Epiro e Ionie, suggestioni e vertigini
21 luglio
La giornata è rovente, e neppure viaggiare in moto mitiga la temperatura. Percorriamo i 160 km che ci separano da Ancona in una nuvola di calore. Ma l’umore è alle stelle e, finalmente al porto, dopo il check-in, stringo come un trofeo il cartoncino da esporre sul parabrezza: Igoumenitsa. Il ponte del Cruise Olympia Minoan sarà la nostra camera da letto condivisa: visto il ritardo nella prenotazione, unica sistemazione rimasta disponibile. Evidentemente la campagna mediatica anti-Grecia di quest’anno, non è riuscita nel suo intento. Io sono contenta di questa sistemazione sotto le stelle accarezzati dal vento: attraversare il mare nel buio della notte sapendosi diretti in Grecia e intravedere le coste alla luce dell’alba, è sicuramente più emozionante che non sbucare da una cabina scoprendosi già arrivati.
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Sarà un viaggio che ripercorrerà strade già percorse, ma anche strade nuove. Soprattutto toccherà luoghi che sono essi stessi simboli del viaggiare, veri luoghi di culto, viaggi nel viaggio: l’Acheronte e la discesa nell’Aldilà; la Rupe Bianca di Lefkada, testimone del salto senza ritorno di Saffo; Itaca, l’isola ritrovata di Ulisse, il grande peregrinatore; poi Zante, l’isola mai più rivista dall’esiliato Foscolo.
L’EPIRO
Lo sbarco ad Igoumenitsa ha sempre il sapore del ritorno e insieme dell’avventura. La moto salta quasi dal ponte del traghetto, e, impaziente imbocca la strada costiera verso sud, deserta, come sempre. Siamo diretti ad Ammoudià, 50 km a sud di Igoumenitsa, il punto in cui il sacro Acheronte sfocia nel mare. ”Rupe ivi s’alza, dove due fiumi s’urtano tra loro rumoreggiando, e uniti nell’Acheronte cadono: Cocito, ramo dello Stige, e Piriflegetonte”…”Là dove vive il popolo dei Cimmeri, avvolti dalla nebbia e dal buio eterno” (Omero, Odissea) Dalla statale si imbocca sulla destra un piccolo bivio che dà su una strada solo inizialmente brecciata: percorrendola verso il paese, il panorama si apre sui prati solcati da zone paludose, porte di mondi misteriosi… Se la suggestione non giocasse un ruolo determinante, Ammoudià non sarebbe che un paesino come tanti: piatto, poche case, qualche taverna, campeggiatori sotto gli alberi alle spalle della spiaggia, camperisti a fianco della foce del fiume. Un clima da avamposto del nulla. Mi piace. Il turismo che lo frequenta è silenzioso e rispettoso; notiamo diversi austriaci. Nonostante il paese sia molto piccolo, riusciamo a perderci e girare in tondo per un po’ prima di trovare il nostro studios. Posati gli zaini, non riesco a rinunciare ad un bagno dove immagino approdò la nave di Ulisse, avvistando le stigie paludi: il mio primo bagno greco del 2015. Siamo a meno di una ventina di km da Parga, per cui l’idea è di farci una passeggiata e magari restarvi per cena. E’ deliziosa come la ricordavamo. Saliamo al Kastro Veneziano,che si visita liberamente, offrendo bellissimi scorci sul mare e l’isolotto della Panagia Maria, ottimi soggetti fotografici. Ora non ci resterebbe che scegliere un ristorante, ma sgomitando tra le viuzze piene di turisti, io e mio marito ci scambiamo uno sguardo: meglio la tranquilla Ammoudià. Torniamo alla base e ci fermiamo alla Taverna O Pateras, l’ultima delle poche, sull’argine del fiume. La cena è ottima, e ci godiamo pure un colorato tramonto in prima fila. Passeggiamo sul piccolo molo che costeggia da un lato il fiume e dall’altro il mare; l’aria è calda, ferma e surreale. Ci sediamo un po’ timorosi sulle sdraio sotto i piccoli ombrelloni in riva al mare, come se di notte ciò fosse vietato come in Italia. Invece non succede nulla: se volessimo, potremmo anche dormirci su queste sdraio.
Il mattino dopo, dal centro del paese, prendiamo la strada per Mesopotamos verso Nekromanteion, l’antico santuario dove l’oracolo si metteva in contatto col mondo dei morti e pronunciava le sue profezie. Entrati nel sito, si deve prima superare ciò che resta delle stanze, diciamo, di anticamera: i dormitori dei pellegrini, la sala di purificazione e quella delle offerte con i grossi vasi. Poi si scendono i gradini che portano nella stanza sotterranea, dove ammetto si percepisca una strana energia. Suggestione. Usciti dal Sito, per le sorgenti dell’Acheronte si prosegue a Nord, indifferentemente verso destra o sinistra, seguendo le indicazioni per Gliki o per Acheronte Springs (poi le strade si congiungono). Noi prendiamo la seconda direzione, godendoci il vento caldo su questa strada di campagna. Arrivati alle sorgenti, troviamo un ombroso parco dove scorre, limpidissimo, il fiume. Non mancano i campeggiatori nei posti più impensati. Immergiamo i piedi nell’acqua gelida e iniziamo a risalire la corrente. Con noi c’è tanta gente, compresi bambini che fanno il bagno. Ad un certo punto pero’ l’acqua si fa troppo alta, oltre che freddissima, non abbiamo costume e non possiamo buttarci in acqua con vestiti, zainetti, macchina fotografica, telefono, ecc. Così guardiamo la gola senza poterci entrare. L’emozione è stata ugualmente forte e la deviazione imperdibile. Di nuovo in sella, discendendo verso la costa su questa strada tutta per noi, fino ad immetterci di nuovo nella E55, superando le bianche spiagge di Preveza e il tunnel sotto il mare.
