Emozioni e pensieri dal mio viaggio in Marocco in solitaria
Parliamoci chiaro, Marrakech è una città stancante da questo punto di vista. Almeno nelle prime ore mi sono mossa prudente. Cerchi di distogliere lo sguardo non appena quello di qualcuno incrocia il tuo, sei diffidente. Gli occhi dei marocchini scrutano a fondo, ti aprono, indagano e in un attimo capiscono chi sei: “Italiana? Di dove?”, è la frase che come un ritornello mi sentivo ripetere in continuazione.
Restare indifferenti, accennare un sorriso e tirare dritto. Si impara in fretta.
E in fretta ho imparato che non c’era niente da temere. Anche nelle stradine più isolate e vuote non mi sono mai sentita in pericolo. In poche ore ti abitui, e quell’enorme piazza e quelle strette viuzze che al primo contatto ti sembrano impossibili perfino di giorno impari presto a farle tue anche di sera.
Impari che la bellezza di Marrakech sta proprio in questo. Non si viene a Marrakech perché la sua famosa piazza Jamaa El Fna è bella, non si viene per i suoi palazzi, né per quel museo né per quel monumento.
Si viene a Marrakech per la sua atmosfera: calda, pungente, frastornante, sporca e maleodorante.
Si viene per perdersi letteralmente nelle anguste e fatiscenti vie della Medina e dei suoi souk, per farsi travolgere dai pressanti marocchini, per gettarsi in mezzo al traffico impazzito e senza regole tra auto, motorini, biciclette, calessi e muli, per gli anziani in abiti tradizionali assopiti di fronte alle loro case e botteghe, per le montagnole di spezie colorate, per il potente richiamo del muezzin che si leva sopra il brusio della città, per l’enorme piazza altrimenti insignificante che di sera è tutta un brulicare di persone, veli, serpenti, fumi, mosche e odori…e dalla quale non riesci più a stare lontana.
Marrakech non è una città da visitare. Marrakech è un’esperienza da vivere.
Al sud impari invece la calma e la gioia dei berberi. Sembra impossibile che qualcuno viva davvero nella spoglia e semplice Ait Ben Haddou e invece è così. Riconosci i negozianti berberi dalla loro educazione e dal loro sorriso: “Non devi comprare. Condividere la mia cultura con te è la mia felicità”.
E che effetto trovarsi nella grande piazza di Ouarzazate: nessuno che ti urla e che ti tira da una parte all’altra per convincerti a mangiare da lui.
Percorrere in auto la zona circostante Ouarzazate e la strada che poi conduce al deserto di Merzouga mi ha ricordato i paesaggi dell’Arizona. Una zona arida, polverosa, gialla, lunare.
Un lungo viaggio in autobus di giorno passando per grandi paesi la cui vita si snoda lungo la strada principale. Noncuranti della pioggia, in ciabatte, sono tutti lì per strada. E non solo a New York i negozi sono sempre aperti, anche qui alle 22 è ancora tutto aperto: il meccanico, il barbiere, la bottega che straripa di merce. Ragazzini ci sfrecciano accanto con la bici sul ciglio della strada poco illuminato. Calcinacci e mattoni in bella vista, un cantiere aperto, case da finire. Sembra tutto un lungo lavoro da concludere, in realtà credo che quegli edifici siano un po’ abbandonati a se stessi da sempre e che quei mattoni lungo la strada rimarranno lì ancora per un bel po’. Uomini appisolati su una sedia fuori dalla porta di casa e bambini che giocano scalzi. Decine di bar mi sfilano di fianco e nessuna donna seduta ai loro tavoli. E poi frutta stesa su teli per terra.
Le strade si fanno sempre più sterrate e polverose fino alle porte del deserto Erg Chebbi, Merzouga. Quello che non manca mai, nemmeno qui, è l’impeccabile scritta “Coca Cola”.
