Filippine, le isole sospese nel tempo
Indice dei contenuti
Perchè ho voglia di un bel mare caldo e là ci sono 7000 isole circondate da acque cristalline e fondali come giardini.
Questa la breve conversazione che generalmente scaturiva nel momento in cui annunciavo la destinazione del mio imminente viaggio. Alle volte poi seguiva anche un ”Giovidì Signò”, citando Ariel, il (non) filippino più famoso in Italia interpretato da Marco Marzocca.
Effettivamente, ad eccezione delle splendide spiagge delle oltre 7000 isole che compongono l’arcipelago filippino, non sapevo molto di più di questo Paese, ma sono partita così, una volta tanto senza preparazione, pronta a scoprire il mio viaggio giorno per giorno.
Così dopo parecchie ore di volo, inframmezzate da uno scalo nel terrificante aeroporto di Ryhad, arrivo a Manila nel tardo pomeriggio. C’è una temperatura di oltre 40° ad accogliermi, imparo in quel momento che il mese d’Aprile è considerato il più caldo nelle Filippine.
Cambio un po’ di denaro scoprendo che non accettano banconote inferiori ai 50 €, pena un tasso di cambio più svantaggioso. Acquisto una Sim card e 600 PhP di traffico realizzando che sul mio telefono “immatricolato” nel 2005 non funziona, perdo quasi istantaneamente il tutto dopo aver discusso con la signora che me la ha venduta e che non intende restituirmi proprio niente! La stanchezza, il caldo e l’indigesto cibo dell’aereo minano la mia lucidità.
Salgo su un van prenotato dall’Italia che viaggiando tutta la notte su una strada impossibile mi condurrà a Banue nella parte nord dell’isola di Luzon. Impossibile anche solo pensare di dormire: la strada è un susseguirsi di dossi e buche, c’è un traffico incredibile per essere notte ed i sorpassi dell’autista ma anche dei mezzi che ci vengono incontro tolgono letteralmente il respiro. Impieghiamo otto ore per percorrere all’incirca 350 Km.
Banaue
Banaue mi accoglie sonnolenta (arrivo alle 6.30 del mattino) e immersa nella nebbia. Appoggio i bagagli in camera, colazione veloce e poi via per il trekking di otto ore tra le risaie, dopo due notti consecutive insonni, trascorse rispettivamente in aereo ed in van.
Tappa al mercato del Paese per acquistare la frutta con cui pranzerò; salgo quindi su un Jepney che percorrendo una strada completamente sterrata in circa un’ora mi porta all’inizio del trekking delle Batad Rice Terrace.
Banaue, così come Batad è sinonimo di “Terrazze di riso”, la principale differenza tra le due località, sta nel fatto che mentre a Banaue i muretti delle risaie sono costruiti con il fango, a Batad sono fatti invece di pietra. Il paesaggio è un saliscendi di gradoni tappezzati di verde che nel periodo Aprile-Maggio raggiunge le tonalità più intense. La particolarità è che sono state create più di 2000 anni fa dalla popolazione degli Ifugao. I terrazzamenti, dichiarati patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, si trovano a circa 1500 metri di altezza e coprono una superficie di oltre 10.00 metri quadri. Un vero spettacolo per gli occhi, un riuscito esempio di armonia tra la natura e l’operato dell’uomo. Francamente ero dubbiosa se arrivare fino qui per vedere le risaie che già in passato avevo potuto ammirare in altri Paesi asiatici, primo fra tutti l’Indonesia. Dubbio risolto: qua sono decisamente un’altra cosa.
Dalle risaie, affrontando una salita di 700 gradini (gradoni per la precisione) si arriva alle Tappia Waterfall, cascate alte una trentina di metri, dove è possibile rinfrescarsi nelle acque gelide o semplicemente recuperare parte delle fatiche compiute.
All’indomani affronto un altro trasferimento da Banaue a Sagada su una strada della Cordillera, come al solito impercorribile. Tocco la cittadina di Bontoc e approfitto per visitare il suo famoso museo, dove viene mostrata la vita delle tribù locali, compresa quella dei cacciatori di teste. All’esterno si trovano invece le riproduzioni a grandezza naturale di alcune abitazioni tradizionali, accuratamente arredate. Oltre al Museo (che nonostante la mia scarsa propensione per le esposizioni ho trovato interessante) ed il traffico, Bontoc non ha molto altro da offrire al viaggiatore.
