Finalmente Sudafrica! 2

Il nostro Sudafrica on the road tra città, natura e animali
Scritto da: Matte & Giobby
finalmente sudafrica! 2
Partenza il: 07/06/2014
Ritorno il: 19/06/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Nella nostra mostrina di turisti per caso mancava il continente più affascinante, quello che racchiude in sé tutti gli estremi e le contraddizioni ma anche dove la bellezza tocca vette irraggiungibili altrove; il nostro mirino era da tempo puntato sull’estremo lembo dell’Africa e quindi non abbiamo fatto altro che assecondare il nostro desiderio e organizzare il nostro primo viaggio in Sud Africa.

Ecco alcune linee guida che prima di partire avevano destato in noi qualche dubbio e preoccupazione:

– Non abbiamo avuto nessun problema di sicurezza personale, del resto è stato sufficiente adottare semplici regole di buon senso comuni a tutti i posti del mondo, come evitare i quartieri delle città più pericolosi e non girare la sera da soli. In più a Cape Town le zone più frequentate dai turisti sono costantemente sorvegliate da guardie e se si esce in macchina basta lasciare una piccola mancia al posteggiatore.

– Girare in macchina è sicuro, le strade sono in ottime condizioni e, tranne rare eccezioni, gratuite. In autostrada, dove il limite di velocità è 120 km/h, bisogna prestare attenzione alle persone che camminano e attraversano e ignorare i tanti che, in prossimità dei centri abitati, chiedono l’autostop. La benzina è molto più economica che in Italia (costo 13/14 Rand al litro).

– Non essendo stato possibile cambiare i soldi in Italia lo abbiamo fatto non appena atterrati a Cape Town. Grazie anche al cambio favorevole (1 euro = 14 Rand ) il costo della vita è molto conveniente soprattutto per quanto riguarda i ristoranti; al conto della cena è uso comune aggiungere il 10 % di mancia. Abbiamo cambiato 400 euro e con l’aiuto della carta di credito sono stati più che sufficienti.

– Ogni albergo in cui siamo stati aveva la connessione wi-fi gratuita (alcuni direttamente in camera altri solo in reception) quindi non abbiamo avuto nessun problema a chiamare a casa via Skype. Inoltre, nonostante avessimo comprato un adattatore di corrente all’aeroporto (per il Sudafrica è diverso da quello inglese, americano e australiano) si è rivelato quasi inutile in quanto in quasi tutte le camere c’era l’attacco per la presa europeo.

– Non abbiamo fatto la profilassi antimalaria per il Kruger, sia perché siamo andati nella stagione secca (avremo visto una zanzara) sia perché ci è stata sconsigliata da molti e per soli due giorni di permanenza non sarebbe stato necessario.

8 giugno

British Airways, dopo 11 ore di volo via Londra Heathrow, ci deposita a Cape Town in una mattina serena ma dalla temperatura frizzante (qui è inverno…), peccato che non faccia altrettanto con i nostri bagagli che sono ancora in Europa e arriveranno, si spera, solo il giorno dopo. Fortunatamente viaggiamo sempre con il necessario nel bagaglio a mano, quindi più stanchi che delusi ci dirigiamo verso Europcar per il ritiro della nostra macchina, una Polo grigia con navigatore e cambio automatico. Essendo domenica il traffico verso il centro città è inesistente e possiamo tranquillamente riprendere confidenza con la guida all’inglese senza troppi patemi, dando una triste occhiata alla desolante distesa di township lungo l’autostrada con il suo disordinato carico di vita brulicante e disperata. Dopo esserci insinuati nello skyline di Cape Town raggiungiamo il Waterfront, la parte della città più moderna e sicura dove passeremo tre notti al V&A Waterfront Hotel con vista mozzafiato su Table Mountain, almeno così è pubblicizzata visto che al momento la cima è avvinghiata da una spessa coltre di nuvole grigie.

Muoviamo i nostri primi passi nella nazione arcobaleno proprio al Waterfront, connubio architettonico moderno in cui si contendono la vista, e i soldi, dei turisti ristoranti di ogni tipo, botteghe artigianali con merce prodotta da donne delle township, boutique internazionali e negozi dozzinali di souvenir. La sensazione di sicurezza è massima, la presenza di polizia è discreta ma massiccia.

