El alamein, l’egitto che non ti aspetti
La zona e’ desertica, nonostante si affacci sul mediterraneo.
Il colore della sabbia soffice varia dall’arancio, al rosa, al crema. Tante piccole nuvole appena accennate, piccole reti nel cielo, sono anche esse intrise di polvere.Uno strano spettacolo che non avevo mai visto prima.
Sto atterrando in un pezzo di storia, non nell’Egitto superturistico e un po’ scontato del Mar Rosso, ma in una zona appena conosciuta se non per motivi storici.
L’aeroporto internazionale di El Alamein ( chiamato Dabaa city ), profuma ancora di nuovo. Il mio arrivo ha inaugurato il primo volo diretto dall’Italia a qui. Pochi km per arrivare all’ex Movenpick ed oggi esclusiva del tour operator Albatour.
Quasi un’oasi in questo deserto la cui sabbia bianca avanza di giorno in giorno quasi a volerla inghiottire.
Il vento e’ una costante di questa zona e la temperatura e’ ancora un po’ bassa, 18 gradi.
Albaclub e’ una struttura degna di portare le 5 stelle, e’ ancora sotto lavori, infatti le parti incompiute sono diverse ma le strutture piu’ importanti sono tutte efficienti e perfettamente funzionanti. Le camere sono enormi, per intendersi delle dimensioni di uno dei nostri appartamenti. Il loro punto di forza e’ la vista mare di ognuna di esse. Un mare che a parole non si puo’ descrivere, dalla trasparenza del cristallo aiutata dal bianco accecante della sabbia morbida che a tratti e’ quasi rosa.
Una parte della spiaggia e’ ancora presa d’assalto da ruspe che spianano un tratto di costa rocciosa.
Nel ristorante si mangia molto bene, la varieta’ di dolci, frutta, verdure alcune anche a noi sconosciute e’ davvero sorprendente.
C’e l’angolo della pasta e quello riservato ai bambini, posto su di un tavolino alla loro altezza, che carino!!! Mercoledi’ 29 mi preparo per l’escursione ad Alessandria.
Si raggiunge in circa due ore di autobus attraverso una grande superstrada lineare e scorrevolissima.
Alessandria e’ una citta’ che almeno una volta nella vita va visitata. Meta d’obbligo e’ il teatro romano di Kom El Deka, degli scavi in mezzo alla citta’ tra i quali spicca appunto un antico anfiteatro, circondato da grosse colonne e resti di vecchi mosaici. In altra zona sono stati ritrovati resti di sfingi e la bellissima colonna di Pompei, che domina dall’alto di una collinetta alla quale si arriva attraverso una scalinata.
La gente e’ molto cordiale qui, in qualsiasi posto ci rechiamo, tutti salutano e osservano affascinati noi turisti. La loro genuinita’ non e’ ancora stata intaccata dall’arrivo del turismo di massa.
Di passaggio da un luogo all’altro col pullman, noto dal finestrino la vera e autentica Alessandria, fatta di vicoli zeppi di mercati all’aperto, di frutta e specialmente di libri. Tante botteghe hanno un’enorme stenderia di panni attaccata all’esterno e qui la biancheria intima e’ in vendita ad ogni angolo.
Numerose donne passeggiano per le vie in burka, e gli uomini vestono i tipici abiti arabi.
Oggi e’ un giorno particolare, che si ripete poche volte nella vita di una persona… e’ il giorno dell’eclisse, di quella totale. Da Alessandria la vedremo quasi nella totalita’ ma non per intero, e quando arriviamo alla cittadella di Qaitbay, inizia a rabbuiare e sta diventando freddo. Cala anche il silenzio. Una sensazione cosi’ particolare che mi reputo veramente fortunata a poter assistere a tutto questo.
Tutto si svolge nel giro di una mezz’ora, e quando ripartiamo, il procedimento inverso e’ gia’ iniziato. La luce del sole e’ di ritorno, e l’aria e’ tornata calda. Alessandria ha un bellissimo lungomare, con il porto dove ancora si costruiscono a mano imbarcazioni di legno, mentre sul mare dondolano decine di barchette da pesca colorate, altre addirittura sono tirate in secca sul marciapiede.