Sagada
È una cittadina di montagna, circondata da una fitta foresta di Pini che a tratti viene interrotta da terrazzamenti di riso. Foresta e risaie assieme riproducono tutte le tonalità del verde. Famosa anche per le sue numerose grotte e per le bare sospese, Sagada è un luogo ameno e autentico, tutta natura e niente fronzoli. La sera poi, si spopola completamente e diventa quasi spettrale.
Appoggio i bagagli nella Guest House e seguo una giovanissima guida locale che mi condurrà attraverso una vallata sino alle Bare sospese di Sugong. E’ tradizione infatti degli abitanti benestanti di religione animista, appendere le bare dei propri cari alle pareti delle montagne, talvolta anche con qualcosa che ricordi il momento in cui sono venuti a mancare, ed ecco spiegato il perchè delle sedie appese. Proseguendo tra i monti si arriva alla Lumiang Burial Cave, una grotta al cui ingresso sono impilate altre centinaia di bare, alcune molto antiche.
Non paga delle visite cimiteriali, impavidamente decido di affrontare la Sumaging Cave (in particolare la “cave connection”) quella che viene definita la madre di tutte le avventure nelle grotte. Occorre depositare borse e zaini per potersi muovere agilmente ed avere le mani libere, nonché delle buone calzature con suola antiscivolo. Si comincia quindi una discesa nelle profondità della terra, al buio, su pietre scivolose perché ricoperte di guano di pipistrello ed ogni tanto ci si imbatte in vere e proprie pozze d’acqua. E’ veramente molto rischioso oltre che faticoso e alla fine si esce “infangati”dalla testa ai piedi, ma devo riconoscere che è stata indubbiamente una esperienza memorabile.
Da Sagada debbo raggiungere Manila dove all’indomani mi attende un volo delle Philippines Air Lines per Coron. Mi rassegno ad affrontare un’intera giornata in van (12 ore) trascorse tra infiniti scossoni dovuti alle pessime condizioni delle strade. Un’esperienza che metterebbe alla prova qualsiasi stomaco. Lungo il tragitto la vegetazione cambia, passando dai pini ai banani e la temperatura diventa progressivamente più calda.
A Manila alloggio nel quartiere di Malate, tra night club in funzione 24 ore su 24, venditori di sesso in tutte le possibili varianti, mendicanti bambini, traffico e smog.
Ceno in mezzo alla strada ed il mattino successivo riesco a fare un giro sul lungo mare di Malate. L’impressione, dopo una fuggevole occhiata è quella di un luogo inquieto ed inquietante: spero di ricredermi alla fine del viaggio quando avrò un po’ più tempo da dedicare a questa metropoli.
Palawan
All’indomani dunque, un volo della Philippines Air Lines mi porta a Puerto Princessa sull’Isola di Palawan, anche se la destinazione finale è Sabang che raggiungo sempre in van. Quasi tutti i turisti arrivano a Sabang per compiere l’escursione al fiume sotterraneo e nell’attesa si godono le calde e calme acque che bagnano queste spiagge.
Escludendo l’umidità che ad Aprile ha raggiunto livelli del 90%, Sabang è il luogo dove riprendere fiato, una lunga spiaggia poco affollata, un mare calmo e caldissimo, abitato da stelle marine blu, qualche localino dove mangiare bene spendendo poco, vita notturna assente. La Domenica mattina poi, è strano essere svegliati da canti religiosi che ricordano i cori gospel e assistere alla messa che viene celebrata in spiaggia.
Come ho già scritto, chi arriva fin qui lo fa soprattutto per visitare il fiume sotterraneo “Puerto Princesa Subterranean River National Park”, uno dei tunnel più lunghi al mondo attraversato da un fiume navigabile.
La visita è possibile solo acquistando un permesso ed un’escursione organizzata che va prenotata con debito anticipo (almeno un giorno o due prima) presso il Tourist Information e Assistance Center al molo di Sabang. L’escursione dura all’incirca un’ora, si naviga su piccole imbarcazioni muniti di giubottino salvagente ed elmetto che protegge il capo soprattutto dalle eiezioni dei pipistrelli ed accompagnati da una guida che descrive i nomi più o meno buffi attribuiti alla formazioni calcaree (si va dalla Sagrada Familia a Sharon Stone). All’ingresso della grotta sono presenti delle scimmie e dei varani.
