Economica, verde e in costante sviluppo: 17 giorni in Malesia, la perla dell’Asia che tutti vogliono scoprire

Scritto da: Amauroto
economica, verde e in costante sviluppo: 17 giorni in malesia, la perla dell'asia che tutti vogliono scoprire

Questo diario di viaggio racconta un’esperienza attraverso la Malesia, dal 2 al 19 agosto 2025. Un percorso pensato per ottimizzare i giorni a disposizione, concentrandosi sulle vibranti strade di Kuala Lumpur, la ricca gastronomia di George Town a Penang, per poi darsi all’avventura alle Isole Perenthian.

Informazioni preliminari sulla Malesia

La Malesia è molto economica: si può considerare una spesa pro-capite di 10-15 euro al giorno includendo un po’ di spostamenti con bus e Grab, per questo più ci si ferma più si ammortizza il volo. Noi abbiamo scelto i mezzi pubblici uniti a qualche Grab: una criticità di quest’app è che non si può programmare il luogo di partenza se non si ha la versione premium, quindi si possono capire prezzo e tempistiche solo se si è già sul luogo del pick-up. Il Paese è grande poco più dell’Italia, e molte zone sono difficilmente o per nulla raggiungibili con i mezzi pubblici: affittare un’auto costa (con la casco) circa 20 euro al giorno, la benzina è economica e il traffico non è esagerato come in altri Paesi del sud est asiatico. Se ci si munisce (muovendosi con un mesetto di anticipo) di permesso internazionale di guida regolato dalla Convenzione di Ginevra del 1949 e non si teme la guida a sinistra, consiglio di considerare l’idea di girare in automobile. La religione predominante è quella musulmana: non c’è integralismo e tutti convivono pacificamente, ma è meglio munirsi di almeno una tenuta consona per accedere a luoghi di culto tipo le Batu Caves a Kuala Lumpur. Per il resto ci si può tranquillamente vestire come si vuole. Nel diario di bordo convertirò automaticamente i prezzi in euro, ma la valuta del luogo è il ringgit che attualmente vale 20 centesimi di euro, per cui è facile fare la conversione dividendo per 5. Conviene procurarsi una SIM locale per usufruire di Grab per gli spostamenti in taxi, perché quelli ufficiali sono più cari, e anche per comprare biglietti di bus e registrarsi presso i parchi nazionali (spesso si fa tramite google form). In alcune zone, come le Isole Perenthian, quasi nessuno accetta la carta di credito, per cui è necessario fare una stima delle spese in base alla permanenza e procurarsi il contante prima di arrivare. Anche internet non prende dappertutto. Grab pay è una buona alternativa al contante per pagare a Kuala Lumpur e George Town, ma in alcune zone non è accettato da tutti. Ci sono altri sistemi di pagamento tramite QR, ma si appoggiano a sistemi locali. Nella nostra vacanza abbiamo camminato all’incirca 10-15.000 passi al giorno (equivalenti a 10 km, in media). Attenzione alla piccantezza dei piatti: il poco piccante malese corrisponde al nostro vado a fuoco.

Diario di viaggio in Malesia

Giorni 1 e 2 – Viaggio e l’arrivo

Il nostro viaggio in Malesia dura dal 2 al 19 agosto e inizia con 3 giorni di voli e scali, costati circa 900 euro a persona per un volo di andata e ritorno da Torino a Kuala Lumpur. L’andata comporta un volo TorinoRoma, 16 ore a Roma, volo RomaRiad, 8 ore a Riad, volo RiadKuala Lumpur, il tutto con Saudia Airlines. Non avendo a disposizione tantissimi giorni e volendo finire la vacanza con nuotate e snorkeling, noi ci siamo concentrati su tre zone: Kuala Lumpur, l’isola di Penang dove la città di George Town propone la gastronomia più variegata della Malesia, e le Isole Perenthian.