LEFKADA
Siamo già stati a Lefkada 4 anni fa, ma l’isola bianca resta tra le mie più amate. All’ingresso dell’isola, appena superato il ponte che la congiunge alla terraferma, diretti a Vassiliki, percorriamo la più svelta strada ad est. La parte est è tutta golfi, con rive basse e la vista che arriva e si perde nelle numerose isole vicine. E’ un panorama molto dolce e rilassante, ma che non ha il pathos della parte Ovest, né il colore incredibile del suo mare. Lo studios prenotato è lo Steven a Vassiliki. Mi sento di consigliarlo: vista strepitosa sulla baia da ovest e camere enormi con balconcino. Il tempo di posare i bagagli, e inizio a tormentare il marito, perché voglio andare subito in una spiaggia saltata la volta precedente: Aghiofili. Ad est della baia , dietro al Porto, si prende la stradina verso l’Hotel Apollo, poi lo si supera per 2 o 3 km di sterrato. Da dire che anche la piccola spiaggia che si trova proprio sotto l’Hotel non è niente male. Noi invece ci facciamo lo sterrato, facendo prendere alla moto un bel colore rosso-terra. Si parcheggia poi il mezzo e si prende un sentiero tra gli alberi. Nella direzione opposta, ben indicata da un cartello scritto a mano su un fondo di scatola di merendine appeso ad un albero, c’è la spiaggia di Ammouso a 2 km. Arrivati alla scalinata che sovrasta la baia di Aghiofili, la vista dall’alto ci dà un po’ di amarezza: la piccola spiaggia è un incanto di bianco e di azzurri, ma gli ombrelloni ed il brulicare sono esagerati. Scendiamo i gradini e ci buttiamo in acqua, mentre un barcone per fortuna si porta via un bel po’ di gente, creando delle “belle” ondate. Restiamo a mollo per poco: la bellezza è tanta, ma lo spazio scarseggia. Così, da bravi turisti che odiano i turisti, come dice mio marito, ce la filiamo verso un altro luogo di forti suggestioni: Capo Dukato. La strada sale da Vassiliki e poi si snoda tra profumati pini. Sembra di non arrivare mai, con il Faro là in fondo, mostrato e nascosto dalle tante curve. Finalmente parcheggiamo. Possiamo arrampicarci verso il faro e le rocce circostanti, protese sull’abisso. Da qui i sospettati di crimini venivano fatti saltare con ali posticce: se si salvavano erano innocenti. In questo stesso luogo sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, e, durante le feste del dio, si inscenava una specie di teatro dell’immortalità, facendo gettare dalla rupe qualcuno che poi veniva salvato con le barche. Luogo di culto, di morte, di rinascita. Da qui la sfortunata Saffo si tolse la vita per l’amore non ricambiato verso il traghettatore di Lesbo, Faone, trasformato in un bellissimo giovane da Afrodite. Quanto fascino ha esercitato nei secoli la sfortunata Saffo, la “decima musa”, e quanti versi vennero dedicati a lei dall’eminenza della poesia… Quale sarà la rupe giusta tra queste lame di roccia tagliente? Quale l’abisso più spaventoso? Mi affaccio ovunque posso, con la cautela di non avere mio marito alle spalle…Protendersi nel vento dà davvero i brividi.
Il sole inizia a scendere e Luigi inizia a scalpitare: vuole rientrare prima di notte, ma riuscirò perfino a convincerlo a farlo scendere alla spiaggia di Porto Katsiki, sulla via del ritorno. Spettacolo! Questa spiaggia, sempre immortalata di giorno, ha una luce meravigliosa sotto gli ultimi raggi del sole. Dalla scala che parte dal parcheggio e sale verso il mare aperto, si ha l’impressione di potersi librare in volo. Ancora vertigini, ancora brividi di bellezza. Ma brividi anche in moto, poco vestiti, con la notte ormai calata. Questa è anche una zona molto più fresca del litorale in basso. Arriviamo a Vassiliki verso le 23, infreddoliti e affamati, ma anche molto soddisfatti.
Tutta la costa Ovest di Lefkada è un susseguirsi di spiagge bianchissime e mare turchese, ma, con porto Katsiki, altra regina è Egremni. Si scendono (e poi risalgono) 350 gradini per arrivarci, ma è una spiaggia che ne meriterebbe anche 1000. Ghiaietto candido che si trasforma in ghiaione o sabbia secondo le zone. Acqua tra le più turchesi mai viste; trasparente, brillante, invitante. La spiaggia è lunga, riparata da un costone bianco; chi vuole la zona servita potrà trovarla al centro, come potrà trovare angolini isolati. Perfino i barconi che scaricano gli escursionisti hanno il loro spazio al margine sud, non dando fastidio a nessuno. Questa è la classica spiaggia dalla quale non riesco a staccarmi, come non riesco a smettere di bagnarmi: ancora uno, ancora l’ultimo bagno… Più a nord di Egremni, la grande Platis Gialos ha acqua altrettanto trasparente, ma essendo completamente esposta al sole, è un inferno nelle ore centrali della giornata.
Dedicheremo una giornata anche all’est dell’isola, quasi completamente trascurato nel precedente viaggio. Panorami attraenti e promettenti, ma se cercate un mare da urlo, dopo l’Ovest secondo me non c’è partita. Scendiamo ad Afteli, che dall’alto è molto gradevole seppur piccola, ma troppo pietrosa per i miei gusti, con troppe barchette ormeggiate a riva ed anche abbastanza sporca. Bello pero’ è sostare sotto la frescura degli alberi. Facciamo poi una passeggiata nel poco distante paese di Sivota, che in realtà non è che un porticciolo costeggiato da ristoranti.
Ci spingiamo infine per qualche km nel verdissimo interno dell’isola, fermandoci a cenare nel paese di Fterno, alla taverna “Filippas”, incastrati da una vecchia “buttadentro” . Il panorama dal nostro tavolo è affascinante, ma un nugolo di api non ci darà tregua. Del resto il miele delle Ionie è un prodotto sopraffino: da qualche parte dovrà pur venire… L’unico felice sarà un gatto che mi aiuterà a finire un piatto di carne dalle dimensioni inaffrontabili, ormai pure pieno di api… Non ho mai visto un gatto mangiare tanto. Il breve “ripasso” di Lefkada sta per finire: domani ci sposteremo in un albergo a Nidri per essere più comodi per il porto da cui partono i traghetti per Meganissi e Itaca. Intanto, stanotte, con le finestre aperte, ci cullerà nella notte il canto del mare.