La moschea di Abo El Abbas e’ qualcosa di imperativo, grandissima e piena di decorazioni, nel momento in cui arriviamo si celebra la preghiera e ovviamente alle donne non e’ permesso entrare.
Ma vale la vista anche solamente da fuori, piena di cupole e guglie.
Per non parlare dello stile moderno della biblioteca, famosa ed enorme. E il monumento al milite ignoto, el Manshia Square, che ricorda tristemente la guerra. Abbiamo un po’ di tempo libero dopo essere stati al ristorante e io ne approfitto per curiosare nelle strade dietro al lungomare. Ci sono tanti negozi e bancarelle, alcuni uomini passano con dei carretti ricolmi di focacce e lupini, altri vendono coni gelato e un ragazzino pulisce della frutta stranissima che mai avevo visto prima. Molta gente mi saluta. Ci sono dei grandi blocchi di appartamenti, alcuni molto fatiscenti ma pur carini nella loro decadenza; tanti hanno terrazzi dalla tipica architettura araba, con archi e colonnine e la maggior parte di essi ha l’antenna parabolica. Ho l’onore di vedere anche il famoso faro di Alessandria.
Ultima tappa il castello presidenziale, il Montazah Palace.
Anche se una parte e’ sotto restauri sfoggia ugualmente tutto il suo splendore attraverso una cancellata col simbolo reale e cioe’ un’aquila di colore oro. Il rientro e’ al tramonto, piu’ che soddisfatta di cio’ che ho visto.
La mattina seguente mi sveglio con delle dolci temperature primaverili, e anche il vento si e’ calmato.
Parto per la seconda escursione.
Per visitare El Alamein sono sufficienti 03 ore basate interamente sulla conoscenza dei tristi avvenimenti che la storia ha fatto succedere qui durante la seconda guerra mondiale.
Infatti c’e’ il museo militare, che mostra diversi reperti dell’epoca, dalle divise militari ai barattoli di latte condensato che i soldati consumavano, le posate, le scatole d’olio e di grasso calcinoso, i pennelli per farsi la barba… Fuori in un giardino curato immerso nei fiori, ci sono cingolati, aerei da guerra, enormi mine e altri mezzi impiegati nelle battaglie.
Alle spalle la vista su un mare stupendo.
La visita prosegue al cimitero britannico, che copre una vastissima area in mezzo a alberelli fioriti di mimosa e piante grasse. Centinaia e centinaia di piccole lapidi bianche ( molte con la scritta ignoto) tutte della solita misura con i nomi e l’eta’ dei soldati piantate nella sabbia. Intorno c’e’ solo il silenzio del deserto.
All’entrata una corona di fiori lasciata da Carlo e Camilla pochi giorni fa in visita qui, in onore dei caduti, con un biglietto firmato da entrambe.
In seguito visitiamo il cimitero tedesco e il sacrario italiano, una specie di torre le cui pareti interne sono tappezzate da piccole celle che riportano i nomi dei nostri militari, molti dei quali sconosciuti.
Una frase su una parete fa rabbrividire…’’Queste pareti custodiscono 1300 caduti ignoti a noi – noti a Dio”.. Riposano fra gli ignoti in questo sacrario o in luogo sconosciuto nel deserto”. Solamente per citare i corpi ai quali non e’ mai stato attribuito un nome.
Una sosta al paesino di El Alamein non poteva mancare..Una manciata di case impolverate e mezze mangiate dal deserto che avanza, sotto alle quali ci sono botteghine e ristoranti locali, e poche mercerie che vendono un po’ di tutto. Quando arriviamo la maggior parte della gente (si vedono solo uomini nei dintorni) e’ impegnata a prendere il the e a giocare a giochi da tavolo alll’ombra degli ombrelloni fuori dei bar.
Dei turisti qui sono ancora indice di una curiosita’ sfrenata e nessuno ci stacca gli occhi di dosso.
