Erin go bragh

Questo è stato il mio primo viaggio sull'Isola di Smeraldo, nel lontano 1996. Da allora non è passato giorno in cui non abbia sospirato, sognato e bramato di ritornare... ma forse il destino mi deve far compiere ancora altri giri prima di lasciarmi partire.. Ma quando succederà, vivrò ogni giorno della mia permanenza lassù come un regalo...
Scritto da: Linda B 2
erin go bragh
Partenza il: 08/08/1996
Ritorno il: 18/08/1996
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
Questo è stato il mio primo viaggio sull’Isola di Smeraldo, nel lontano 1996. Da allora non è passato giorno in cui non abbia sospirato, sognato e bramato di ritornare… ma forse il destino mi deve far compiere ancora altri giri prima di lasciarmi partire.. Ma quando succederà, vivrò ogni giorno della mia permanenza lassù come un regalo speciale! THE ROCKY ROAD TO DUBLIN Dublino la vedo per la prima volta sbirciando tra le nuvole mentre l’aereo atterra, adagiata tra le colline verdi e la baia a forma di mezzaluna. Là sotto le nuvole giocano sulla città, lasciandomi intravedere i parchi del centro, le stradine di periferia ed una grande strada centrale (scoprirò poi che è O’Connel Street). Appena sbarcata, passo la dogana, sono le due in punto, io saluto con uno smagliante ‘good morning!’ ed il responsabile risponde ridendo con un “oh no no no madam.. You’ve got to say good afternoon!!”.. se lo dicono loro! Recupero una mappa e chiedo al Tourist Info la via più breve per arrivare a Portmarnock, paesino nella ‘outskirt’ residenziale della capitale, dove l’agenzia ha prenotato l’alloggio presso una famiglia. La gentile impiegata mi indica la fermata del bus e mi dà qualche dritta sulla città, regalandomi qualche volantino. Esco dal terminal ancora galvanizzata sia per il volo (il mio primo!), sia per essere finalmente arrivata sull’Isola, e, nonostante sia agosto, sono accolta da una temperatura frizzate e da un po’ di pioggia. Non mi importa di bagnarmi, è pioggia gaelica! Infatti me ne sto impassibilmente ritta con un sorriso che mi va da un orecchio all’altro, fregandomene della pensilina, del k-way, dell’ombrello, del cappellino, voglio sentirmi parte dell’Isola! Voglio diventare irlandese! La mia ‘follia’ finisce dopo cinque eroici minuti, quando un double-decker verde (non so se si chiamano cosi anche qui!) mi spalanca le porte davanti.. Salgo.. Pago il biglietto con una banconota da dieci.. L’autista mi chiede se non ho moneta.. No, purtroppo non ne ho… Sorride, mi dice qualcosa che non capisco.. Poi vedendo che rimango lì imbambolata come una peracotta, mi indica la macchinetta che sta davanti a me che nel frattempo ha sputato fuori una strisciolina di carta che scopro essere il biglietto.. Sembra lo scontrino del supermercato.. Strano.. Bello, ma mi piace, ringrazio e chiedo della mia fermata, ci vorrà un bel po’ perché deve fare il giro lungo, mi dice, non importa, rispondo, sorrido e ringrazio e trascino la valigia fino ad uno dei sedili, pronta a godermi queste prime miglia irlandesi. Portmarnock è all’estremo nord della città, bisogna passare per Clontarf, Dollymount, Artane, Coolock, Baldoyle, Howth ed infine eccomi, dopo aver costeggiato uno spettacolare pezzo di baia, manca poco a destinazione, in lontananza scorgo una spiaggia lunghissima, delle rocce, un chiosco rosso fuoco che vende gelati. L’autista mi indica gentilmente che questa è l’unica fermata del paesino, gli chiedo se conosce Redfern Avenue (se è una Avenue non sarà una stradina secondaria!), purtroppo non la conosce, ma mi consiglia di seguire la strada principale, in fondo Portmarnock è tutta lì. Quando scendo, rimango abbagliata dalla spiaggia, dal colore cangiante del cielo del quale subito mi innamoro, e come in un’eco lontana mi risuonano in mente le parole di una canzone, “il cielo d’Irlanda a volte fa il mondo in bianco e nero, ma dopo un momento i colori li fa brillare più del vero”.. A ripensarci ora ad otto anni di distanza, ho quell’immagine dipinta nella mente come se ci fossi stata ieri.. Sono rimasta lì, con il mare irlandese davanti, mare che non è muto ma suona, ha una voce diversa dal nostro mare a cui sono abituata, un ritmo diverso, una tonalità differente, un canto che subito mi ammalia e mi strega, allora è vero, sono le Ondine