Dietro al nostro albergo c’è il Nelson Mandela Gateway da dove parte il ferry per Robben Island, senza troppa speranza chiediamo se hanno ancora posto per oggi e con nostra sorpresa veniamo prenotati, per 250 rand a testa, per il tour delle 13. Nel frattempo il tempo si è fatto nuvoloso e si è anche alzato un forte vento ma il mare sembra calmo e ci diciamo che nulla potrà rovinare questa gita carica di aspettative. Mai profezia fu più sbagliata…

Con improvvido ottimismo ci sistemiamo all’aperto sulla sbuffante bagnarola che non appena usciti dal porto affronterà marosi impetuosi e vento impietoso per una navigazione interminabile di un’ora in cui dovremo rimanere attaccati con le unghie alla panchina combattendo con gli schizzi di acqua gelida che ci sferzano la faccia. Arriviamo bagnati fradici, infreddoliti nel corpo e nello spirito saliamo con pochissima convinzione su un pullman che compie un giro tra le strade di questa pietrosa isola spazzata dal vento su cui è stato prigioniero per 26 anni Nelson Mandela. Ci fermiamo senza scendere ( troppi turisti in passato hanno preso “souvenir non autorizzati”) davanti alla cava dei lavori forzati, al cimitero e alla chiesa accompagnati da qualche pinguino che spunta sornione dagli arbusti. Il momento più significativo è la visita della prigione e della cella in cui è stato imprigionato Nelson Mandela, ci fa da cicerone un ex recluso il cui spirito gioviale non è stato scalfito dagli anni passati in questo luogo liberticida.

Per il viaggio di ritorno prendiamo posto all’interno e questa volta è il nostro stomaco a soffrire, quella che doveva essere una delle escursioni più attese si è trasformata in un incubo anche se la visita in sé è interessante e merita di essere compiuta, il nostro consiglio è di cercare, se possibile, un momento in cui le condizioni meteomarine siano più favorevoli rispetto a oggi. Se non altro la pioggia aspetta a cadere, almeno fino a quando non prendiamo possesso della nostra bellissima camera mansarda all’ultimo piano con vista Table Mountain e skyline, anzi il suo ticchettio sulle finestrelle ci fa addirittura piacere. Il tempo inclemente ci spinge a cenare al ristorante Oyo annesso all’albergo, la scelta è azzeccata perché mangiamo bene spendendo non troppo.

9 giugno

Oggi piove anche se durante la colazione Table Mountain ci regala per la prima volta la sua maestosa vista rischiarata da qualche pallido raggio di sole. Indecisi sul da farsi decidiamo di visitare un posto in cui non saremmo mai andati in caso di bel tempo: Two Oceans Aquarium (costo 125 Rand) che come dice il nome dona ospitalità a specie animali che vivono negli oceani Atlantico e Indiano. L’acquario è piccolo ma non manca di attrattive piacevoli come le vasche dove nuotano i protagonisti del cartone animato Alla ricerca di Nemo, grossi squali (per i più temerari c’è la possibilità di nuotarvi insieme) che condividono pericolosamente lo spazio con succulenti tonni, pinguini sgambettanti e improbabili specie di pesce leone. Un’ora passata in leggerezza in attesa che smetta di piovere, ma la pioggia non cessa quindi ci ripariamo nel grazioso Craft Market in cui chi cerca souvenir autentici e caratteristici troverà senza difficoltà qualcosa. Poco distante c’è la partenza del City Sightseeing e qui apriamo un capitolo a parte: durante i nostri viaggi ci siamo sempre rifiutati di salire a bordo di questi grossi pullman a due piani preferendo camminare per ore attraverso le città alla ricerca di angoli nascosti, ma qui a Cape Town ci sembra una valida carta per vedere tutto in poco tempo e soprattutto al riparo. Scegliamo il Red Tour (170 Rand) che in due ore tocca i punti più importanti di questa città, che se è vero che ha raggiunto l’integrazione politica manca ancora plasticamente di quelle economica e sociale, per le strade del centro si vede quasi esclusivamente gente di colore intenta a bighellonare senza una meta o impegnata in umili lavori da sandwich pubblicitari o venditori di giornali tra il traffico. La guida in un improbabile italiano illustra i punti principali mano a mano che il pullman si ferma a raccogliere i rari turisti in giro, si passa dai moderni grattacieli alle case multicolori del quartiere musulmano Bo Kaap, dal castello alle erbacce del District Six che sono lasciate volontariamente crescere a imperitura testimonianza dello sfratto violento dei coloured durante l’apartheid. La parte più emozionante del tour inizia quando si arriva alla partenza della funivia per Table Mountain (oggi chiusa per maltempo) sotto la quale si stende la vista di questa raccolta città che scivola fino al tempestoso oceano. Ci si sente veramente schiacciati dall’ingombrante presenza di questo massiccio roccioso che sembra sopraffare tutto ciò che sta sotto; scendendo si attraversano i sobborghi costieri più esclusivi di Cape Town come Camps Bay con le sue spiagge bianche, Clifton e Sea Point, dalle bellissime case sul mare con filo spinato a difesa da chissà chi. L’ultimo simpatico incontro è con una serie di alberi in riva al mare letteralmente piegati che sembrano stare in equilibrio precario smentendo la convinzione delle agenzie immobiliari che ritengono il posto come il più riparato dal vento. Una volta terminato il giro possiamo dire che la nostra prima esperienza in questo senso è molto positiva e, perché no, da ripetere altrove.