Si vede proprio che la gente vedendoci scendere dal pullman si volta di scatto incuriosita! Io mi avvio verso alcune botteghine con la macchina fotografica, tanta gente mi incrocia e mi saluta, lo stupore di vedere che conosco il saluto in arabo li fa scoppiare a ridere, e se ancora in arabo dico grazie, li lascio direttamente a bocca aperta.
Mi fermo a guardare degli abiti tipici che sventolano attaccati all’esterno di una bottega, mentre nella macelleria attigua penzola una capra spellata a testa in giu’.
Un gruppo di uomini e ragazzi esce a guardarmi, e tanti mi rivolgono la parola, ma purtroppo qui nessuno parla inglese e solo coi gesti riesco a comunicare qualcosa, alla fine quello che chiedono e’ una foto tutti insieme.
A pochi passi una vecchia ferrovia attraversa la strada, mi dice la guida che risale alla guerra e fu costruita dai tedeschi.
E’ un po’ difficile descrivere le sensazioni che un piccolo villaggio arabo come questo puo’ dare, luoghi dove pochi turisti hanno messo piede, e dove la gente non ha ancora acquistato quella furbizia data dall’arrivo del turismo di massa dove lo straniero e’ visto solo come una fonte di guadagno, ma dove ancora un saluto da contentezza e soddisfazione. I giorni seguenti li dedico alla visita piu’ dettagliata del villaggio, al suo splendido centro benessere Sothys e alle strutture comuni.
Sothys e’ ancora incompiuto, in particolare il lungo corridoio da cui vi si accede proprio in questi giorni sta prendendo vita ora dopo ora, la musica rilassante accompagna una fila di candele profumate ed enormi canne di bambu’ appoggiate alle pareti. La vasca idromassaggio e’ situata in un’apposita stanza ed e’ in posizione sopraelevata. Intorno ci sono delle enormi candele e lettini in legno per il relax. Altre stanze sono attrezzate per diverse tipologie di massaggi.
Inoltre in tutto il centro c’e’ un delicato profumo di erbe. Alla reception del centro c’e’ un angolo dove si possono acquistare prodotti di bellezza e saponi grezzi hand made in Egypt.
La palestra e’ a uso gratuito di tutti, con una vetrata dalla bellissima vista sui prati del villaggio.
Subito all’entrata, un carino angolo del the.
Inoltre, l’hotel dispone di una piscina riscaldata con riproduzioni di stalattiti e stalagmiti che creano un effetto particolare, quasi un laghetto in mezzo a una grotta e la vista sulla piscina e’ ancor piu’ scenografica, perche’ ha un’immensa vetrata panoramica.
Inoltre, i dintorni dell’hotel, e specialmente la parte destra della spiaggia, riservano grandi sorprese.
Passata la spiaggia del villaggio, e quindi la parte riservata ai turisti, inizia la zona dei benestanti egiziani e arabi. Una serie di villette stanno affacciate direttamente sulla spiaggia ognuna coi propri giardini e piscina. Costruite in stile locale, con archi e mosaici, si somigliano quasi tutte. Attualmente tutte le ville sono chiuse, i giardini sono curati dai giardinieri in attesa dell’arrivo dei proprietari nella stagione turistica, hanno dei piccoli cancellini in legno nero, molti dei quali abbandonati sulle scalinate e usciti dai cardini, sopra l’entrata ci sono dei piccoli archi in ferro dove piante rampicanti piene di fiori danno spettacolo di se’. Il vento che qui batte sempre e la sabbia e la salsedine, mettono a dura prova questa architettura meravigliosa. Sotto i porticati ci sono bellissimi vasi a forma di anfora e riproduzioni di animali in ceramica.
Mi viene in mente un po’ la Sicilia, con le piante della macchia mediterranea, le villette bianche e pulite. Nei giardini dove l’erba e’ tagliata e curata beccano alcune upupe col ciuffo. Immagino come puo’ essere d’effetto fare colazione la mattina sotto uno di questi porticati, chiuso nell’intimita’ del giardino della propria casa, e con il bianco della sabbia e il blu del mare a 2 passi.