Giorno 3 – Kuala Lumpur

Arrivati alle 13 all’aeroporto, prendiamo al volo un bus per la stazione centrale. È importante prelevare del contante ma anche recuperare una SIM da inserire nel cellulare. Scegliamo U mobile, spendendo 7 euro, con tanto di tethering (che funziona poco e male). Nessun negoziante cambia il denaro ritirato, la monorotaia accetta solo banconote di piccola taglia e il pagamento con la carta di credito è quasi sempre fuori uso, quindi vaghiamo un bel po’ prima di risolvere il problema. Alla fine optiamo per piccoli acquisti per poter cambiare i tagli da 50 ringgit. Attenzione se prenotate l’hotel Swing & Pillow, perché nello stesso quartiere di Bukit Bintang ce ne sono due (infatti andiamo a quello sbagliato). Il consiglio di scegliere stanze senza finestre (letto in qualche blog) si rivela completamente sbagliato: l’aria stagna e non c’è nessuna necessità di essere isolati dal mondo, in quanto il traffico non è delirante come in molte città del sud est asiatico. Lo skyline di Kuala Lumpur, anzi, merita una finestra panoramica. Da Bintang si raggiunge China Town a piedi in circa mezz’ora, durante la quale si gode della vista del Merdeka 118, grattacielo alto 678,90 metri. La famosa Petaling Street è un susseguirsi di banchetti di merce sfacciatamente tarocca, e l’odore di plastica regna sovrano. Per fortuna il pullulare di venditori di durian riequilibra l’olezzo chimico con quello che per me – ma non per molti altri – è un ottimo profumo. Se ci si vuole cimentare nell’assaggio, va tenuto presente che sarà una delle maggiori spese. Quattro pezzettini di durian costano come una notte in hotel in due (12 euro), ma meritano. In agosto a Kuala Lumpur piove, e infatti diluvia quando ci mettiamo al riparo nel Mercato Centrale, colorato di azzurro e facilmente riconoscibile. Dentro si trovano bancarelle di prodotti artigianali e artistici. Al secondo piano si può mangiare in un interessante street food con contaminazioni indiane, cinesi, thailandesi che caratterizzano la cucina dell’intero Paese. Sempre sotto la pioggia e sempre a piedi, raggiungiamo un altro street food all’aperto in zona Bukit Bintang: il Jalan Alor. I piatti, in gran parte di pesce, costano abbastanza cari rispetto al Mercato Centrale (circa 10 euro l’uno se con prodotti ittici), ma è interessante passeggiare nella ressa di avventori osservando le proposte gastronomiche. Si può cenare anche nel Lot 10 Hutang, un centro commerciale molto climatizzato, come tutti gli ambienti chiusi e i mezzi di trasporto. Un altro centro commerciale molto raffinato è il Pavillon, a poca distanza. Gli abitanti considerano questi mastodonti come luoghi dove passare il tempo, infatti ci imbattiamo in esibizioni di danza moderna al piano terra. Non è raro che gli ipermercati ospitino giochi per giovani come badminton o Jenga giganti o anche mini parchi divertimento con cinema in 4D, giostre e attività ludiche.

Giorno 4 – Kuala Lumpur

Dopo un riposo rigenerante nonostante l’assenza di finestre, ci avviamo a piedi verso l’Acquario KLCCIA, che paghiamo 12 euro acquistandolo tramite Thrillark. Per arrivarci, imbocchiamo un tunnel pedonale climatizzato che parte dal Pavillon. La visita merita sicuramente per la grandissima varietà di pesci, meduse, molluschi, insetti e anche per un tunnel vetrato dove si viene trasportati da un tappeto mobile sotto un tetto di squali, mante e altri pesci. All’uscita si sbocca sul Parco Taman, lussureggiante e perfetto per via dei numerosi giardinieri che rastrellano ogni foglia secca in tempo record. Il centro città è zeppo di grattacieli, tra cui le famose Petronas Tower, su cui non saliamo perché la visita costa abbastanza cara (intorno ai 15 euro) e va prenotata con grande anticipo (almeno una settimana se non dieci giorni). A piedi raggiungiamo il perdibile ma gratuito Museo d’Arte Contemporanea Ilham, che ha il pregio di avere davanti all’ingresso un interessante street food dove con circa 5 euro mangiamo riso e cibo vario con la formula self service. Molti impiegati degli uffici sono loro clienti: mangiano e fumano, seduti e allineati sui muretti. Prendendo la linea MRT (metro che passa ogni 10 minuti) e poi la KTM (treno che passa ogni ora) raggiungiamo le famose Batu Caves, scalinate colorate con 272 gradini che portano a un tempio in una grotta. Bisogna stare attenti a non farsi fregare da attrazioni di ogni tipo a pagamento sulla sinistra, mentre l’accesso al tempio e alle grotte è completamente gratuito. Si gira a destra appena usciti dalla stazione e si accede al luogo sacro solo con abiti adeguati (anche se sono piuttosto tolleranti). È importante fare attenzione alle numerose scimmie che tendono a borseggiare senza pietà, soprattutto se si ha del cibo, ma sono simpatiche. Una signora con un sacchetto di patatine sferiche arancioni viene assalita con un salto enorme da una scimmia che le fa esplodere il pacco in un artificio di palline che schizzano ovunque, per poi riempirsene le manine. In un’oretta vediamo tutto. Decidiamo di andare al Taman Tugu, un parco abbastanza lontano da raggiungere in KTM e poi a piedi, che si rivela chiuso. In compenso scopriamo che è importante avere il biglietto per una stazione precisa, altrimenti tocca pagare una multa con la carta (in quel caso la accettano) direttamente al tornello di uscita. Se si considera che il prezzo di ogni biglietto è inferiore a un euro, la contravvenzione di circa 7 euro è abbastanza salata. Dalla porta sprangata del parco, torniamo a piedi a Dataran Merdeka, palazzo con grande parco in cui svetta un pennone che eleva la bandiera della Malesia nel punto più alto di tutto il Paese. Ricominciando a piovere, ci rifugiamo di nuovo nel Mercato Centrale, dove scopriamo un supermercato con ogni tipo di prodotto alimentare pensabile. Non mancano elaborazioni di ogni tipo del durian (caramelle, torte, gélée, biscotti), patatine di pesci essiccati e altri cibi curiosi. Al food court proviamo due bevande tipiche del luogo: il sirap bandung, fucsia e fatto con sciroppo di rose e latte di cocco condensato, e il falooda, sempre rosa ma contenente semi di basilico (qui sostituiti da gélée verdi), altre gélée fucsia e una pallina di gelato. Sono molto dolci ma da provare per capire i gusti locali.