Un’altra escursione è quella del Puyuy Puyuy River, durante la quale si compie un tragitto in barca sul fiume circondato dalle mangrovie, tra le quali è possibile scorgere qualche piccolo serpente, varani e scimmie. La guida che accompagna tutte le barche aiuta ad individuarli. Il tutto dura poco più di un’ora ed è consigliabile compiere l’escursione il mattino perchè pare sia più facile l’avvistamento degli animali.
Il pomeriggio decido di raggiungere le Sabang Waterfalls, di cui avevo letto qualcosa in rete. Ebbene, l’unico tragitto per raggiungerle prevede una camminata di un paio di km dal centro del paese, costeggiando il mare, su dei massi (cosa assolutamente impossibile con le infradito che io invece indossavo). Viene chiesta una piccola offerta in denaro ma all’arrivo la delusione è stata forte. Si tratta infatti, di un rigagnolo dove alcuni bambini si fanno la doccia con tanto di shampoo, mentre le donne fanno il bucato.
El Nido
Da Sabang, viaggiando 7 ore in pulmino sotto una pioggia torrenziale giungo a El nido, una delle più note località turistiche non solo di Palawan ma di tutte le Filippine. Qui, incontro un turismo molto giovane, molti australiani, che trascorrono le serate sulla spiaggia. Tutto scorre senza fretta, una flemma che contraddistingue anche i marinai da cui si acquistano le escursioni per le isole e che immancabilmente si presenteranno con oltre un’ora di ritardo, “dovevamo comprare il pesce” dicono…
La spiaggia di El Nido è carina per qualche ora o al massimo una giornata, qualora si venga colpiti da un’ondata di pigrizia. Le stradine del centro sono trafficatissime di motorini e scooter e poi un susseguirsi ininterrotto di negozietti per turisti, locali per turisti e centri massaggio per turisti.
Il vero spettacolo per gli appassionati del mare sono le isole Bacuit.
L’arcipelago di Bacuit, che si sgrana di fronte alla spiaggia di El Nido, è una sorta di visione onirica cui nessuna descrizione rende giustizia. Pareti spigolose di roccia nera
Che fuoriescono da acque turchesi e ogni tanto qualche piccola baia di sabbia di un bianco accecante assolutamente priva di qualsiasi infrastruttura. Pura natura!
Il sistema più diffuso per visitare l’arcipelago delle Bacuit è quello di appoggiarsi ai tour classificati in lettere (A,B,C,D) che le varie agenzie e gli alberghi propongono. Ci si muove in gruppi di 10/15 persone sulle tipiche imbarcazioni filippine, lunghe, strette e con due stabilizzatori laterali che un po’ ricordano gli aliscafi. Si parte il mattino e si torna a metà pomeriggio toccando 4/5 punti tra spiagge paradisiache e fondali spettacolari per lo snorkelling Generalmente nel prezzo dell’escursione è compreso anche il pranzo a base di carne o pesce alla griglia, riso e frutta. Purtroppo nei punti più belli come Matinloc del Tour C, il traffico e tale che si creano dei veri e propri ingorghi di barche.
Nei miei programmi avrei dovuto compiere 4 diversi tour ma purtroppo dovendo anticipare la partenza per Coron di un giorno, ho potuto fare solo i primi 3:
Tour A: Miniloc Island (Big and Small Lagoon), Simezu Island, Intalula, Seven commandos – Tour B: Pangulasian, Snake Island, Pinasil, Cudugnon cave,Inagbuyutan – Tour C: Matinloc Island, Tapiutan Island, Secret Beach, Hidden Beach, Helicopter Island
Ormai nei miei ricordi i luoghi in parte si confondono anche perchè si tratta di spiagge e fondali che presentano inevitabili somiglianze, francamente però rifarei tutte le escursioni compreso il tour D, che mi è mancato.
Le immagini si confondono me le emozioni rimangono ben impresse nella memoria: piccole baie di sabbia bianca come borotalco dove sentirsi talvolta i nuovi Robinson del XXI secolo, tale è l’isolamento in cui si trovano, coloratissimi giardini subacquei e una infinita quantità di esseri marini rendono questa esperienza assolutamente unica.