Tornati in camera scopriamo che i nostri bagagli non solo non sono arrivati ma non si sa nemmeno dove siano! Urge comprare spazzolini e dentifricio….

Ci consoliamo con una cena a base di pesce da Den Anker, ristorante belga chic dove per un equivalente di 40 euro mangiamo due zuppe di pesce, un chilo (vero) di cozze, tonno al pepe e due dessert. In ogni ristorante il servizio è sempre impeccabile e lasciamo volentieri qualche Rand di mancia.

10 giugno

La colazione, oltre a essere ottima e abbondante, è un piacere con la vista che offre, oggi il tempo è discreto e solo qualche nuvola disturba il sole. È ora di sgranchire il motore della nostra macchina che sprinta libera verso la costa ma prima lambisce la township di Imizamo Yethu da dove partono tour organizzati. Ma noi abbiamo voglia di oceano con il suo odore frizzante, di coste frastagliate e viste mozzafiato; troviamo tutto questo da Hout Bay in poi con il capolavoro di Chapman’s Peak Drive, una delle strade più affascinanti del mondo che si incunea nella roccia regalando panorami indimenticabili, è a pagamento (36 Rand a veicolo) ma ne vale veramente la pena. Dopo dieci chilometri rientra all’interno per tuffarsi verso Simon’s Town, località balneare che a Boulders Beach ospita una folta colonia di pinguini africani. Dal parcheggio (è consigliato lasciare una piccola mancia al custode che così sorveglierà scrupolosamente la macchina) si percorre una passerella ai bordi della quale si nascondono questi pennuti che ci fissano indifferenti mentre alcuni accudiscono i piccoli appena nati; dopo dieci minuti arriviamo al gate, paghiamo e ci troviamo davanti un gruppo di pinguini che si crogiolano al debole sole sorvegliando i più piccoli che stanno perdendo a vista d’occhio la loro peluria da pulcini. A terra sono proprio goffi ma in acqua sfrecciano veloci in cerca di pesci per i loro amici più pigri.

A mezz’ora di strada da Simon’s Town si trovano le nostre colonne d’Ercole di oggi: il Capo di Buona Speranza e Cape Point (ingresso 105 Rand a testa). Questo luogo spoglio battuto dal vento è ricco di storia, non ci sono targhe né monumenti a ricordarlo ma la testimonianza è in fondo al mare tra i relitti delle navi che nei secoli hanno solcato questo tratto di oceano tempestoso. Al faro si accede o con una teleferica a pagamento o con un ripido sentiero a piedi, inutile dire che è senz’altro meglio il sentiero per

I numerosi belvedere a strapiombo sulla costa, ma il pezzo forte è la vista dal faro, 360 gradi di infinito tra oceano aperto e coste lontane. La temperatura è gradevole ed è uscito anche il sole, frecce segnaletiche riportano le distanze con le maggiori città del mondo, ma noi vogliamo rimanere qui e ora. Tra parentesi è pieno di cartelli che indicano il divieto di dare da mangiare ai babbuini ma non ne vediamo l’ombra, anzi a disturbare il pranzo ci pensano dei merli che planano in picchiata sui nostri panini.

Scendiamo per riprendere la macchina e andiamo a Cape Point, per fare la foto al famoso cartello con le coordinate di Cape of Good Hope c’è una ressa da concerto e ci accontentiamo di dividere la scena con i turisti meno scalmanati, mentre sentiamo il rombo delle onde che si infrangono sugli scogli. Prima di uscire dal parco vediamo una coppia di struzzi che passeggia noncurante sul ciglio della strada e una zebra che bruca poco lontano.

Per tornare a Cape Town tocchiamo il piccolo paesino di Scarborough lungo una pittoresca litoranea parallela a una spiaggia bianca fino a che, dopo chilometri, non sbuchiamo improvvisamente sopra la città con una vista davanti a noi che spazia fino a lungo raggio. Al Waterfront ci attende un caldo sole e Table Mountain nella sua forma migliore ma soprattutto i nostri bagagli consegnati in extremis: domani si parte per Hermanus.

Per la nostra ultima cena a Cape Town andiamo al ristorante City Grill vicino al centro commerciale che offre a prezzi abbordabili ottimi piatti tipici sudafricani e non. Mangiamo abbondanti piatti di carne e dessert per 600 Rand bevande e mance incluse.