MEGANISSI
L’antica isola di Tafo, abitata dal popolo di navigatori discendenti da Tafio, figlio di Poseidone. Nell’Odissea, la dea Minerva prende le sembianze di Mente, principe dei Tafii, per recarsi alla reggia di Itaca ed esortare Telemaco ad andare alla ricerca del padre. La verdissima isola è piccola, ma sviluppa un litorale fatto di anfratti e calette, molte delle quali raggiungibili solo in barca. I litorali sono praticamente tutti di sassi. Vi sono due porti: Vathi e Spilia, e spesso si attracca in un porto e si riparte dall’altro. Partiamo dal porto di Nidri a mezzogiorno e rientreremo la sera: il tragitto per Spilia è di una ventina di minuti su un traghetto che trasporta anche le auto (altri 20 minuti per Vathi). Non abbiamo un vero e proprio itinerario, ma ci muoveremo un po’ a caso, volendo visitare i villaggi, e magari fare anche un bagno. Appena sbarcati a Spilia, si percepisce già il carattere dell’isola, completamente indifferente ai turisti. Non riuscirò a procurarmi una mappa, e mi adatterò con quella da me disegnata a mano… Da Spilia ci spostiamo a Vathi, che sarebbe stata la seconda fermata del traghetto. Seguiamo la strada costiera verso destra, ma non troviamo alcuna caletta che ci attragga, così decidiamo di salire al villaggio di Katomeri, piccolo e tranquillissimo come gli altri. A qualche km si trova la Limonari beach, dove ci dirigiamo per un bagno. Piccola, di sassi, ma con acqua limpidissima e un baretto alle spalle. Dopo il bagno, torniamo a Katomeri: abbondanza di viti, di fiori, di vecchie case sopravvissute al terremoto del 1953. Grandi grappoli d’uva pendono dalle capanne di vite, insieme alle bottiglie di plastica che fanno da trappola per le vespe. Anche qui totale indifferenza ai turisti, tant’è che non è neppure possibile dissetarci al bar della piazza principale, che, vista l’ora, è chiuso. Men che meno sarebbe possibile trovare un negozio per comprare un po’ di frutta. Ciò mi fa molto piacere: vuol dire che la vita qui scorre con il solo ritmo degli isolani. Il sole picchia ancora forte, ma noi abbiamo poche ore per avere un’infarinatura del luogo, per cui ci muoviamo alla volta di Spartochori. Per me il più caratteristico dei paesini visitati, con le case bianche o color pastello, i tanti gatti e la bellissima chiesa. In certi scorci ha qualcosa di cicladico. Anche qui tanto silenzio, i negozi chiusi e gli abitanti ancora al fresco delle case con le persiane accostate. Ci sediamo all’ombra di un albero, sulla terrazza che domina la baia di Spilia. Da qui si può anche scendere a piedi fino al porto, con una piacevole e ombrosa passeggiata. Il traghetto per Nidri è alle 19.30, per cui c’è ancora tempo per un altro giro di perlustrazione. Strade senza traffico, recinti con asini, mucche, capre. Un’isoletta molto bucolica, che offre vacanze di mare soprattutto a chi possiede un’imbarcazione, offrendo attracco ma non la classica ospitalità turistica sulla terraferma. Credo sia un luogo adatto a chi ha davvero voglia di riposare. Le spiagge sassose non sono forse comparabili con quelle della vicina Lefkada, ma anche queste possono essere adatte per allontanarsi da tutto. Mentre ero a mollo nell’acqua della spiaggia di Limonari (che non credo proprio sia la migliore, nonostante non ne abbia viste altre), mi sentivo proprio fuori dal mondo. La conformazione stessa di Meganissi, con tutte quelle insenature, dita, corna d’alce o punte di tridente che siano, sembra la più adatta per nascondersi. Insomma la piccola isola mi ha intrigato, e volentieri ci avrei passato qualche ora in più. Siccome non siamo rimasti per la serata, momento in cui i turisti e gli abitanti dovrebbero uscire dalle tane, avrò sempre il dubbio se questa isola sia abitata o meno…
Tornati a Nidri, che tanto avevo snobbato nel precedente viaggio, ho un pochino rivalutato questa località. L’ho trovata meno invasa, meno fastidiosamente commerciale. Chissà, magari dopo l’esperienza su Meganissi, ci è sembrato piacevole il passeggio sul lungoporto pieno di gente e ristoranti. La nostra ottima (e abbondante) cena alla taverna Symposium, proprio di fronte allo sbarco, sarà anche allietata da musica e balli. Domattina alle 8.30 avremo il traghetto per Itaca.
