E ora mi eclisso in Cile…

... in un viaggio lungo il Paese
Scritto da: Mara Speedy
e ora mi eclisso in cile...
Partenza il: 09/11/2012
Ritorno il: 26/11/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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“Malgrado nel nostro lungo e sottile paese ci separino migliaia di chilometri, la somiglianza tra noi è forte; siamo accomunati dalla lingua e tradizioni simili”, così si esprimeva Isabel Allende parlando dei propri compatrioti e questo è vero anche per gli abitanti della lontana Isola di Pasqua, prima tappa del nostro viaggio in terra cilena.

Partiamo da Milano Malpensa il 09.11.2012 alle ore 19.10 con Iberia (2060 euro + 60 di assicurazione, i prezzi se non altrimenti indicati si intendono per due persone), con scalo a Madrid dove arriviamo alle 21.20. Ripartiamo poco dopo la mezzanotte per arrivare a Santiago alle 07.50 del 10.11.

Al nostro arrivo, la prima cosa che dobbiamo fare, è prenotare il biglietto da Santiago a San Pedro Atacama con TurBus. Infatti dall’Italia non eravamo riuscite, perché richiedevano che la carta di credito fosse stata emessa in Cile. Quindi una volta raggiunto il livello 1 dell’aeroporto, ci dirigiamo verso l’ufficio di TurBus (www.turbus.cl): momento di sbigottimento, l’ufficio è chiuso sia di sabato che di domenica, quindi dobbiamo sperare di trovare ancora biglietti quando torneremo dall’Isola di Pasqua. Un po’ preoccupate, decidiamo comunque di non farci scoraggiare e ci dirigiamo al deposito bagagli. Dato che il nostro volo per l’Isola tanto famosa per le teste scolpite nella roccia, parte solo in serata, decidiamo di lasciare le valigie in aeroporto (custodia per una piccola 4 euro e per una media 8 euro), per poter raggiungere il centro e muoverci in libertà.

Appena fuori dall’aeroporto prendiamo il bus Centropuerto che copre proprio la tratta fino al centro città (ogni 10 minuti, 2,6 euro biglietto di sola andata e 4 euro andata e ritorno); scendiamo alla fermata della metropolitana L1 rossa di Los Heroes (www.metrosantiago.cl, il prezzo è massimo di 1 euro a secondo che l’orario sia di punta o meno), prendiamo quindi il treno in direzione Los Dominicos e in circa 10 minuti raggiungiamo la fermata di Baquedano.

Una volta tornate in superficie, oltrepassiamo la moderna piazza e quindi il ponte che attraversa il Río Mapocho, il fiume dalle acque non proprio limpide che percorre da est a ovest la città. Percorriamo la via Pio Nono e raggiungiamo il Teleferico, che purtroppo non funziona da qualche tempo. Nonostante questa sorpresa, iniziamo sotto il sole cocente, la salita al Cerro San Cristobal, alto 869 m, che è conosciuto anche come Parque Metropolitano. Subito ci imbattiamo nella flora e fauna locali, fiori coloratissimi e animali di… cartone! Infatti, sono solo la pubblicità del Jardin Zoológico che costeggeremo per un breve tratto, durante la nostra scalata verso il Santuario Inmaculada Conceptión, dove sorge la statua della Vergine Maria, alta 14 m. Arriviamo finalmente in vetta e possiamo ammirare il panorama sulla città e delle Ande maestose davanti a noi; ci riposiamo un attimo all’ombra e munite di gelato affrontiamo la discesa sempre sullo sterrato.

Ritorniamo verso Baquedano, ma questa volta attraversiamo il Patio Bellavista, che è proprio lungo Pio Nono ed è una sorta di quartiere nel quartiere pieno di colori, negozietti e localini. Riprendiamo la metropolitana in direzione San Pablo, raggiungendo la fermata di La Moneda.

Il Palacio de La Moneda occupa un intero isolato ed è la residenza ufficiale del presidente cileno. Costruito in stile neoclassico alla fine del ‘700 da un italiano, allo scopo di ospitare la zecca nazionale, è tristemente noto per le immagini del golpe contro Allende del 1973.

Davanti al Palacio de la Moneda vediamo tanti fiori di pietra e ci scervelliamo sul significato che possono avere: ricorderanno i desaparecidos, oppure i morti nel golpe… una volta a casa scopriremo che erano narcisi di argilla mescolati ad altri minerali e facevano parte di una mostra già presentata anche a Londra in occasione dei Giochi Olimpici del 2012 (Muestra Out of Sync di Fernando Casasempere).

Davanti al palazzo scorre il traffico dell’Av. Libertador Bernardo O’Higgins. La percorriamo per un breve tratto finché a sinistra non incrociamo Paseo Ahumada, via pedonale, che porta alla Plaza de Armas. Troviamo un supermercato, dove fare scorta di acqua e viveri. I negozi sono assolutamente al livello di quelli europei e la povertà vista in altri paesi del Sudamerica qui non sembra esistere.

Arrivate alla piazza centrale, prendiamo a destra per Merced passando davanti a Casa Colorada, la casa rossa, che è l’unico esempio rimasto di casa di epoca coloniale. Giriamo a sinistra su San Antonio e di nuovo a sinistra su Monjitas, dove una volta ritornate in Plaza de Armas ci troviamo sulla nostra destra i maggiori edifici del centro di Santiago: la Municipalidad, edificio del XVI sec. che una volta era una prigione, il Palacio de la Real Audencia, che era la sede della Corte Suprema e infine il Correo Central, che ospita, in un edificio neoclassico francese, una collezione di francobolli e un piccolo museo della posta.

