Eretici catari e Pirenei orientali
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Il nostro viaggio ha avuto due temi turistici: i siti e i castelli dei Catari, eretici medievali, e i Pirenei del Miti, sia sopra che sotto terra.
In effetti, sono due viaggi distinti, diversissimi tra loro: i siti dei Catari si possono visitare in tre giorni, i Pirenei del Midi in altri tre, e noi abbiamo aggiunto la visita della città di Tolosa, già che c’eravamo! Questo itinerario è a cavallo tra tre zone diverse su quasi tutto: natura, storia, suddivisione amministrativa, clima, eccetera: Ariège, Aude, Haute Garonne, Roussillon. Per finire: in passato queste zone erano parte importante dell’Occitania, dove ancora parlano la “Langue d’Oc”. Che dite, ci vuole fantasia?
Avendo deciso di partire per questo viaggio in Francia, avevo prenotato aereo, auto a noleggio e sistemazioni per le notti già nel mese di gennaio, poi però non me ne ero più occupata. Quindi, a tre giorni dalla partenza, riprese in mano tutte le carte, mi sono accorta che non avevo acquistato neanche una Guida, quindi non avevo idea di che cosa visitare. Credetemi, è la prima volta in vita mia che mi succede, di solito sono una programmatrice puntigliosa e maniacale. Si vede che sto migliorando. Sarà stato anche perché, questa volta, non avevamo amici con noi in viaggio, e per questo motivo mi sono sentita più libera e meno responsabile? Mah! Chi lo sa.
Da quel momento, ho preparato un programma di massima leggendo siti web, ma… con i vincoli dei luoghi di pernottamento già prenotati e di un chilometraggio massimo giornaliero, imposto dalla ditta da cui avevamo noleggiato l’auto. Curiosa cosa, non ci era mai successo nei precedenti noleggi, in altre città del mondo. Ma non è l’unica cosa curiosa che ci è successa, come leggerete in questo diario. Del resto, le stranezze e i problemi da superare rendono i viaggi più interessanti, no?
Ad ogni modo, questo viaggio ha segnato il nostro record stagionale: 1.090 chilometri, in maggio, in Francia, senza mai prendere una goccia d’acqua. Tutti i giorni pioveva sui posti che visitavamo, ma solo poco prima o poco dopo la nostra permanenza, o di notte. Fortuna sfacciata.
4 maggio: MILANO – TOULOUSE
Siamo partiti da Malpensa, in serata, con Easy jet. Il primo problema è stato raggiungere con il pullman l’aeroporto, perché due cretini si erano incidentati con le loro auto sul cavalcavia prima della tangenziale, creando una mostruosa coda. Siamo arrivati al drop bagagli esattamente mentre già stava chiudendo! Gentilmente, ci hanno accettato lo stesso la nostra valigia, che abbiamo visto andarsene lemme lemme sul tapis roulant. Credetemi, entrambi pensavamo che non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungerci sull’aereo, a quella velocità! Non ero mai arrivata in ritardo in aeroporto in vita mia, non lo auguro a nessuno. Arrivati a Toulouse l’abbiamo aspettata, ed incredibilmente era già arrivata! Un po’ rincuorati, siamo andati a cercare il pullman navetta per la città, ma era ormai notte. Il costo del bus TISSEO è di ben 8 euro, per un tragitto che dura meno di dieci minuti. Ma non c’è alternativa. La macchinetta che ne vende i biglietti è distanziata, però l’abbiamo trovata. Ha un software strambo, parla poche lingue, e soprattutto anziché essere “touch screen” funziona con un .. “ruota il cilindro”. Nel senso che, per confermare ogni scelta, bisogna far ruotare, con la mano, un cilindro come quello delle macchinette mangiasoldi. Avete presente le ruote su cui scorrono i tre simboli delle ciliegie, che vi fanno fare punti? Beh, qui le usano per farvi scegliere il tipo di biglietto. Ed anche è strano il fatto che ci sia un tasto chiamato “validez” che però non convalida nulla! Per convalidare… bisogna usare il tasto “validez”, quello della tastiera dove si digita il pin del bancomat. Lo so, non sono stata chiara, ma è la macchinetta che lo è poco. Il pullman stava per partire, ed eravamo ormai al nostro quarto tentativo a vuoto! Ogni volta, il software faceva ripartire tutto dall’inizio, che stress! Alla fine ce l’abbiamo fatta e siamo saliti a bordo, obliterando il biglietto. (Per quelli che andranno in futuro a Toulouse: rilassatevi: al ritorno, abbiamo scoperto che si sarebbe potuto fare i biglietti anche a bordo! Va beh… facile dirlo, col senno di poi! ).
Siamo arrivati a Toulouse attraverso strade ormai deserte ed ho scoperto che avevo prenotato un hotel vicino alla sua fermata intermedia “Jean d’Arc”. Non ero stata stupida, o ero stata fortunata. Chissà. Percorsi pochi metri, ho avuto la mia prima occasione di gridare “mèrde!”, dato che l’ho pestata. Che donna fortunata! L’hotel Le capitole è un due stelle molto, molto di base. La camera da letto era di 3 metri x 3,5. Il bagno, compreso il piatto doccia, poco più di un altro metro quadro. Con moquette, ma una stanza silenziosa e pulita. Il prezzo basso e la posizione super centrale sono ineguagliabili, bisogna solo sopportare il letto piccolo e gli spazi ridotti.