11 giugno

Lasciamo a malincuore questo splendido albergo dalle camere ottime ma soprattutto con un personale (receptionists, camerieri, facchini) squisito che ti aiuta e ti coccola in ogni momento. Abbiamo lasciato per l’ultimo momento utile l’escursione a cui teniamo di più e dalla quale non si può prescindere in un soggiorno a Cape Town: Table Mountain, che è possibile raggiungere a piedi o tramite cabinovia (costo 215 Rand a testa). La scelta è azzeccatissima visto che la giornata è splendida, non si vede nuvola e l’aria è completamente tersa.

Per raggiungere la cima, avendo poco tempo, scegliamo la seconda opzione che è breve ma intensa, in pochi minuti vediamo allontanare la città e avvicinare la stazione di arrivo con il pavimento che ruota sotto ai nostri piedi. Appena metto i piedi a terra il primo pensiero che mi passa per la testa è: ‘Se il paradiso esiste questa deve essere la sua terrazza’, da qui si sovrasta tutto e per un attimo ci si sente aquile in volo sulla città, da Cape of Good Hope a Robben Island nulla sfugge al nostro sguardo incantato. Un facile sentiero, dal quale si possono fare brevi deviazioni sulle rocce a strapiombo, copre la quasi totalità della superficie e riusciamo a percorrerlo ritagliandoci momenti di solitudine lontano dai turisti vocianti dei viaggi organizzati. La temperatura è frizzante ma la quasi mancanza di vento e il sole che fa il suo dovere rendono indimenticabili le due ore che passiamo quassù. Lasciamo definitivamente Cape Town dirigendoci verso il suo entroterra e dopo un’ora arriviamo a Stellenbosch, un angolo di Toscana (o Veneto) in pieno Sud Africa; è infatti la zona dei vini con vigne e fattorie ai piedi di magnifiche montagne, un paesaggio bucolico per i fortunati che come noi si trovano di passaggio e soprattutto per chi abita nelle villette e nelle casette bianche del centro cittadino. Fino a Somerset West percorriamo la strada del vino e dopo dieci minuti ci troviamo a George’s Bay da dove parte Clarence Drive, una spettacolare strada di 30 chilometri che costeggia il mare con numerose piazzole dove poter sostare e fotografare il panorama circostante; da una di queste vediamo un lontano branco di delfini in compagnia di un simpatico vecchietto con il quale scambiamo due chiacchiere. In realtà questa sarebbe la Whale Coast ma forse è leggermente presto per avvistare le balene. Superiamo qualche piccolo centro non degno di nota e alle 15.30 siamo a Hermanus, il nostro rifugio per la notte che passeremo all’Abalone Guest Lodge, complesso esclusivo e accogliente (appena arrivati sembra chiuso e rimaniamo per un attimo terrorizzati) con diretto accesso al sentiero sul mare con vista su Hermanus e Cape Agulhas.

Il centro ha poco da offrire, c’è un piccolo porticciolo in cui tutto rimanda alle balene, sembra di essere nella capitale delle balene, tutta l’economia del luogo si incentra su questi giganteschi cetacei, ma quando non è periodo di avvistamenti (giugno – ottobre) la città ha poco da offrire.

Il nostro albergo è in una tranquilla zona residenziale a qualche chilometro dal centro quindi per andare a cena è necessario prendere la macchina; su consiglio del personale dell’albergo scegliamo Lemon Butta, tipico ristorante di pesce che ci serve calamari alla piastra in salsa di soia piccante, kingklip (pesce sudafricano poco grasso dal sapore delicato), pesce pescato del giorno grigliato e due dessert per poco più di 500 Rand.

12 giugno

Consumata la nostra colazione in solitaria lasciamo Hermanus per una lunga traversata che ci porterà fino a Knysna. Anche oggi il tempo è meraviglioso, diamo un’occhiata dall’albergo in cerca delle balene ma anche stamattina non siamo fortunati. La nostra prima tappa è Cape Agulhas e nel tragitto troviamo paesaggi indimenticabili, verdi vallate illuminate dal sole con alle spalle alte montagne; passiamo i paesi di Napier e Bredasdorp e arriviamo nella cittadina di Agulhas dopo un’ora e mezza, le sue case aggrappate all’ultimo lembo di continente danno un’aria di stoicismo a questo isolato avamposto. Il faro bianco e rosso è chiuso ma è emozionante percorrere a piedi il chilometro che ci divide dal piccolo monumento che segnala l’ubicazione del punto più meridionale dell’Africa e l’incontro tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano. A differenza di Cape Point siamo completamente soli e liberi di fare tutte le foto che vogliamo. Il mare, nonostante sia una giornata priva di vento, si infrange con violenza sugli scogli alzando una foschia bianca e non osiamo immaginare cosa può succedere in giornate tempestose.