Al rientro dalla terza escursione alle Bacuit, mentre già pregustavo l’uscita del giorno seguente, apprendo che il traghetto già prenotato per due giorni dopo che avrebbe dovuto portarmi a Coron è rotto! Mi propongono due possibilità: partire l’indomani mattina o tre giorni dopo. Purtroppo non ho scelta è devo lasciare El Nido ed il paradiso del suo parco naturale con un giorno d’anticipo. Questo segnerà l’inizio di una disavventura.
Così la mattina del 25 aprile alle ore 8.00 inizio la lunga traversata (dovrebbe durare almeno 7 ore) da El Nido a Coron. La barca è una vera bagnarola, l’interno è notevolmente sovraffollato, claustrofobico, caldo e sporco. Tutte le superfici, tende comprese sono unte. Trovo un po’ di respiro sul ponte, almeno lì si circola l’aria, anche se il sole forte dei tropici sarà impietoso sulla mia pelle. A bordo viene anche servito una specie di pranzo che non ho il coraggio di assaggiare.
Navighiamo placidamente per circa 4 ore formando un lungo serpentone di corpi distesi a terra sui corridoi esterni e poi un rumore improvviso e l’imbarcazione si ferma, esattamente nel mezzo della traversata ma soprattutto in mezzo al nulla. Qualcuno dei marinai si tuffa e riemerge con un’espressione poco rassicurante. Non ho mai capito quale fosse esattamente il problema, sta di fatto che non era riparabile. Trascorre altro tempo, discutono ed il capitano lancia il “Mayday” anche se i soccorsi non sarebbero arrivati prima di tre ore, proprio da Coron la nostra destinazione finale. Fortunatamente il mare è calmo, tanto che qualcuno dei giovani turisti australiani a bordo si tuffa in cerca di refrigerio, inutile dire che subito il mio pensiero (ma anche di altri) è andato ai tanti incidenti spesso mortali che si verificano in queste acque. Si cerca di ingannare il tempo ed anche la preoccupazione chiacchierando e finalmente dopo circa tre ore, ma ormai al tramonto avvistiamo una strana imbarcazione che ci viene incontro, all’apparenza pure peggio della nostra. Ci informano che la capitaneria non ha rilasciato il permesso di proseguire per Coron perchè è ormai buio. Così la nuova barca ci aggancia e ci traina sino all’isola più vicina, Linapagan. L’isola è piccolissima e non offre alcuna struttura ricettiva, ci dicono che dobbiamo dormire in barca, ammassati come sardine.
Insieme ad altri compagni di sventura scendo ed acquisto qualcosa nell’unico piccolo negozio di generi alimentari. La prospettiva di trascorrere la notte sulla bagnarola lurida e puzzolente è terrificante così facciamo qualche passo nel piccolo villaggio e vediamo una chiesa aperta, illuminata e lucida da tanto è pulita. Fuori ci sono dei giovanissimi che suonano la chitarra e così non ci pensiamo due volte e sfacciatamente facciamo appello alla carità cristiana chiedendo di poter dormire sul pavimento della chiesa, sicuramente più pulito e aerato della barca. I ragazzi che parlano un inglese stentato faticano a capire, ma poi chiamano al telefono il parroco, che si trovava altrove, il quale non solo ci dà il permesso ma dice loro di sistemarci nelle stanze della canonica, con stuoie, cuscini ed anche il ventilatore! La mattina poi ci allestiscono un tavolino con il caffè nel cortile della chiesa. Quasi commossi da tanta ospitalità verso dei turisti stranieri abbiamo cercato di lasciare un’offerta che, però, è stata fermamente rifiutata.
Alle 7 del mattino, arriva un’altra barca che in circa 4 ore ci conduce a Coron.
Coron (Busuanga Island)
Il paese di Coron è semplicemente terrificante, sembra appena uscito da un disastro post-nucleare. Capanne fatiscenti su palafitte, acque putride ricoperte d’ogni genere di rifiuti ed escrementi di tutte le specie viventi della zona. Odori nauseanti e topi grandi come gatti. Stradine polverose continuamente percorse da mezzi strombazzanti. Non esiste alcun sistema fognario o di raccolta dei rifiuti e quindi tutto ciò che non serve viene gettato direttamente in acqua. Non nascondo il senso di sconforto che mi ha pervaso quando sono arrivata, per di più dopo una notte da naufraga.
