Egitto e Nilo
Viceversa noi abbiamo visitato con calma Luxor e i dintorni, la Valle dei Re, i colossi di Memnone poi con un pulmino siamo scesi fino ad Assuan e ad Abu Simbel. Anche se leggermente più cara, questa soluzione permette di fare un viaggio “personalizzato” con una guida a disposizione. La nostra, Ahmed, è stata veramente eccezionale. Una persona di grande cultura, di professione archeologo; parla benissimo l’italiano e ci ha tenuto vere e proprie “lezioni” di storia e storia dell’arte.
Questo ci ha permesso di modificare in gran parte la concezione della civiltà dell’antico Egitto che avevamo acquisito al liceo. Non si tratta infatti di una cultura rigida, iperstrutturata, immobile che si confronta con quella greca più flessibile e aperta. In realtà la civiltà egiziana, che ha una durata lunghissima nell’arco della storia e risorge varie volte da decadenza e devastazioni, tende a perpetuarsi in alcuni sistemi fissi per mantenere un’ottica “sacrale” legata al potere del faraone. Mentre altri stilemi che si trovano al di fuori di questo ambito, sono molto più vivaci e liberi. Certo, il fatto di essere una delle più antiche civiltà sorte dall’informe preistoria, fa sì che gli egiziani avessero un vero terrore del caos, che è appunto l’antitesi della civiltà e viene idealmente situato nel deserto, luogo arido e senza regole.
Tornando al nostro viaggio, il fulcro di tutto è stato il Nilo. L’acqua pulitissima, almeno in apparenza, fino quasi in vicinanza del Cairo… I campi di trifoglio, che cresce molto più alto che da noi, a perdita d’occhio, punteggiati dalle figure bianche dei contadini accosciati per la raccolta… Le eleganti feluche che veleggiano calme e silenziose, probabilmente uguali da secoli e millenni…
Al di là della grande diga si stende l’immenso lago Nasser, azzurrissimo, costeggiato da montagne brulle su cui si intravedono numerosi templi che trentenni fa furono sezionati, impacchettati e portati in alto per salvarli dalle acque.
I più famosi sono quelli di Abu Simbel. Ci si arriva, con la macchina, facendo circa 3 ore di strada asfaltata in convoglio scortato (si fa per dire) della polizia per motivi di sicurezza. In realtà, la cosa è molto scenografica alla partenza da Assuan e si prova anche un brivido d’avventura, poi, dopo un centinaio di chilometri…Ognuno va per conto suo. Si attraversa un deserto veramente “cattivo” cioè brullo, piatto, duro, senz’anima viva per lunghissimi tratti (sembra incredibile, ma invece certi deserti sono animatissimi e dopo un po’ spunta sempre qualcuno, uomo, donna o animale). Sullo sfondo, certe colline giallastre coperte sulla sommità di sabbia e sassi di diorite nerastra. Sembrano il negativo delle nostre colline spruzzate di neve! Ad Abu Simbel abbiamo pernottato all’hotel Nefertari: non perdetelo, se capitate da quelle parti. Ha un tono incredibilmente demodé: arredamento lussuoso anni ’50, ormai consumato, alcuni locali completamente abbandonati, personale sfaccendato nella penombra della reception, sala da pranzo sempre semivuota e con pochissimi turisti, piscina con vista sul lago Nasser e circondata da alberi profumatissimi! I templi hanno qualcosa di magnetico: non puoi staccare gli occhi. La grandezza delle statue, il colore, la luce che cambia lungo la giornata e la notte e l’alba, l’acqua del lago… La sera eravamo in parecchi a vedere lo spettacolo di suoni e luci, in francese. Ad un certo punto è finito, ma la gente continuava a rimanere seduta e non se ne andava, era come incantata. Alla fine le guide, ridendo, hanno dovuto cacciarci via.
Un altro posto particolare ad Abu Simbel è l’hotel Eskaleh, in realtà una casa nubiana perfettamente restaurata, di proprietà di un musicista locale molto famoso, Fikry Kachif. Abbiamo bevuto karkadè al tramonto assieme alla famiglia che lo gestisce e ad alcuni loro ospiti. Di fronte, un bellissimo orto e poi cominciava la riva del lago.
Assuan è proprio come dicono le guide: lussureggiante e profumata, forse un po’ più polverosa e turistica. Abbiamo comprato una quantità di essenze (ambra, gelsomino, sandalo, rosa, etc.) che si sono rivelate un vero affare: una goccia in un bicchiere d’acqua profuma la stanza, sulla pelle resta tutta la giornata; e poi è uno splendido ed originale regalo per gli amici. Peccato che bisogna fare travasi da contenitori più grandi a boccette più piccole, lavorando di contagocce e pipette da laboratorio. Dopo quindici giorni dal ritorno a casa, stiamo ancora “spipettando”… Sul vagone letto notturno da Assuan al Cairo, sorpresa. Abbiamo con noi i tomi di Naghib Mahafuz (leggetelo, please, è davvero un grande) e il cuccettista comincia a parlarne, con una certa competenza. Infine, si rivela un letterato e ci regala una copia di un suo lavoro teatrale, scritto in arabo, ovviamente. E’ sulla guerra palestinese israeliana, pare, e contiene un messaggio di pace. Cercheremo di farlo tradurre e pubblicare, non si sa mai! Dal treno, il paesaggio del medio Egitto è suggestivo, con una serie di villaggi fatte di case basse dai colori pastello, e già la mattina presto un sacco di bambini che vanno a scuola.
Ci sono anche molti cartelli del presidente Mubarak, che dev’essere una specie di Berlusconi locale perché dalla foto si direbbe un trenta – quarantenne e invece è quasi ottantenne.
Al Cairo percorriamo appunto l’itinerario di Mahafuz e dei suoi personaggi, attorno alla moschea di el Hossein. Bellissimo il caffè Fizawi; con grandi specchi e lampadari antichi, nel pomeriggio è pieno di rumorosi turisti ma la mattina meno. Si può fumare in pace una shisha profumata. Nella zona, oltre a paccotiglia varia, si trovano alcuni negozi di antiquariato notevoli. Non abbiamo notato quello che molti descrivono, cioè “l’assedio al turista”. Siamo sempre andati in giro per il Cairo da soli e molti ci hanno chiesto di comprare qualcosa o di fare due chiacchiere, ma sempre con garbo. Non è che l’insistenza fastidiosa dipende anche dalla supponenza dell’interlocutore? Una sera siamo andati a vedere i dervisci roteanti.
Ora, noi avevamo già assistito a spettacoli del genere eseguiti però da sufi turchi, che sono tutti vestiti di bianco e roteano in modo uniforme per ore, al suono dei tamburi e di una nenia francamente un po’ monotona. Dopo un po’ i danzatori vanno in trance e gli spettatori…Via.
Questi egiziani erano invece molto più vivaci e colorati. Avevano certe “gonne” spesse e variopinte indossate l’una sull’altra che progressivamente si toglievano dall’alto,continuando a farle girare in aria al ritmo sostenuto dei tamburi. Un vero godimento da punto di vista cromatico e musicale. E non sembravano affatto andare in trance , anzi sudavano per lo sforzo e l’impegno.
Alla fine di ogni viaggio, la domanda tradizionale: ma la gente di qui è felice? Bè, ci sembra di sì! Si, gli egiziani, nell’insieme ci sembrano abbastanza felici, certamente più di noi.