ITACA
Solo il nome evoca i banchi di scuola, e, per la nostra generazione, l’appuntamento con l’Odissea televisiva degli anni 70. Basterebbe questo a farne un luogo mitico. Ora alcuni studiosi vogliono portare altrove l’isola natale di Ulisse, addirittura in un’isola del Nord Europa. Ma noi Itaca la vogliamo qui, ne riconosciamo la morfologia e il carattere. E’ qui la casa di Ulisse. Il traghetto approda al porto di Frikes dopo meno di 2 ore, e mettiamo piede sulla “pietrosa Itaca”. Ho letto che il paesino di Frikes ha fama di essere abitato da gente rissosa, famosa per le faide. Al momento sembra solo un pugnetto di case disabitate. Con le spalle al mare, prendiamo la strada costiera a sinistra: in un paesaggio verdeggiante strizzano l’occhio piccole calette sassose. Ci fermeremo al ritorno: per ora proseguiamo verso Kioni. E’ un gioiello colorato, affacciato su una baia raccolta, popolata di barchette di pescatori e qualche yatch. Le case in pietra, abbellite da fiori e tralci di vite,alcune adibite a studios da affittare, sono ancora silenziose, sebbene dalle finestre inizino a frasi strada olezzi di soffritti, pomodoro ed erbe aromatiche. Kioni è un po’ il “salotto buono” di Itaca, ma un salottino davvero intimo e di classe, senza sfarzi ne’ eccessi. Continuiamo lungo la stradina, poco più che un sentiero asfaltato, che supera il paese costeggiando il mare in direzione dei mulini. Dopo un paio di km scendiamo ad una spiaggetta, sempre di ciottoli, che ha la particolarità di avere il cimitero alle spalle. Non ne restiamo colpiti, e torniamo indietro verso Frikes, con l’idea di fermarci in una di quelle calette già viste. Una piccola scala dalla strada, e siamo a mollo in un’acqua splendida. Ma anche ad Itaca resteremo solo una giornata, e la nostra priorità non sono le spiagge, ma semmai i paesaggi, che, per un’isola così piccola, ci stupiranno per bellezza e varietà. Da Frikes deviamo verso l’interno a Stavros, paese all’incrocio di strade(come dice il nome). Da qui, imboccando la strada per Exoghì, c’è la deviazione per i resti di quello che si suppone fosse il Palazzo di Ulisse. Lo sterrato è abbastanza impegnativo e, visto che non si accenna ad arrivare e mio marito mi ricorda che la nostra non è una moto da enduro, torniamo indietro. Saliamo comunque fino al paese di Exogi, dal quale si gode un panorama superbo sul mare e in particolare spicca la baia di Afalés, la più grande di Itaca. Sia Exoghi che Stavros sono paesi ben differenti dalla vezzosa Kioni: essenziali e solitari, stuzzicanti e misteriosi. Riscendiamo a Stavros, e sulla piazza del paese c’è la ricostruzione plastica e fotografica del Palazzo che non abbiamo raggiunto, oltre al busto del mitico eroe Odisseo.
Dopo pranzo (in piazza ci sono due ristoranti), ci dirigiamo ad Anoghi. Per arrivarci si può fare la strada costiera, oppure passare dall’interno. Scegliamo questa opzione, e non ce ne pentiremo. La strada è solo nostra e delle caprette sui massi. Ulivi, tantissimi, di cui alcuni enormi e modellati dal tempo e dalla natura in forme bizzarre: pensiamo al tronco nel quale Ulisse fece scolpire il proprio talamo nuziale. E poi, lungo la strada iniziano a comparire massi megalitici. In corrispondenza del villaggio di Anogi, sono la caratteristica principale. Ai lati della strada, enormi menhir e evidenti resti di antichi insediamenti. Immaginiamo l’antica civiltà, padrona di questo spettacolo naturale: mare, cielo, ulivi, golfi. Siamo sulla cima del monte Miritos che in effetti è solo 510 metri, quindi poco più di una collina, eppure dominiamo il panorama con un senso di vertigine, accresciuto dall’essere sulla moto. Prima della discesa, si arriva ad un faro da cui ancora si può spaziare con lo sguardo. Adiacente al faro vi è il monastero della Panaghia Katharòn. I monaci scelgono sempre i posti più belli, con la scusa di sentirsi più vicini a dio… La strada scende tortuosa verso l’istmo che rende Itaca quasi divisa in due: siamo diretti a Vathi, ma non possiamo fare a meno di notare lampi di azzurro e bianco sul litorale dell’istmo che guarda l’isola di Cefalonia. Sono promesse di belle spiagge, ma non abbiamo tempo per esplorare la zona. Poco prima di Vathi, siamo attratti dalla spiaggia di Dexia, quella dove, si dice, attraccò la nave di Ulisse. La serbiamo per il ritorno, visto che, per arrivare al porto di Pisaetos da cui dovremo imbarcarci, dovremo ripassare da qui.
Vathi è un paese un po’ snob, affacciato sulla baia, reso pieno di colore dalle belle case di stampo veneziano. Al margine est del golfo, ci fermiamo nella spiaggia cittadina, ma il vento che inizia a farsi insistente, ci fa desistere. Risaliamo in moto e proseguiamo sempre verso est, e dopo pochi minuti scendiamo in una spiaggetta riparata, senza vento e qualche albero. I colori sono splendidi e l’acqua trasparente, ma noi non amiamo sassi e pietre, e probabilmente qui ad Itaca è proprio una sfida non trovarne. A questo punto siamo anche un po’ stanchi (è dal mattino che trottiamo), ma è ancora presto per la cena. Così, dopo un giretto a Vathi, ritorniamo alla spiaggia di Dexia, sistemandoci all’ombra degli alberi e ordinando il classico spuntino: insalata greca e birra. Si sta benissimo, con la compagnia di 5 simpatici gattini. Buon modo per rilassarsi, finché il vento non inizia a rinforzare, con il mare che, agitandosi, pian piano si mangia la spiaggia. Questo ci convince a spostarci di nuovo: in quest’isola così ricca di insenature, basta fare poche centinaia di metri per trovare mare calmo o mosso, vento o calma piatta. Il traghetto per Cefalonia è alle 21.30. Sulla strada verso il porto di Piso Aetos, vi sono i resti di un antico insediamento dell’VIII sec. a.c. I ruderi dell’antica città guardano l’isola di Cefalonia, quasi a sfidarla. Poco prima del porticciolo, si vede una spiaggetta che sembra interessante, raggiungibile dal porto stesso a piedi, zigzagando tra le pietre. In generale direi che le spiagge di Itaca sono molto attraenti viste da lontano, ma poi si rivelano abbastanza scomode per i fondali sassosi e, anche, pietrosi e sconnessi. Molte si raggiungono solo dal mare. Definirei Itaca un’isola di forte impatto emotivo, con panorami superbi e molto variegati, ma poco adatta alla vita di mare tradizionale. Del resto non cercavamo quella, venendo da Lefkada ed essendo diretti a Zante. Il traghetto arriva con quasi un’ora di ritardo. Se si pensa di poter mangiare qualcosa al porto, non è possibile. In questa zona non c’è nulla: solo l’attracco. Tra Itaca e Cefalonia c’è solo un corto braccio di mare: le luci sul ponte del traghetto vengono spente, così vedremo solo la luce della luna che si riflette su un’acqua quasi ferma. Il buio, il caldo della notte e il silenzio dei passeggeri, rendono la scena irreale.