Compriamo il necessario per il pranzo in un piccolo supermercato e iniziamo il viaggio di tre ore e mezza per arrivare a Knysna, fino a Swellendam e dopo per molti chilometri sulla N2 attraversiamo altri paesaggi da cartolina, non è ancora Garden Route ma quello che vediamo ci piace molto. È usanza, nelle strade veloci a una corsia, spostarsi nella corsia di emergenza per far superare la macchina che sopraggiunge a velocità maggiore che ringrazierà attivando le quattro frecce, se si vuole si può rispondere al ringraziamento facendo i fari. Il nostro albergo per la notte è il Knysna Hollow Country Estate poco fuori il centro città; country è country in quanto è un complesso immerso nel verde con piscina e bungalow indipendenti dal tetto di paglia ma ci sono i pro e i contro, per esempio la nostra camera è ghiacciata ed è infestata da millepiedi che camminano sui muri e le lenzuola. Non molto contenti facciamo un giro a Knysna che ha il suo punto migliore nella laguna e nell’adiacente Waterfront con ristoranti e negozi di souvenir, sono organizzate delle crociere ma noi arriviamo tardi per l’ultima delle 17. Tornati in albergo cerchiamo di far valere le nostre ragioni e in reception un ragazzo molto gentile ci chiede di vedere la nostra stanza, ci spiega che è normale che ci siano i millepiedi che entrano dal giardino e ci offre il trasferimento in altra stanza. Ne vediamo una identica ma è più calda e all’apparenza con meno millepiedi quindi accettiamo velocemente il cambio.

Consumiamo una cena non degna di nota a base di involtini primavera, un hamburger, una bistecca e un dolce al ristorante dell’hotel per poco meno di 400 Rand.

13 giugno

Dopo una notte passata in poltrona con addosso giacca e sciarpa (i millepiedi sulle lenzuola sono troppo anche per noi) facciamo subito colazione e lasciamo immediatamente questo pessimo albergo, le recensioni su Trip Advisor erano quasi tutte positive ma evidentemente non siamo stati fortunati, con il senno di poi non avremmo mai scelto questo posto.

Anche oggi la giornata è splendida e percorsi 35 chilometri ci fermiamo a Plettenberg Bay dove per prima cosa scattiamo qualche foto dal Rocks Lookout (bellissima la panchina a forma di pinna di balena) con vista su una lunga spiaggia bianca e sulla laguna di Keurbooms, successivamente a Beacon Island sulla cui lunghissima spiaggia troviamo una medusa spiaggiata gigantesca e anziani che passeggiano in maniche corte. Plettenberg Bay è la località più piacevole tra quelle che abbiamo incontrato finora, tranquillità, verde e lunghe spiagge formano una cornice ideale per passare qui qualche giorno. Ma noi purtroppo non abbiamo qualche giorno e il nostro tempo oggi è quasi interamente dedicato alla visita del Tsitsikamma National Park, un must imperdibile della Garden Route. Il parco ha due soli accessi al mare non collegati tra loro da strade ma solo da sentieri per percorrere i quali servono almeno tre o quattro giorni. Il primo è Nature’s Valley a circa 10 chilometri dalla N2, parcheggiamo la macchina e facciamo una lunga passeggiata sulla spiaggia dalla sabbia soffice e dalla languida laguna, siamo completamente soli e ci godiamo il sole e la pace interrotta solo dal roboante suono delle onde. Il secondo, ma per noi il migliore, è a circa mezz’ora da Nature’s Valley, si deve ritornare sulla N2 per poi svoltare a destra (ingresso da pagare in due punti diversi di 200 Rand a vettura) fino ad arrivare a Storms River Mouth, avamposto da cui partono alcuni brevi sentieri adatti per chi come noi ha solo qualche ora a disposizione. Noi scegliamo il Mouth Trail che dopo un chilometro finisce su un ponte sospeso sulla baia con alle spalle una stretta gola e davanti l’oceano, la cornice è splendida ma bisogna stare attenti a non scivolare sulle umide assi del ponte come succede alla povera Giobby. Nel ritorno alla base dal punto più alto del sentiero notiamo in lontananza degli strani movimenti tra le onde, strabuzziamo gli occhi e con nostra grande emozione vediamo degli spruzzi e subito dopo una balena che salta fuori dall’acqua, siamo contentissimi anche perché per noi sarebbe stato l’ultimo momento utile per ammirare questo meraviglioso cetaceo padrone dei mari. A Storms River Mouth non c’è spiaggia ma ci facciamo andare più che bene la terrazza dove mangiamo il nostro fish and chips prima di partire alla volta di Port Elizabeth percorrendo l’ultimo tratto di Garden Route che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è, se non per brevissimi tratti, una strada costiera ma bensì si infila in mezzo al verde delle foreste a ridosso di montagne incantevoli. È in sostanza uno spettacolo in itinere con nuovi e stupendi scenari a ogni chilometro, ovviamente tutto dipende dalle condizioni meteorologiche, è fondamentale avere come noi la fortuna di trovare un tempo meraviglioso altrimenti si perde tutta la magia del viaggio. Arriviamo a Port Elizabeth alle 16.30 e ci sistemiamo all’Ibhayi Guest Lodge, ottimo albergo che ha il grande pregio di essere vicinissimo all’aeroporto. Non disponendo del servizio cena, usciamo per andare da Angelo’s, ristorante simil italiano a pochi isolati dall’albergo; mi faccio tentare, dopo una settimana di carne e fritto, da un piatto di penne al salmone che si riveleranno completamente annegate nella vodka e insipide. Pessima scelta anche se il locale è carino e i prezzi sono più bassi che altrove.