Proprio davanti a noi si erge la splendida Catedral Metropolitan, che dal 1775 è la chiesa cattolica più grande del Cile. All’interno tra affreschi e altorilievi, si trovano un organo londinese e l’altare centrale che proviene da Monaco.

Proseguiamo su Catedral e una volta girato a sinistra su Morandé, ci imbattiamo nell’Ex-Congreso Nacional, un bell’edificio contornato da un giardino esotico. Rigiriamo a sinistra su Compañia de Jesús e troviamo il Palacio de los Tribunales de Justicia, ora Corte Suprema che è un capolavoro di metallo e vetro. Prendiamo a destra su Bandera e sull’angolo troviamo l’entrata al Museo Chileno de Arte Precolombino, edificio una volta utilizzato come dogana, ora ospita ad esempio la mummia di Chinchorro, il Quipu Inca, una sorta di agenda-calcolatrice fatta di corde e nodi, i resti di antichi tessuti andini e di maschere funerarie moche.

Percorriamo Paseo Huérfanos, via dello shopping, e ritorniamo in Plaza de Armas, dove assistiamo a un curioso addio al celibato in bicicletta.

Da qui riprendiamo Compañia de Jesús, fino a trovarci davanti al Palacio Alhambra: avevo visto quello originale di Granada solo sei mesi prima e vi assicuro che, anche se in piccolo, ci assomiglia molto.

Continuiamo sulla stessa strada finché non incrociamo Tupacel Jimenez, che percorriamo fino al terminal Los Heroes, dove prenderemo il bus per l’aeroporto.

Se avessimo avuto un po’ più di tempo, mi sarebbe piaciuto visitare e cenare nel barrio Suecia o nel Barrio París-Londres, noto anche come ‘quartiere francese’, dato che sono le aree più vivaci di Santiago, dove si trovano innumerevoli ristorantini tipici e un trafficato mercato artigianale.

Siamo stanche, abbiamo camminato tanto e sotto il sole. Arrivate in aeroporto, recuperiamo i bagagli, ci rinfreschiamo e ceniamo. In attesa dell’imbarco siamo piacevolmente sorprese dal fatto che il wi-fi è presente quasi ovunque in Cile, anche se non sempre funziona, così possiamo raccontare le nostre disavventure a casa.

Partiamo alle 22.15 da Santiago via Lima con LAN (www.lan.com) per l’isola di Pasqua (1243,36 euro). Arriviamo nella capitale peruviana alle 00.01. Lan è l’unica compagnia che copre la tratta verso l’Isola di Pasqua e quindi detta legge sui prezzi, che sono piuttosto alti. Se Vi state chiedendo il perché del transito da Lima, la risposta è semplicemente che questa soluzione costava meno del volo diretto da Santiago ad Hanga Roa. Se lo avessimo saputo prima dell’acquisto del volo intercontinentale, probabilmente avremmo volato da Milano direttamente su Lima, per poi rientrare su Santiago. Ripartiamo da Lima alle 01.20 di domenica 11.11 e arriviamo nella sperduta isola di Pasqua alle ore 6.55.

All’aeroporto un’addetta di Kia Koe Tour (bea@kiakoetour.cl) ci fa avere il programma per le gite prenotate direttamente dall’Italia (152 euro). Spesso è richiesto un anticipo sia dagli hotel che dalle agenzie via Paypal o carta di credito. Ci vengono poi a prendere per portarci alla Cabaña Mangai, bungalow prenotato tramite il Portal Rapa Nui (fvigoroux@portalrapanui.cl, 168 euro per tre notti) e ci viene messa al collo una collana di buganvillea che fa tanto Hawaii.

Speravamo che ci dessero la chiave prima di mezzogiorno, ma al contrario ci portano al nostro alloggio con un’ora e mezza di ritardo. Nel mentre veniamo lasciate in un altro bungalow con le valigie e lontano dal centro abitato, così non possiamo neanche andare a far colazione e soprattutto farci una doccia.

Quando finalmente le cose si sistemano, scopriamo che la nostra è una casettina nel mezzo di un bosco, proprio vicino al Sector de Tahai, dove vediamo i nostri primi moai, purtroppo però alla sera la via del ritorno non è illuminata. L’isola è molto sicura, la delinquenza è inesistente, ma non ci sentiamo comunque sicure nel buio pesto.

Fatta la tanto agognata doccia, non ci resta che partire alla scoperta di questa isola tanto misteriosa; attraversiamo il Sector de Tahai e percorriamo il lungo mare fino ad arrivare alla strada principale di Hanga Roa, Av, Atamu Tekena, dove ci fermiamo per la colazione da Restaurant Ra’a (scopriamo subito che l’isola è piuttosto cara, dovendo importare tutto dalla terra ferma; colazione con torta e macedonia ben 21 euro).

Subito impariamo che Iorana è il loro saluto, ma a parte i loro tratti e la loro lingua, l’isola è molto moderna e del tutto simile al Cile continentale, proprio come diceva l’Allende. Nonostante sia la più remota terra del mondo, nel senso che è quella che più dista da un’altra isola o da un altro continente, c’è tutto, come è normale che sia: un municipio, due banche, la stazione dei pompieri, un campo da calcio in riva al mare, eppure ci si sente sempre osservati dai moai, che si ergono qua e là.

Il tempo qui cambia velocemente, sole e pioggia si alternano in un continuo mutamento, quindi il consiglio è di portare sempre sia crema e occhiali da sole, che ombrello e giacca, così sarete pronti a ogni evenienza.