Giorno 5 – Kuala Lumpur – George Town

Prendiamo un volo interno dall’aeroporto nazionale di Subang, dove arriviamo con un taxi di Grab. L’hotel Cozy Place di George Town, a Penang, ha stanze senza finestre con bagno a circa 20 euro a notte ed è carino. Per le prenotazioni successive provvederemo just in time, mentre i primi due hotel e il volo interno (che costa circa 20 euro a testa con tanto di bagagli in stiva) sono stati acquistati da casa. Studiamo i bus utilizzando l’app Check my bus, e scopriamo che da George Town è complicatissimo raggiungere Taman Negara, un parco naturale che decidiamo di saltare con rammarico. Esploreremo George Town e surrogheremo il Taman Negara irraggiungibile con quello di Penang, dove si arriva con 60 centesimi di euro di biglietto su un bus urbano. Non c’è giorno in cui non piova almeno un po’, e anche a George Town il mare non sembra entusiasmante per fare una nuotata, per cui rinunciamo. La città è un interessante mix di palazzine costruite dai locali e dagli inglesi, e vi convivono malesi, cinesi, indiani in un melting pot pacifico (anche perché ci viene detto che se si sgarra sono previste pene piuttosto gravose, fino a quella di morte). Per le strade ci sono happy hour in cui si possono ordinare anche birre, una rarità per un Paese perlopiù musulmano. Tra i vari street food, famosi per essere al top dell’offerta gastronomica malese, scegliamo per la cena il Red Garden Food Paradise: ottima decisione, sia per la varietà di cibi, sia per il piano bar dove 5 o 6 cantanti steccano su canzoni famosissime, avvicendandosi sul palco. Si va ad ordinare al banco scelto, si paga, si comunica il numero del proprio tavolo e poi si aspetta (ore) comodamente seduti. Ci sono molti barbecue satay, zuppe thailandesi, mini crêpe di mais, pesce, carne, noodles, riso, il tutto sempre piccantissimo e conditissimo con salse di soia e altre spezie. Non assaggiamo le frittate di uova e ostriche, senza sapere che non le incontreremo più nelle altre tappe del viaggio: il profumo è molto invitante, e credo siano da assaggiare. Interessante il succo di keat la (la nostra limetta) con prugna tipo umeboshi, con un sapore agrodolce che spiazza.