Inoltre i rumori di auto e traffico qui sono inesistenti, la strada principale e’ distante alcuni chilometri.
Solo il suono delle foglie delle palme stracolme di datteri che strusciano tra loro e gli uccelli che cinguettano e il mare in lontananza.
La mia curiosita’ mi spinge ad addentrarmi nei vialetti che costeggiano le ville, dove ci sono giardini dalle bellissime piante spinose. Una villa e’ in costruzione, diversi operai lavorano con calma nel giardino. Mi fanno cenno di entrare e ovviamente un’occasione cosi’ non ci si fa scappare. A due piani, stanno mettendo ora i pavimenti, tutti coloratissimi di mosaici.
La gentilezza di queste persone mi sorprende.
Lasciata la zona residenziale, mi spingo a camminare lungo la spiaggia. Dopo circa un chilometro di costa rocciosa bellissima, si arriva ad una piccola baia quasi riparata dal vento, dove una stupenda spiaggetta bianca ricorda il mare dei tropici.
Il mare e’ talmente pulito e cristallino! A pochi passi di distanza un piccolo paese fantasma sbattuto dal vento crea un’incredibile atmosfera. Le case sembrano tutte abbandonate, ma penso sia normale data la bassa stagione.
Domenica 02 aprile la dedico ad una delle escursioni piu’ belle di tutta la mia vacanza.
Il jeep safari, per vivere a contatto con la natura e il deserto.
E’ una bella mattinata quando parto dall’hotel con jeep a 8 posti.
Dopo aver fatto un tratto della strada principale asfaltata e passata la zona del sacrario dedicato ai caduti italiani e il paesino di Alamein, la jeep si addentra nel deserto dove le presenze umane si rarefanno sempre di piu’, ogni tanto si incontra qualche piccola casetta mangiata dalla sabbia di colore celeste o bianco. La prima sosta e’ ai pozzi di estrazione del petrolio, dove coloro che vi lavorano vivono anche in blocchi di case tutte uguali. Lasciati i pozzi, la meta e’ la depressione di Qattarah, una parte del deserto del Sahara (sono nel Sahara!!!) che scende con un altissimo dislivello.
Il deserto qui, cambia continuamente, non pensavo di vedere cosi’ tanti paesaggi diversi…E’ come se ci fossero tanti deserti nel deserto. Prima tutto di grandi rocce e cespugli , poi di pietrisco nero e cespugli spinosi, poi di sabbia e piccole pietre levigate con alberelli un poco piu’ frondosi, poi solo di sabbia spianata e dura con piccole pianticelle grasse.
L a jeep dove mi trovo io fora ed ovviamente la fermata e’ d’obbligo. Mentre il nostro guidatore si adopera a cambiare la gomma, penso che e’ una fortuna avere alcuni minuti da passare qui. Quello che ci si prospetta davanti e’ un vero spettacolo, una miriade di chiocciole bianche quasi pietrificate, dure e massicce come la roccia. Sono frenetica di toccare e fotografare il piu’ possibile, intorno c’e’ solo il silenzio, o meglio, solo il sibilo del vento nell’infinito, non ci sono ne’ alture ne’ promontori, solo qualcosa in lontananza all’orizzonte.
In questo punto la sabbia e’ mista a pietrisco e qua e la’ ci sono cespugli di varie dimensioni, alcuni sono solo scheletrini, resi bianchi e lisci dalla costante azione del vento e della sabbia.
Che strano che queste piccole pianticelle riescono a sopravvivere a queste condizioni, ma la guida mi dice che qui ogni tanto piove e in profondita’ si trova un po’ di umidita’ che questi vegetali riescono a catturare con le lunghissime radici.
L’attenzione delle altre persone e’ tutta su una lucertolina bianca che passa di li’. Penso che in questa desolazione, nemmeno una piccola forma di vita riesce ad avere un colore proprio!!! L’operazione di cambio gomma e’ compiuta in 5 minuti e a malincuore dobbiamo ripartire per raggiungere il punto saliente di tutta l’escursione, l’oasi che e’ ancora lontana.