Volendo avremmo potuto noleggiare una moto, un quad oppure una jeep, ma abbiamo preferito affidarci a un’agenzia per avere una guida che ci spiegasse il perché della presenza sull’isola dei tanto misteriosi moai.

Avevamo chiesto che la prima gita fosse dopo pranzo, per avere l’ultimo pomeriggio libero da passare alla spiaggia di Anakena, ma purtroppo nonostante la conferma, ci siamo ritrovate con il pomeriggio libero, ma avendo perso tempo con la consegna della cabaña, era ormai tardi per organizzarci ed andare alla spiaggia il giorno stesso dell’arrivo. Così passeggiamo in lungo e in largo per la cittadina che è strutturata semplicemente da due strade che si incrociano. Abbiamo però la fortuna di imbatterci in uno spettacolo inatteso, infatti sono ospiti sull’isola dei danzatori provenienti dalle isole Marchesi: ci fermiamo quindi ad assistere ai balli, canti e allo scambio di doni tra gli abitanti di Rapa Nui e i loro ospiti. La sinuosità delle donne, che in realtà sono solo delle bambine, si contrappone all’aggressività nelle mosse degli uomini, che cercano di sedurle con le proprie movenze: le danze qui ricordano sia la hula delle Hawaii che la danza haka (quella con cui aprono le partite i neozelandesi All Blacks) e in effetti, ci spiegherà poi la nostra guida, sia gli hawaiani che i polinesiani maori fanno parte di quella famiglia da cui provengono gli abitanti dell’isola di Pasqua e la radice comune si può notare non solo nei tratti somatici, ma anche nella lingua.

Ci rilassiamo in riva al mare con il venticello del Pacifico, guardando in lontananza dei ragazzi che praticano surf. Torniamo alla nostra cabaña, strutturata su due piani, con le camere sopra e sala e cucina sotto, con un albero che attraversa proprio al centro i due piani. Torniamo nel nucleo cittadino per cena e ci fermiamo al ristorante Tavake, buono, ma con servizio lentissimo, dove mangiamo lo sconosciuto pesce kara kara sia in umido che cheviche, cioè crudo con limone e cipolla (50 euro).

Lunedì 12.11 ci troviamo direttamente all’agenzia e partiamo intorno alle 9.30 per un’escursione full day alla scoperta del sud dell’isola. Iniziamo da Akahanga, con il suo moai caduto e i vari pukao abbandonati. Ci dirigiamo poi verso la penisola di Poike, dove visitiamo l’Ahu Tongariki, con i suoi 15 moai in fila: ahu significa piattaforma-altare e Tongariki è la piattaforma più grande mai costruita. Il vento soffia forte e inizia a piovigginare. Proseguiamo comunque lungo la costa sud dell’isola verso Rano Raraku, dove paghiamo il biglietto di entrata al Parque Nacional Rapa Nui che servirà anche per entrare a Orongo (48 euro a testa). La pioggia è sempre più forte, ma non possiamo non visitare forse il luogo più emozionante, dove si trovano circa 400 esemplari di moai, alcuni veramente ben conservati, ad esempio Hinariru, che è quello che in assoluto è il più fotografato, Piropiro, di cui circa 7 m si trovano ancora sotterrati, il gigante, che se fosse stato staccato dal suolo sarebbe alto circa 20 m, Ko Kona He Roa, sulla cui pancia è stata misteriosamente intagliata una nave di tipo europeo, e Tukuturi, l’unico che appare in ginocchio.

Infreddoliti e inzuppati, risaliamo sul pulmino che ci porta all’Ahu Te Pito Kura, dove troviamo il moai più grande mai trasportato e dove ci viene dimostrata la proprietà magnetica di una pietra che dicono essere l’ombelico del mondo, infatti avvicinando la bussola, questa sembra impazzire; gli scienziati hanno spiegato il fenomeno attribuendolo all’alta concentrazione ferrosa presente nelle rocce vulcaniche. La leggenda dice che chi tocca la pietra e poi si tocca la testa rimarrà incinta e qui un simpatico marito 80enne che viaggiava con noi, raccomandava alla moglie, più o meno della stessa età, di non toccare assolutamente la pietra!

L’ultima tappa della giornata era Playa Anakena, sembra che i primi polinesiani attraccarono proprio qui. Su questa spiaggia sabbiosa nasce una piattaforma con sette moai, di cui 4 ancora con il pukao. Il tempo è impietoso e nessuno di noi si azzarda a mettere il costume e fare il bagno.

Intorno alle 16.30 siamo di ritorno in città e abbiamo tutto il tempo per un giretto in cerca di souvenirs. Ci imbattiamo nell’Iglesia Sagrado Corazòn, con la sua facciata decorata con la simbologia Rapa Nui e, proprio accanto, troviamo il mercado artesanal, dove si trovano moai intagliati nel legno e nella roccia vulcanica, simboli e scritte Rapa Nui impressi sia su tessuto che su legno; tornando verso il centro facciamo un giro anche nel mercato coperto, ma probabilmente la maggior parte delle bancarelle apre solo al mattino.

Torniamo alla cabaña, una doccia ristoratrice e ci dirigiamo per cena al ristorante Te Moana, dove mangiamo cheviche misto e manzo ai funghi e proviamo la birra autoctona Mahina, che è molto buona (56 euro, voto 10+).

Dopo una bella dormita, ci svegliamo il 13.11 con un bel sole. Dopo la delusione del giorno prima, siamo pronte per le due gite di mezza giornata che ci aspettano. Ci rechiamo all’agenzia, dove intorno alle 9.30 partiamo per Rano Kau, un cratere pieno d’acqua: ci raccontano che l’interno del vulcano è coperto da canne di totora, il cui dna è del tutto simile a quella che cresce sul lago Titikaka. Lo spettacolo del cratere in riva al mare ci riempie gli occhi, ma subito veniamo caricate sul pulmino per dirigerci a Orongo, l’antico centro cerimoniale con i suoi petroglifi e il culto dell’uomo-uccello, Tangata-Manu; infatti, prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, per decidere quale clan dovesse comandare sugli altri, la scelta era affidata a dei nuotatori, uno per ogni clan, che dovevano raggiungere l’isola prospiciente, raccogliere un uovo di manutara e riportarlo sull’isola maggiore, ovviamente superando le varie insidie del mare, come ad esempio le onde dell’oceano e i ben più temuti squali.

La storia è ben raccontata nel film Rapa Nui del 1994, prodotto da Kevin Costner e il film viene proposto una volta a settimana al cinema di Hanga Roa. Lasciamo Orongo per la piattaforma di Vinapu, famosa soprattutto per il muro a secco che ricorda quelli inca: ancora una volta ci sono tracce di un legame con il Perù. Proseguiamo la nostra recorrida con la grotta di Ana Kai Tangata, in riva al mare, dove sono ancora visibili i resti di pitture rupestri. Sembra che qui si praticasse il cannibalismo, di certo però c’è solo che gli abitanti dell’isola la usano ancora come rifugio.

Ritorniamo ad Hanga Roa intorno alle 12.30. In cerca di un posto dove pranzare, notiamo dei bambini alle prese con il corso di nuoto, ma direttamente in mare. Poco lontano pranziamo al baracchino Repa Hoa, con due empanadas al tonno (18 euro).

Ci ritroviamo intorno alle 15 davanti al Cementerio Hanga Roa, in riva al mare, racchiuso da un muro basso in pietra vulcanica, con le tombe ricoperte di fiori coloratissimi. Visitiamo Puna Pau, un piccolo cratere da cui si estrae il materiale rosso con cui si fanno i pukaos o tocados, che erano le corone dei moai. Il sole esalta i colori delle colline che ci circondano. Proseguiamo la nostra gita verso Ahu Akivi, dove si trova un ahu con sette moai, che stranamente guardano verso il mare e che all’equinozio sono in linea perfetta con il tramonto. I moai in genere si trovano rivolti verso il centro dell’isola, poiché si ritiene che così proteggano gli abitanti dell’isola.

Prossima tappa è la Ana Te Pahu, una delle tante caverne, dove si creava un microclima adatto alla coltivazione, dove quindi si poteva sopravvivere durante le guerre. Anche qui sono stati trovati resti di pitture rupestri.

Sulla strada del ritorno, scopriamo che da lì a qualche ora ci sarebbe stata un’eclissi di sole. La guida ci consiglia di vederla da Ahu Tahai, così con le ragazze messicane e colombiane che abbiamo conosciuto in gita, ci sdraiamo sul prato di Tahai proprio davanti ai moai in attesa di quest’occasione più unica che rara. Moltissime persone, per lo più turisti, faranno come noi e assisteranno in religioso silenzio allo strano evento alle spalle dei moai. Infatti Ahu Tahai è composto da tre ahu (piattaforme-altare): Ahu Tahai appunto, con un solo moai, Ahu Vai Ure con i suoi cinque moai e Ahu Ko Te Riku, l’unico moai dell’isola ad avere gli occhi, anche se non originali. L’unico occhio originale è infatti custodito al museo antropologico, che nel fine settimana è aperto solo la mattino per poche ore.

E’ quasi ora di cena, così ci fermiamo sul lungomare da Clua Haka Roa, dove mangiamo dell’ottimo pesce alla griglia con verdure e insalata di polpo. Ritornando verso casa, sentiamo della musica uscire da un ristorante, infatti in alcuni locali organizzano serate con canti e danze tipiche.

La guida ci aveva raccontato che fino alla fine degli anni ’60 l’isola era legata alla terra ferma solo da una nave che raggiungeva l’isola una volta l’anno. La rivoluzione è stata l’avvento dell’aereo, che ora ogni giorno porta viveri e beni di prima necessità. Ovviamente questo tipo di trasporto rende tutto molto caro rispetto al resto del Cile. Nello stesso tempo però si è creata una dipendenza pericolosa, di cui si sono resi conto con il terremoto del 2010, quando i contatti con la terra ferma si sono interrotti per circa un mese. Questo ha spinto gli isolani a cercare un modo per rendersi comunque indipendenti, cercando di sviluppare per lo meno l’agricoltura che in questi ultimi decenni era praticamente inesistente, anche perché la terra vulcanica è ricca di minerali e la rende adatta alla coltivazione praticamente di tutto.

L’avvento dell’aereo minaccia di portare una piaga. Infatti con i collegamenti giornalieri, dagli USA sono arrivati i primi investitori che intendono costruire resort come hanno fatto nei Caraibi. Le istituzioni locali hanno però fatto una legge per cui solo gli abitanti dell’isola possono possedere terra e quindi posso venderla solo ad altri abitanti dell’isola. La legge però è stata aggirata con affitti decennali che hanno creato i primi ricchi in una società dove non c’erano grandi differenze sociali e dove chi non lavora, è perché non ne ha voglia, non perché non ce ne sia la possibilità. Infatti, alcuni cartelli visti nel Cile continentale proponevano ai carcerati di scontare la pena lavorando sull’isola di Pasqua.

Andiamo a letto presto dato che partiremo il giorno seguente sempre con LAN alle ore 07.55 con arrivo a Santiago alle 14.40, questa volta senza scali.

Atterriamo nel bel sole di Santiago, il tempo di recuperare i nostri bagagli e siamo già all’ufficio di TurBus, dove speriamo di trovare ancora posti sul bus andata e ritorno per San Pedro de Atacama, che non eravamo riuscite ad acquistare dall’Italia. Siamo fortunate! Ci sono ancora posti semi-cama (diventano quasi dei letti), proprio all’ora che desideravamo. Possiamo quindi partire con cuor leggero per il nord della Patagonia.

Riprendiamo quindi un bus Centropuerto, sempre in direzione centro, dato che l’aeroporto è il capolinea. Scendiamo ancora una volta alla fermata della metro Los Heroes, che dista poche centinaia di metri dalla fermata Los Heroes di Cruz del Sur, la compagnia di bus con cui raggiungeremo Castro (www.busescruzdelsur.cl). Anche in Perù avevamo viaggiato di notte con una compagnia con lo stesso nome e ci eravamo trovate molto bene. A differenza di quelli peruviani però i pasti offerti non sono sufficienti, ma sono dotati di wi-fi e di bagni non sono solo orinatoio (e i turisti conoscono bene certe problematiche!). La nostra scelta è ricaduta su Cruz del Sur, in quanto i bus diretti in Patagonia, avevano come fermata Puerto Montt e poi da lì bisognava cambiare per Castro, per raggiungere l’isola di Chiloé, mentre con questa compagnia si poteva raggiungere l’isola, senza cambi. Partiamo quindi il 14.11 alle 19 h per raggiungere la nostra meta alle 11.30 h del giorno seguente (circa 80 euro per due posti cama).

Nel lungo percorso abbiamo le maestose Ande alla nostra sinistra e il Mar Pacifico, come lo chiamano loro, lontano a destra, ma le uniche acque che vedremo saranno quelle della regione dei laghi che si attraversa per raggiungere l’arcipelago di Chiloé. L’Isola Grande è disseminata di chiese gesuite, completamente in legno, presenti in tutte le cittadine maggiori; la capitale della zona è Castro, fondata nel 1567, che è resa singolare dal fatto che la parte più antica della città è costruita su palafitte.

Alla fermata del bus, dietro a Plaza de Armas, ci viene a prendere Karin di Chiloetnico, l’agenzia, che consiglio vivamente, a cui abbiamo fatto riferimento sia per l’hotel che per l’escursione alla pinguineria (info@chiloetnico.cl, totale per due notti ed escursione con guida in spagnolo, 285,15 euro) Karin ci lascia al Palafito Hostal (www.palafitohostel.com) che è delizioso; poche palafitte più in là c’è anche l’agenzia. L’hostal è tutto in legno con decorazioni che riprendono la mitologia e il folklore mapuche, che qui sono ancora molto sentiti e rappresentati un po’ ovunque, un po’ per superstizione.

Una bella doccia e decidiamo di uscire subito alla scoperta dell’isola. Fuori dall’hostal, prendiamo a destra, superiamo il ponte e prendiamo la strada pedonale lungo il Parque Costanero: questa strada ci permette di raggiungere dolcemente il centro, con Calle Portales ci avremmo messo molto meno, ma dopo una notte passata sul bus, non potevamo affrontare una tale pendenza!

Ci fermiamo in un negozietto e facciamo incetta di frutta (squisite ciliegie!) e di peperoncino (tra le specie più piccanti, l’aji e il merken). Raggiungiamo Plaza de Armas, dove a parte l’Iglesia San Francisco e l’ufficio del turismo con il free wi-fi, non c’è granché. Scendiamo verso il mare all’altezza del porticciolo e prendiamo Av Pedro Montt. Sul lungo mare ci sono delle vecchie locomotive che fanno da cornice ai parchi-gioco per bambini, presenti ovunque in Cile. Cerchiamo con poca fortuna un ristorante consigliato dalla guida Lonely Planet e alla fine chiediamo consiglio a una bambina che ci porta al ristorante della nonna (anch’esso consigliato dalla guida), Don Octavio, con 20 euro pranziamo con il famoso granchio (cangrejo) reale. L’ambiente è proprio carino, tra la baita di montagna e la rimessa dei pescatori.

Proseguiamo su Av Pedro Montt e raggiungiamo le palafitte Pedro Montt, coloratissime. All’incrocio vicino al ponte prendiamo Av O’Higgins e raggiungiamo nuovamente il centro.

Visitiamo Iglesia San Francisco, che è una delle 60 chiese costruite su Chiloé e protette dall’Unesco; l’unica costruita in legno, ma ideata da un architetto (italiano!). Particolare è la facciata viola e gialla dove svettano le torri alte 340 m: è una cosa incredibile, non si vede nessun chiodo a sostegno della struttura interamente in legno.

Ci rechiamo in Av. Esmeralda, dove visitiamo il Museo Regional de Castro, piccolo e tralasciabile se non fosse che mostra foto dell’isola prima che lo tsunami la colpisse, dopo il terremoto del 1960. Moltissime palafitte sono andate distrutte in quell’occasione.

Scendiamo verso il mare nuovamente e facciamo un giretto nel mercatino, lungo Calle E. Lillo. In Cile è l’unico posto dove abbiamo trovato un mercatino di souvenirs e sicuramente quello più a buon mercato. Artigianato in legno e di lana (sia alpaca che pecora) la fanno da padrona: compriamo qui dei giochi di legno, come quelli di una volta, per i nostri nipotini.

Ceniamo davanti al mercatino al Restaurant Playa, che non ci ha entusiasmato. Qui proviamo del lomo e il coranto, un tipico piatto a base di differenti carni, pesce e vari tipi di patate che viene cucinato sotto terra o attorno a pietre calde (24 euro).

Facciamo due passi ancora in centro, dove stanno suonando dei gruppi di giovani locali e poi torniamo verso l’hostal: vedere le palafitte di Gamboa dall’alto di Calle Portales, è uno spettacolo da cartolina; i colori accesi di queste dimore costruite dai pescatori della zona sono esaltati dal tramonto.

Il 16.11 ci alziamo e nella sala vista mare riservata alla colazione, ci attende pane che sembra appena sformato e marmellata fatta in casa: un toccasana!

Pochi passi e siamo all’agenzia di Karin, la quale ci presenta Cristian, la nostra guida, e Nicolasa, la figlia che a causa di uno sciopero a scuola ci accompagnerà all’isola dei pinguini.

Iniziamo la nostra escursione da Ancud, la vecchia capitale dell’isola, che non è altro che una cittadina di pescatori fondata dagli spagnoli nel 1768, con un piccolo museo che preferiamo tralasciare e un mercatino come quello di Castro. La chiesa in legno venne danneggiata pesantemente dallo tsunami ed è in corso di ricostruzione. Continuiamo la nostra visita a Playa Arena Gruesa, una spiaggia a ferro di cavallo, che riusciamo a vedere nella sua interezza dagli speroni rocciosi che la sovrastano. Sulla spiaggia sorge anche un teatro all’aperto.

Proseguiamo verso Fuerte San Antonio, passato alla storia durante le guerre d’indipendenza cilena (1826); qui Nicolasa, amante dei cavalli e ormai esperta cavallerizza, poiché il padre possiede dei cavalli con cui organizza escursioni sull’isola, cerca di impartirmi lezioni di equitazione a cavallo di un… cannone!

Riprendiamo l’auto, mentre Nicolasa dorme accoccolata sulla mia compagna di viaggio, noi ci godiamo gli scorci sul mare sulla strada verso Puñihuil e ci facciamo raccontare un po’ cos’è il Cile da parte di Cristian.

Arrivati a destinazione, veniamo dotati di giubbotto salvagente e caricati su un carrello molto alto che, spinto a mano, ci permette di raggiungere la barchetta con cui faremo il giro del Monumento Natural Islotes de Puñihuil: tre isolotti rocciosi che sono rifugio per i pinguini di Magellano e di Humboldt. Diciamo però che ci aspettavamo un po’ più di vita animale, come ad esempio avevamo visto nella Riserva di Paracas in Perù (29 euro a testa per l’entrata al parco dei pinguini, che per noi era incluso nel pacchetto).

Pranziamo nel ristorantino sulla spiaggia, con empanada de locos (una specie di vongola molto grossa tipicamente cilena, 8 euro).

Facciamo una scorciatoia per tornare a casa, che passa vicino al nuovissimo aeroporto di Castro. Infatti, è stato inaugurato solo due settimane prima del nostro arrivo e potrà essere una valida alternativa per raggiungere l’isola in tempi più rapidi rispetto al bus. Contavano che sarebbe stato perfettamente funzionante entro l’estate.

Tornati a Castro, salutiamo Nicolasa e Cristian e il tempo di rinfrescarci e siamo nuovamente per strada, questa volta facciamo due passi per le palafitte di Gamboa che non abbiamo ancora visto, se non dall’alto, e poi ci dirigiamo per cena da Sacho, dove in riva al mare, ci gustiamo il nostro pasto a base di polpo e cheviche di salmone (27 euro).

Se avessimo avuto più tempo per visitare la zona, sicuramente ci saremmo potute dedicare a passeggiate sia a piedi che a cavallo, ma anche a escursioni in canoa. Purtroppo, però il freddo sud ci chiama! Così il giorno seguente partiamo con il primo bus del mattino alle ore 6.35 (compagnia Cruz del Sur, 17 euro) che arriverà intorno alle 10.00 h. Anche per il ritorno il traghetto parte da Chacao e una volta imbarcato il bus, siamo riuscite anche a scendere dal mezzo e vedere Chiloé allontanarsi.

Siamo un po’ in ansia perché abbiamo tempi stretti e tante combinazioni da prendere, quindi quando arriviamo puntuali alla stazione centrale dei bus di Porto Montt e prendiamo un bus ETM, che parte subito per l’aeroporto, iniziamo a rilassarci (ogni mezz’ora, 3 euro).

Raggiunto l’aeroporto di Puerto Montt ci mettiamo subito in coda per il check-in della Sky (www.skyairline.cl) per Punta Arenas con partenza ore 12:40 e arrivo ore 14:50 (237,00 euro)

Arriviamo in perfetto orario, ma per un disguido con l’agenzia, per di più chiusa al sabato, perdiamo più di un’ora in attesa del transfer per l’hotel (avevano scritto il nome sbagliato sul cartello e proprio non ci riconoscevamo nel nome coreano che avevano indicato!).

Dopo diverse telefonate andate a vuoto, riusciamo a contattare via mail Iohana, il nostro contatto in agenzia, che per paura ci fosse successo qualcosa, era andata in ufficio, per essere reperibile. Chi lo avrebbe mai fatto in un giorno non lavorativo? L’agenzia quindi è comunque consigliatissima (www.fullpatagoniatour.com, 507,00 euro per tre notti in hotel, gite al Torres del Paine e al Perito Moreno, trasferimento da e per aeroporto).

Raggiungiamo quindi l’Hotel Patagonia B&B (www.patagoniabb.cl), forse l’hotel meno caratteristico del nostro viaggio, ma sicuramente quello con più confort; approfittiamo del tanto spazio a nostra disposizione e rifacciamo i borsoni e ci godiamo la vista sullo stretto di Magellano dalla finestra della stanza.

Facciamo un giro di perlustrazione per la cittadina, nata come colonia penale, ma che si è sviluppata grazie agli europei che scappavano dalla II Guerra Mondiale. Il centro storico è Plaza Muñoz Gamero dove si trova la statua che rappresenta Magellano: dicono che porti fortuna baciare il piede all’indiano che siede ai suoi piedi. Intorno alla statua ci sono numerosi carretti, tipo piccole diligenze, che ospitano negozietti di souvenirs, mentre sulla piazza si affacciano i palazzi più importanti della città, il Museo Regional Braun Menéndez, il Palacio Sara Braun e il Club Militar de los Oficiales, nonché l’Iglesia Matriz.

Prendiamo Av. Pedro Montt e raggiungiamo Av. Gabriel Gonzales Videla, da dove possiamo vedere il Muele Arturo Pratt, che è il luogo principe per ogni partenza per la Tierra del Fuego e l’Antartide.

Due passi in riva al mare con davanti a noi lo stretto di Magellano: siamo proprio dall’altra parte del mondo! Ma siamo anche affamate, quindi consultiamo la nostra preziosa guida e decidiamo di raggiungere il ristorante La Luna, dove gusteremo dell’ottimo lomo al pepe e chuleta Kasler (31 euro); da qui in poi nel conto sarà inclusa forzosamente la mancia (propina). Il ristorante è proprio particolare, lune di ogni colore e foggia sono appese ai muri, dove in fila si trovano anche bottiglie di birra e vino provenienti da tutto il mondo e messaggi scritti da chiunque sia capitato lì.

Decidiamo di andare a letto presto, perché la giornata seguente sarà impegnativa, poiché inizieremo ad addentrarci nella vera Patagonia.

Ore 05.30 partenza dall’hotel con un pulmino della compagnia Turismo Laguna Azul, dove caricano anche le nostre valigie, con destino Torres del Paine, cioè le torri del blu, perché queste guglie di granito rosa si trovano in un’area dove il blu turchese caratterizza laghi, ghiacciai e fiumi. Appena usciti da Punta Arenas costeggiamo il golfo Ultima Esperanza e prediamo una deviazione per raggiungere la grotta del Milodonte, ma prima ci fermiamo per qualche foto alla Silla del Diablo, una curiosa formazione rocciosa.

Paghiamo l’entrata alla Cueva del Milodón (6,50 euro) e iniziamo il percorso guidato all’interno di questa grotta dove sono chiare le stratificazioni della roccia nelle varie ere. 10.000 anni fa in queste zone vivevano la tigre dai denti a sciabola e il cavallo nano e visti i resti scoperti nel 1895, anche il milodonte, una sorta di orso alto 3 m e dal peso di 180 kg. All’uscita sembra che un extra-terrestre ci stia osservando, in realtà è l’effetto ottico creato da una pianta in lontananza. In questa zona cresce anche il calafate una bacca, simile al mirto, con cui si fanno, marmellate, liquori, birra (Austral) e da cui prende addirittura il nome una cittadina argentina e che si dice che se consumata, è garanzia di un ritorno in Patagonia.

Sulla strada vediamo degli struzzi nel mezzo della pampa e a soli 30 km da Puerto Natales avvistiamo persino un condor.

Proseguiamo la nostra gita e in lontananza si iniziano a intravedere le Torres del Paine. Ci fermiamo in riva al Lago Sarmiento per fare alcune foto, purtroppo questo sarà il punto più vicino da cui le vedremo, perché per vedere per interno le Torres del Paine bisogna andare a far trekking alla Laguna Azul.

A bordo strada ci sono diversi guanacos, una specie di camelide che qui è molto tutelata a differenza che in Perù, dove sfruttano la rarissima, e per questo costosissima, lana.

Passiamo i controlli della Conaf, che tutela il parco, e costeggiamo il Lago Nordenskjold, da dove si iniziano a vedere i Cuernos, che sono tre picchi in granito, e il Lago Pehoé, che significa nascosto.

Peccato che tutta questa strada siamo costrette a farla a bordo del pulmino, perché i paesaggi sono meravigliosi, ma soprattutto peccato che Il vento continui a soffiare fortissimo, perché questo ci impedisce di andare a vedere il Salto Grande, la cascata che si forma sul torrente che collega il lago Nordenskjold al lago Pehoé, dato che sarebbe pericoloso salire sul ponte mobile; così ci accontentiamo di vederla da lontano. Ci fermiamo però al Lago Grey per scattare qualche foto all’isolotto proprio al centro del lago, dove si trova uno dei pochi hotel che sorgono nel parco; continuiamo a costeggiare il lago Grey, parcheggiamo il pulmino e attraversiamo a piedi prima il Rio Grey, su di un ponte mobile e poi una spiaggia, per raggiungere una piccola altura da dove possiamo ammirare in lontananza il fronte di circa 4 km del ghiacciaio Grey, da cui si staccano numerosi icebergs che galleggiano fino alla spiaggia che abbiamo appena attraversato.