14 giugno

Oggi la sveglia suona presto, alle 7.00 siamo già in direzione aeroporto con il navigatore che ci fa passare a fianco di una township dove vediamo furgoni di ogni tipo che caricano gli abitanti per la giornata di lavoro. Salutiamo la nostra Polo con cui abbiamo condiviso i 1237 chilometri della prima parte del nostro viaggio e dopo un’ora e mezzo di volo con British atterriamo a Johannesburg dove ritiriamo la copia perfetta della macchina che abbiamo lasciato tre ore fa a Port Elizabeth. Purtroppo il navigatore non è lo stesso, questo ha sì la funzione in italiano ma la voce è inglese che dà indicazioni in italiano quindi da interpretare. Poco male, troviamo subito la strada che ci conduce verso nord, la specie di telepass montato sul cruscotto ogni tanto emette qualche bip e nel tragitto paghiamo due pedaggi per un totale di 113 Rand. Se fino a ieri viaggiavamo tra mare, spiagge e verde ora è una lunga distesa di secca pianura a farci compagnia. Così è fino a Nelspruit quando lo sfondo cambia, piantagioni di banane prima e paesaggi alpini con laghi e abeti poi (mai avremmo immaginato di trovare questi scenari in Africa) fino a Hazyview, comoda base di appoggio per scoprire le attrattive della regione di Mpumalanga. Il nostro albergo per due notti è il Perry’s Bridge Hollow che fa parte di un piccolo complesso rustico con ristoranti e negozi di tipici souvenir; l’ultima volta che abbiamo incontrato l’aggettivo Hollow è stato un disastro invece la nostra camera è stupenda. Sono le 15.30 (da Johannesburg si impiegano circa 4 ore) quindi non abbiamo tempo di visitare alcunché, ci limitiamo a fare un giro nei negozietti di souvenir e a bere un frappé sulla terrazza del bar, fa caldo e ci saranno quasi 25 gradi (in inverno) ma quando scende il sole la temperatura cala bruscamente.

Stasera cena da Topolino’s con pizza cotta in forno a legna, ci azzardiamo a dire che non sfigurerebbe in una pizzeria italiana ed è senza alcun dubbio la migliore da noi mangiata all’estero.

15 giugno

O ancora 14 giugno? Alle 23.45 ci svegliamo per l’esordio vittorioso dell’Italia a Brasile 2014, in Sudafrica il calcio è sport nazionale quindi nessun problema con la trasmissione in tv della partita. Alle 8.00 apriamo di nuovo gli occhi per la colazione e poi via alla scoperta di Mpumalanga. Oggi vediamo finalmente i veri colori dell’Africa profonda, il giallo acceso dell’erba arsa dal sole e il rosso intenso delle rocce. Raggiungiamo Graskop e dopo tre chilometri ci imbattiamo nel primo protagonista, il Pinnacle, grosso obelisco di roccia coperto dalla vegetazione ai bordi del primo canyon che incontreremo in giornata. È uno dei quadri dipinti dal più grande pittore della storia, quella madre natura che ha regalato con la sua pazzia e imprevedibilità doni che noi umani spesso non apprezziamo a dovere. Proseguiamo in crescendo costante, di seguito è il turno di God’s Window che deve apprezzare particolarmente la foresta tropicale considerata la vista e il breve sentiero tra alberi secolari. Dopo una decina di chilometri arriviamo a Bourke’s Potholes, paghiamo 80 Rand a vettura (per gli altri punti il costo è di 10 Rand ciascuno) e troviamo, oltre al mercatino di prodotti tipici di abitanti della zona come nei precedenti, festanti babbuini che giocano tra gli alberi. Sotto al sole che anche oggi ci accompagna camminiamo tra i ponti e il sentiero che sovrastano il fiume Blyde che, nei secoli, ha scavato un canyon caratterizzato da strani buchi nelle rocce; ci sono anche delle pozze di acqua fresca dove poter rinfrescare i piedi. Ora ci aspetta il pezzo forte, lo abbiamo visto in tanti cataloghi ma nessuna foto può rendergli giustizia, i Three Rondavels sono qualcosa di indescrivibile, quando giungiamo alla piattaforma panoramica possiamo solo aprire gli occhi e ringraziare il destino di essere qui, è un canyon scavato dal fiume che forma un’ansa proprio sotto di noi ed è ricoperto da vegetazione con le tre vette che vigilano su questo scenario paradisiaco. Abbiamo fatto le 15 quindi abbiamo ancora due ore a disposizione, decidiamo di andare per prima cosa a Pilgrim’s Rest, evitabile crocicchio di casupole da souvenir raggiungibile tra l’altro per mezzo di una strada stretta, ripida e tortuosa. Apprezziamo invece le Mac Mac Falls (costo 10 Rand a vettura), cascate alte 60 metri che si tuffano da un vertiginoso strapiombo a ridosso di un lungo fiume. È l’ultima attrazione della giornata, rientriamo in albergo rinfrancati nello spirito, accompagnati dai babbuini sul bordo della strada e da un tramonto che solo l’Africa può offrire.