Niente pessimismi! Pernottare a Coron renderà ancor più forte il contrasto tra l’ordinarietà del centro abitato e la spettacolare natura delle Calamian, un arcipelago di isole vulcaniche emerse dal mare proprio davanti a Coron Town.
Le Calamian sono sacre per la popolazione nativa, i Tagbanua, che cercano di tutelarle come possono, chiudendo al pubblico alcuni siti e facendo pagare un biglietto di ingresso in altri, per questo conviene sempre portare al seguito banconote di piccolo taglio.
Molti sub giungono fin qui da ogni parte del mondo per le immersioni ai numerosi relitti giapponesi affondati in questi mari. Inutile dire che l’unica soluzione per poter fare vita di mare consiste nel prenotare ogni giorno una escursione a bordo di una barca. Diversamente Coron Town non offre alcuna attrattiva, fatto salvo forse per il mercato del pesce il mattino presto.
Così il primo pomeriggio, dopo la notte in chiesa, un pranzo e una doccia veloce, sono partita al volo con un’escursione organizzata dal resort dove alloggio.
Fortunatamente la giornata non è andata sprecata, riuscendo a vedere, lo Skeleton, un relitto giapponese affondato durante la seconda guerra mondiale divenuto dimora di una grande varietà di pesci e coralli.
A seguire Twin Peaks un punto per lo snorkelling con bellisimi coralli, pesci ed anche qualche serpentello.
Ed infine il lago Kayangan, probabilmente una delle mete più popolari e affollate delle Calamian. La sfortuna del giorno prima, mi ha portato a cominciare l’escursione dopo pranzo, permettendomi di giungere al lago nel pomeriggio inoltrato, quando ormai quasi tutte le imbarcazioni se n’erano già andate. Si arriva al lago dopo una ripida salita e da un pontile in legno ci si butta in queste acque limpidissime (le più limpide dell’Asia!) circondate da pareti montagnose nere e sotto si intravede un paesaggio lunare.
Il secondo giorno la barca mi ha portato a Culion Island, Malacapuya Island con una spiaggia spettacolare e Banana Island anch’essa con una bella spiaggia dove poter finalmente concedersi un po’ d’ozio ed alcuni punti validi per lo snorkelling.
Il terzo giorno continuo il mio “Islands Hopping” toccando il Lake Barracuda, il parco marino di Siete Pecados (davvero molto bello) e Cagbatan Island.
Manila
Un volo Bombardier della Philippines Airlines mi porta da Coron a Manila. Ad accogliermi i soliti 40° ed un sole a picco che può fare davvero male. Manila nasce come città coloniale, i conquistadores spagnoli eressero una cittadella fortificata con tre km di cinta muraria e all’interno: la cattedrale, moltissime chiese, monasteri e case lussuose. Tutto ciò oggi viene chiamato Intramuros, l’unica vera attrazione turistica della città.
Imperdibile “Casa Manila”, una bellissima riproduzione di una casa coloniale spagnola, voluta da Imelda Marcos.
Fuori dalle mura si estende una metastasi urbana fatta di baraccopoli, senzatetto, molti locali notturni, uomini e donne che si prostituiscono e qualche grattacielo. E poi tanti centri commerciali dove espiare il senso di colpa per la lontananza dai famigliari comprando il solito ricordino. Ma come ho letto da qualche parte: ”Manila è solo una città, le Filippine sono altrove”.
Pernottamenti
Banaue – Uyami Green View Guesthouse: stanze discrete, sufficientemente pulite, bagno con acqua calda anche se dalla doccia ne esce un filo, assenza di prese di corrente in camera ragion per cui, per ricaricare le batterie delle apparecchiature elettroniche occorre rivolgersi alla reception pagando una tariffa a tempo. Wi-fi con connessione molto lenta ma gratuita nei pressi della reception, colazione discreta. Molto frequentato da viaggiatori di tutte le età.
