farglielo notare, ma al momento del conto, perché ora abbiamo bisogno del suo cibo e del suo locale caldo e asciutto. Che codarda opportunista! Mangiamo bene e ci comportiamo in modo ineccepibile per non farci maltrattare dall’eccentrico oste: siamo così servili che lo aiutiamo a sparecchiare e saremmo anche disposti a lavare i piatti, se ce lo chiedesse… Alla fine il tipo ci sorprende, offrendoci un giro di liquori. Notare che non lo ha fatto con gli altri clienti, e così sono costretta a rimangiarmi il discorsetto pungente sulla sua malagrazia. Sono le 14:30. Che facciamo? Abbiamo visitato ciò che era ragionevolmente visitabile in un week end e il tempo inclemente non ci permette di andare semplicemente a zonzo per le viuzze del centro, né di raggiungere piazzale Michelangelo e San Miniato, o i giardini di Boboli. D’altra parte imboccare subito sulla via del ritorno ci sembra uno spreco. E’ di nuovo Pietro ad avere un’idea: – Perché non facciamo una tappa a Prato, così vediamo il Duomo e compriamo i Cantucci? Mozione approvata all’unanimità. Ancora una giusta dose di passi per raggiungere il parcheggio, che ora ci sembra lontano il doppio rispetto a questa mattina, e via, verso la nuova meta. I chilometri tra Firenze e Prato sono pochi, ma bastano per passare da un cielo plumbeo e piovoso ad un cielo azzurro, spazzato da una forte brezza. Prima di individuare il grande parcheggio dell’ Area Mercatale, giriamo in lungo e in largo per le strette vie cittadine, accomunate da una curiosa caratteristica: tutte le case sono basse, massimo due piani, e conservano il tipico impianto medievale che vede gli edifici uno attaccato all’altro, senza varchi, senza giardini affacciati sulla via,… A piedi, stringendoci addosso le leggere giacche impermeabili che offrono scarso riparo dal vento freddo, raggiungiamo la piazza antistante il duomo. In mattinata ci deve essere stata una qualche manifestazione, perché si vedono molti militari delle varie armi e cartacce ovunque. Il duomo è imponente, con la facciata in marmo bianco e pietra serpentina, e presenta un inedito pulpito esterno, opera di Donatello, abbarbicato allo spigolo destro. Anche la piazza selciata, ornata da una bella fontana ottocentesca, ha il suo fascino, ma i palazzi che vi si affacciano, pur avendo una bella struttura, hanno un’aria davvero trascurata e scialba. Mi chiedo perché il Comune non obblighi i proprietari a ridipingere le facciate e ad uniformare i colori dei serramenti che ora virano dal verde menta al verde scuro, passando per un vasto numero di tonalità intermedie. Con un poco più di decoro questa piazza così vasta ed ariosa sarebbe un vero gioiello. Entriamo in chiesa, alzando gli occhi sulla bella lunetta ceramica che sormonta il portone. Anche qui i Della Robbia hanno lasciato un bel segno della loro maestria. L’interno è notevole: la navata centrale è altissima e l’effetto prospettico è accentuato dalla colorazione a bande chiaro-scure degli archi e dei costoloni delle volte. Curioso, nella sua forma a calice, il pulpito rinascimentale in marmo bianco e imponente, sul lato opposto, il grande candelabro bronzeo a forma di vaso. Ma la parte che ammiriamo di più è il vasto transetto, opera di Giovanni Pisano, che si articola in cinque altissime cappelle absidali interamente coperte di affreschi dai colori vivaci. Con Enrico a ruota, che si rivela molto interessato e attento, “leggiamo” a modo nostro le storie raccontate dai dipinti. Non sempre diamo un’interpretazione filologica, ma certo ci divertiamo a dar voce ai personaggi e ai gesti che ci raccontano la vita, le opere, i miracoli e soprattutto…la morte cruenta (!!) di vari santi. Quando usciamo dal duomo, sorpresa: piove! Giò, molto saggiamente, sottrae le chiavi all’adorato marito e senza perdere altro tempo ci dirigiamo rapidi all’auto, dove ci mettiamo in paziente attesa. Aspetta, aspetta, passa quasi un’ora prima che ritorni l’autista, carico di Cantucci, e ci si metta finalmente in viaggio verso casa. Quattro ore dopo il week end a Firenze è già ricordo.