Ceniamo da Spur, catena di steakhouse di media qualità con un cameriere che ci chiede se vogliamo il conto ancor prima di finire di mangiare.

16 – 17 – 18 giugno

L’ultimo spostamento prima del ritorno a casa ci porta a uno dei momenti piu attesi della vacanza, dopo due ore di strada (sono poco più di 50 chilometri ma la maggior parte sono sterrati) valichiamo il Newington Gate del Kruger National Park pagando 240 Rand d’ingresso. Prima attraversiamo minuscoli insediamenti con bambini intenti a seguire le lezioni scolastiche e altri che ci salutano sorridenti al nostro passaggio.

È la nostra prima esperienza di safari pertanto vogliamo viverla nel miglior modo possibile, abbiamo scelto a ragion veduta il lodge Idube nella riserva privata di Sabi Sand, nel bel mezzo della savana tanto che di sera è obbligatorio venire scortati dai ranger nel tragitto tra la camera e le sale comuni e in caso di allarme durante la notte siamo equipaggiati di fischietto per allertare il guardiano; siamo circondati dal nulla per parecchi chilometri ma questo ci fa sentire completamente in pace con noi stessi. Non appena veniamo condotti nella nostra camera, un’accogliente e magnifica casetta con terrazzino e letto da reali, vediamo una coppia di facoceri e un branco di impala che brucano sotto le finestre a pochi centimetri e numerosi babbuini che volano tra gli alberi che non aspettano altro che ci allontaniamo per provare a entrare in stanza.

Nel pacchetto abbiamo due safari al giorno, uno alle 15.30 fino al tramonto e l’altro alle 6.30 fino alle 10.00. Tra quello del mattino e quello del pomeriggio si può riposare, fare un brunch e uno spuntino o andare alla postazione davanti alla pozza d’acqua a provare ad avvistare qualche animale in autonomia. La cena viene consumata all’aperto davanti al fuoco con piatti tipici in un ambiente di stretta convivialità con gli altri ospiti e i ranger che raccontano i loro avvistamenti.

I safari si svolgono a bordo di comode jeep scoperte dotate di tutti gli optional, coperte e borse dell’acqua calda comprese, guidate da ranger con davanti l’avvistatore di tracce e a metà ci si ferma in un posto tranquillo per bere una birra o un bicchiere di vino.

Siamo nella parte meridionale del Kruger, ottima per l’avvistamento di qualsivoglia animale, non appena usciamo per il nostro primo safari ci imbattiamo in una famiglia di ippopotami con tanto di piccolini al seguito, siamo fortunati perché sono sulla riva di una pozza e non immersi nell’acqua così li possiamo vedere in tutta la loro imponenza. Come inizio non c’è male e il seguito è ancora meglio… I ranger comunicano tra di loro via radio così veniamo condotti in una radura dove sta sonnecchiando un ristretto branco di leonesse, la cosa curiosa è che non sono per niente disturbate dal motore della jeep, ci degnano solo di uno sguardo distratto e poi tornano a dormire. Le prede si guardano bene dall’avvicinarsi, infatti l’animale che vediamo più spesso è l’antilope ma sempre a distanza di sicurezza dai predatori. Chi si deve preoccupare poco di questo problema è l’elefante, senza troppo penare scorgiamo un gruppo di questi pachidermi tra la rada vegetazione intenti a portare le foglie alla bocca con la loro lunga proboscide. Un piccolo elefantino impara come usare questo unico”arnese” prendendo esempio dai suoi simili più grandi ma ha ancora un po’ di pratica davanti a sé. Dopo tre ore rientriamo alla base scortati da un tramonto indescrivibile, durante la nostra prima uscita abbiamo visto due dei Big Five, e mai avremmo immaginato di completare la serie il giorno seguente.

