Etiopia: sul tetto dell’africa
Un’ incessante folla tutta bianca vestita s’ intravede dalla città bassa salire e scendere le vie quasi verticali di Lalibella, proviamo difficoltà a seguire la gente che si affretta di un passo sostenuto ad assistere alle varie cerimonie. Lalibella, la copta, è in festa!!! È la Timkat, l’epifania copta dove si celebra la nascita del Signore con grand fervore. I canti religiosi dei preti si sono impossessati della città ed ogni rito è accompagnato da una dolce e lenta melopea che come uno swing culla la folla. Qui non esistono grida ed eccesso, si condivide la gioia della nascita del Signore guardando i sacerdoti cantare e ballare. In questa vigilia della Timkat un’ atmosfera di pace e di armonia vige sulla città del re Lalibella. Avviluppati in grande lenzuola bianche, dei pellegrini dormono per terra laddove i riti del battesimo si svolgeranno, sorvegliando cosi tutti i libri sacri delle chiese del vicinato riuniti per l’occasione sotto uno stesso tendone, mentre in un’altro i preti canteranno tutta la notte accompagnando le loro evoluzioni della lancinante musica dei tamburi e delle sistre e, bagnati di luce e benedetti lasceremmo con rimpianto Lalibella.
Viaggiammo alla meno peggio sulla strada creata da Mussolini, 1800 chilometri d’Addis Abebba sino ad Asmara costruita dagli italiani alla fine degli anni trenta. Ma oggi cosa penserebbe il Duce se al posto della sua gloriosa armata vedesse sfilare questo battaglione d’asini che a stenti riescono a stare in piedi sotto il loro pesantissimo carico, questo flusso ininterrotto di contadini e bambini che di un passo rapido e regolare si affrettano verso i mercati della zona e le scuole? Dell’occupazione italiana rimane soltanto questo lungo nastro d’asfalto dove camminano instancabilmente dei milioni d’etiopi… perché cammina l’etiope come se la propria vita ne dipendesse! Ma andrà? Cammina dal suo passo docile e ondeggiante, quasi sempre a piedi nudi, a volte delle misere scarpe sono attaccate al suo bastone da pellegrino, indispensabile e fedele amico dell’abissino. Non si sposta mai senza di lui, formano un unico corpo talmente sono inseparabili, molto di più di un aiuto, è lui collocato sulle spalle che qualifica le varie etnie che cosi camminano verso il loro destino. A nubi, grappoli, gruppi, uomini, donne e bambini si fanno strada, tutti si dirigono dritto davanti a sé a volte con carichi molto pesanti, a volte accompagnati dal loro gregge; sembra una lunga sfilata umana che, senza rumore, come dei rifugiati, cerca il suo posto su questa terra.
Ma da dove arrivano, avranno una meta da raggiungere? La domanda rimane aperta a vederli spuntare cosi da tutte le parti, da dietro gli alberi, le pietre, le montagne. Ovunque si posano gli occhi poveri disgraziati compaiono. Discendono irti pendii per economizzare dei chilometri, tagliando di qui, tagliando di là provando a giungere cosi al più presto la loro destinazione. Ma dove vanno cosi passo dopo passo? Al mercato? A scuola? Nei campi? Nessuna pare saperlo e preoccuparsene ma però la loro lunga marcia porta in sé una finalità: quella di pervenire a migliore vita. E in attesa, calpestano la terra nera come il color delle fronte sudate che lavorano, sperando che la loro lunga ricerca verso la felicità sarà breve. Ma in quel paese cosi carente ogni passo pare allontanarlo da quella aspirazione e l’etiope continuerà, ancora a lungo, a camminare dal suo lungo passo docile verso il suo destino sul tetto dell’Africa… Informazioni a: angy8@bluewin.Ch