Esperienza nel cuore del popolo Saharawi
Stanca di continuare a lavorare come impiegata negli uffici, mi sono finalmente data una mossa, ho frequentato la scuola superiore serale, e nel 2007 ho preso il diploma di Tecnico dei Servizi Sociali.
Convinta di trovare un lavoro in questo settore, ho lasciato il mio impiego per iniziare la mia nuova carriera. Prima però avevo bisogno di “staccare la spina”, e così ho deciso di aggregarmi ad un gruppo di amici svizzeri che partivano per il Marocco per preparare una spedizione del tutto speciale.
E’ così che è iniziata la mia avventura.
Era la prima volta che toccavo terra africana, e i vari paesaggi del Marocco mi hanno subito stupita ed entusiasmata. Ma sono stati soprattutto i colori della Natura che hanno lasciato un segno profondo! La grande sorpresa però è stato il deserto. Quando abbiamo lasciato alle spalle M’hamid, l’ultimo villaggio sulla strada asfaltata, e ci siamo inoltrati in quei paesaggi brulli del Sahara, ho subito avvertito un senso di “casa”. Finalmente potevo respirare, essere libera! Non eravamo soli ad avventurarci nel deserto: ci guidava il responsabile di un progetto di tutela di fauna e flora in via di estinzione in quella zona. Meta del viaggio e sede del progetto l’Oasis Sacrée, che si trova a 45 km di pista da M’hamid e a 12 km dalle incantevoli dune di Chgaga.
L’Oasi si trova in una conca e la si vede solo quando ci si trova davanti! Una sorgente di acqua potabile sgorga dal terreno e forma un piccolo ruscello che ne attraversa tutta la lunghezza . All’interno delle mura di protezione si trovano i recinti per gli animali in via di estinzione (gazzelle, fennec, sciacalli, volpi del deserto ecc.), i terreni agricoli coltivati biologicamente e un’infrastruttura per l’accoglienza di viaggiatori. L’elettricità e l’acqua calda sono prodotti con energia solare.
Il progetto mi è subito piaciuto e quando il responsabile mi ha offerto di passare qualche tempo a lavorare sul posto, non ho esitato ad accettare.
Così, a fine gennaio 2008 sono partita con la mia Panda piena di materiale e la mia testa piena di interrogativi e aspettative.
L’Oasi non è abitata, tranne che dal personale che ci lavora, che, a seconda dei periodi, varia da 3 a 5 persone fisse. Prima del mio arrivo non vi erano altri operatori occidentali, e così la mia presenza ha un po’ scombussolato tutti. Da subito ho cercato in primo luogo di apprendere piuttosto che di insegnare: ero straniera in un mondo sconosciuto e non mi sembrava il caso di agire da colonizzatore! Così il rapporto con il personale è stato subito cordiale e basato sulla fiducia. Ovviamente non è stato sempre facile, perché quando due culture completamente diverse si incontrano, è inevitabile che si creino dei momenti di incomprensione. Nel cercare di far bene, spesso ho fatto dei passi falsi, semplicemente perché non conoscevo le usanze e le tradizioni. Ma poi sono sempre riuscita a chiarire le cose con i miei interlocutori e a convincerli che non era mia intenzione offenderli! Un giorno, per esempio, ho invitato dei cammellieri, che gironzolavano per l’Oasi in attesa di un mezzo di trasporto per M’hamid e che facevano perdere tempo al nostro personale che doveva preparare le tende per un gruppo di clienti, ad attendere la jeep fuori dall’Oasi. Non sapevo che mettere alla porta qualcuno è tra le peggiori offese che si possa recare ad una persona! Detto poi da una donna a degli uomini, era proprio il massimo!! Ho dovuto cospargermi il capo con molta cenere, prima di essere perdonata! Un altro episodio che mi ha colpito all’inizio del mio soggiorno all’Oasi, era legato al concetto di igiene: visto che normalmente i clienti dormivano solo una notte all’Oasi per poi proseguire in carovana, il personale non lavava le lenzuola e le federe ogni volta che i clienti partivano. Osservavo che piegavano accuratamente lenzuola e federe, poi le riponevano nei grandi sacchi di plastica. Allora ho spiegato che così non va e che è importante per i clienti di trovare sempre un letto pulito. Ho iniziato a lavare tutto come si deve, ma il personale mi guardava storto perché per loro non ero che una grande sprecona di acqua preziosa! Il mio lavoro all’Oasi verteva sull’accoglienza dei clienti, sia quelli che riservavano un soggiorno attraverso internet, sia quelli di passaggio. L’Oasis Sacrée si trova a tre quarti di rotta tra M’hamid e le bellissime dune di Chegaga. Una volta scoperto che le porte dell’Oasi erano finalmente aperte a tutti, le guide locali facevano volentieri una sosta da noi, anche perché è l’unico posto dove si possono trovare delle bibite fresche, birra compresa! Quest’ultima molto apprezzata dai clienti accaldati, e non disdegnata dalla maggior parte delle guide, che, a dire il vero, erano i migliori clienti! Anche se ero fuggita dal lavoro impiegatizio fino nel deserto, mi sono ritrovata a dover tenere la contabilità gestionale dell’Oasi – è una persecuzione! ;)) Non che sia stata una cosa complicata per via di leggi severe – tutt’altro. La complessità stava nel registrare tutte le spese che erano in parte a debito del personale (alimentazione), in parte all’Oasi (materiale, sostentamento animali, agricoltura), e in parte all’agenzia di viaggio (spese per clienti). Poi c’erano i salari del personale fisso all’Oasi, a M’hamid e del personale “a chiamata”. Ovviamente il tutto era molto nebuloso e fluido, in conseguenza di informazioni contrastanti, di personale che cambiava continuamente ecc.