Sagada – George Guesthouse: E’ una struttura a gestione famigliare che offre diversi tipi di stanze su più piani, non è presente l’ascensore. La nostra camera aveva 2 letti enormi che occupavano tutto la spazio disponibile. Arredi di color rosa Barbie e immagini sacre e natalizie. Il letto aveva solo il lenzuolo sotto e non quello sopra. Bagno molto piccolo ma con acqua calda. Prese di corrente funzionanti all’interno della stanza. Colazione discreta e bella vista dal primo piano.
Manila – Hotel Malate Pensionne: situato sul corso principale del quartiere di Malate, circondato da night club e simil-postriboli. Sembra essere una struttura molto frequentata da viaggiatori di tutto il mondo. Gli arredi in legno scuro danno una prima impressione favorevole, in realtà le lenzuola del mio letto erano sporche di macchie e peli, l’acqua della doccia era fredda, il wi-fi non funzionante. La colazione compresa nel prezzo della stanza e servita in un caffè adiacente è veramente essenziale (caffè e pane con un quadratino di marmellata, qualsiasi altra cosa si paga a parte). Aria condizionata funzionante ed anche ventilatore a pale, fondamentali nel mese di aprile.
Sabang – Green-verde: offre bungalow estremamente rustici e spartani direttamente sulla spiaggia, non c’è acqua calda ed il water non ha lo sciacquone. Al ristorante si mangia discretamente e la giovanissima cameriera che canta nel coro della locale chiesa, non serve alcolici. L’ultimo giorno abbiamo notato un cartello sulla strada che denunciava numerose irregolarità della struttura e l’assenza di permessi per garantire l’attività.
El Nido – Lally and Abet beach cottage Resort: una buona soluzione, sul mare ed abbastanza centrale. Ha grandi stanze, confortevoli, pulite, dotate di aria condizionata e acqua calda. La mia stanza aveva una splendida vista mare. Wi-fi gratuito nelle zone comuni e colazione discreta, anche se talvolta confondono le ordinazioni e si rischia di essere serviti anche dopo un’ora.
Coron – Sea Dive Resort: L’albergo è uno dei più frequentati di Coron Town, perchè in posizione privilegiata rispetto al molo da cui partono le imbarcazioni per l’Islands Hopping. A me è toccata una stanza angusta, buia, caldissima (senza A/C). Non c’era praticamente nessuna finestra e assolutamente nulla per stendere i costumi da mare bagnati. Senza esagerare ho rischiato la folgorazione aprendo l’acqua calda della doccia poiché lo scaldabagno aveva dei fili esposti e penzolanti direttamente nell’acqua. Su richiesta è stato sostituito il giorno seguente. Non c’è l’ascensore e le scale interne per raggiungere il primo piano hanno gradini ripidissimi alti mezzo metro, veramente “agevoli” da fare con le valigie. Colazioni nella media con ottimo frullato di mango.
Cibo
Banaue: Las Vegas restaurant (di fronte al Green View). Piatti tradizionali filippini abbondanti, ben cucinati ed estremamente economici, per una cena completa si spendono all’incirca 300 Php. Il servizio è affidato a ragazzi giovanissimi, forse per questo molto approssimativo. Il tavolo era veramente sporco.
Sagada: Yoghurt House, offre ottimi piatti, davvero ben preparati. Assolutamente da provare lo yoghurt ed anche i biscotti che producono artigianalmente. Prezzi più alti della media filippina ed orari di apertura al pubblico da nord Europa (si cena fino alle 20.30, non oltre!)
Manila: Super Six, nei pressi dell’Hotel Malate. Si tratta di una “bottega” con il cibo esposto, la cucina a vista e qualche tavolo di plastica in strada. Frequentato esclusivamente da Filippini, offre porzioni estremamente abbondanti ed economiche. Tra le specialità: orecchie di maiale arrostite, pesce, vongole, nodles, ecc. Esperienza autenticamente filippina ma consigliata solo ai più stoici.
Sabang: Green-Verde: Si viene messi in riga da una cameriera poco più che adolescente che vi chiamerà per numero (assolutamente da non dimenticare se si vuole mangiare). La cucina però è valida, i piatti sono buoni ed il costo sicuramente contenuto. Non vengono serviti alcolici.
El Nido: El Nido Corner: Ho mangiato del buon pesce pre-ordinato nel pomeriggio. Il locale ha un’ottima posizione direttamente sul mare, l’attesa per magiare è stata però decisamente lunga. Wi-fi gratutito. Una cena a base di pesce (abbondante) riso e birra è costata all’incirca 10 € a testa.