che cantano da qualche parte e che come sirene ingannano ed affascinano il viandante che giunge su quelle terre… sono incantata, lascio che mi piova ancora addosso per un po’ (avrò mica la nuvoletta dispettosa che mi segue?), non so se ridere o piangere, non so se me lo sto immaginando o sto dormendo, speravo che l’Isola fosse bella, e se la sorte mi ha mandata proprio qui il primo giorno, cosa mi devo aspettare dai prossimi dieci? di capitare nel paradiso terrestre? (forse ci sono già!). Fissa coi piedi nella sabbia, quasi mi aspetto da un momento all’altro di vedere comparire nell’acqua la fanciulla descritta in ‘Ritratto dell’Artista da giovane’ di Joyce, “un ignoto e splendido uccello marino”…. Stephaneforos! Quando decido di smuovermi, la sorte mi si presenta sottoforma di gentil nonnina, abitante proprio in Redfern Avenue.. Dieci minuti di camminata e sono a casa. La sera mi addormento con negli occhi ancora il colore dell’acqua e la sua voce che mi culla. La mattina dopo, 9 agosto 1996, è il grande giorno. Dopo mesi di attesa, finalmente metterò piede sulle strade di Dublino, ormai sviscerata vissuta letta odorata cantata sognata disegnata rigirata immaginata mille volte nella mia mente. Torno giù verso la spiaggia alla fermata del bus, e per la fretta di attraversare quasi mi investono (devo abituarmi a guardare a destra!!!).. Oops.. Scampato per poco! Mentre mi scuso con un autista inviperito (beh, stavolta ha ragione!), attraverso, mi siedo sul muretto dietro la pensilina, ed osservo un mare smagliante e luccicante, che ad ogni minimo movimento della luce cambia di colore… Rosa, azzurro, verde, bianco; onde di spuma e vele triangolari in lontananza, vento che soffia dalla penisola di Howth con il suo faro, vento che soffia dall’Isoletta di Ireland’s Eye proprio davanti a me, gabbiani che stridono, cani che giocano sulla spiaggia, qualche temerario che si immerge, qualcuno che fa jogging, ed io rapita a guardare le onde ed a cercare di fondermi in quella tavolozza di mare e cielo che ho davanti. Da qui a Dublino è un susseguirsi di rocce, acquitrini, acqua, paludi (non per niente il nome irlandese di Dublino significa ‘la città del guado nero’).. E come leitmotiv sempre il mare che cattura, affascina ed imprigiona… È come ‘vedere’ dal vivo un libro di Joyce! “IN DUBLIN FAIR CITY” Lascio Portmarnock col bus 32 che mi porta direttamente a Marlborough Street, vicino al centro. L’entusiasmo è tanto, ma l’emozione lo batte, per cui inizio a girare per le strade un po’ disorientata col naso all’insù, mentre la mappa rimane arrotolata in una tasca. La prima cosa di cui ho ricordo sono i buskers, i suonatori di strada, sparsi in tutti gli angoli strategici della città, con i loro violini, i tin whistle, i bodhran, alcuni con le fisarmoniche o addirittura l’arpa. Il centro è pittoresco, qui usano tantissimo i colori, rosso mattone, verde acqua, giallo, blu, ocra, arancione.. Tutti si fondono e si alternano in un susseguirsi di tonalità che amalgamate, fuse ed unite insieme fanno del centro un miscuglio di voci e toni bellissimi! Davanti a me si alternano Grafton Street Nassau Street Trinity College Kildare Street St. Stephen Green ed io che cammino cammino ammirando senza fiato e mi consumo le suole su e giù per Temple Bar Christchurch Dublinia Merrion Square ed il suo parco e cammino cammino senza stancarmi senza guardare la guida, non importa, proseguo per i marciapiedi che costeggiano la Liffey, attraverso il bellissimo Halfpenny Bridge e mi butto in Henry Street, il mercato dove le bancarelle sono vecchi passeggini dalle ruote enormi ed i ragazzi vendono le stecche di sigarette in mezzo alla strada cantando strofe, passo davanti alla vecchia abitazione di Bram Stoker, di Oscar Wilde, e poi giù ancora lungo la Liffey, la Custom House, i quartieri musicali, e giu giu giu ancora fino a Windmill Lane a veder gli studi di registrazione degli U2, un colossale grassone alla finestra ride e mi dice che Bono is not here today!, io mi perdo tra i mille murales, aggiungo il mio nome ma subito scompare tra la miriade di graffiti, forse non l’ho nemmeno davvero scritto e mi sono immaginata, una caricatura di The Edge mi guarda benevola dalla strada, e cammino cammino cammino senza la cognizione del tempo, mi sembra di