Ancora il paesaggio varia al nostro passaggio e attraversiamo punti in cui i cespugli sono piu’ grossi e verdi anche per presenza di acqua sotterranea.
Durante il passaggio, mi sembra di scorgere un elmetto. La guida dice che non e’ difficile trovare ancora oggi resti della guerra e d’altra parte purtroppo in tutta la zona ci sono centinaia di mine. Spesso si viene a sapere di un gregge di pecore che e’ saltato in aria col suo pastore nelle zone circostanti e meno battute.
Dopo altre due ore di strada, si arriva in una zona che sembra una specie di canyon, con rocce alte in mezzo alla sabbia color ocra .
In un punto le jeep devono salire su una specie di duna, e ovviamente, quella che procede la mia, scala la duna in pochi secondi mentre noi restiamo insabbiati e bloccati. Dobbiamo scendere tutti e spingerla. Ripartiamo ma dopo pochi metri scendiamo di nuovo per un’altra sosta. Siamo in un promontorio dalla vista mozzafiato, dove si apre una grande piana circondata da montagne della forma del gran canyon e in lontananza si vede l’oasi… una striscia di verde che taglia il deserto dal colore verde scuro, un enorme contrasto nel chiarore della sabbia tutta intorno.
La guida ci dice di seguirlo attraverso il canyon e le jeep torneranno a prenderci dalla parte opposta.
Inizia cosi’ il nostro piccolo safari a piedi. Il caldo qui si fa veramente sentire, fortuna il vento rende tutto piu’ piacevole.
Alcuni arbusti spinosi crescono fra rocce e sabbia, ma la mia attenzione e’ attirata da strisce scure sulla sabbia in lontananza. Piano piano mi accorgo di pezzi di roccia strana, di colore scuro, che poi si rivelano legno. Mi trovo davanti uno delle cose piu’ spettacolari che durante tutti i miei viaggi ho mai visto, e cioe’ i resti di una foresta pietrificata. Alcuni tronchi sono talmente ben conservati da essere integri, lunghi e grossi, altri tagliati di netto fanno ancora vedere la serie di anelli all’interno. Il legno e’ sfaldato e ridotto in frammenti in diversi casi, e scricchiola come cristallo che si spezza al nostro passaggio. Ovviamente e’ proibito toccare quanto si trova qui, quindi scatto decine e decine di fotografie, anche perche’ il mio gruppo e’ il primo fortunato a vedere questa meraviglia.
Su alcune alture si intravedono vere e proprie parti di foresta, abbiamo davanti 5000 anni fa, a quando risale tutto questo.
In antichita’ qui c’era il mare, poi piano piano la desertificazione ha prima prosciugato il mare facendo crescere la vegetazione, poi l’innalzamento delle temperature e l’avanzata della sabbia hanno lasciato quello che oggi vediamo. Sono cosi’ impressionata da quello che vedo che spero che l’arrivo del turismo di massa possa rispettare tutto questo. Rimango indietro rispetto al mio gruppo sul fondo di questa valle, dai pendii laterali rotola uno dei famosi cespugli del deserto di forma rotonda e mi viene quasi da ridere quando gli scatto una foto.
Camminando si arriva al punto in cui le jeep ci aspettano per ripartire verso l’oasi. A malincuore risalgo, ma durante il tragitto non perdo un solo attimo di questo spettacolo, perche’ la foresta pietrificata si estende su una grande area fino ad esaurirsi piano piano. Gli spettacoli non sono terminati perche’ e’ ora la volta del vero deserto del Sahara, con le dune alte e morbide, sempre modificate dal vento. Ci avviciniamo all’oasi e si intravedono le prime palme frondose nei pressi dell’acqua. Poi ci arrampichiamo con le jeep su una delle dune piu’ alte e qui sara’ la nostra sosta per il resto della giornata. Le jeep si sistemano in modo perpendicolare perche’ saranno la base dove appoggiare la tenda e dove creare il nostro punto ristoro. Io mi affaccio dalla duna che domina il lago dell’oasi. Tutto intorno crescono canneti , e sul lato piu’ esterno in lontananza, le palme.
