Fès Festival
Al piccolo aeroporto di Fès troviamo il tassista inviatoci dai gestori del Dar Seffarine, come concordato. In tre quarti d’ora arriviamo al parcheggio, nei pressi della medina. Con rapidità percorriamo le stradine che ci conducono ad un antro oscuro. All’apertura del portone ci troviamo nella migliore sistemazione che potessimo desiderare. Un’oasi di silenzio e frescura nel cuore della città vecchia. I nostri occhi, rapiti dalla bellezza della casa, saettano tra le eleganti piastrelle e l’antico mobilio. Dall’accogliente cortile interno visioniamo la splendida camera, percorrendo curiosi le scale e dalle feritoie nel muro udiamo le voci della medina. La terrazza si apre a noi come un punto d’osservazione privilegiato per veder scorrere la vita di questa parte di mondo. Il ragazzo che ci accoglie, Mohammed, ci suggerisce di andare a visitare la zona del palazzo Reale e della Mellah poiché il venerdì, giorno di riposo, la medina “sonnecchia” e molte botteghe sono chiuse.
Cogliamo al volo il consiglio e dal vicino parcheggio Bab Rcif prendiamo un petit taxi fino al Palazzo Reale. Intravediamo appena le mura ed un ricco portale, quando veniamo fermati da un anziano smilzo con un berretto rosso che in francese ci chiede se vogliamo vedere il quartiere ebraico (Mellah). Classico esempio di “faux guide”: ragazzi o uomini non accreditati che conducono il visitatore in giro per la città illustrandone vita morte e miracoli in cambio di sonanti dirham. Seguiamo l’anziano parlottando tra noi e concordando sul fatto che costui ci stava portando in affascinanti e decadenti vicoli che non avremmo mai trovato o provato. Decidiamo di assecondarlo. Visitiamo quello che è consigliato in ogni guida cartacea … cimitero, sinagoga, banchetti del mercato, artigiani specializzati, ecc. … scattando suggestive fotografie, felici del fatto che, nonostante sia pieno giorno, la temperatura è fantastica (la sera precedente ha piovuto: per due giorni godremo del fresco per poi arrivare ai 40 gradi di lunedì). L’arzillo accompagnatore (ripensandoci, non era così attempato ma le vicissitudini di una vita non era state clementi con lui) ci conduce immancabilmente ad un negozio di tappeti. Eccoci, siamo finiti nel “sacco”! Chiacchieriamo comunque con il gestore dell’emporio e Alberto scova una splendida stuoia che in camera non starebbe male … inizia la feroce contrattazione, si alzano i toni e comincio a sudare copiosamente finché non spunto un prezzo adeguato. Ridiamo e ci scattiamo fotografie dopo che la mamma del gestore convalida il mio ultimo prezzo con la sua benedizione. Considerando che siamo atterrati da poche ore Alberto ed io stringiamo un patto: basta acquisti fino all’ultimo giorno.
In realtà contrattiamo anche con la nostra guida dimezzando il prezzo della sua “assistenza”.
Riprendiamo a passeggiare da soli in cerca di Bab al Makina, il luogo dove vendono i biglietti dei concerti per il Festival. Siamo a pochi passi e ci accorgiamo che “berretto rosso” ricompare al nostro fianco cercando di venderci un po’ di hashish. Ringraziando, decliniamo l’insana proposta. Cammina cammina, giungiamo a Bab Boujeloud, dove c’è una concentrazione di localini dove spezzare la giornata con uno spuntino o un profumatissimo tè alla menta. Entriamo poi alla vicina Medersea Bou Inania, percorrendo anche i dintorni. Il tempo vola e torniamo in petit taxi al Dar Seffarine per un riposino. Prima di cena saliamo in terrazza e ci lasciamo accarezzare da una brezza dolcissima, che trasporta le musiche che provengono dai palchi vicino a Bab Boujeloud, dove si svolgono i concerti gratuiti.
I proprietari del riad ci hanno invitato ad una cena in cortile con degli amici. Siamo una decina provenienti da tutto il mondo. C’è una matura coppia olandese che mi ricorda i protagonisti de Il Tè del deserto, in bilico tra magia e tragedia. E Sean uno spassoso architetto americano che vorrebbe tornare in Italia ma ha finito i soldi per viaggiare. Ricorderemo la memorabile serata e l’amabile ospitalità per tutta la nostra vita.
La mattina successiva, in terrazza, mentre osserviamo increduli la ricchezza della nostra colazione, chiediamo a Mohammed di procurarci una guida affidabile per la medina. Prezzo concordato anticipatamente: 250 dirham. Usciamo dal fresco cortile interno e già da piazza Seffarine notiamo un frenetico via vai di gente: certo, non è più il calmo venerdì! Partiamo alla scoperta degli artigiani “medioevali” con una guida eccellente (che parla italiano, sorpresa gradita). I tintori, gli ottonai, i pescivendoli, i macellai, i fruttivendoli, le pastaie, i tessitori, i falegnami, i marmisti, i farmacisti, i devoti e i forni, le macine, le concerie, i muli, le spezie in un tripudio assoluto di arti e mestieri. Sono una persona tendenzialmente entusiasta e mi piacciono persino i severi sguardi degli anziani bottegai. Ringraziamo la guida e conosciamo anche la moglie che, dopo aver lasciato il pargolo alla nonna, era in giro a far compere di tessuti (tutto il mondo è paese!). Vorrei tornare in piazza Nejjarine, dove si affacciano il bel Museo del legno e una fontana caratteristica, ma pattugliamo i dintorni senza trovare la nostra destinazione. Raggiungiamo la terrazza per rivedere il tramonto, un rito che svuota la testa di ogni pensiero e preoccupazione e ci riconcilia con noi stessi. Ceniamo all’interno del Dar Seffarine (circa 40 € in due). Mangiamo tantissimo, indugiando tra le gustose portate e assaporando ogni boccone di verdura e carne. Per la seconda sera consecutiva non ci resta altro che elogiare questi meravigliosi piatti della tradizione marocchina (tajine di pollo ricco di mandorle, couscous, brochette, deliziose melanzane, ecc.). Dopo l’immancabile tè alla menta risaliamo in terrazza. Alberto si dedica alla fotografia mentre io mi distendo ad osservare le stelle e la luna… indescrivibile sensazione di pace. Riflettendo, a nostro parere, Fès si rivela una città “dura e pura” nel senso che il visitatore non può aggirarsi inconsapevolmente svestito, scosciato o sbracciato, tra questi antichi vicoli. Non può fotografare a casaccio donne e uomini ma chiede il permesso e spesso è negato. Non entra nelle splendide moschee. Abbiamo scoperto che non ci sentiamo a nostro agio a girare di notte da soli. Abbiamo assistito a due incredibili risse tra commerciati e tra ragazzi con uso di spranghe e catene di ferro.
