Esplorazione della vera Tallin
Nei miei viaggi, ho sempre avuto la passione di scoprire luoghi poco frequentati dai turisti, dove però si riesce ad assaporare la storia del paese che si sta visitando. Questi luoghi ti permettono di avvicinarti agli abitanti del posto e avere delle informazioni che si potrebbero difficilmente trovare sui libri e sulle guide turistiche. Questa estate, attraversando il nord Europa in treno, ho fatto sosta a Tallinn in Estonia per una notte. L’ostello “The Monk’s Bunk”, in cui mi sono fermato, offriva l’opportunità di visitare una prigione sovietica, che era rimasta attiva fino al 2004. Mi sono informato subito sugli orari delle visite e mi sono iscritto, non sapendo bene cosa aspettarmi da un non-luogo come una ex-prigione. E’ possibile anche visitare la Soviet Prison (Suur-Patarei, Kalaranna 2) autonomamente recandosi direttamente sul luogo, pagando un euro. Tuttavia, la visita offre l’opportunità di esplorare anche parti della prigione solitamente chiuse ai turisti.
Il carcere, pur non essendo molto lontano dal centro città (solo 15 minuti a piedi dall’old-town, è vicino al porto), non attira molti turisti a differenza, per esempio, dell’Asinara, che avevo visitato anni fa. Solo pochi decidono di avventurarsi per scoprirlo. La struttura colpisce subito per due motivi: la grandezza e il forte senso di decadenza. Infatti, tutto l’edificio è pericolante e mal tenuto, pur non essendo più utilizzato da soli otto anni. Il motivo ci verrà spiegato da una guida volontaria, che ci mostrerà anche aree solitamente chiuse ai visitatori. Ci dice che non si riesce a preservare l’intera prigione per la mancanza di fondi, che si cercano di raccogliere in tutti i modi possibili. Ci indica ad esempio un piccolo palco provvisorio, che può essere affittato per tenere feste alternative e concerti rock.
Entriamo nella prigione dall’ingresso principale, come i detenuti, con in testa l’avvertimento della guida di non chiudere le porte perché i lucchetti sono automatici e un po’ usurati: potremmo rimanere intrappolati in una cella finché un ferramenta non venisse a forzare la serratura. Tutte le porte sono aperte e nessuno si prende il rischio di sperimentarne l’ effettiva efficacia. Camminando nei corridoi, sbirciamo in maniera furtiva nelle piccole celle, trenta letti ammassati uno sopra l’altro. Ci stupisce soprattutto ciò che è stato abbandonato all’interno delle mura della prigione. Infatti molti letti hanno ancora i loro materassi sghembi e le coperte rattoppate. Si respira l’aria di un luogo vissuto, su cui regna ora un sacro silenzio, che è rotto solo dai sospiri degli altri visitatori e dal rumore violento delle porte metalliche, che sbattono in lontananza, probabilmente mosse dal vento. Più ci si immerge all’interno della prigione, più si sente un forte senso di oppressione e anche se si sta facendo un semplice tour guidato, si teme quasi di non poter più uscire… Di non poter più fuggire. Dopo aver girovagato per due ore, l’uscita dalla prigione ha sapore di libertà. Finalmente lontani dalla luce tenue di vecchie lampadine, che avevano segnato le ore di troppi ignoti “ospiti”.