stare nell’Ulisse di Joyce, torno verso il centro e via ancora per i vicoli dove trovo la sua statua bronzea con bastone e cappello, poi Maggie Malone con il suo carretto pieno di goggles and mussels, mi assale una grande euforia di ricordi dove tutto si appanna si attorciglia ed inizia a girare ed io cammino cammino cammino e mi ritrovo seduta su un muretto, un mezzo sorriso sulle labbra, un macinino che frulla immagini nella mente, un gran senso di disorientamento ma una gran felicità perché io sono li davvero, sono a Dublino! DUBLIN BAY, JOYCE E GLI U2 Un pomeriggio decido di andare a visitare la casa di Bono Vox degli U2. Da qualche parte ho letto che si trova dalle parti di Dalkey, l’ultimo paese a sud della baia di Dublino. Chiedo qualche informazione alla signora che mi ospita, che mi indica la località di Killiney. Nel frattempo, durante la colazione mi racconta di conoscere una signora che conosce la mamma di Adam Clayton (il bassista degli U2).. Sorrido e dentro di me penso ‘bum, questa è la più grossa dell’anno!’.. lei mi racconta che Adam ha un appartamento al Marina Village di Malahide, è lì a poche miglia e si raggiunge facilmente.. (nota: una sera ci sono andata.. È un quartiere residenziale vicino ad un porto turistico.. Peccato che su nessuno dei campanelli delle villette c’è una indicazione su chi ci abita.. È completamente anonimo!). Finito il breakfast, ringrazio per le info e, zainetto in spalla, scendo alla fermata. Dopo l’usuale contemplazione del mio tratto di spiaggia, prendo il bus ed arrivo a Dublino. M’incammino giù lungo Nassau Street leggendo gli orari di tutte le fermate, ma di Killiney nemmeno l’ombra! A metà mattina e svariate miglia di cammino, incontro un distino signore – tra l’altro uguale a Sean Connery! – che mi consiglia di lasciare perdere i bus e prendere il DART, un treno veloce che collega tutta la baia da nord a sud, e mi accompagna fino a Pearse Station. Lo ringrazio moltissimo, faccio i biglietti per la mia destinazione e rimango davanti al binario sud ad aspettare il convoglio che arriva quasi subito. Sembra un treno delle metropolitane in tutto e per tutto, interno compreso. Guardo la cartina e conto le fermate – una decina – che mi separano da Killiney. Ancora una volta rimango affascinata dalla bellezza del paesaggio, mare blu che si confonde col cielo, cerulei sfondi di una costa a tratti sabbiosa o ricca di vegetazione e scogliere. Il tempo è un po’ incerto, nuvole grigie e gonfie in un cielo basso che si può toccare con un dito. Ancora nella mente mi risuona la canzone ‘il cielo d’Irlanda’ ed ancora una volta riconosco che tutto quello che dice è vero. Finalmente arrivo a Killiney, il cartello che indica la località è scritto in inglese ed in irlandese, la stazioncina minuscola ricorda quelle delle Cinque Terre in Liguria. Incontro un fiume di gente che lascia la piccola sala di aspetto e, come una lunga processione, si avvia verso destra, su, lungo una stradicciola in salita, Vico Road. Mi accodo anche io, non so se la direzione è giusta, ma visto che non so bene dove andare tantovale seguirli. Infatti non mi sono sbagliata, e dopo un chilometro scarso compare un cancello nero in ferro battuto con delle lastre di rame lavorate ed incise – pare da Bono stesso – con tutti i suoi pensieri ed alcuni disegni. Arrivata! Dopo la foto di rito, riprendo la via verso la cima della collinetta, ma il panorama che mi si apre improvvisamente davanti mi fa cambiare idea: ai miei piedi c’è una baia stupenda (Sorrento Bay), le onde si infrangono su una baia sabbiosa, una casa in lontananza che qualcosa dentro mi dice essere quella dove abitò Joyce. Decido di scendere, prendo una stradina laterale scivolosa ed in due minuti arrivo giù. La spiaggia non è come quella di Portmarnock ma anche qui i colori e le sensazioni non si fanno aspettare, ed esplodono come fuochi d’artificio in mille scie colorate. Come a sottolineare il pathos del momento, mi prendo la mia bella lavatina di pioggia irlandese dalla solita nuvoletta che mi segue da una settimana. Ogni singola cittadina della baia meriterebbe una visita approfondita, ma purtroppo riesco solo a fermarmi a Dun Laoghaire (dove attraccano i traghetti provenienti dall’Inghilterra), visitare il lungomare ed un museo dedicato alla