5 maggio: TOULOUSE
Il punto da segnalare in questo hotel è la cortesia dei due receptionist, superiore alla media. Siamo andati in un bar, per la nostra colazione. Quasi tutti erano ancora chiusi: quello che abbiamo trovato non era un gran che, ma il suo croissant era buono. Lo sono dappertutto, in Francia, forse perché li fanno con burro vero. La visita della città ci è piaciuta parecchio: Tolouse è chiamata la “città rosa” per il colore rosato dei mattoni con i quali molti dei suoi edifici sono stati costruiti, e la luce le riconosce un fascino innegabile. Città pulita, tranquilla, ci è sembrato che goda attualmente di una buona economia. Fondata dai Romani, ha ancora le pianta delle strade con Cardo e Decumano, come gli accampamenti dei soldati romani. Tipo l’Expo di Milano, per intenderci, ma con molta meno gente. Queste vie centrali sono sede di tanti negozi, boutique, bar, caffè, brasserie, con una vita animata e festaiola. (Se fossi una studentessa, cercherei di fare un Erasmus a Tolosa). Nel XVI secolo aveva avuto ricchezza grazie al commercio del “pastél”, una pianta locale che conferiva il colore azzurro alle stoffe di tutta Europa, poi soppiantato dall’ “indigo”, altra pianta tintoria ma esotica. Superata questa crisi, i Tolosani si erano dedicati alla coltivazione e commercio del grano, con ottimi risultati. Neanche le due guerre mondiali hanno colpito molto la città, quindi esistono ancora tutti i suoi monumenti: da quelli romanici come la basilica di Saint Fermin o il convento dei Benedettini, a quelli gotici come la Collegiata o le Torri. Abbiamo allungato il passo e, con una buona performance sportiva e grazie al bel tempo, abbiamo passeggiato anche lungo le sponde della Garonna, attraversandola con i suoi vari ponti, ammirandone isole e dighe, il vecchio mulino. C’è solo l’imbarazzo della scelta, in questa città si sta bene. L’orto botanico ha dei giardinieri veramente in gamba, tutto era fiorito e i colori erano molto bene accostati. Oltre agli uccellini, alle anatre ed alle gallinelle d’acqua praticamente abituate a comunicare con tutti, medicando cibo, c’erano in giro anche polli e maestosi galli, che circolavano liberi tra le panchine ed i visitatori. Abbiamo pranzato in un ristorantino in città, uno non proprio economico, perché morivamo di fame e non siamo stati lì a scegliere troppo. Carino, buon menu della loro fattoria, formaggi e polli veramente ruspanti, lo si capiva dai tendini robusti. A sera, abbiamo cenato in una créperie, veramente ottima scelta. Certo, non saziano molto, purtroppo bisogna ordinarne più d’una.
6 maggio: TOULOUSE – ALBI – CARCASSONNE
Visto che il giorno prima il bar non ci aveva soddisfatto, abbiamo voluto provare la prima colazione in hotel: idem. Con la navetta, siamo tornati in aeroporto, per il ritiro dell’auto noleggiata. Tramite il sito Rentalcars.com, mesi prima avevo scelto la società di noleggio auto che aveva proposto il prezzo più basso, per poi aggiungere il prezzo extra di un’assicurazione, che ci evitasse la franchigia in caso di danni o furti. Non avevamo mai acquistato da Inter Rent, ma supponevamo fossero tutte uguali. Errore! Per prima cosa, questa società non ha un proprio ufficio stabile, bene evidenziato. Il luogo di ritiro della nostra auto è solo un camper… piazzato in fondo al parcheggio P2 dell’aeroporto. Che fatica, trovarlo. In secondo luogo, ci hanno fatto firmare una nuova clausola al loro contratto, quella di riportagliela… pulita. Ebbene sì, tutte le società di noleggio si lavano da soli le auto, al ritorno dai noleggi, mentre Inter Rent non lo fa. Beh, perlomeno non gratis: pagandole un extra di 14 euro si sarebbe potuto rendergli persino… un’auto con chili di fango all’interno. Quasi quasi… ci sarebbe venuta la voglia di farlo. Ovviamente, in quel momento desideravamo solo partire da lì, a bordo di un qualsiasi veicolo, e non perdere altro tempo. Quindi, Roberto ha firmato, ma mi piace anticiparvelo: tranquilli, non ci siamo fatti fregare, non abbiamo pagato alcun extra (l’ultima sera abbiamo lavato (molto sommariamente) l’auto, prima di restituirgliela, un restauro di facciata).
Partenza per Albi, chiamata “la città rossa”, per distinguerla da quella “rosa”. È stata costruita in mattoni, ovviamente. Arrivando in centro, siamo andati subito sotto le mura (tanti rossi mattoni) della sua enorme cattedrale (tanti rossi mattoni), la più grande in Europa. Si rimane senza parole, perché questa Cattedrale di Santa Cecilia è una “mattonata” pazzesca, altissima e larghissima, con torri a campanile. Se avete presente le dimensioni del Duomo di Milano, penso sia più grande, ma in stile gotico meridionale. All’interno, su tanta grandezza hanno dipinto altrettanto enormi affreschi e ricche decorazioni. Non c’è angolo che sia libero da statue o dipinti. Costruire una chiesa cattolica romana così imponente era stato un modo per” marcare il territorio” dove era stata “estirpata” un’eresia religiosa, almeno così suppongo. Ho fotografato Roberto ai piedi del muro sul retro, e nella foto non si distingue chi sia, da tanto sembra piccolo. Una delle nostre macchine fotografiche non riusciva a “prendere” tutta la facciata, era troppo alta. Così, per vederla meglio, siamo scesi al fiume, attraversando il Vecchio Ponte. Dall’altra sponda la Cattedrale si erge enorme, ma almeno si riesce a fotografarla tutta… Aggiungendo che c’è anche il Museo del pittore impressionista francese Toulose-Lautrec, si può dire che Albi meriti una sosta, assolutamente. È stata la nostra prima sosta in uno dei siti “Catari”, anche se a dir la verità non c’è più nulla che li ricordi, li hanno cancellati. Per chi volesse approfondire, spiego qui di seguito, in corsivo, qualche cosa del Catarismo, eresia medievale. Gli altri, vadano pure avanti saltando questa parte, non mi offendo.
Nel Medioevo ci furono parecchi tipi di eresie, ed in nord Europa alcuni cattolici, disturbati dallo stile di vita del clero e dal papato cattolico-romano, si erano inventati il Catarismo, dalla parola greca “kataros” che vuol dire: “perfetto”. Si diffuse soprattutto nel sud-ovest della Francia, ma anche in Lombardia. Ogni gruppo era scarsamente collegato agli altri, ognuno si faceva la propria dottrina; solo lievi differenze. Fondavano la propria posizione sulla critica al clero cattolico-romano che viveva in modo lussurioso e secolare, mescolando affari e religione, ma erano anche giunti a rifiutare i sacramenti, a cercare di vivere in modo simile agli Apostoli, in povertà, lavorando, senza possesso di cose od abitazioni, senza mangiare carne, senza fare sesso, in modo ascetico. La loro religione era dualistica: per loro nell’uomo esistevano il Bene ed il Male, dove il primo era ricercato attraverso l’ascetismo, ed il secondo era collegato alla carne ed ai piaceri materiali. Attraverso il sacrificio l’uomo poteva raggiungere il Bene che aveva intrinsecamente dentro di sé o scegliere il Male. Sostenevano che Cristo si era martirizzato sulla croce per ascendere allo stato superiore perfetto, liberandosi dalla carne. Quindi, non credevano neanche alla Resurrezione. Aderirono al Catarismo ricchi e poveri, senza distinzioni e dividendo tutto ciò che avevano. Chiamavano sé stessi: i Buoni Cristiani, i “Perfetti”. Erano “Bonne homme” o, persino, “Bonne femme”, dato che era una religione aperta anche alle donne. Come unico sacramento avevano il viatico verso la morte, imponevano le mani sulla fronte: il cosiddetto: “consolamentum”. Cercavano il martirio, in fondo. Si lasciavano bruciare sul rogo, esaltandosene. Senza una sede stabile, fuggendo di città in città, clandestini in ogni posto, furono come agnelli in mezzo ai lupi, perseguitati dalla Chiesa del Papa Innocenzo III e dai suoi soldati Templari. Clandestini, vegetariani e imbelli, furono massacrati e si estinsero. La città di Béziers, per esempio, fu saccheggiata e bruciata, morirono circa 20.000 persone. Le Guerre di religione sono sempre state parte del nostro passato, come lo sono oggi nel presente.