Il safari mattutino è quello che ci regalerà più emozioni, senza contare l’alba che risveglia i colori della savana e che varrebbe da sola il viaggio, subito dopo il kudu (grossa specie di antilope la cui ottima carne abbiamo mangiato ieri sera a cena) l’avvistatore occhio di lince richiama la nostra attenzione perché in mezzo al bush ci sono due grossi rinoceronti bianchi con il piccolino, il ranger li insegue deviando dalla strada e sradicando senza pietà con la jeep ogni pianta che si frappone, nonostante la loro stazza hanno paura di noi e si arrampicano su un crinale fuori dalla nostra portata ma riusciamo comunque a vederli molto da vicino. Il bufalo solitario che incontriamo subito dopo ha tutto un altro comportamento, potremmo toccarlo mentre bruca placido di fianco a noi, le sue corna uniformi fanno impressione così come lo strato di fango che ricopre la sua pelle a difesa dalle infezioni che possono essere procurate dalle ferite. Neanche il tempo di riprendersi dalla contentezza di aver visto uno dietro l’altro due Big Five che ecco spuntare un gruppo di fiere zebre che scappa non appena cerchiamo di avvicinarci. Ma la scena madre della giornata è quella che ci attende poco lontano, sembra un branco di leoni come quello del giorno prima ma in realtà due femmine stanno sbranando una carcassa di bufalo, il rumore lancinante della pelle che si strappa e l’odore forte, pungente di carne viva ci richiamano la forza e l’importanza del ciclo della vita che si compie ogni giorno. Il lauto pranzetto fa gola anche agli avvoltoi appollaiati sugli alberi vicini e alle iene che non osano avvicinarsi ma attendono con pazienza che i leoni finiscano di banchettare per fare piazza pulita di quello che rimarrà.

La sosta colazione è con vista laghetto in compagnia di due ippopotami a mollo e due coccodrilli distesi sulla riva, mentre il ritorno al lodge è a piedi in compagnia del ranger che ci segnala le orme degli animali e le piante e gli alberi più caratteristici. Dopo qualche ora di relax, l’obiettivo per il terzo nostro safari è di completare la collezione dei Big Five quindi si parte alla caccia del leopardo. Nelle prime due ore rivediamo in un fantastico replay impala, babbuini, elefanti, zebre, bisonti e leoni poi improvvisamente il ranger si infila in uno stretto sentiero che porta a un folto albero e finalmente abbiamo davanti ai nostri occhi il mantello maculato del leopardo, la sua eleganza è struggente, si tratta di una femmina con al seguito due teneri cuccioli che giocano innocenti e noncuranti dei pericoli intorno a loro, ci pensa la mamma a vigilare a ogni minimo rumore distogliendo lo sguardo dal suo apparente riposo.

Quando il tramonto spegne la savana con i suoi colori commoventi e sembra che il buio inghiotta ciò che ci circonda spuntano le specie notturne, come la mangusta che è oggetto esclusivo dell’illuminazione della jeep e il camaleonte che il ranger ci pone tra le mani come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Per il nostro ultimo safari all’alba la temperatura è fredda ma con il passare delle ore si riscalderà fino a raggiungere, alle 10.30, i 25 gradi. Probabilmente l’avvistamento di ieri non ha soddisfatto il ranger che si mette subito sulle tracce del leopardo e dopo un’ora di tenace ricerca lo troviamo beatamente disteso sull’erba. Si tratta di un esemplare maschio più grande e affascinante della femmina vista ieri, sembra indifferente alla nostra presenza tanto che sbadiglia con pigrizia facendo bella mostra dei suoi denti aguzzi, ma quando ci fissa con il suo sguardo glaciale mette veramente i brividi. In preda ai morsi della fame si alza improvvisamente e noi siamo pronti a seguirlo, gli stiamo dietro per almeno mezz’ora nella speranza di vedere una scena di caccia, è emozionante vederlo ergersi sulle montagnette di terra in cerca di qualche antilope. Forse osiamo un po’ troppo nel volerlo seguire a tutti costi nel suo habitat visto che subiamo un danno alla ruota della jeep ponendo così fine al nostro safari, anche se dobbiamo ammettere che abbiamo chiuso in bellezza. Torniamo alla base a piedi in una per noi mesta passeggiata, consumiamo l’ultimo brunch, salutiamo il personale squisito del lodge e ci allontaniamo in silenzio verso la civiltà. Il mal d’Africa esiste e ci assale non appena usciamo dai cancelli del Kruger, ci aspettano sei ore e mezza di viaggio fino all’aeroporto di Johannesburg dove lasceremo la nostra macchina dopo 1200 chilometri.

Quando l’aereo decolla sopra le luci della città, siamo sicuri che se è un addio al Sudafrica è senza dubbio un arrivederci all’Africa.

Chi volesse saperne di più può scrivere a matteogiusto@yahoo.it



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