Due giorni nel deserto non sono niente per riuscire a capirlo. Ci vorrebbero settimane privi delle nostre più piccole comodità. Un assaggio della vera vita del deserto l’ho vissuta visitando due famiglie che vivono a circa due ore di cammino fra le dune dal villaggio di Merzouga. Nel mezzo del niente, in delle piccole case fatte di fango e paglia, con le loro pecore, l’asino, il forno, qualche coperta e niente più. Nemmeno il bagno. Da qualche anno hanno però un pannello solare che li rifornisce di un poco di luce.
Si dovrebbe provare a passare così delle settimane intere per capire qualcosa del deserto. Per capire l’importanza nella nostra vita di tutto quello che deserto non è: acqua, ombra, compagnia, punti di riferimento.
E poi ho dormito una notte all’aperto sulle dune e sotto le stelle. Così tante tutte insieme non le avevo mai viste.
A Merzouga ho potuto anche brevemente assistere ai festeggiamenti di un tipico matrimonio berbero partecipando la prima sera ad una festa a casa della sposa tra canti, tamburi e tè. Due giorni dopo ho rivisto la sposa sotto una tenda, nel mezzo del villaggio insieme ad altre donne, seduta e completamente coperta dagli abiti tradizionali.
Sembra tutto così incredibile: tradizioni e stili di vita completamente diversi dai nostri. Fuori dal mondo verrebbe da dire. Ma quale mondo? Il nostro? Perché per loro è il nostro quello strano di mondo. “In città c’è troppa confusione, a me piace stare qui” mi dice la guida. Molte delle nostre comodità e dei nostri passatempi per loro sono solo confusione, sono degli impedimenti, degli ostacoli nella loro ricerca di una vita attaccata alla terra, semplice ed essenziale.
“Voi guardate troppa televisione! Noi cerchiamo le cose più vere possibili!”
Marrakesh, il sud, il deserto e di nuovo verso nord, verso Fes e Chefchaouen (la perla blu) attraverso un lungo viaggio notturno in autobus.
Amo viaggiare così: lentamente, via terra, vedendo la vita degli altri scorrere davanti ai miei occhi fuori dal finestrino, vedere paesaggi cambiare sotto il sole che piano piano completa la sua parabola.
A Fes ho avuto il piacere di trascorre qualche giorno con una famiglia locale. Una bella opportunità per potermi confrontare con una realtà così differente, per potermi confrontare con un mondo per me del tutto nuovo e sconosciuto: quello musulmano. Tante lunghe discussioni, domande, curiosità da soddisfare da entrambe le parti, risate e una calorosa accoglienza. Perfino un pomeriggio a giro per la periferia di Fes vestita con gli abiti tipici delle marocchine: djellaba e hijab. Ero troppo curiosa di poter provare sulla mia pelle cosa significasse camminare per le strade così coperta e nascosta agli occhi degli altri, in particolare degli uomini.
Nella mia famiglia marocchina la religione ha un ruolo primario. Si rispettano le preghiere 5 volte al giorno e anche nel resto del tempo ci si dedica spesso alla lettura del Corano e ad altre pratiche ad esso collegate, fino ad ascoltare musica di ispirazione religiosa. La vita di ogni giorno è influenzata molto dalle regole religiose da rispettare. C’è una cieca fede, nessun dubbio sulla veridicità delle parole del profeta Maometto, nessun “mistero della fede”, solo prove schiaccianti sull’assoluta esattezza delle proprie convinzioni. Non do nessuno giudizio, è solo che non ero abituata a questa incredibile forza di fede. Con ragazze ventenni men che mai.
Viaggiare è confrontarsi ed è anche per questo che ho scelto un paese così diverso da esplorare. Poter vedere con i miei occhi, in prima persona, uno stile di vita opposto al mio, poter mettere in discussione le mie convinzioni, i miei ideali con quelli di un’altra fetta di umanità così vasta e spesso rilegata ad una lettura così superficiale e qualunquista.
“Colui che differisce da me, lungi dal danneggiarmi mi arricchisce…”- Antoine de Saint-Exupéry