Finalmente, il sud africa
Già qualche giorno prima della partenza sono iniziate le prime avvisaglie da viaggio: quando parto tendo ad agitarmi. Per me ogni partenza, a prescindere dalla distanza che si compie e dal periodo di assenza da casa, è sempre un addio. Per fortuna mia mamma, nel salutarmi, mi ha detto una frase che mi ha incoraggiato: “Pensa quando sarai tornata… I tuoi occhi saranno diversi perché avranno visto cose bellissime!”. E così è stato. Il tempo e lo spazio non mi permettono di raccontare come vorrei il nostro viaggio: ho deciso quindi di darvi alcuni buoni motivi per salire su un aereo diretto alla fine del mondo.
Il Sud Africa è in realtà un paese di stampo molto occidentale: sembra di essere in Inghilterra e non solo per il cibo e la guida a sinistra. Il turismo è molto: il retroterra storico e culturale di un paese che è da poco uscito da anni di segregazione razziale non deve scoraggiare.
Ecco allora cinque buone ragioni per programmare un viaggio nel paese di Nelson Mandela: 1. La penisola del Capo – Città del Capo è una delle città più a sud del mondo, eppure vi sembrerà di essere a nord, tra case di legno colorate, con tetti spioventi e affacciate sull’oceano. La sua anima è però profondamente africana: in ogni via e angolo le persone cantano e ballano ritmi a noi sconosciuti e decisamente coinvolgenti. Custode della città (dove già fervono i preparativi per i mondiali di calcio del 2010) e delle sue zone nevralgiche, dal City Bowl al waterfront, è la Table Mountain, più volte citata negli avvincenti romanzi di Wilbur Smith. Una delle esperienze più belle in assoluto è stato partire alla volta della Penisola del Capo fino ad arrivere a Cape Point e al famoso Capo di Buona Speranza. Pinguini, foche e uccelli di ogni specie ci hanno accompagnato nel tragitto che porta alla punta estrema dell’Africa: è proprio qui che approdarono De Gama, Diaz e molti altri esploratori! Alla nostra sinistra l’Oceano Indiano, a destra l’Oceano Atlantico, di fronte le loro acque che si unicono e oltre solo l’Antartide… 2. Le distese verdi – dei 2500 chilometri fatti in auto in Sud Africa la maggior parte sono stati in mezzo al verde. Vigneti a perdita d’occhio nelle zone di Franschoek, Stellenbosch e Swelldam; frutteti e piantagioni tra Ceres e Worcester; campi coltivati e popolati da struzzi a perdita d’occhio. E quando ad accompagnarci erano nuvole grigie (e a volte cariche di pioggia) era ancora più bello: sembra impossibile ma il verde diventava ancora più brillante! 3. La costa dell’oceano – Le montagne rocciose digradano nel mare, le onde minacciose dell’oceano non intimoriscono i molti surfisti, le spiagge bianche sono lunghissime e deserte: stiamo costeggiando l’oceano. Da Gaansbai si parte per le immersioni con gli squali. Nella baia di Hermanus tra giugno e ottobre le balene accorrono per riprodursi. Siamo circondati da una natura spettacolare e il meglio deve ancora venire… 4. I safari – I nostri safari hanno avuto come teatro due parchi: la riserva di Shamwari e l’enorme Kruger National Park, ai confini con il Mozambico. Siamo entrati davvero nel regno animale: a dimostrarlo erano le protezioni attorno ai lodge, per scoraggiare l’intrusione degli animali, e il fucile sempre imbracciato dai ranger. Sveglia alle 5 di mattina: “Ready for breakfast?” era il nostro buongiorno. Per riuscire a vedere i predatori occorre muoversi all’alba e al tramonto e ne vale davvero la pena. L’elenco degli animali visti (compresi un branco di leoni a caccia e un leopardo intento a mangiare una gazzella) riempirebbe pagine.
5. Tutto il resto – Visitare le township delle città (Soweto è la baraccopoli più conosciuta) per rendersi conto di cosa ha significato l’apartheid in Sud Africa. Mangiare la miglior carne di antilope, struzzo e coccodrillo che ci sia. Prendere un velivolo a elica per atterrare in un aeroporto di capanne. Dormire in una fattoria del 1700 con i tetti in paglia. Ammirare albe e tramonti nel mezzo della savana, tra silenzi e colori mai visti prima. Alzare gli occhi al cielo e accorgersi che… le stelle sono diverse dalle nostre.
Sul boeing che da Johannesburg ci ha riportato a casa, prima della partenza si diffondevano le note di una canzone che conoscevo: “When you come back, South Africa”. Chissà, pensavo con una punta di malinconia, se torneremo mai in Sud Africa. Mentre l’aereo decollava ho guardato Nick avvolto nella sua felpa della nazionale di rugby sudafricana, il mio cappello da safari, le luci della città sotto di noi… Mi sono resa conto che questo viaggio ci aveva ripagato di un anno di lavoro, che ritrovare la quotidianità sarebbe stato ancora più bello. Perché eravamo stati in quello che chiamano “il mondo in un solo paese”.
Beatrice