Detto questo, la ruvidità esterna della città di Fès copre un animo nobile. La curiosità dei bimbi, la calda accoglienza insita in un invito a cena, la cucina indimenticabile ed elegante, la dolcezza infinita dei tramonti e, soprattutto, la medina che si offre ai nostri occhi così com’è, autentica.
La mattina successiva concordiamo con Mohammed l’affitto di un mezzo per visitare Volubilis e Moulay Idriss (circa 60 € in due). Nel tragitto osserviamo i regolari appezzamenti di ulivi che si alternano a terre dove si sta svolgendo la trebbiatura. In un’ora e quarantacinque minuti siamo a destinazione. L’autista è più che cauto per strada, quasi lento. A casa abbiamo un bellissimo libro dedicato alle Città perdute con un capitolo dedicato a Volubilis. Il sito merita ampiamente una visita ma è una disperata via crucis tra le erbacce alla ricerca dei mosaici, delle case, dei reperti. Fotografiamo le cicogne che nidificano sopra le colonne romane e un gruppo di ragazzini in gita che ci rivolgono mille domande in francese. Il sole picchia ma all’ombra delle colonne si sta bene. Lungo il decumano rintracciamo i resti di questa città con influenze fenice e cartaginesi ma con tutte le peculiarità dell’avamposto dell’impero romano: ci intristiamo pensando a quanto si potrebbe fare per questo bel sito “quasi” abbandonato. Andiamo a bere una bibita fresca dove ci aspetta il nostro cortese autista. Partiamo e, percorrendo la strada più panoramica, si apre a noi Moulay Idriss. Scendiamo e ci inoltriamo per le stradine ma siamo accaldati e stanchi. Ci sediamo con un sarto che ha l’età di mio padre e ci racconta dei suoi figli. Sono incantata dalle tovaglie che sta ricamando e visto il prezzo risibile acquisto queste meraviglie. Devo ammettere che non ho voglia di salire alla “terasse” e salutiamo il paese “sacro”. Al ritorno ci facciamo una doccia e con un petit taxi andiamo alla porta blu, Bab Boujeloud. Beviamo l’ennesimo tè alla menta in una terrazza tra i tetti, ascoltando alcuni ragazzi che suonano la chitarra e il vento leggero che ci restituisce vitalità dopo le sudate odierne. Poi scendiamo a cena (circa 10 € in due) perdendoci in chiacchiere con un ragazzo ungherese. La nostra meta è lo spiazzo dei concerti gratuiti. C’è tantissima gente, giovani e famiglie con bambini e la musica ritmata da il tempo al volo frenetico di centinaia di rondini sopra di noi.
Il Festival occupa vari spazi tra la medina e il Palazzo Reale e i concerti partono da metà pomeriggio fino a notte inoltrata, attraverso un ideale passaggio di testimone tra le differenti location (tra cui anche il Museo Batha). Ampie informazioni si trovano sul sito internet o in loco.
Proseguiamo per Bab al Makina e ci accaparriamo i migliori posti nel settore B. Comincia una sfilata della classe benestante di Fez che trova posto nel settore A, di fronte a noi. I ragazzi in camicia e mocassino e la ragazze con tacco alto e abiti graziosi. Le signore eleganti e gli uomini in completo scuro. Sembra di essere a Milano. Sean, l’americano, ci spiega che costoro si sentono ad un appuntamento sociale, più che ad un concerto. Ben Harper quasi si commuove ad essere qui, davanti la porta monumentale del Palazzo Reale, sotto un cielo stellato, nella calda notte di Fès, per la prima volta in un paese islamico, tra i ragazzi che cantano ogni strofa con lui … Al termine del concerto, saliamo su una macchina tipo petit taxi guidato da una donna che ci riaccompagna in Bab Rcif e su di corsa, tra le stradine buie fino al portone del nostro rifugio. La mattina chiudiamo le borse e decidiamo di percorrere interamente le due strade principali della medina e lasciarci condurre dagli eventi. Da Bab Boujeloud andiamo giù fino per Talaa Seghira con varie deviazioni e troviamo infine la piazzetta Nejjarine dove ci sediamo a dissetarci. Risaliamo e ci fermiamo a bere un altro tè alla menta. E’ una giornata caldissima ma all’ombra si sta bene. Oggi ci sentiamo a nostro agio nei vicoli della medina, giriamo sicuri e senza cartina.
Facciamo acquisti di spezie e ceramiche lungo Talaa Kebira e ci incamminiamo infine per recuperare i bagagli. Mentre percorriamo le curve in salita per uscire dalla medina, continuo a ripetermi che Fès è stato un piccolissimo e gustosissimo assaggio di Marocco.