Siamo ripartiti da Albi, e abbiamo raggiunto la città di Carcassone, dove poche settimane prima c’era stata una tragica strage, da parte di un adepto dell’Isis. Lo dico, perché mi è venuta in mente, proprio in connessione col passato.
Arrivati, ho “scoperto” di aver scelto un buon hotel ma dalla parte sbagliata del percorso di visita. Pazienza, qualche chilometro a piedi non ci spaventa (però Roberto non era di buon umore). Hotel Bristol: che dirne? Bello, un tre stelle lussuoso, con una stupenda camera da letto, per rapporto tra qualità e prezzo: ottimo. Ho fatto notare a mio marito che si affacciava sul Canal du Midi (monumento Patrimonio Umanità, Unesco), che permette di navigare da Atlantico a Mediterraneo. Non gli interessava, anche se ha una lunghezza pazzesca. Lasciata la camera, siamo scesi a piedi verso il Castello, medievale e cataro. Ma non è esattamente un Castello: è la più grande città fortificata d’Europa. Ha 3 chilometri di mura (lo confermo, le abbiamo percorse!), 52 torri (non le abbiamo contate, però erano tante). Dentro, è un villaggio, neanche piccolo. Dall’imponente porta d’ingresso di Narbonne si attraversano stradine medievali, ammirando vecchie case a graticcio, piazzette e chiesette. Carcassone fu il centro della crociata contro gli Albigesi. Si riusciva perfettamente ad immaginare questi soldati con la tunica crociata circolare sferragliando con le loro armi tra i vicoletti. Quel pomeriggio, più che altro c’erano bambini francesi con elmi e scudi di alluminio, comperati alle bancarelle (ci sono in vendita anche souvenir con le croce catare, ma tutti acquistano le armi dei vincitori. Si sa, è la Storia). Nella Basilica gotica ci ha accolto , con felice sorpresa, un coro malinconico: quattro bravissimi cantanti lirici e russi, con antiche melodie del loro territorio. Scambio culturale, interessante. Dappertutto, il percorso è ritmato da caffè e tavolini all’aperto, piccole botteghe di souvenir e prodotti artigianali. In giro c’era una grande folla, come in Bretagna a Mont Saint Michèl, ma dato che lo spazio è molto più ampio era meno fastidioso. Alcune parti delle mura, dal lato esterno, erano state dipinte di un bel giallo brillante, con effetti stranianti: grazie al cielo lo cancelleranno tra due mesi, perché sono state fatte per l’anniversario della data nella quale la città è stata dichiarata “Patrimonio dell’Umanità”, dall’ Unesco. A noi, le parti in giallo non sono piaciute affatto, ma si sa, sono Francesi… E questa è zona florida grazie al commercio del suo buon vino…
A cena, abbiamo gustato una pentola a testa di moule, ossia di cozze al vapore, una delle locali specialità. Lo so, a Carcassonne non c’è il mare, ma è molto vicino.
7 maggio: CARCASSONNE – LAGRASSE – FOINTFROIDE – PERPIGNAN
Dopo un’ottima prima colazione in hotel, siamo partiti per il paesino piccolissimo di Lagrasse, un borgo medievale, visitato in pochi minuti ma con lunga attesa, aspettando che aprissero la biglietteria dell’Abbazia. Faccio una digressione: mi sembra che i francesi inizino a lavorare tardi, sia bar che negozi, sia Cattedrali che Musei. Nulla, apre prima delle ore 10 del mattino! E tutto chiude dopo le regolari otto ore, cioè alle 18. Noi siamo piuttosto mattinieri, i posti da visitare erano stati scelti tutti a breve distanza tra loro, perciò, spesso, abbiamo dovuto aspettare che aprissero. Non so se siano orari ridotti, di media stagione, magari in estate li prolungheranno.
Lagrasse è un posto medievale molto romantico, e l’Abbazia è molto ben restaurata. Anzi, il restauro è tutt’ora in corso, in alcune parti, attenti a dove mettete i piedi. Alla biglietteria, abbiamo acquistato il “Passeport du sites Pays Cathare”, che da quel momento in poi ci ha concesso sconti sugli ingressi ai luoghi Catari.
Siamo ripartiti per l’Abbazia di Fointfroide, in una magnifica cornice di pini e cipressi. E’ un buon complesso architettonico costruito dai Benedettini, circondato da un giardino, un roseto, un orto di piante medicinali. Dopo la crociata contro gli Albigesi, il Vaticano diede molta mano libera agli ordini monacali Benedettini e Cistercensi, gli unici che in quel periodo professavano una vita semplice e sobria, il tutto per venire incontro ai desideri delle popolazioni locali e fare ostentazione di povertà e dedizione al lavoro. Post crociata albigese, durata vent’anni, di meglio non si poteva fare.
Siamo andati verso la successiva nostra destinazione, ma abbiamo fatto una digressione, non programmata, al mare! Sulla cartina avevamo visto che era vicinissimo… Abbiamo raggiunto la spiaggia, messo i piedi in acqua. Ancora fredda, ma il sole progettava di scottarci la pelle, e così è stato. Lunghissima spiaggia, non attrezzata, qualche baretto e ristorante, case da vacanza.
In serata, abbiamo raggiunto la grande e caotica città di Perpignan, un vero e proprio cambio di atmosfera. L’Hotel Aragon, un piccolo due stelle vicino al centro, ci ha assegnato una stanza arredata in modo grazioso, ed un comodo parcheggio. La città non era nei nostri obiettivi turistici, si è trattato solo di una sosta tecnica, per non superare il chilometraggio giornaliero che ci eravamo prefissati. Col senno di poi, non andremmo mai più a Perpignan: è sporca, mal tenuta, malandata, in poche parole: mal vissuta. Lasciate perdere. Sarebbe stato meglio soggiornare in un B%B sul mare. Siamo andati a cena in centro città, dove tutto era chiuso per una loro festa nazionale, e stendiamo un pietoso velo sul cibo. Per onestà, dobbiamo raccontare che la settimana da noi scelta per il viaggio è stata “allietata” da ben due festività nazionali francesi: l’8 maggio è l’anniversario della fine della II Guerra Mondiale, il 10 maggio è la festa di Pentecoste. Se aggiungete che festeggiano anche il 1° maggio, potrete capire che c’erano ben tre “ponti” a loro disposizione, in soli dieci giorni! Molti erano andati via in vacanza, chiudendo tutto. Molti ristoranti avevano chiuso, per mancanza di clienti.
8 maggio: PERPIGNAN – CASTELLO DI QUERIBUS – CASTELLO di PEYREPERTUSE – GOLE DI GALAMUS – CASTELLO d’AGUILAR – CAILLA
Prima colazione in hotel: scarsa, ma pazienza. Siamo partiti verso i Castelli dove i catari si erano asserragliati per difesa, ospiti dei nobili che aderivano al Catarismo. Il primo si chiama: Castello di Quéribus. Si staglia nel cielo, in cima ad uno sperone roccioso, vicino al borgo di Cucugnan.
Nota bene: da qui in poi, abbiamo iniziato la lotta col navigatore francese dell’auto, col navigatore di Google Maps, con la cartina stradale della Michelin. In pratica: non sempre i nomi dei posti erano riconosciuti, non sempre loro tre erano d’accordo, il segnale GPS è molto, molto alterno e raro. Questo, vi dà un’idea del casino, anche perché da qui in poi tutte le strade percorse sono state in collina o montagna, e tutte erano piene di curve continue ed infidi tornanti. Una cosa, i tornanti, che a Google Maps proprio non piace: l’improvviso cambio di direzione gli dà la nausea. Non riusciva a riposizionarsi, perchè a metà tornante il GPS non gli parlava più. Il navigatore francese dell’auto non voleva parlare altro che la sua lingua, e con voce perentoria ci ordinava manovre impossibili e vietate. Aveva l’abitudine di avvisarci con frasi tipo: “Tra due chilometri e 650 metri, svolta a destra alla rotonda, scegli la terza uscita”. Intanto, sfido chiunque di voi a tenerlo a mente per così tanto tempo prima di arrivare alla rotonda, poi a contare la terza uscita, che per lui comprendeva anche strettissimi sterrati per trattori. Perché un conto è su una strada normale e con una buona visuale, un conto è dirlo su stradine che ogni venti metri curvano, con vie laterali in salita o in discesa, coperte dalla rigogliosissima vegetazione, che si palesano solo per tre secondi… cu-cù! Subito dopo il nostro errore, il navigatore francese, con voce perplessa, si chiudeva su sé stesso, dicendo: “nouveau calcùl” … E non riporto, per decenza, la risposta di Roberto. Nel frattempo io cercavo invano il numero della strada sulla cartina, e Google Maps perdeva il segnale GPS e si sentiva abbandonato. Parecchie volte lo ha perso anche il navigatore francese, che non riusciva a dimostrare al collega americano la sua superiorità. Beh, anche queste sono soddisfazioni.
Ma ogni volta ce l’abbiamo fatta. Con le nostre scarpe da montagna, in una giornata di nebbia alternata a schiarite, siamo saliti per il sentiero che porta al castello di Quéribus, che sorge su una rupe a 728 metri sul livello del mare. Ci vogliono solo 10 minuti, ma a passo alpino. Imponente, circondato da tre serie di muri perimetrali concentrici, è tremendamente affascinante, come lo è anche la sala gotica del torrione. Dall’alto, il panorama sulla fertile pianura è splendido. Era il primo dei vari ventosissimi castelli che avremmo poi visitato, ma già si poteva intuire che tipo di difesa opponevano ai nemici, per la difficile raggiungibilità. Gli assaltatori sarebbero tutti arrivati col fiatone, facile farli fuori.
Attraverso stradine e stradelle, portandoci dietro navigatori straniti, siamo andati a visitare il Castello di Aguilar, perché ci piaceva il suo nome. In realtà, non è stato tra i più belli da noi visitati, è quasi totalmente distrutto (Crociata contro i Catari). Il sentiero per raggiungerlo non è difficile, ma non è tra le cose che ricorderemo con piacere, faceva freddo. L’unica cosa curiosa sono le loro toilette: non essendoci acqua in zona, dopo l’utilizzo bisogna buttare una certa quantità di segatura nel buco, cosa mai vista. La segatura è in un cassone, a disposizione degli utilizzatori della toilette. Dato che la fossa biologica è profonda, la segatura molto asciutta e recente, la pulizia ed il profumo di resina rende asettico il posto. Non male: intelligenti i Francesi!
Proseguendo, siamo andati a vedere il Castello di Peyrepertuse, soprannominato “la cittadella della vertigine”. Si tratta di una maestosa fortezza, ancora più grande e difficile da raggiungere. A piedi, si sale per una ventina di minuti, ma stando molto, molto attenti al sentiero che era sdrucciolevole, bagnato, ripido ed impervio. Il panorama, lo si guarda all’arrivo, lungo la salita si guarda bene dove si mettono i piedi. All’interno, vi sono numerose sale e architetture militari. Dal lato opposto alla porta d’ingresso il Castello si affaccia (molto verticalmente, proprio da vertigini!) su un abisso, proprio a picco su un baratro di rocce. La vista verso il basso, su questo lato, è terrificante. Salendo ancora, si sale (o si scende, dipende) per la “scala di San Luigi”, un re di Francia a cui furono dedicati questi gradini, che nell’intenzione avrebbero dovuto facilitare il collegamento con la parte alta del Castello, ma che si rivelano come … infidi e pericolosi gradini su cui è facile scivolare. Non per niente, la visita a questo Castello è vietata a: persone con handicap, bambini, persone senza le scarpe adatte (così è scritto alla biglietteria, ma abbiamo visto che i visitatori se ne fregavano, con risultati variabili: a volte cadevano e a volte no).
Abbiamo fatto una piccola deviazione, per vedere dall’alto le Gole del Galamus. La strada è strettissima, a picco sulla gola che si restringe mano a mano. Sono pochi chilometri, ma varrebbe la pena farli a piedi, anziché in auto. E’ vietato a pullman e camper, ovviamente. Verso la fine del percorso, paesaggisticamente molto interessante, c’è la possibilità di scendere per un sentiero verso l’eremo di un anacoreta medievale. Giunti a fine percorso, c’è un parcheggio da cui lo si può vedere e domandarsi, immediatamente: “ma come gli è venuto in mente di andare lì a vivere?….. E’ un posto assurdo e scosceso. Tutta la gola è percorsa da escursionisti ed il torrente da persone che lo risalgono, vestiti con le mute da sub e le scarpe apposite. In piccolo, sembrano le Gole del Verdon.
Abbiamo raggiunto, non senza difficoltà, il Bed and Breakfast prenotato, col navigatore Google che sosteneva dovessimo fare ulteriori 800 chilometri per raggiungerlo, mentre quello francese sosteneva che la località ce l’eravamo inventata noi.. Arrivati non si sa come a destinazione, in modo fortunoso, abbiamo però scoperto che era diverso dalle foto, che le recensioni non erano state sincere. Si chiama “La Terrasse” ed è a Cailla, paesino in cima ad un monte. Non andateci. La declamata terrazza in legno era disastrata, senza piante o fiori, gli arredi esterni vecchi, la camera da letto non aveva la TV funzionante, non ci hanno comunicato la password per il wi-fi (che forse era anche spento, non lo rilevavo), faceva freddo, non ci servivano la cena (perchè non l’avevamo prenotata), non c’era il sapone in bagno, per non dire del kit doccia, eccetera. La proprietaria era poco comunicativa, si è limitata a cercare di aiutarci, telefonando nei vicini ristoranti per trovare dove farci cenare. Ma invano e solo per dieci minuti, poi si è limitata a suggerirci di andare a cercare in auto, da soli, perché lì era tutto chiuso per una festa nazionale. Ma va? Da soli, non l’avremmo mai pensato. Dopo neanche dieci minuti di interazione, la comunicazione con lei si è interrotta, ritirata nei suoi appartamenti, più vista. Rientrati per la notte, abbiamo scoperto che non ci aveva acceso il riscaldamento in camera, per cui non abbiamo fatto la doccia (neanche Roberto, e lui non ha mai freddo!). Per cenare, ho cercato su Trip Advisor ed abbiamo trovato aperta una pizzeria a trenta chilometri. Che vi devo dire? Nulla, posso solo affermare che in Francia fanno la pizza Napoli, ma con il formaggio di capra. Roberto ha definito “pane non lievitato” la pasta delle nostre pizze, ed ha ragione, era una ciabatta. Sui dessert, invece: ottima la mia crèpe flambée al liquore Cointreau, e la strana barchetta di panna e creme gelato che ha gustato Roberto.
9 maggio: CAILLA – RIVIERE DE LABOUICHE – CASTELLO di MONTSEGUR – BIERT
Pensate che la padrona di casa ci abbia offerto una strepitosa “prima colazione” per riprendersi il nostro favore? No, non l’ha fatto. C’era una baguette fresca a salutarci dal tavolo, burro e marmellata. C’erano anche: tre uova sode, yogurt, frutta. Ma questo non toglie che in tutti gli altri posti ci avevano dato anche un croissant o almeno una torta fresca. E neanche ha aspettato che finissimo di mangiare: ci ha salutato, con le sue valige in mano, e se ne è andata via. Roberto ha avuto l’impressione, e secondo me ha proprio ragione, che la nostra prenotazione le avesse fatto perdere la possibilità di andarsene da lì, di farsi un bel “ponte” di vacanza in maggio. Beh, ma poteva anche dircelo, o cancellare la sua disponibilità. Ci han fatto sentire poco desiderati. Ok, avrà la nostra recensione negativa, su Booking e su Trip Advisor.
Mediante trattativa coi navigatori e guardando prima l’orario di apertura (ormai eravamo esperti!), siamo andati a Labouiche, il fiume navigabile sotterraneo più lungo d’Europa. Ormai, eravamo in pieno nei Pirenei, e il tema dei Catari iniziava a sovrapporsi al tema del mondo sotterraneo delle montagne pirenaiche! Dopo aver pagato il biglietto, ci hanno fatto salire in una barca metallica a fondo piatto, che ospitava solo una dozzina di persone. Sono barche larghe e con le panchette sempre bagnate, perché dai soffitti della grotta gocciola sempre acqua (stalagmiti e stalattiti!), e perché nella grotta fa anche freddo. Non va mai oltre i 13 gradi di temperatura. Ma all’esterno la temperatura era di 10 gradi, per cui eravamo ottimisti, vestiti da montagna. La barca non ha remi o motore: c’è un ragazzo a bordo, una Guida, che la “tira” con il braccio, aggrappandosi ad un cavo metallico sospeso sul fianco o sul soffitto della grotta. Le Guide fanno molto sforzo fisico, non c’è molta corrente che li aiuti. Si tratta di una grotta particolarissima: nel totale silenzio e con poche lampade ad illuminare si naviga per circa due chilometri sulla nera acqua, sempre sbandando a zig zag, con terribili urti dal suono metallico. Dovevamo, ogni tanto, abbassarci al massimo per non colpire col capo il soffitto della grotta, e tenere sempre le braccia rigorosamente nel perimetro della barca, per non urtare le pareti… insomma: non è il Tunnel della Morte a Gardaland: ma è molto più strambo ed imprevedibile! Nella grotta ci sono dighe, per cui abbiamo cambiato barca per tre volte, alternando la navigazione a brevi camminate, e c’è anche una grande cascata. Abbiamo anche visto un animale acquatico: un tritone. Sia chiaro che malgrado quanto descritto non è un posto pericoloso, però è un mondo sotterraneo, e questo agli umani offre scenari diversi, affascinanti. Soldi ben spesi.
Da lì, siamo andati a visitare l’ultimo dei Castelli Catari, quello di Montsegur (l’ultimo per il nostri itinerario: in realtà in tutti i siti catari visitabili sarebbero ben 23. Credo che solo un laureando in Storia Medievale ce la farebbe a vederli tutti). Montségur è il simbolo della resistenza catara, offrì rifugio a numerose persone, perseguitate dall’Inquisizione domenicana e dai Crociati. Assediati per circa un anno, bombardati dal cielo con grandi pietre lanciate da catapulte, senza acqua né cibo, i circa 500 catari che lo abitavano si arresero ai Crociati. Gli fu proposta salva la vita se avessero abiurato la loro religione, o in alternativa la morte. Ben 220 catari non abiurarono, e furono messi al rogo nel pratone sotto il castello, donne uomini, bambini. Attualmente, hanno messo una croce nel prato. La strada di salita al Castello è più lunga, più difficile di tutte quelle che avevamo fatto fino a quel momento. Alla biglietteria mi hanno proprio chiesto di vedere che scarpe avessi ai piedi, non scherzo. La maggior parte dei visitatori aveva i bastoni da trekking, sarebbero stati utili anche a noi. Il sentiero è molto ripido ed infido. Noi lo abbiamo percorso in venti minuti, ma sono stati minuti di intensa attenzione a non cadere, a non scivolare, tra le folate di forte vento che sbilanciavano, col fiatone e l’adrenalina. Si trova, del resto, a 1200 metri di altitudine, e permette di ammirare tutto il contesto della pianura sottostante. E’ solo un perimetro di mura, non è rimasto altro dopo il saccheggio. Ciò che è stato ritrovato si trova nel Museo del sottostante villaggio, dove abbiamo fatto un altro dei nostri picnic, con ospite. Mi spiego meglio: in questo viaggio ogni giorno ci siamo fermati a pranzare in aree da picnic, ed ogni volta arrivava un cane francese, molto educato, che aspettava con l’acquolina alla bocca. Del resto, a chi non piace il formaggio francese, la baguette fresca, il salame? Il Museo apre solo nel pomeriggio, quindi dovevamo attendere… Ci eravamo anche comperati una bottiglia di buon vino rosso, le panchine erano accoglienti, il cane simpatico e non beveva vino.
Andando a cercare la successiva destinazione, i navigatori ci hanno inaspettatamente portato a Tarascon, dove era in corso una fiera dell’agricoltura. Questa volta, ci avevano consigliato bene. Era molto affollata da persone del posto, che comperavano cavalli, capre, mucche e pecore. Molte bancarelle esponevano prodotti del territorio. Abbiamo visto anche dei banchi che vendevano il pane appena cotto, lumache trifolate e lumache al sugo, polpette di maiale ai funghi, e… di queste buonissime cose abbiamo fatto un nostro ottimo acquisto, laudando. Amen.
Coi navigatori in preda al panico, che si rifiutavano persino di rispondere alle nostre domande, attraversando rigogliosi e verdissimi colli e montagne, abbiamo raggiunto la Chambre d’hôtes (vale a dire un B&B) Skymst, a Biert, ma in località chiamata Naos. Provate voi, a farlo capire ai navigatori! Abbiamo dovuto leggere loro le istruzioni di Booking.com. Trovo giusto spiegarvi perché eravamo andati a scegliere quel posto, così sperduto. Avevamo avuto voglia di dormire proprio nel mezzo dei Pirenei Orientali, dei suoi boschi, e quello era il B&B più appartato ed isolato che avessimo trovato. Certo, il bagno è in comune, ma vuoi mettere con l’esclusività del posto? La nostra è stata un’ottima scelta, a posteriori, come leggerete. Va da sé, che si tratta dei primi e più bassi monti Pirenei, non siamo saliti in alto, i valichi erano ancora tutti innevati. Il nostro ospite si chiama Jean-Romain, ed è affettuosissimo. Già all’arrivo, ci ha dato un fisico abbraccio caldissimo, mentre i suoi cani ci salutavano allegramente. Jean-Romain vive lì solo da un anno e mezzo, dopo aver dato una svolta alla sua vita da cittadino e globe trotter. Ha aperto il suo B&B con l’obiettivo di farlo diventare un vero e proprio nido dove coccolare gli ospiti. E gli riesce benissimo. Assomiglia ad un giovane Gérard Dépardieu, lo avete presente nel film Asterix, in qualità di Obélix? La sua casa da montagna è arredata in modo originale ed elegante, mai banale. Ogni oggetto ha la sua storia, e lui ve la racconta volentieri. La terrazza di legno si apre e si sporge sul verdissimo e glorioso bosco, dove gli uccellini cantano, i caprioli fanno il loro verso (“che non so come si chiami”), e dove i suoi due cani scorrazzano e giocano, divertenti e dolcissimi. Ha scelto, apposta, cani con pelo non allergenico, in rispetto degli ospiti. La sua cagnolina è una piccola tibetana shatzi (non so come si scriva), ma comanda a bacchetta il ben più grande cane meticcio tra French Terrier e Beagle, un giocoso stupidone che si fa sempre fregare da lei. A disposizione: cyclette e jacuzzi open air sul terrazzo. Jean-Romain offre drink di benvenuto e tisane, caffè, ogni giorno, fa giocare gli ospiti con il dolcissimo furetto domestico (non avevamo mai tenuto in braccio un furetto: la vera notizia è che non morde ed è come un gattino). A fianco della casa c’è un ovile con tre caprette simpatiche e socievoli. Abbiamo cenato lì per due sere, la prima con il cibo che ci eravamo già procurati a Tarascon, più il vino offerto dal nostro gentile ospite. La camera da letto è bella, spaziosa, con soffitto e pareti di legno, perché la casa è in effetti proprio come uno chalet di montagna. Aveva il riscaldamento acceso, ed era una gran bella cosa. Ampio, pulito, bello, ospitale, isolato, è anche molto bene attrezzato in cucina e in tutti i servizi. Il bagno è ampio, con dotazioni generose di saponi ed asciugamani, ma è l’unico, per tutti gli ospiti. Ovviamente, all’inizio temevamo fosse un problema, invece non si è rivelato tale. C’erano altri ospiti, olandesi la prima notte e francesi la seconda, ma il sonno e la privacy di tutti sono stati rispettati. E’ stato come essere a casa da amici o parenti.
10 maggio: BIERT – GROTTE DI NIAUX – FONTAINE DE FOINT FORBES – BIERT
La prima colazione di Jean-Romain resterà indimenticabile: era andato in paese, con la sua auto ed i due cani, a comperarci croissant, vari dolci vari e freschissimi, c’era il burro salato ad interi panetti, vari tipi di marmellate locali (gusti rari e speciali!), baguette, caffè espresso a cialde ed ottimo, succhi di frutta e frutta fresca varia, formaggi locali… insomma, che cosa desiderare di più? Per gli ospiti Spagnoli, ci ha detto che mette perfino in tavola l’olio d’oliva, che usano sul pane alla colazione al posto del burro, e gliela serve perfino alle ore 11, cioè all’ora che preferiscono. Non conosco gestori di B&B così ospitali e generosi. E’ uno che si dedica a farti felice. E così lo è anche lui. Ha scoperto il segreto della vita. Dal suo B&B si può partire per numerosi ed incantevoli trekking, in inverno si può sciare in due vicine località, si possono visitare molti interessanti luoghi. Si potrebbe andare anche ad Andorra, ma avevamo preferito evitarlo. E’ più o meno come andare a San Marino o a Livigno, tutto shopping e piste da sci in inverno. Volendo, è vicinissimo anche a Lourdes, ma a noi neanche questo interessava.
Siamo andati, invece, a visitare un altro posto sotterraneo, le Grotte di Niaux. Per pochissimo non siamo arrivati in ritardo, perché la coda di macchine che andava a Tarascon alla fiera ci rallentava enormemente, tutti cercavano un parcheggio, senza fretta. Oltre un’ora di coda, per fare gli ultimi 15 chilometri , non so se mi spiego. Rinunciando al pranzo, siamo arrivati in tempo. Il nostro ingresso alla Grotta era alle ore 13.30, in lingua inglese, prenotato e pagato on line: non esiste biglietteria, solo un museo all’aperto, e non si può entrare senza prenotazione. Queste regole ci erano sembrate assurde, ma poi sul posto abbiamo capito perché le abbiano emanate: si visitano grotte con dipinti dell’epoca preistorica. Per non farli deteriore limitano il numero dei visitatori: formano solo gruppi prenotati e di sole 25 persone, tra una visita e l’altra fanno passare almeno 45 minuti, non illuminano la grotta, non attrezzano il percorso, non cercano di attirare turisti. Queste drastiche misure, scientifiche, hanno ridotto totalmente il deterioramento, almeno, così sperano. Anche in questa grotta, le Guide controllano che tipo di scarpe hai ai piedi, se indossi abiti abbastanza pesanti, eccetera. Sarebbero vietati anche i bambini e i disabili. In effetti, ci hanno dato in mano una lampada, da miniera, che fa scarsa luce. L’ingresso è altissimo, più di un palazzo, poi si passa per un corridoio artificiale, tipo quello delle tombe egizie, e poi… buio, dopo la porta blindata che la Guida apre per noi. Fa il suo bell’effetto camminare nel buio, in grotta, percependo solo dai suoni dei passi che rimbalzano sulle pareti se ci si trovi in un luogo ampio o una caverna dal soffitto alto. Il terreno è mosso, ci sono quasi ovunque passaggi a zig zag tra pozzanghere e buche, non è un percorso facile. La Guida ci aveva spiegato che era vietato toccare le pareti, le stalattiti e stalagmiti. Ci disse che se per caso fossimo scivolati, dovevamo evitarlo, sempre e comunque. Al massimo, diceva di metterci carponi. Ci sembrava di essere veri speleologi, uno dei tanti che erano entrati in quella grotta, già nel secolo scorso, e che hanno lasciato le loro firme sui muri. A modo loro, sono anch’essi dei graffiti, che però risalgono solo fino al 1600. E hanno fatto bene a non cancellarli, perchè anche questo è Storia. Ammetto che sia io che Roberto abbiamo toccato per un breve attimo ed impercettibilmente una parete: è stato quando dovevamo passare in un posto che per le sue spalle era veramente troppo stretto, ed io ho perso l’equilibrio perché dovevo fare un passo troppo lungo per me. Ci avrebbero multato o fucilato, se… se solo se ne fossero accorti. Ma il bello della visita lo abbiamo raggiungo dopo circa 800 metri di percorso: lì la guida ci ha pregato di spegnere tutte le nostre lampade, per capire che cosa fosse il vero buio totale. Io e Roberto avevamo già avuto questa esperienza, in altro luogo, ed è fantastica. Quando la vista non aiuta, il nostro udito diventa più sensibile, cercando di supplire, ma il corpo sembra ondeggiare, senza più riferimenti. Si sentivano solo i respiri, i fruscii degli abiti. Poi, la guida ha illuminato con la sua torcia i primi graffiti preistorici, ed il fiato di tutti è uscito dai polmoni con un’estatica esclamazione… ooohhhh! Sono decine di bisonti, cervi, cinghiali, dipinti con dettagli di una sconcertante precisione, e con atteggiamenti di grande naturalezza. In rosso ed in nero, si distinguono pittori diversi, stili. Alla luce delle nostre lampade da miniera, gli animali sembravano muoversi, perché i loro creatori hanno utilizzato le naturali sporgenze delle pareti per arrivare ad esprimere una certa tridimensionalità. Pensavamo, avendo visto solo foto sui libri, che fossero dipinti “piatti”, in realtà a Niaux sono come bassorilievi. Nelle Grotte di Lescaux non so, le hanno chiuse ai visitatori da anni. Questa grotta è un museo della preistoria, fa ben comprendere come in quella zona l’habitat fosse diverso, c’erano mammut ed altri animali estinti. Anche per gli uomini preistorici di Cro-Magnon era difficile arrivare con le torce fino a quella parte profonda della grotta, ma se l’hanno fatto ci deve essere stata una ragione. E non la sapremo mai. Usciti dalla Grotta, con le scarpe infangate e negli occhi ancora il buio, sembra di uscire da un tunnel temporale, come in un film di fantascienza.
Lungo la strada seguente, abbiamo visto un cartello che indicava una sorgente: Fontaine de Foint Forbes. Parcheggiata l’auto, siamo andati a vedere: l’acqua affluisce nel fiume Aude con una forza ed una velocità impressionante. E’ un fenomeno rarissimo: dalla sorgente alpina si deposita in una cavità sotterranea, quasi un sifone, successivamente, quando l’acqua ha raggiunto un buon livello, l’aria sovrastante la spinge e la fa uscire in maniera impressionante. E’, quindi, una sorgente per così dire “intermittente”, che i geologici studiano con passione. A noi, già solo faceva impressione per il rumore peggio di una cascata, per i metri cubi d’acqua scura che rombando affluivano nel fiume.
Non avendo altro di programmato, siamo andati a zonzo in zona, in un bel pomeriggio di sole. Andare senza meta spesso permette scoperte interessanti e fa riposare i navigatori. Un tempo, ci orientavamo solo con cartine e segnali stradali, no? Nella cittadina di Saint-Sulpice sur Leze, ad esempio, abbiamo visto la Chiesa e la piazzetta dove Roberto ha gustato un buon gelato artigianale. Ci eravamo fermati in questa cittadina perchè il nome ci sembrava a noi noto: abbiamo scoperto che la loro squadra di rugby è stata sei volte campione francese, e forse questo è il motivo per cui la ricordavamo. Poi, lungo il tragitto, abbiamo fatto un’altra sosta, per vedere la chiesa-fortezza di Le Fossat. Costruita nel XII secolo, il suo portone ha un ingresso ad arco in marmo chiaro, ma è poi sormontato da un muro fortificato, con merli e feritoie, spalti e tutto quello che può richiedere un forte difensivo. La parte sottostante sembra schiacciata da questo enorme peso. Molto particolare.
Quasi non vedevamo l’ora di rientrare al B&B Skymist, dove ci attendeva l’ottimo Jean-Romain con un suo aperitivo, a base di vino bianco e succo di more di gelso. Come seconda cena, Roberto ha cucinato un bel piatto di spaghetti alla carbonara, per noi e per Jean Robert, nostro munifico ospite, più un paté di fois gras, ebbene sì, non siamo vegani. Mi chiamo: Vergani.
11 maggio: BIERT – GROTTE del MAS D’AZIL – Lac de MONDELAY – TOULOUSE – MILANO
Dopo una seconda ottima prima colazione, ci siamo (a malincuore) allontanati dal B&B. Siamo andati a visitare la Grotta del Mas d’Azil, l’unica grotta europea che si può attraversare in auto.
In pratica, è una enorme grotta preistorica, dove scorre ancora il fiume sotterraneo. In una parte, pagando un biglietto, si può fare un percorso a piedi (dura circa un’ora e mezzo, non poco), nell’altra parte hanno costruito una normale strada statale, che le auto, i camper, i pullman percorrono gratuitamente. E’ come una solita galleria stradale, ma non è scavata dall’uomo, è totalmente naturale, ed è altissima, circa quattro volte un normale tunnel stradale. I Francesi le pensano tutte. Fa effetto, vedere un camper attraversare una grotta con stalattiti e dipinti preistorici. Nella parte visitabile a piedi c’è una zona non aperta ai visitatori, dove hanno trovato alcuni dipinti preistorici, che vogliono mantenere al buio, per preservarli.
Dopo averla visitata ed attraversata, siamo andati al paesino D’Azil, che si trova all’uscita, ed abbiamo fatto un breve passaggio al suo piccolo Museo della Preistoria. Ospita pochi reperti, ma tutti trovati nella grotta, e ci sono fotografie dei dipinti non visitabili. Alcuni ossi intagliati a figure zoomorfe sono di eccezionale bellezza.
Per il pranzo, abbiamo scelto a caso, seguendo un cartello che ci suggeriva un laghetto. L’abbiamo trovato, ed in effetti era carino, tra prati e boschetti. Molto placido, molto bucolico. Si chiama: Lac de Mondelay. Ottimo per prendere il sole, andare in canoa.
Proseguendo, era ormai ora di andare all’aeroporto, restituire l’auto a noleggio e tornare in aereo, in Italia. Eravamo in grande anticipo, per cui abbiamo fatto una trattativa con il navigatore di Google. Se gli avessimo promesso di non accendere più il navigatore francese dell’auto, ci avrebbe fatto vedere qualche cosa di interessante? Lui ha orgogliosamente deciso di farci fare una deviazione, per vedere un paese dal nome intrigante: Jourdain. Non per altro, Roberto fa “Giordani”, di cognome. Dopo, un po’ ce ne siamo pentiti, perché il paesino non offre nulla di particolare, nessuno riconosceva Roberto come suo lontano parente.
Inoltre, abbiamo scoperto che il traffico aumentava e le code di auto ci rallentavano. Google Maps non riusciva a portarci direttamente all’aeroporto, sembrava zigzagare a vuoto, perdendo sempre il conto dei chilometri mancanti all’arrivo, a causa delle continue code e rallentamenti. Addirittura, non sapeva che in uno dei paesi avevano chiuso una strada, costringendoci ad una deviazione. Iniziavamo a diventare nervosi, e lui lo “sentiva”, peggiorando le sue performance per l’agitazione.
Dovevamo fare ancora tante cose, per l’auto: arrivare in tempo per non pagare giorni extra di noleggio, lavarla dentro e fuori, fare il pieno di benzina, trovare il posto dove restituirla, e la cosa si stava rivelando più complessa del previsto. Rotonde, traffico, caos, benzinai dalla parte sbagliata della strada, parcheggi con o senza stanga di ingresso, eccetera. Siamo arrivati all’Inter Rent solo trenta minuti prima del “time out”. Sembravamo dei concorrenti di Jeaux sans frontières, arrivati alla finale e senza fiato per la corsa. Il sornione arbitro francese a cui abbiamo restituito l’auto ha cercato in tutti i modi di fregarci il risultato, ma non ha trovato nessun difetto alla carrozzeria, l’auto era (relativamente) pulita, il pieno di diesel era stato da noi ripristinato, i chilometri totali da noi percorsi erano 1.090, molto al di sotto di quelli inclusi nel prezzo da noi pagato (1.500 km). Non poteva crederci, è rimasto scornato. Siamo arrivati primi! Abbiamo vinto!
In pratica, ci rimaneva solo di rifare i bagagli in stile “imbarco aereo”, togliendogli ogni liquido o armi dal bagaglio a mano, consegnare la valigiona al drop, fare il check in con una Polizia che non è come la nostra (controllano a fondo tutti-tutti, mica sanno di aver firmato il Trattato di Shengen). Dopo aver bevuto litri d’acqua minerale per non buttarla via, ce l’abbiamo fatta a superare anche questo, malgrado la mia carta d’identità sia strappata a metà, e comunque l’aereo era in ritardo.
Easy Jet ci ha riportato in Italia, a Malpensa in solo un’ora, perché ci avevano assegnato un Airbus. In Italia, il pullman navetta verso la Stazione Centrale è partito senza neanche che dovessimo aspettare un minuto, e impiega anch’esso un’ora, circa. Quindi siamo arrivati a casa con la penultima o l’ultima corsa della metropolitana.
Fine del felice viaggio. Costo complessivo, a testa: euro 275,00
P.s. oggi ho ricevuto una email da Rentalcars.com. Dopo le mie critiche alla società Inter Rent mi concede le sue scuse, ed uno sconto del 5% sul nostro prossimo noleggio. Stampo ed incornicio l’email? Non so, ma concludo dicendovi che non è mai male rispondere ai questionari di soddisfazione clienti.