Giorno 6 – George Town

Oggi è il giorno del trekking nella giungla (Taman Negara) dell’isola. Con 40 minuti di bus n. 101 (ma va bene anche il n. 102), ci spostiamo dalla stazione centrale dei bus all’ingresso del più piccolo parco nazionale della Malesia, per cui si paga un biglietto di circa 10 euro e ci si deve registrare online (altro motivo per cui non si può fare a meno della SIM locale). Prima di entrare, se ci si sofferma ai banchetti esterni, si beneficia di spiegazioni esaurienti sui sentieri aperti e chiusi e sulla difficoltà degli itinerari. A noi racconta tutto una signora che estrae un cartello con la cartina dal retro bottega. Decidiamo di percorrere il sentiero fino al Lago Meromittico, vicino alla Spiaggia Pantai Kerachut, dove è vietato nuotare per via delle meduse pericolose. In un’ora e 15 minuti si coprono i 2 km di distanza, passando da un sentiero con molte radici e gradini irregolari. È incredibile fermarsi ad ascoltare il suono della giungla: uccelli, rospi, un tipo di cicala che emette un fischio pressoché continuo che fa da colonna sonora alla camminata. Vediamo poche scimmie, alcuni varani e un picchio, mentre il lago è una distesa di piccolissimi granchi e insetti. Percorriamo anche alcuni brevi canopy walking (ponti tibetani), surrogati di quelli del Taman Negara grande. Si può tornare all’ingresso in barca, ma il prezzo è così esoso (due tratte da 30 euro l’una a testa) che decidiamo di tornare a piedi, premiandoci con un ottimo frullato di dragon fruit (i malesi sono dediti a frullare banane, manghi, carote, arance, mele e altra frutta, anche se meno di quella che immaginavo, mentre quella fresca non è così diffusa nelle bancarelle). La sera cambiamo street food e proviamo il Lebuh Kimberley, che propone sempre più o meno la stessa gamma gastronomica.

Giorno 7 – George Town

Mattinata dedicata a passeggiare tra i numerosi murales della città vecchia, dopo un bel frullato di avocado da Mimiya. Le opere di street art sono reperibili cercandone il nome su Google Maps:

I want Bao;

Hoola Hoop Basketball;

Susu Soya Asli & Segar;

Brother & Sister on a Swing;

The Real Bruce Lee Would Never Do This;

Little Boy with Pet Dinosaur;

Malaysian Man In A Flag Shirt Mural;

Little Boy with Pet Dinosaur;

Boy on Motorbike by Ernest Zacharevic;

Thaipusam;

Mr. Bean, Marilyn Monroe, Mozart e Tuk Tuk (si trovano uno dopo l’altro sulla stessa via);

Tiger, si trova nella stradina di fronte quella con i murales precedenti;

Fisherman;

Dancing girl;

Little Girl in Blue;

Trishaw man;

Man selling pau;

Penang Street Art – Boy on Chair;

Window Cat;

Butterfly Cat;

Lion Dance Wall Art;

Kids on bicycle by Ernest Zacharevic;

Folklore by the Sea.

Alcuni murales sono in ferro battuto, altri dipinti. Nel quartiere ci sono molti negozietti di artigianato e vestiti e si aggirano un sacco di tuk-tuk. Mentre procediamo nella caccia al tesoro, approdiamo al Molo degli Antichi Clan, con case su palafitte, un tempio e numerosi negozietti. La tappa successiva è il Wonderfood Museum, che, per 6 euro a testa, ci fa esplorare tutti i piatti riprodotti in cartapesta, le usanze gastronomiche e una serie di installazioni simpatiche per fare foto scherzose. Lo trovo utile per avere un quadro d’insieme di quello che abbiamo già assaggiato e di quello che dovremo per forza provare ancora, come il cendol, un dolce che avevo visto ma non mi ispirava, e il blue pea, un fiore che si usa per colorare il riso di blu e per tisane. Se prenotato il giorno prima con Agoda, l’ingresso costa 4,50 euro. Ci concediamo un pranzo indiano nel quartiere indiano per poi andare a The Top, presso la Komtar Tower, un parco a tema in cui compriamo sul sito Trip (scontati) 3 biglietti per la vista panoramica dal 65esimo piano, la passeggiata con un’inutile imbragatura sul cornicione esterno che prima era esposto e ora è protetto da una rete altissima, e il rainbow skywalking, un camminatoio di plastica trasparente al 68esimo piano su cui sembra di volare altissimi sulla città e si gode di un bel panorama sui due ponti di 9 e 13 km che collegano l’isola con la terraferma. La spesa totale è intorno ai 12 euro a testa. La sera ceniamo al Tai Tong Restaurant, dove ci si approvvigiona il cibo in tre modi diversi: il cameriere porta il menù e si ordina, un carrello passa tra i tavoli con un sacco di tipi di ravioli e altri piatti e si scelgono direttamente da lì quelli che si vogliono, e si può anche andare a un bancone con un’ampia scelta di bao, tra cui il più buono secondo me è quello giallo con la crema all’uovo dentro. Assaggio anche un riso bollito nel latte di cocco con dentro carne, pollo, salsiccia, verdure sconosciute e perfino una castagna d’acqua avvolto in una foglia di palma: so dal museo che si tratta della tipica colazione malese. Poco oltre il locale c’è uno street food dove ci concediamo un durian intero, che va mangiato con la mano destra guantata (i guanti sono sempre forniti, del resto, con quel prezzo, ci mancherebbe. C’è anche il benefit di una mini bottiglietta d’acqua a testa). Teniamo i semi, ma purtroppo in Italia si può coltivare solo come pianta da interni: credo che lasceremo perdere, dato che la temperatura dell’aria non può scendere sotto i 27 gradi. C’è anche un fruttivendolo (KC OOI Fruit Enterprise) che ha vaschette con pezzi già tagliati di jack fruit, anguria, banane, mele, guava e altro a buon prezzo, e per i nostalgici dell’Italia si può andare da Luca’s Panzerotto, gestito da un pugliese di Laterza. Devo ammettere controvoglia che sono buoni come da noi, farciti con la polpa Mutti, di cui si intravedono moltissime latte impilate.

