Fantastica avventura in terra africana

Da Cape Town lungo la Garden Route: un sogno chiamato Sudafrica
Scritto da: Marilisa Somma
fantastica avventura in terra africana
Partenza il: 22/07/2014
Ritorno il: 08/08/2014
Viaggiatori: 6
Spesa: 2000 €
Scrivo, oggi, con ancora la terra d’Africa nei vestiti e i colori sudafricani che mi illuminano la mente.

Ci sono occhietti color carbone e abbracci dei bambini delle town ship che difficilmente si possono dimenticare, così come rimbombano nelle orecchie, ancora fragorose, le onde dell’oceano che si infrangono sugli scogli mentre, non troppo lontano dalla riva, le balene, accompagnano i loro cuccioli nel loro percorso che parte da False Bay (Cape Town) e continua lungo tutta la costa. Ci sono strade che definirle tali sono riduttive: mentre guidi la tua auto, gli occhi non riescono a seguire la linea ma vengono catturati da ciò che la circonda. Questa volta la mia avventura africana parte da Cape Town, ma oggi la vedo con occhi diversi, perché ad accompagnarmi ci sarà una guida speciale, Filippo Giancane, un italiano ‘africanizzato’, (www.africamore.com), che mi conduce in quartieri di Cape Town poco turistici, quartieri che vogliono uscire dal concetto di ghetto e diventare il luogo dove bianchi e neri si incontrano, giovani artigiani vendono piccole opere d’arte mentre assapori deliziosi piatti vegetariani o asiatici rivisitati. Arrivo al quartiere di Woodstock, vissuto fino a pochi decenni fa prevalentemente dagli ex schiavi ma che oggi, invece, in complessi industriali recuperati, vede incontrarsi, in botteghe di abbigliamento vintage o di artigianato locale, bianchi, colours e neri, artisti e politici, in un tripudio di colori e profumi indimenticabile.

Ma vago anche nelle town ship della Città, tra le case e le baracche degli africani che, ancora oggi, abbandonano la campagna e, sognando un futuro migliore, approdano nelle città dei ‘bianchi’: oggi le town ship non soggiacciono più alle regole dell’Apartheid (che non consentivano ai neri di uscire dai loro quartieri, se non in possesso di pass e solo per recarsi nei luoghi di lavoro) ma sono quartieri allegri e dotati di servizi ed infrastrutture. La domenica, nella town ship di Langa, accompagnata da nere elegantissime e da bimbi saltellanti, assisto ad una celebrazione religiosa in una chiesa, con canti corali e preghiere accorate.

Al mio arrivo a Cape Town, eletta World Design Capital 2014, città cosmopolita ai piedi della Table Mountain ed affacciata su uno spumeggiante oceano, mi abbraccia un cielo plumbeo, minacciose onde selvagge investono le bianchissime spiagge di Table Bay e di Camps Bay: fieri e coraggiosi i ragazzi con i kitesurf salutano il mio arrivo. Rallegrano i colori sgargianti del quartiere malese di Bo-Kaap, riscaldano i profumi dei caffè dei mercatini rionali, ti strappano un sorriso gli scoiattoli del giardino della Compagnia (dove si trovano gli orti creati dal fondatore della città), rifletti davanti al pezzo del muro di Berlino regalato dal popolo tedesco a Nelson Mandela come simbolo della lotta per la libertà; c’è musica tradizionale africana al mio arrivo al Waterfront, una foto accanto alla statua di Nelson Mandela ed inizio a vagare per i quartieri, dove palazzi in stile inglese si fondono con quelli olandesi e con le ultime creazioni degli architetti moderni, dove incontri neri che ti chiedono cibo e vestiario ed elegantissimi bianchi che ti strizzano l’occhio quando scendono dalle loro Jeep o Ferrari.

Improvvisamente il vento porta via le nuvole ed un cielo blu e limpido mi invita a salire sulla Table Mountain, diventata una delle nuove sette meraviglie del mondo naturale: salgo sulla teleferica che durante il tragitto gira a 360 gradi e Cape Town è ai miei piedi: passeggio sulla cima della Table mentre godo della ‘tazza’ (cioè una porzione della città racchiusa dalla montagna) ed un dassie, (una procavia, lontana parente dell’elefante) che sgranocchia un popcorn caduto dalle manine di una bimba colour, accompagna la mia passeggiata fino a quando si nasconde, sparendo dalla mia vista, nella bassa vegetazione locale, chiamata fynbos (in afrikaans, cespuglio fino).

E poi via, fuori dal centro città, lungo la panoramica e spettacolare Chapman’s Peak, rallegrata dalle protee purpuree in fiore, verso Hout Bay a vedere le otarie del capo, fino ad arrivare a Cape Point, dove i babbuini mi sbarrano la strada a mò di saluto. Salgo su, fino al faro ed osservo l’oceano, fino alla False Bay alla ricerca delle balene. I pinguini di Boulders riempiono il mio pomeriggio con le loro buffe camminate verso l’oceano: Filippo mi racconta che i pinguini stanno lasciando il Capo e si dirigono verso Betty’s Bay, luogo più selvaggio ma più tranquillo per loro. Non mi resta che passeggiare per Simon’s Town, piccolo paesino affacciato sull’oceano, frequentato sempre da surfisti e sportivi ma anche da famigliole e coppie che desiderano rilassarsi sulle sue spiagge bianche. A Kalk Bay, mi fermo alla friggitoria di alcuni pescatori ed ordino un ‘combo’, combinazione di calamari, gamberi e merluzzo fritto: è una goduria!

Le giornate si susseguono velocemente, saluto Cape Town e dopo l’incontro con le balene ad Hermanus, chiacchiere scambiate con un pazzo artista del riciclo a Barrydale, un caffè lungo la strada al Ronnie Sex Shop, dopo le cascate e le Cango Caves, mi dirigo verso la Garden Route, una delle strade più panoramiche del mondo, e nella natura più selvaggia (dove al fynbos si alterna la foresta temperata), valico montagne (molto apprezzate dagli amanti del trekking) attraverso dei passi spettacolari, allevamenti di struzzi e pecore, città costiere dalla bellezza indimenticabile, b&b caratteristici, botteghe di artisti, una piana dove sono presenti cinque laghi (tra cui il lago dolce più grande del Sudafrica), e giunta nei pressi del delizioso paesino di Knysna, (che in san vuol dire ‘difficile da raggiungere’), mi soffermo a sognare gli sbuffi del treno a vapore che un tempo correva, senza fretta, lungo una tortuosa ferrovia e collegava George a Knysna.

Un pomeriggio di sosta al River Dick, dove gusto il bobotie, un piatto tradizionale della cucina sudafricana ma di origine indonesiana, ed osservo famiglie risalire, in canoa, il fiume, mi permette di organizzare un safari all’Addo National Park, dove, tra ruggiti di leoni e sbuffi di elefanti alla pozza, si conclude la mia avventura africana e mi fa sognare il prossimo ritorno nel Continente Nero.

Ma questa è un’altra storia.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche