Viaggio nell’Eremo di Santa Caterina del Sasso

Quello che vi porto a scoprire oggi è un luogo particolare, incastonato tra le rocce del Lago Maggiore. Ammetto e faccio mea culpa: questo incanto d’Italia non lo conoscevo e ne ignoravo l’esistenza. Un biglietto da visita non proprio dei migliori ma, tant’è, dovrò pure raccontarvelo se voglio ambire ad un posto tra i “raccontatori d’Italia”.
Per me che vengo dal mare, il lago è sempre stato una incognita di difficile comprensione. Sarà per quel suo essere “rinchiuso” o per quel suo fascino tenebroso che si manifesta nelle giornate nebbiose. Guidato dallo stereotipo e dalla superbia costiera mi accingo a vedere da vicino una delle bomboniere della Lombardia.
Arrivato quasi all’ora di pranzo, sperando di non trovare nessuno, trovo invece una orda di visitatori che avevano avuto la mia stessa idea. A questo punto, mi vien da dire, non del tutto originale.
Parcheggio nuovo ma stracolmo, il posto della mia utilitaria diventa una umile stradina di campagna che conduce alla bellezza. Prima di entrare all’eremo, vengo accolto da una piazzetta assolata e viva, colma di gente e di localini. Le gigantografie di Gigi Riva e Silvano Contini mi ricordano di essere in una terra di campioni.
Pago il mio biglietto di 5 euro, passo i moderni tornelli e mi dirigo verso l’infinita scalinata che scende a picco sul Lago Maggiore. Gli scalini non li conto, ma assicuro che sono alquanto sfiancanti. Quello che però allieta la discesa è sicuramente la vista mozzafiato sulla mia sinistra. Una vista quasi marina, con l’acqua piatta che racconta una terra tranquilla e bella.
Il primo intervallo, che poi scoprirò essere l’unico, si manifesta attraverso un pergolato in legno su cui scendono fiori rosa di un rosa coinvolgente. Chiedo lumi ai tanti “autoscattatori” del giorno e scopro che il fiore in questione è il glicine, un rampicante di origine cinese che in primavera matura in tutto il suo scintillante colore.
Scendo ancora giù, trovo un porticciolo e aspetto per circa dieci minuti, chiedendomi come mai un eremo incastonato nella roccia necessiti di un unlteriore viaggio in barca per essere raggiunto. Naturalmente il mio torpore di viaggiatore distratto mi porta a scoprire la verità dando un veloce sguardo verso l’alto. Santa Caterina dal Sasso era su, all’altezza del pergolato dove avevo immortalato anche io la mia presenza.
Entrata a Santa Caterina del Sasso
Sette archi con un’antica carrucola in legno nel mezzo e poi una prima sala affrescata sulla sinistra. Una effige in marmo, con scritta in latino, mi da il benvenuto nella Sala Capitolare, l’antico refettorio dell’eremo, costruita originariamente nel ‘300 e soggetta a numerosi sconvolgimenti architettonici nel corso dei secoli.
Qui rimango colpito da un caminetto di un marmo lucente e perfetto e dagli affreschi colorati che raffigurano la Crocifissione e Sant’Eligio che guarisce un cavallo.
Vado avanti nel mio percorso di curioso e mi imbatto in un giardino nella roccia nel quale si erge la figura mastodontica di un gigantesco torchio in legno. Siccome non sono un esperto, naturalmente, leggo la descrizione e vedo che si tratta di un pezzo unico, risalente al ‘600. Il torchio è la dimostrazione della presenza, in un tempo passato, di vigneti sulle colline che circondano il paradiso del Lago Maggiore.