Giorno 8 – George Town e viaggio per Kuala Besut

Il bus per andare verso le Isole Perhentian, trovato con l’app Check my bus, parte alle 10 e deve arrivare alle 17 a Kuala Besut, il villaggio da cui partono i battelli. Bisogna regolarsi con le bevute (di acqua e in generale di qualsiasi liquido) perché non c’è il bagno a bordo e le fermate sono in autogrill molto artigianali, ogni 3-4 ore di viaggio. Spesso non c’è nemmeno un benzinaio, e i ristori sono i soliti street food. Conviene munirsi di spiccioli perché tutte le toilette pubbliche sono a pagamento (da 50 centesimi a 3 ringgit a seconda della zona). Prendiamo un Grab, ma scopriamo che, contrariamente a quello che appare su Google Maps, è comodissimo il battello che collega lo Swettenham Pier Cruise Terminal al Pangkalan Sultan Abdul Halim Ferry Terminal di Butterworth, che si trova nella parte di Penang sulla terraferma: ci sono battelli ogni mezzora, impiegano 20 minuti, costano poco come tutti i mezzi pubblici e soprattutto si esce direttamente dentro il terminal dei bus, dove, pur avendo in biglietto, è necessario recarsi un po’ prima per fare il check-in alla biglietteria. Conviene sempre scegliere i posti alti dei bus a due piani, se possibile in prima fila, sia per la vista sia per la comodità dei sedili, caso mai si scegliesse un notturno e si volesse dormire. Invece che alle 17 arriviamo a Besut alle 19,40: è quindi importante considerare un viaggio più lungo almeno di un 30-40% rispetto al previsto, soprattutto se si devono prendere più mezzi uno dopo l’altro. Kuala Besut si presenta come una tranquillissima cittadina con alcuni ristoranti di pesce, un fiume che divide in due l’abitato e un grande mercato del pesce. Ci fermiamo a cena al ristorante Chobby Seafood, dove c’è una buona varietà di pesce con simpatici condimenti come quello all’aglio (che viene anche messo in vari frullati insieme allo zenzero, in tutto il Paese). La scelta di un bnb non vicinissimo al centro, Roomstay Tok Bah de Muara, ci regala una passeggiata di 2 km e mezzo carichi come muli lungo il fiume in una strada sterrata e sotto la pioggia: romantica ma evitabile. Sull’app di Grab, tra l’altro, non risulta il luogo, per cui sembra complicato raggiungerlo con il taxi.