navigazione. Ferma sul pontile in un molo turistico (nel frattempo è uscito un bel sole caldo), in mezzo ad una calma quasi surreale, non riesco a credere che a poche miglia a nord di lì c’è Belfast, con le sue contraddizioni e la sua guerra civile, e mi chiedo perché di tutti questi secoli di odio e guerra. “IN GLANDALOUGH LIVED AN AULD SAINT..” Un altro posto che ho scolpito nella mente è Glendalough. Ci sono arrivata per caso, trovando le indicazioni su una mappa. Il suo nome irlandese dice tutto, ‘valle dei due laghi’, e con una descrizione cosi non me lo sarei certo lasciata scappare. (per chi segue i Cranberries e conosce il video ‘Stars’.. Il lago che si vede alle spalle di Dolores O’Riordan è proprio l’Upper Lake. Inutile descrivere la mia reazione quando l’ho visto in TV!) Nella mia eterna ricerca di fermate del bus, giravo attorno a S. Stephen’s Green in cerca del College of Surgeons, quando ad un tratto vedo due autisti con uno stemma sulla divisa, “S. Kevin’s Coach” che chiacchierano.. Saranno loro? Sfodero un bel sorriso e chiedo informazioni. Uno dei due, assai somigliante a Kevin (!) Costner, sorride a sua volta e mi risponde ‘It’s my bus, dear!’ e con fare molto familiare mi prende sottobraccio, e nei dieci metri che si separano dal mezzo mi racconta tutto il percorso che seguirà, le città da attraversare, aggiunge che oggi è un po’ preoccupato perché gli fa male un dente, che assomiglio a sua figlia, che è sposato con la donna più bella d’Irlanda, e che è sicuro che il posto mi piacerà perché lui fa quel tragitto da venti anni e non si è ancora stancato di fare questo mestiere.. Il tutto in meno di un minuto!! Ah che gente meravigliosa!! Comunque ringrazio a profusione e salgo sul bus. Da Dublino si va verso sud, ed appena superata la fabbrica della Guinness (dalla strada si vede solo un muro nero alto due metri.. Molto squallido) ed il Phoenix Park, ci si ritrova direttamente in campagna ed il traffico sparisce quasi del tutto. Dopo una mezz’ora di viaggio, sto già attraversando la verde contea di Wicklow, uno smeraldo nell’isola di smeraldo! A Glendalough ci si arriva quasi all’improvviso, e dopo una curva te lo ritrovi tutto lì: l’ostello, un ristorante, una chiesina, un cimitero e degli antichi ruderi dove visse Kevin, il secondo santo d’Irlanda dopo Patrizio. Scendo nel posteggio dei bus, saluto il “mio” Kevin, e mi appresto a visitare le rovine archeologiche ed i laghi. Percorro un tratto di strada sterrata costeggiando il piccolo Lower Lake immerso in una pace monastica. Alla fine del sentiero, si apre un enorme prato con i resti di una croce celtica ed altre vestigia. Proseguo e supero una bassa collinetta coperta di erica, e davanti a me compare l’Upper Lake, una superficie scura color ematite che riflette le montagne intorno come un profondo specchio nero. Subito a sinistra un intricato bosco (non mi stupirei di veder uscire un cavaliere in armatura!) attraversato da una cascata bianca che si getta nel lago. Inutile dire che anche qui le emozioni mi inondano come una piena, e seguendo i più antichi ed ancestrali rituali umani, meccanicamente mi sfilo il ciondolo a croce che ho al collo e lo bagno nella fredda acqua del lago come a suggellare per sempre questo momento irripetibile. Anche per Glendalough, se chiudo gli occhi posso rivedere tutto il luogo in ogni minimo dettaglio, descrivere il colore del cielo e dell’acqua, il profumo di erba ed erica e rivedere il profilo delle montagne che fanno da cornice. I giorni sono volati via in un baleno. La mattina del 18 agosto sono salita sull’aereo che mi ha riportato a casa, senza nascondere un bel lacrimone. L’ultima cosa che ho visto dell’Isola è stata la mia spiaggia di Portmarnock, poi le nuvole si sono richiuse su loro stesse nascondendomi quel posto di fiaba. Ho dei bellissimi ricordi di quei giorni. Ho fatto solo una decina di foto, ma non le guardo quasi mai, non ne ho bisogno, ho tutto qui nella mente, come se ci fossi stata ieri. Tornerò. E la prima cosa che dirò quando sbarcherò sarà ERIN GO BRAGH – IRLANDA PER SEMPRE “Riverrun, past Eve and Adam’s, from swerve of shore to bend of bay, bring us by a commodius vicus of recirculation back to Howth Castle and Environs” (J. Joyce)


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