CEFALONIA
Dopo una buona mezz’ora, ecco la sagoma rassicurante del porto di Sami, con le sue luci e il suo passeggio. Abbiamo prenotato una notte all’Hotel Kyma, proprio di fronte all’attracco del traghetto. Cefalonia, che comunque abbiamo già visitata, sarà solo il nostro ponte per l’isola di Zante. Passiamo davanti all’hotel almeno un paio di volte senza vederlo (non perdiamo mai occasione per allungare la strada) ma finalmente riusciamo ad andare a dormire. L’indomani avremo il traghetto da Pessada alle 18 (ce n’è uno anche alle 8, ma non intendiamo massacrarci con la levataccia), per cui l’idea è di passare la mattina alla spiaggia di Antisamos, che è vicinissima. La spiaggia di Antisamos non è esattamente come la ricordavamo 4 anni fa. C’ eravamo stati di pomeriggio e in agosto, per cui era molto affollata e non poteva dare il meglio di se’. Ora invece non sono nemmeno le 10 di mattina e non c’è quasi nessuno, nemmeno le api che tanto ci tormentarono quella volta. Ecco dall’alto la grande baia a mezzaluna, con l’inconfondibile colore azzurro che si scioglie nel blu, virando leggermente al verde, per via della vegetazione che vi si specchia. La ghiaia è molto sottile nella zona nord, di fronte all’ingresso principale della spiaggia, mentre diventa distesa di veri e propri sassi verso il lato sud. Dopo vari bagni, sulla strada del ritorno, vogliamo prendere la deviazione segnalata per l‘Antica Sami. Saliamo di poco tra i pini e gli ulivi, ed è il passato a venirci incontro. L’acropoli è solo un ammasso di ruderi e pietre, così come i resti delle mura di fortificazione, eppure il luogo ha una sua solennità, che si contrappone al vociare delle spiagge. Immaginiamo ancora il tempo lontano, ma che eppure è esistito, in cui questa prospera città si affacciava sul golfo, di fronte alla dirimpettaia Aetos. Si sogna, si sogna, ma, dopo essere rientrati in albergo per doccia e bagagli (la camera resterà gentilmente a disposiziopne fino alle 13) è ora di rimettersi in sella, con molta calma, verso Pessada. Attraversiamo l’isola da est ad ovest verso Argostoli, che, dopo una mezz’ora, si abbraccia dall’alto con lo sguardo. La paciosa, un po’ sonnolenta cittadina, è pronta ad offrirci un luogo di siesta e ombra nei giardini lungo la laguna di Koutavos, dove pranzeremo con panini e birre. Ci rimettiamo in moto verso le 15, con l’idea di salire, prima di Pessada, al castello di Aghios Georgios, che anni fa non potemmo visitare perché chiuso di lunedì. Naturalmente anche oggi è lunedì, ma non rinunciamo a percorrere questi pochi km per goderci la vista superba. Da qui l’occhio spazia su una Cefalonia meravigliosamente tranquilla, su colline e azzurre spiagge sabbiose. Mi sento di rivalutare parecchio anche questa parte sud dell’isola, che mi appare come un’oasi di calma e di avvolgente serenità (arriviamo al porto di Pessada in netto anticipo, restando davvero stupiti dalla bellezza dell’acqua del porto, dove diverse persone approfittano per un bagno). Appena prima del parcheggio, c’è una Taverna con un fresco ed arieggiato giardino, dove è possibile anche mangiare qualche souvlaki. Dal giardino-terrazza sul mare, si scorge una spiaggia bianchissima appena di fronte. Il biglietto per Zante si fa direttamente all’imbarco, dove un po’ prima della partenza si posiziona un signore con una sedia…
ZANTE
Si parte da Pessada alle 18 e si arriva all’incirca alle 19.30. L’arrivo è al porto nord dell’isola: quello di Agios Nikolaos. Prima di attraccare si costeggiano Capo Skinari col suo faro e le grotte marine: un assaggio assai suggestivo dell’isola. Il nostro studios è il Villa Pantis, a Kypseli, circa a metà della costa est. Arrivarci non sarà affatto semplice, soprattutto perché non ricordavo di essermi scritta il percorso dettagliato (che troverò all’arrivo) e facciamo affidamento su indicazioni molto approssimative. Non abbiamo una cartina, e molti pare non conoscano affatto questo paese. Tra giri, inversioni, allungamenti di strada e pure una mia comica e rovinosa caduta dalla moto mentre chiedo indicazioni ad una signora, riusciamo ad arrivare poco prima di notte. In effetti, le strade e le scorciatoie per arrivare a questa località sono talmente tante, che è molto difficile dare l’indicazione giusta e molto facile perdersi. Siamo praticamente tra Alikes e Tsilivi, in campagna a pochi passi dal mare. Un posto bellissimo, di una tranquillità unica. Se volete dormire nel silenzio, lo consiglio assolutamente. Noi abbiamo un comodo e spazioso studios al piano terra. La villa è circondata da un curato giardino vista mare, a disposizione di tutti. Intorno ci sono campi di ulivi e di cipolle, e un grande orto dove scorrazzano le galline. Le nostre giornate si sono svolte tutte alla stessa maniera: un tour de force ininterrotto dal mattino alla sera, per cui, una volta rientrati in albergo non avevamo più la forza di allontanarci per la cena. Perciò, parcheggiata la moto, abbiamo preferito cenare tutte e sei le sere nella stessa taverna: Crossroad sulla strada principale. Abbiamo sperimentato gran parte del menu e possiamo dire che si mangia davvero bene. La taverna è l’ideale per chi ama la carne alla brace, sempre piena di greci e con dolce offerto dalla casa. Il vino che viene servito è ottimo. L’uva di Zante del resto produce vini eccellenti, che, come il miele, il torrone e le gigantesche cipolle, sono ottimi souvenir da portare a casa.