Giorno 9 – Viaggio in battello da Kuala Besut alle Isole Perhentian

Prima di prendere il battello, dopo aver fatto a ritroso sotto una pioggerellina bagna-villano la passeggiata lungo il fiume, che ha una sua poesia intrinseca, con i pescatori sulle barchette, le persone sedute lungo la strada, i ragazzi in motorino che salutano cordiali (chiedendosi cosa stiano combinando questi due turisti a piedi nello sterrato), decidiamo di andare al Fish Market Complex, che merita una visita per la presenza di un sacco di tipi di pesce, un sacco di gatti interessati al luogo, le barche coloratissime, i riparatori di reti che pazientemente con ago e filo ricuciono ciò che si è rotto. Pranziamo al ristorante Nie Ikan Bakar: non ci piace molto che griglino il pesce con le interiora, senza pulirlo minimamente ma buttandolo intero sulla griglia, cottura che rovina prodotti freschissimi e altrimenti molto buoni. Conviene chiedere di non mettere salse, perché come al solito sono piccantissime e potrebbero rovinare ulteriormente il pasto, a seconda dei gusti. Torniamo al terminal dei battelli ripercorrendo a piedi un ponte. Ci si può rivolgere a qualsiasi compagnia di traghetti perché il costo delle tratte è di 7 euro ovunque. Conviene prendere andata e ritorno open, in quanto sulle isole, almeno su Kecil, dove abbiamo prenotato una stanza da Perhentian Idaman per 6 notti, non c’è biglietteria. Al terminal traghetti ci sono souvenir a poco prezzo, ma conviene comprarli al ritorno in modo da non avere troppo ingombro inutile. Paghiamo le due tasse per il Parco Naturale, una da 7 euro e una da 4 euro, e finalmente ci avviamo alla volta di Kecil.