Sulla sabbia ci sono diverse impronte di lupo del deserto. Strane pianticelle spuntano rinsecchite direttamente dalla sabbia, e la nostra guida ne sfila una dalla lunga radice e mi mostra che in fondo e’ bagnata. Povere piantine, in un clima cosi’ secco e asciutto riescono a prendere il possibile di acqua per la loro sopravvivenza.
Alcune piante sono cosi’ strane, sembrano ragni piantati nella sabbia.. Un’altra lucertolina bianca lascia striature nella sabbia, e una specie di scorpione bianco anche esso si insabbia al nostro passaggio.La guida ci spiega che d’estate, quando le temperature salgono parecchio, il deserto si anima di una specie di serpente molto velenoso che sta sotto la sabbia, pertanto e’ possibile che questa escursione non venga effettuata nei mesi piu’ caldi.
Di ritorno dalla nostra passeggiata tra le dune, osservo i guidatori delle jeep con le 2 guardie che fanno parte della nostra scorta intenti a preparare il pranzo, con diversi cespugli secchi trovati nei dintorni hanno acceso il fuoco e ora preparano il riso in un vecchissimo pentolone mentre puliscono verdure con le quali cucineranno il condimento.
Alcuni tappeti sono gia’ stati messi in terra e un basso tavolino e’ gia’ apparecchiato.
Alcuni pezzi di pollo stanno cuocendo a parte.
Prima che la preparazione finisca e inizi il pranzo, torno sulla duna alta che domina il lago dell’oasi.
La pace fa da padrona, passano alcuni uccellini, alcune zanzare ronzano nei dintorni dei cespugli agguerrite cercando di pungere e uno scarabeo tenta la discesa della duna lasciando piccole impronte sulla sabbia. Qui anche il piu’ piccolo gesto assume importanza. Sembra impossibile trovare un’oasi cosi’ in mezzo a tanta desolazione.
Il pranzo si rivela qualcosa di strepitoso. Le verdure sono cotte a puntino, molto pepate e danno un favoloso sapore al pollo.
Dall’alto della nostra duna, consumiamo il nostro pasto nella pace del deserto, e terminiamo con una ricca insalata di pomodori e cetrioli e infine delle dolcissime arance, che qui in Egitto sono qualcosa da provare.
Dopo pranzo ci viene dato ancora un poco di tempo per il relax e a malincuore ripartiamo. Stavolta la strada del ritorno e’ su altre piste diverse da quelle di andata, piatte e deserte, abitate solo da strani cespugli che filtrano la sabbia col vento.
Altri resti di foreste e tronchi si intravedono su una vastissima area, penso che la foresta che era qui doveva essere veramente a perdita d’occhio.
Il giorno seguente e’ l’ultimo prima della partenza. Mi sveglio prestissimo, e quando mi affaccio al terrazzo vedo che una fitta nebbia nasconde il villaggio, non si vede nemmeno il mare e durante la notte deve esserci stata una piccola tempesta di sabbia.
Fortuna che in meno di un’ora arriva il sole e l’ultima giornata e’ stupenda, calda e da passare sulla spiaggia per assaporare ancora questo bellissimo mare che oggi ha una fosforescente tonalita’ di celeste.
Poi l’ultima nuotata nella piscina d’acqua calda, un massaggio al centro benessere e un po’ di palestra che e’ gia’ sera.
La partenza mi provoca una grande malinconia.
Non pensavo di conoscere un Egitto tanto diverso da quello che avevo visto fino ad ora… Ancor piu’ meraviglioso… Ho il timore che questo delicato ecosistema possa essere rovinato dai progetti che gia’ sono in ballo per la costruzione di grosse strutture turistiche…Ho letto che nei prossimi anni sono in cantiere diversi hotel..
Tornero’ prima che tutto questo succeda, a presto el Alamein.
Alessia