– Altrov’è: pizzeria molto frequentata di proprietà di un nord-europeo. Ambiente gradevole, pizze cotte nel forno a legna, buone, considerato dove ci si trova. Ai locali interni si accede senza le scarpe!
Atmosphere: elegante locale direttamente sulla spiaggia, molto cool. Prezzi appena più alti della media. Offre pesce, piatti tipici e ottimi cocktail da sorseggiare seduti sopra grandi cuscini nel dopocena.
Coron: Ristorante del Sea Dive Resort: me ne avevano parlato come uno dei migliori della zona. Io non ho mangiato bene, poca scelta, un Blu Marlin durissimo e prezzi non particolarmente convenienti. Lolo Nonoy’s Food station: si mangia all’aperto sotto tettoie di legno. Propone una vasta scelta di piatti filippini in porzioni abbondanti, gustose ed economicissime. Davvero valido.
Voli
Tratte intercontinentali Roma-Manila con Saudi Arabian Airlines, con scalo a Ryahd. Posti in economy relativamente comodi e spaziosi, inoltre viene fornita la bustina con calze, mascherina e dentifricio-spazzolino. Cibo apparentemente nella media anche se poi in più d’uno siamo stati male dopo aver mangiato, non mi era mai successo prima. Saudi Arabian, come compagnia di bandiera di un Paese mussulmano non serve alcolici e questo posso capirlo poi però arriva a veri e propri estremi… Sul volo di rientro in partenza da Manila, poiché faceva veramente caldissimo mi sono presentata al chek in in bermuda e T-shirt, il personale mi fa immediatamente notare che così non solo non sarei potuta salire a bordo ma nemmeno mi avrebbero rilasciato il biglietto, non me lo faccio ripetere e mi infilo all’istante un paio di pantaloni lunghi sopra quelli che già indossavo. Altri nelle mie stesse condizioni, chiedevano di potersi cambiare in bagno una volta terminato il chek in, ma nulla, si arriva quasi allo scontro diplomatico perchè dovevamo avere tutti (uomini e donne) le gambe coperte; ribadisco che ci trovavamo ancora a Manila, Paese a netta dominanza cattolica, con una temperatura di 42°. Al momento di salire in aereo poi, la hostess mi intima di infilarmi la felpa perchè mostravo gli avambracci. Peccato che una volta accomodati, il volo e quindi anche la climatizzazione sono partiti con oltre un’ora di ritardo, vi lascio immaginare gli odori di quel volo strapieno.
Voli interni, Manila – Puerto Princessa e Coron – Manila acquistati on-line da Philippines air line, compagnia che rientra nella black list europea, ma purtroppo per raggiungere certe destinazioni non c’è alternativa. La franchigia del bagaglio da stiva è di 10 Kg, oltre questo peso si pagano 4$ a kg in eccesso. Il costo dei biglietti rimane contenuto anche acquistandoli senza largo anticipo, non sono rari ritardi e annullamenti, non necessariamente imputabili alla compagnia.
Spostamenti Interni Per chi desidera visitare il Paese ed avere una visione d’insieme va detto che i trasferimenti nelle Filippine rappresentano tuttora un problema. I trasferimenti su strada sono estremamente lenti, sia per il traffico che per le condizioni del manto stradale. Purtroppo per diverse tratte (come da North Luzon a Manila) non esiste alternativa. Le varie isole sono invece collegate sia da traghetti che da voli aerei, entrambe queste soluzioni non sono note certo per la loro sicurezza!
Moneta
La moneta ufficiale è il peso Filippino (PhP). Un euro vale all’incirca 58 PHP.
In conclusione
Sono tornata entusiasta da questo viaggio, con un ginocchio bloccato (per il trekking alle risaie), un molare rotto e una micosi del dorso (vai a sapere come veniva lavata la biancheria negli alberghi…) ma con gli occhi illuminati e gioiosi. Da diverso tempo non vedevo un mare così bello ed un popolo sorridente, a forte vocazione religiosa (cattolica) ma aperto, tollerante e cordiale. Insomma un arcipelago, dove ancora risuonano gli echi coloniali ma soprattutto dove tra foreste vergini e insenature solitarie, l’incredibile diviene realtà.
F.