Giorni 10 – 17 – Isole Perhentian e Rawa

Le Isole Perenthian sono due, Kecil e Besar, collegate da un sistema di water taxi efficiente da pagare esclusivamente in contanti e abbastanza caro per gli standard della Malesia (una tratta breve costa 3-6 euro a persona, e se si è soli si paga doppio, dopo le 19 si paga doppio, quindi uno spostamento breve in due o da soli costa 12-24 euro). La sistemazione presso Perhentian Idaman è ottimale, perché paghiamo 208 euro per 6 notti, e, nonostante le cattive recensioni, è una delle migliori sistemazioni del nostro viaggio: la stanza è grande, pulita, con il bagno e soprattutto si trova nel Villaggio dei Pescatori ed è in muratura, il che garantisce benessere durante le piogge torrenziali che scrosciano quasi ogni giorno per un po’ di ore, solitamente dopo le 17, nonostante a est la stagione delle piogge sia da novembre a marzo. Inoltre, questo paesino a Kecil è l’unico luogo dove vive la gente del posto, con tanto di ospedale, scuola, polizia, moschea, mentre tutti gli altri luoghi sono costruiti solo per turisti e sono dei giganteschi resort di livello più o meno alto, ma meno autentici. L’unica pecca è il muezzin che recita al megafono del minareto una litania molto spesso e a volume altissimo per un’ora: consiglio di dormire con tappi di cera e mascherina per gli occhi. Per scoprire Besar, ci affidiamo a uno snorkeling tour breve, che tocca tutte le spiagge e i punti in mezzo al mare più interessanti: per 10 euro a testa, si sta dalle 10 alle 15,30 in giro (molto più economico che spostarsi in water taxi), andando alla Laguna Blu, alla Spiaggia di Teluk Pau, a quella delle Tartarughe, e allo Shark Point, oltre a fare una sosta pranzo alla Riserva Marina. In questo tour vediamo enormi pesci napoleone, pesci balestra, pesci pagliaccio nella loro attinia infagottata in una specie di sacca viola, banchi enormi di pesciolini, tartarughe con tanto di remore attaccate alla pancia, e soprattutto gli squali pinna nera, che arrivano fino al bagnasciuga e si divertono a nuotare nei banchi di pesciolini. La maggior parte di loro sono proprio cuccioli, ma ce ne sono altri lunghi fino a 2 metri: saranno mansueti, ma nuotarci in mezzo fa una certa impressione. I coralli sono bellissimi, sembrano peluche con geometrie ideate da un dio architetto e hanno colori variegati, ma purtroppo non se la passano benissimo e sono in gran parte morti. I locali non sono molto attenti a raccomandare di mettere solo creme solari mineral-based, e ho l’impressione che non abbiano molte accortezze in generale. Anche se non c’è sole, conviene sempre mettere pantaloncini e maglia con filtro UV 50+. Noi riusciamo a ustionarci sotto la pioggia con la crema 50+, perché nuotiamo in costume. Molti turisti hanno la pelle con tonalità di rosso davvero inquietanti. Durante il nostro soggiorno facciamo un’altra escursione snorkeling alle Isole Rawa, dalle 10 alle 13,30, al costo di 14 euro a testa, ma non si vede fauna marina in più, anzi, ce n’è meno che al primo tour di snorkeling ed entrando direttamente in acqua dalle spiagge della parte occidentale di Kecil. È interessante la Spiaggia delle Piccole Maldive, che collega una parte di un’isoletta all’altra, per il panorama di cui si gode fuori dall’acqua. Purtroppo il tour è molto affollato, come anche la Spiaggia delle Tartarughe a Besar, e non è gradevolissimo stare in mezzo a tantissimi turisti che nuotano e molte barche con il motore acceso. Se si vogliono acquistare snorkeling tour, si può andare da chiunque, perché i prezzi e l’offerta sono identici ovunque. Le spiagge di Kecil raggiungibili a piedi con sentieri ben segnalati nella giungla sono parecchie e alcune sono interessanti: la mia preferita è stata Keranji Beach, nella costa a sud-ovest, raggiungibile in 45 minuti a piedi dal villaggio, tranquilla, poco affollata e con un’interessante fauna marina (molti squali, banchi di pesci così grandi che sembra di stare in un quadro di Escher, seppie). Camminando meno, si può nuotare partendo dalla spiaggia del residence Perhentian Bay, che, pur essendo poco comoda per via delle formiche e della scarsità di spazio, ha un mare con fondale ricco di coralli colorati e pieno di pesci. Inoltre al bar c’è quello che battezzo il re dei roti canai, crêpes di origine indiana con ogni tipo di farcitura, preparate in modo molto coreografico (acrobazie con la pasta degne di un pizzaiolo acrobatico). Se ci si spinge a 10-15 minuti di sentiero oltre, si arriva alla Petani Beach, un buon compromesso tra comodità/ombreggiatura della spiaggia e bellezza dell’esperienza di snorkeling. Coral Beach, raggiungibile con il sentiero che arriva dal Villaggio dei Pescatori sulla costa ovest in circa un’ora e mezza, è più interessante per bere qualcosa di alcolico, così raro in Malesia, in qualche locale sulla spiaggia, magari contemplando un bel tramonto (il ritorno in water taxi costa 5 euro a testa prima delle 19 e 10 euro dopo, per circa 10 minuti di spostamento). Un sentiero da 10 minuti collega Coral Beach a Long Beach, che si trova a est, ed è la più lunga distesa di sabbia e locali di Kecil, oltre a risultare – sulle guide – il luogo della movida serale (ma noi non tocchiamo con mano). Il sentiero che collega Long Beach al villaggio, percorrendo la parte est, è mal tenuto e ha molti punti crollati e in cui bisogna passare sotto pali sventrati e alberi caduti, a quattro zampe. Lo percorriamo tutto, ma è evitabile anche perché non ha particolari attrattive. Lungo tutti questi sentieri si fanno pochi incontri con animali: nessuna scimmia. L’unica presenza sono varani anche di grosse dimensioni che si aggirano soprattutto nelle zone con torrenti. Per quanto riguarda il cibo, i vari locali sono abbastanza equivalenti come qualità del cibo, e anche come attesa: da quando si ordina a quando arriva il piatto si arriva ad aspettare anche due ore. Il menù è lo stesso ovunque, e presenta una varietà di riso e noodles fritti con condimenti di verdure, carne o pesce, zuppe di vario tipo, anche thailandesi, roti canai, frappè, frullati e lassi alla frutta (un’altra contaminazione indiana). Vengono servite anche delle patatine a forma di salame o piatte fatte con polvere di pesce e farina di sego: le prime si chiamano keropok lekor goreng, le seconde keropoc keping goreng. I prezzi, nonostante tutto il cibo sia importato da Besut, pesce incluso, sono contenuti. In due non si spendono mai più di 10 euro. L’unica eccezione è un ristorante che viene montato da zero sulla spiaggia con pesce grigliato, per cui si arrivano a spendere 24 euro in due. Purtroppo non riusciamo mai a soddisfare la curiosità in merito a questo pasto, perché ogni volta che ci proviamo inizia il diluvio universale e devono ritirare tutto in fretta e furia. Quando ci sono gruppi di malesi che fanno festa (ad esempio gruppi di diving o simili), i turisti sono visti quasi come attrazioni. Non siamo gli unici italiani sull’isola (anzi è l’unico posto della Malesia che straripa di italiani), ma veniamo invitati da un gruppo di turisti interni ad assaggiare la loro grigliata e delle bevande agrodolci a base di cocco che bevo solo per cortesia perché sono disgustose, anche se loro le dipingono come very delicious. La cordialità della popolazione locale, caratterizzata da carnagione scura e lineamenti non proprio asiatici come li intendiamo noi, si rivela cordiale e gentilissima anche quando entro in un mini-market per prendere l’acqua e noto che i bambini, sul retro, mangiano riso e durian. Mi informo e scopro che ad agosto non è più stagione per questo frutto, ma loro ogni mattina vanno a piedi su un piccolo monte in mezzo alla giungla e ne portano giù 5 o 6. Me ne offrono un bel po’, in barba al prezzo esorbitante che ha altrove. Peccato che li scopriamo l’ultima sera, perché altrimenti ci sarebbe piaciuto farci accompagnare a fare questo trekking in cui sicuramente loro avrebbero avuto le ciabatte, come tutti gli abitanti del luogo dediti a qualsiasi attività, fino alle più pericolose.