Zante, come Lefkada e come Cefalonia, ha una conformazione caratterizzata da una costa Ovest scoscesa e con panorami drammatici, una costa est con spiagge sia di ciottoli che di sabbia più accessibili, ed una costa sud sabbiosa e piatta. Resteremo su quest’isola sei notti e cinque giorni pieni ed intensi. Ciò che segue, sono le spiagge che riusciremo a vedere.
ZANTE IN SENSO ORARIO; DA NORD A NORD
Versante Est
Capo Skinari è la punta nord dell’isola, con il faro che guarda l’isola di Cefalonia. Leggermente a sud-est del faro, si trova un mulino ristrutturato. Da qui parte una larga scalinata con vista spettacolare a picco sul mare, che termina su una piccola piattaforma dalla quale è possibile tuffarsi. Da questo punto si possono anche raggiungere a nuoto le famose grotte blu, che sono a pochissima distanza. E’ lo stesso punto in cui dalle barche delle escursioni vengono fatti scendere i turisti per il bagno in mare. Riprendendo il mezzo di trasporto, la strada si biforca verso ovest o verso est, dove ci stiamo dirigendo. 5 km a sud si incontra il porticciolo di Agios Nikolaos, dove arrivano e partono i traghetti per Cefalonia, ed anche qualche escursione in barca per il Navajo e per le Grotte. Noi in effetti, sebbene fossimo diretti a Porto Vromi per prendere la barca più vicina al Navajo (soffro il mare), ci siamo lasciati convincere da un simpatico ragazzo a partire da qui. Da questo punto ci vuole un’ ora per arrivare al Navajo (compresa una prima sosta di una decina di minuti per entrare alle grotte), poi si viene lasciati per un’ora alla spiaggia del Navajo, infine si rientra facendo una nuova sosta di un quarto d’ora alla zona delle Grotte, stavolta per un bagno (abbiamo pagato 25 euro in due). Dal Porto di Agios Nikolaos, dove eravamo rimasti, continuando ancora a sud, si arriva, costeggiando uno dei panorami più belli di Zante, alla spiaggia di Makris Gialos. Mezzaluna ghiaiosa, incorniciata da grotte, alla quale si accede attraverso una brevissima scalinata dalla strada principale. E’ servita da qualche ombrellone e ombreggiata dalla stessa roccia. Tornando sulla strada e proseguendo ancora a sud, dopo pochissimi km, un odore inconfondibile di zolfo farà preludere alla spiaggia di Xigia. Piccola e affollata, ma imperdibile per il suo carattere termale e per il colore turchino del suo mare. Anche qui si lascia il mezzo sulla strada e si scende, stavolta, prima da scale, poi da una discesa abbastanza ripida. Dopo questa spiaggia, sempre continuando a sud, l’orizzonte si allarga sul grande golfo di Alykès, dove si troveranno paesi turistici e un susseguirsi ininterrotto di spiagge di sabbia fine e bassi fondali. Da Katastari c’è un bivio sulla sinistra, che fa abbandonare l’alta strada panoramica per arrivare alla zona turistica da dove hanno inizio le spiagge. Se si perde il primo bivio, ce ne saranno altri. La spiaggia più grande e più frequentata di questa zona è quella di Alykès, ma è anche la meno bella, nel senso che, purezza dell’acqua a parte, potrebbe tranquillamente essere scambiata per una spiaggia popolare del nostro Adriatico. Cercando di costeggiare il mare, zigzagando tra i villaggi, si incontreranno Alikanàs, Ammos, Ammoudi, Drosia, Psarou. Sono tutte spiaggette poco o per niente attrezzate, ma sempre dotate di taverna. Essendo vicine al nostro alloggio, le abbiamo scelte al mattino presto o alla sera, quando il mare era una tavola. Sono molto adatte ai bambini, perchè l’acqua resta bassa per metri e metri. Al primo impatto visivo, per via della sabbia non chiarissima, il colore del mare non è certo il turchese abbacinante di altre spiagge, ma una volta a mollo si apprezza l’assoluta trasparenza dell’acqua.
Ancora a sud, pochissimi km prima della capitale Zacinto, si incontra la turistica Tsilivi, dotata di una spiaggia sabbiosa lunga ben 6 km, ma che, per mancanza di tempo, non abbiamo sperimentato.Si svolta a sinistra dopo Tsilivi e la strada sale per poi ridiscendere a Zacinto. Lungo questo tratto, alle spalle della città, in località Bochali, c’è sulla destra il bivio per il Castello Veneziano. Noi l’abbiamo trovato chiuso per ben due volte, ma anche solo arrivare alla piazzetta dove la vista può spaziare sulla città e molto oltre, vale assolutamente la pena. Zacinto è una colorata cittadina di stampo veneziano, la cui chiesa di San Dioniso, vicino al porto, ne è un po’ il simbolo. La chiesa è una mescolanza di stile bizantino e occidentale, con un accecante interno completamente decorato in oro. Del nostro Foscolo, che tanto rimpianse le “sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque”, non riusciamo a trovare, a parte il busto in piazza Salomos, il luogo dove sorgeva la casa. E’ piacevole lasciare il lungomare e incamminarsi per le vie più defilate, tra negozi di frutta e verdura, piccole e antiche pasticcerie e panifici. Sulla collina di Strani che domina la baia, altro luogo da cui ammirare un panorama eccezionale, trovava rifugio e ispirazione il poeta Salomos, che qui compose il famoso Inno alla Libertà, le cui prime due strofe divennero il testo dell’Inno nazionale greco.