La gestione più divertente era quella dei debiti con i negozianti di M’hamid, dove si acquistava frutta-verdura, carne,ed altri alimenti vari a credito. Quando i negozianti minacciavano di non darci più niente, si passava al saldo dei debiti, in base a bigliettini di tutte le forme, scritti in arabo e con importi in rial, valuta in disuso dalla notte dei tempi! Anche i giovanissimi calcolano tutti i prezzi in rial, che equivale a venti volte un dirham, cosa che continua a stupirmi enormemente! Fare ordine in tutto quel caos ed arrivare a trovare un importo comune con il negoziante, dava un senso di successo e soddisfazione non indifferente! Ma il mio lavoro era soprattutto improntato sul contatto con la Natura! Dopo due anni di lavoro in ufficio e scuola la sera, avevo proprio bisogno di ossigenarmi e di ricaricare le batterie con il sole! Durante la lunga e calda estate mi alzavo prestissimo (5.00) per bagnare le piante nell’area del bivacco, poi facevo una lunga camminata con Chico e Kerita, i due cani che avrei dovuto educare ad essere i guardiani cattivi dell’Oasi e che invece erano diventati i miei cuccioli. E va bene, lo confesso, ho un po’ fallito in questa missione! Poi c’erano da pulire i bagni e le docce, lavare lenzuola e federe, dare da mangiare agli animali, pulire le gabbie, tenere pulito il ristorante ecc. In quel periodo eravamo in tre: l’agricoltore, un simpatico berbero anziano, il cuoco e tuttofare, ed io. Il cuoco, oltre a preparare i pasti, preparava il pane ogni giorno e lo cuoceva nel piccolo forno di terracotta. Mi sono sempre rifiutata di imparare a farlo, anche se mi sarebbe piaciuto, perché con una temperatura esterna di 50°C è dura dover stare davanti un fuoco per lungo tempo a cuocere del pane! L’Oasi è un posto meraviglioso che lascia spazio per un’infinità di nuove idee. Infatti, presa dall’entusiasmo, avevo iniziato una ricerca sulle piante medicinali locali ed il loro utilizzo da parte dei nomadi. Il problema si poneva nella classificazione: normalmente avevo il nome in dialetto saharawi o berbero, ma non riuscivo a risalire nemmeno al nome ufficiale arabo. Però avevo trovato un ricercatore di piante medicinali in pensione che abita all’est del Marocco e coltiva ulivi biologici, che era disposto a venire all’Oasi a darmi una mano.
Ero anche riuscita a contattare un signore qui in Italia che fa parte dell’Associazione l’Albero della Vita” e si occupa di agricoltura omeodinamica e che era anche lui disposto a venire all’Oasi per valutare un’eventuale collaborazione per l’agricoltura in loco.
Purtroppo tutti i miei progetti e le mie proposte sono stati sistematicamente scartati o non accolti dal responsabile del progetto Oasis Sacrée, il quale, con il suo carattere diciamo “un po’ difficile”, riesce sempre a far allontanare tutte le persone che vogliono dargli una mano. Così, quando sono rientrata all’Oasi a metà dicembre dopo una vacanza a casa, ho dovuto constatare che aveva distrutto tutto il mio lavoro gestionale e che, alla fine, non sapevo più cosa stavo a fare lì! Fortunatamente al momento erano presenti all’Oasi due mie amiche, una francese e una belga, che mi hanno dato il supporto morale necessario per prendere la decisione di lasciare quel posto.
Ci siamo ritrovate a passare l’Anno Nuovo a M’hamid, ospiti di una famiglia gentilissima e accogliente. Abbiamo deciso di lasciare la brutta storia alle spalle e di inventarci un nuovo futuro: per aiutare chi veramente ha bisogno e non trova sbocchi di guadagno, abbiamo pensato di organizzare noi stesse dei circuiti nel deserto, proponendo ai clienti di alloggiare o presso un piccolo auberge-camping gestito da tre fratelli operosi, o direttamente presso delle famiglie a M’hamid.
Puntiamo con la nostra proposta soprattutto sull’incontro tra le persone di varie culture, sulla scoperta del deserto in tutta calma e sul sostegno economico per chi ne ha bisogno. Stiamo anche fondando un’associazione femminile per la produzione di artigianato tradizionale; al momento stiamo cercando di trovare degli articoli che rispondano a due quesiti fondamentali: essere legati alla tradizione ed essere vendibili in Europa.
A M’hamid c’è una piccola cooperativa che da un paio d’anni ha iniziato a produrre il tradizionale sciroppo di datteri concentrato. È un prodotto buonissimo, naturale, biologico. Basti sapere che i nomadi tradizionalmente davano questo sciroppo come primissimo alimento al neonato come una sorta di “viatico energizzante”! Stiamo cercando di trovare una possibilità di commercializzare questo prodotto in Europa – cosa che darebbe un sostegno e un futuro a questi giovani impegnati in un’impresa tutt’altro che facile in un villaggio così lontano dalle vie di comunicazione! Ci sono parecchie cose che bollono in pentola, e c’è spazio per chiunque voglia darci una mano a proseguire nel migliore dei modi il progetto! Per chi fosse interessato o a leggere il mio “diario di bordo” in versione integrale o a ricevere ulteriori informazioni sul progetto o a ricevere il programma del circuito nel deserto, mi contatti all’indirizzo: alma.Gianni@libero.It o viaggincanto@libero.It, o dia un’occhiata al mio blog: http://blog.Libero.It/Viaggincanto/view.Php Vi aspetto! Un abbraccio a tutti. Alma