Giorno 18: Isole Perhentian – Kuala Lumpur

Per il ritorno, prendiamo un battello alle 10 del mattino (attenzione perché fanno parecchio ritardo) e poi un bus che dalle 13,30 del mattino impiega fino alle 22,30 ad arrivare a Kuala Lumpur (invece che arrivare alle 21 come segnalato, ma è un normale ritardo malese). Per coccolarci un po’, andiamo all’Infinitum Luxe Suites, che per 35 euro in due a notte offre una bella stanza con terrazza e finestre enormi ai piani alti con tanto di piscina a sfioro al 35esimo piano e palestra al 36esimo incluse. Il panorama è molto bello, e fa riflettere per la vicinanza tra baracche e grattacieli avveniristici. Un punto a favore di questa sistemazione è che si trova nel quartiere Chow Kit, non descritto sulle guide turistiche.

Giorno 19: Kuala Lumpur

Dedichiamo l’ultimo giorno in Malesia a fare un giro nel mercato di Chow Kit, grandissimo e fornito di tutto quello che di alimentare si possa immaginare, oltre che incredibilmente coreografico. Ricco di murales, ha un reparto per la frutta e verdura e uno per le carni e il pesce, dove si assiste a scene caratteristiche, tra animali vivi, teste mozzate e coltelli che tagliano a folle velocità molto vicino alle dita dei venditori. Ne esiste anche una versione notturna ridotta. Con una metro raggiungiamo il quartiere di Bangsar Baru, pienissimo di giovani, caffetterie e torterie occidentali, ristoranti lussuosi. Non mancano murales. Proviamo un ristorante con la cucina di Malacca, The Perakan, visto che non siamo riusciti a visitarla: spendendo 24 euro in due, proviamo alcuni piatti tipici come l’otak-otak, un delizioso paté di sgombro, lemon grass, peperoncino, latte di cocco, coriandolo, la tisana di blue pea (in italiano clitoria di ternate), che cambia colore al variare del PH, il pai tee, una pastella fine fritta a forma di cestino contenente verdure, pesce, caviale, e il jiu hu char, una patata messicana tagliata a strisce e saltata. Ci facciamo poi portare da un Grab a Lake Park, un enorme parco con moltissimi tipi di giardino tutti insieme (botanico, delle orchidee), una voliera per uccelli molto grande e costosa da visitare – 30 euro a persona – laghi, alberi enormi, e una struttura gialla e bianca con specie di enormi funghi che ricordano lontanamente i Gardens by the Bay di Singapore. Dopo un bagno nella piscina a sfioro, l’ultima cena, destinata a terminare il contante, si svolge in parte al Selera Ramai Ikan Singgano, un interessante street food di pesce proprio sotto l’hotel e in parte al mercato notturno di Chow Kit, dove provo il cendol al durian.

Giorni 20 e 21: Da Kuala Lumpur a Torino

Il volo di ritorno prevede gli stessi scali dell’andata. Lo scalo di 11 ore a Riad permette di dormire, ma nemmeno mettendomi tutti i vestiti pesanti che ho in valigia sopporto facilmente la temperatura che si aggira intorno ai 16 gradi. L’arrivo è a Torino la mattina del 19 agosto. È anche per questo che stimo la durata del viaggio troppo breve per potersi immergere appieno in tutti i luoghi interessanti che la Malesia ha da offrire, ma avendo i giorni contati posso consigliare di visitare lo stesso questo Paese, magari selezionando, come abbiamo fatto noi, alcune zone specifiche.

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