Scendiamo ancora a sud costeggiando il mare, e incontriamo il villaggio di Argassi, altra località turistica molto frequentata. Da qui in poi entreremo nella zona privilegiata dalla tartaruga caretta-caretta per la deposizione delle uova. Procedendo ancora verso sud, si incontra la spiaggia di Porto Zoro (o Porto Azzurro), con una breve deviazione dalla strada principale. Stessa prassi per la spiaggia di Banana, grande, bella, attrezzata e commerciale. Ancora più a sud c’è la spiaggia di Agios Nikolaos, definita dal ragazzo che ci serve al ristorante, la più bella di Zante. Probabilmente il ragazzo cerca di interpretare i gusti della maggior parte dei turisti stranieri. In realtà la spiaggia è molto bella, sotto una piccola collina sulla quale svetta la bandiera greca a fianco della chiesetta dedicata appunto ad Agios Nikolaos. Ma il frastuono di questa spiaggia è indescrivibile: non è musica, è bombardamento. Per non parlare dei motoscafi che continuano a partire ed arrivare. Mio marito vorrebbe scappare immediatamente, ma lo convinco a percorrere qualche centinaio di metri fino all’estremità sud, non servita. Ci sono alberi per ripararsi, e la conformazione della costa forma una specie di piscina naturale, con acqua calma e limpidissima.
Il Sud
Proseguendo in senso orario, si entra, con la spiaggia di Gerakas, nel sud dell’isola. La strada per arrivarci è molto agevole, ed è servita, come le altre, dai bus. Secondo il mio gusto, questa è la spiaggia sabbiosa più scenografica di Zante, con le quinte dei costoni di roccia grigie e ocra che la contornano. Prima di iniziare a scendere la scalinata in legno che porta alla battigia, si è avvisati di trovarsi in un luogo protetto, nel quale è vietato trattenersi dopo il tramonto, per non disturbare la nidificazione. La spiaggia è quasi completamente recintata a protezione dei nidi ben segnalati, per cui non esistono ripari naturali, ma solo qualche ombrellone che viene subito occupato. Noi arriviamo nel pomeriggio, e il caldo è torrido e insopportabile. I pochi alberi restano all’interno della recinzione, dove bivaccano gli addetti al controllo dell’area protetta. Entriamo in acqua, ma non esiste refrigerio: l’acqua è calda come quella della vasca da bagno. Mai sentito una tenperatura simile a mollo nel mare.
Ancora in senso orario, la spiaggia di Dafni è adiacente ad Ovest a quella di Gerakas, ma per accedervi bisogna riprendere la strada già percorsa, che torna indietro da Gerakas verso Argassi. Vi sono due bivi: uno all’altezza di Porto Zoro verso sinistra (se si viene da sud), e un altro dopo (sempre venendo da sud). Sono due strade piuttosto brutte, ma quella più vicina a Porto Zoro è davvero pessima. I cartelli non si vedono se si proviene da sud: meglio se si sta arrivando da Argassi e si gira quindi a destra. Dafni l’abbiamo trovata molto affollata e meno attraente di Gerakas. Ci siamo anche chiesti come mai qui, a differenza di Gerakas, si potessero calpestare i nidi senza recinzione. C’è una taverna proprio sulla spiaggia, ma, proseguendo a sinistra guardando il mare, i nostri vicini di studios ci hanno detto che c’è una zona isolata e tranquilla, controllata da un signore greco che seleziona i suoi clienti, offrendo lettini solo a chi, secondo il suo giudizio, li merita.
Quasi attaccata a quella di Dafni vi è la spiaggia di Sekania, interdetta pero’ ai bagnanti. Per arrivare a Laganas bisogna arrivare di nuovo ad Argassi e poi svoltare verso l’interno o, ancora meglio, tornare a Zacinto e prendere l’ottima strada per l’aeroporto e superarlo. Laganas è quanto di più commerciale e trucido si riesca ad immaginare: locali notturni e alcool a buon mercato, una lunga spiaggia gremita, probabilmente con musica a palla (non ci siamo fermati). Sicuramente avrà i propri estimatori, visto che è la cittadina a maggiore densità turistica e frequentata soprattutto dai giovani: forse siamo noi ad avere preconcetti… A margine sud della spiaggia di Laganas c’è l’isoletta di Agios Sostis, collegata al porticciolo da un ponte in legno, e alla quale si accede a pagamento: c’è un bar sulla sommità e si pagano 4 euro comprensivi di consumazione. La spiaggia prosegue strettissima verso sud: l’acqua è caldissima, pulita, ma non è certo una spiaggia che giustifichi un viaggio fino a Zante. Di fronte si vede l’isola di Marathonissi, dove è possibile andare con le escursioni organizzate: si parte dal porticciolo di fronte l’isolotto di Agios Sostis e si possono andare a disturbare le povere tartarughe che sono riuscite a sopravvivere alla schiusa e alla discesa in mare. La spiaggia si interrompe a sud, ed è indispensabile riprendere la strada principale in direzione Keri, oppure cercare di districarsi nel dedalo di stradine malsegnalate tra gli ulivi. Keri è un’altra spiaggia da cui è possibile fare la gita a Marathonissi per avvistare le tartarughe. E’ una spiaggia lunga e sottile, di sabbia mista a sassi. Poco oltre si sale verso il paese di Keri e il Faro. Anche qui si può scendere a varie calette principalmente di sassi, dove cercano tranquillità anche alcuni naturisti. Il faro di Keri è famoso per una tramonto speciale, ma noi, trovandoci lì ad ora di pranzo, non possiamo certo aspettare.
L’Ovest
Per me, che amo paesaggi più scenografici, questa è la zona di più forte impatto. Il ragazzo del ristorante Crossover, dove ormai siamo clienti affezionati, ci ha sconsigliato la parte sud di questa zona, che ha definito difficile e con brutte strade. La stessa cosa ci ha detto il ragazzo che, dal porto di Agios Nikolaos ci ha “agganciati” per la gita al Navajo. Invece, il signore ottantaduenne titolare dello studios, ci ha consigliato assolutamente Porto Roxa e Porto Limionas, definendoli i posti più belli di Zante. Si scende a Porto Roxa dalla strada principale, attraverso una stretta ma buona strada, costeggiata da muretti a secco. Il panorama arido e la vista di un mare dal blu profondo, ne fanno un panorama quasi africano. A Porto Roxa non c’è spiaggia: nel mare profondo circondato da rocce, caverne e faraglioni si accede scendendo a piedi dalle scale (come ho fatto io), oppure tuffandosi da un vertiginosamente alto trampolino. I ragazzi si divertono un mondo, anche se a noi fanno venire i brividi. La strada tra Porto Roxa e Porto Limionas è un pezzettino di alta strada costiera. La strada che invece da Porto Limionas risale verso la provinciale, è decisamente più lunga, curvosa e ripida di quella che scende dalla provinciale a Porto Roxa. Quindi è meglio scendere verso Porto Roxa, andare a Porto Limionas e ritornare poi a Porto Roxa per risalire. Porto Limionas è un vero fiordo; un posto da blocco al cuore: acqua con tutte le sfumature di azzurro, una scalinata che, dopo una accoglientissima taverna piena di fiori, scende in varie direzioni verso il mare. Ci si può sistemare sui terrazzamenti in pietra, sulle gradinate, sotto gli ombrelloni in paglia, sotto le rocce, o scendere fino alla microscopica caletta di sabbia bianca, dalla quale si arriva, nuotando, nella gola formata dalle rocce e poi in mare aperto. C’è anche un trampolino, molto meno alto di quello di Porto Roxa, da cui tuffarsi. In ogni caso qualsiasi punto del fiordo è buono per un tuffo.
Stiamo sempre andando in senso orario, quindi risalendo l’Ovest da Sud verso Nord, per cui ora si arriva a Porto Vromi, la località più adatta per arrivare alla spiaggia del Navajo con le barche in poco tempo. A porto Vromi, località sempre con l’ aspetto di fiordo, c’è anche una piccola caletta vicino al porto, non male per un bagno veloce e, anche qui, per un salto in mare dal trampolino.
Il Navajo, la spiaggia più famosa di Zante, la foto dall’alto presente su ogni rivista, il vero tormentone… Che dire? Potrei dire che è una bianca caletta da sogno, baciata dall’acqua turchese, formata dall’insabbiamento di questa nave di contrabbandieri, ancora presente in tutta la sua ruggine sulla battigia. Purtroppo c’è anche da dire dell’altro. Per la spiaggia del Navajo (o Relitto), partono ogni giorno barconi enormi (piccole navi) da Zacinto, uniti a tutti quelli di media e piccola portata delle altre zone. Noi siamo partiti dal porto di Agios Nikolaos con una barchetta da 15 persone, ma, arrivati alla spiaggia, abbiamo trovato almeno un migliaio di bagnanti ammassati sulla battigia. I pochi in acqua erano continuamente scalzati dalle onde delle navi in arrivo o in partenza, e dalle stesse che dovevano ormeggiare. Abbiamo fatto un bagnetto di pochi secondi, guardandoci continuamente alle spalle… Al ritorno, prima di essere sopraffatta dal mal di mare, ho fatto in tempo a chiedere al nostro capitano se quelle calette appena a nord del Navajo fossero raggiungibili. Una delle due, che il capitano ha chiamato Salinas, ho capito fosse collegata da una strada carrozzabile dal paese di Volimes. Prima di crollare definitivamente, chiedo a mio marito di ricordare il nome della spiaggia. Sempre per via del mal di mare, che non ricordavo quanto potesse essere invalidante, non posso nemmeno scendere per il bagno di 15 minuti alle Grotte Blu. Per fortuna ci tornerò poi scendendo a piedi dalla scalinata del Mulino di Capo Skinari.
La famosissima vista dall’alto della spiaggia del Navajo si ammira poco più a nord della spiaggia stessa. Risaliti da Porto Vromi, c’è un bivio prima del paese di Volimes. E qui, chi soffre di vertigini può proprio tremare. C’è una specie di balconcino per la foto di rito, ma poi ci si può allontanare attraverso i cespugli per ammirare il baratro da varie angolazioni. Mi sono trovata ad affrontare questa esperienza non ancora completamente ripresa dal mal di mare, ed è stata un po’ dura. Ho pero’ potuto verificare che, essendo ormai pomeriggio, le imbarcazioni erano molte meno sulla spiaggia. Per cui, anziché consigliare di andare al mattino sul presto (come avevano consigliato a noi), direi di prendere l’ultima imbarcazione del pomeriggio.
A Volimes devo trovare la spiaggia indicatami dal barcaiolo. Il nome non è indicato sulla mappa dell’isola. Al suo posto è indicata Spartos Beach. Chiedo a due anziani, che non la conoscono come Spartos, ma appena nomino Salinas si illuminano: si, è la prima strada a sinistra che scende verso il mare. Non c’è alcuna indicazione, anche se è molto semplice, ma uno dei vecchietti ci scorta col suo motorino. Gentilissimo e simpaticissimo. La strada è asfaltata, lunga circa 3 km, in pendenza non eccessiva. Si arriva in una specie di parcheggio pietroso, dove già ci sono un paio di macchine. Fantastica caletta di scogli dove è abbastanza facile scendere per un bagno. Ma la parte migliore, la fotocopia del Navajo senza anima viva, si trova sulla destra, dopo una piccola parete di roccia, che va superata nuotando. Mio marito mi fa notare che potrebbe essere pericoloso per due nuotatori non provetti come noi, perciò con estremo rammarico rinuncio. Per dovere di cronaca, la spiaggetta bianca resta in ombra completamente fino a mezzogiorno. Da Volimes a Capo Skinari ci sono 11 km, terminando il giro da nord a nord in senso orario di quest’isola.
Ripartiamo da Zante imbarcandoci stavolta da Zacinto per Killini, sulla costa. La lunga, assolata, trafficata stada ci riporta a Patrasso, dove il porto d’imbarco per l’Italia è stato spostato di 5 km: non è più nel centro della città. La navigazione del ritorno ha un colore diverso. Ci passano davanti agli occhi, a ritroso, le isole di questo viaggio. L’alta costa di Lefkada abbagliata dal crepuscolo è sempre uno spettacolo superbo.
Ellàda, to epòmeno ètos! (Al prossimo anno!)