Proseguiamo su strade quasi sterrate, costeggiamo il lago Toro che dista circa 70 km da Puerto Natales. La giornata è stata lunga, siamo un po’ frastornate dal vento e dall’alzataccia, ma i paesaggi che abbiamo visto oggi sono impagabili, inoltre quando raggiungiamo l’Hostal Amerindia (www.hostelamerindia.com), dimentichiamo tutto non appena ci rendiamo conto che oltre che hotel è anche una cioccolateria. I locali sono veramente graziosi, tutti in legno e con quadri in lana che decorano le pareti.

La stanza è piccolina, la porta del bagno basculante, la tavola del gabinetto imbottita e inizia veramente a far freddo… siamo due Turiste per Caso in Patagonia dopo tutto!

Ben coperte, percorriamo le strade che hanno accanto al nome, il disegnino del Milodonte, e andiamo a cena alla Picada de Carlito, dove consumiamo chuletas alla griglia, patate marquesa e crocchette di patate con formaggio (25 euro). Soddisfatte della nostra cena, torniamo all’hostal, perché anche domani sarà una giornata campale.

Alle ore 6.30 del 19.11 ci vengono a prendere, sempre con un pulmino, per la gita al Perito Moreno; sulla strada vediamo anche il massiccio Fitz Roy, che è una delle montagne più alte della zona. Vediamo anche diverse mucche morte nei campi e ci spiegano che probabilmente sono state attaccate da un puma. Sbrighiamo le pratiche doganali all’entrata in Argentina e subito attira la nostra attenzione un cartello che recita “Las Malvinas son Argentinas”, chissà quanto sarebbero d’accordo gli inglesi che si parli in questi termini delle isole Falkland.

Dopo circa cinque ore arriviamo a El Calafate, dove carichiamo la guida argentina, che orgogliosa delle sue origini italiane, offre a tutti i partecipanti una fetta di crostata. Paghiamo 34 euro come tassa per accedere al Parques Nacionales Los Glaciares e mezz’oretta dopo ci troviamo già sulla penisola attrezzata con scale e mirador per poter apprezzare al meglio i 5 km di fronte e i 29 km di lunghezza del Perito Moreno. Un vero spettacolo della natura, dove l’acqua assume colori dal bianco al blu intenso a seconda dello spessore del ghiaccio. Emozionante è anche sentire il rumore che fa il ghiaccio nei suoi impercettibili movimenti e il fragore di quando cade in acqua. Ringrazio chi ha inventato il digitale, perché le foto qui si sono veramente sprecate!

Accettiamo la proposta della guida e andiamo a vedere il fronte del ghiacciaio anche da sotto, navigando su una piccola nave che si mantiene a distanza di sicurezza, ma permette di vedere da tutto un altro punto di vista il ghiacciaio (13 euro).

Torniamo a Puerto Natales che sono già le 21.30, andiamo subito a cena da La Tranquera, dove ci abbandoniamo a una cotoletta e a del pollo alla brace (26 euro); le agenzie per organizzare le escursioni a quell’ora erano ancora aperte, ma non alla domenica.

Al mattino seguente già ci immaginiamo le leccornie che ci avrebbe offerto la cioccolateria: in realtà neanche l’ombra di qualcosa al cioccolato, ma rimarrà comunque la migliore colazione della vacanza.

Con la valigia al seguito attraversiamo la cittadina fino alla fermata di Bus-Sur con destino Aeroporto Punta Arenas (11 euro, incluso nel pacchetto). Da qui partiamo alle ore 14.45 con Sky alla volta di Santiago del Chile che raggiungeremo intorno alle 18.55 h (407,04 euro).

Con il metro raggiungiamo il terminal Alameda (fermata Estacion Central), dove partiremo con TurBus alle ore 22 per San Pedro de Atacama (248 euro), dove arriveremo il giorno seguente alle 20.50 circa.

In queste quasi 24 ore di bus, il paesaggio è stato pressoché uguale, cioè deserto, deserto e deserto… con un meraviglioso tramonto tra l’arancione e il viola come variante. Il bus nelle ore in cui eravamo sveglie si è fermato a far benzina a Copiapò e ad Antofagasta, dove ci hanno anche permesso di scendere. A Calama invece non ci hanno fatto scendere, da tener presente in caso abbiate bisogno di viveri, dato che sul bus non danno praticamente altro che un paio di snack, nonostante il lungo percorso.

Arriviamo con il buio e ci affidiamo a un taxista, credendo l’hotel molto lontano, invece sono solo pochi minuti a piedi. L’Hotel Takha Takha (129 euro per due notti, info@takhatakha.cl) è stile messicano, la Patagonia è lontana anche nell’architettura, infatti sarebbe impensabile avere una piscina all’aperto come in questo caso! La colazione al mattino è a buffet, ma dato che entrambe le mattine siamo in gita, ci preparano un sacchettino sostitutivo.

Abbiamo bisogno di qualcosa di decente da mettere sotto i denti dopo tante ore a mangiare schifezze fredde, così veniamo attratte dal caratteristico ristorante Pacha Kona, poco lontano dall’hotel. Tutto è in pietra intonacata di bianco con al centro un grande camino con la griglia; le notti nel deserto possono essere fredde e così non ci dispiace il calore e il profumo che ne proviene, ma la nostra scelta ricadrà sul risotto ai gamberi.

Per l’organizzazione delle gite ci siamo affidate a Inca Coya Tour (incacoyatour@gmail.com, le tre gite per 358 euro). Qui abbiamo un altro intoppo della vacanza, infatti Cristina dell’agenzia non aveva ricevuto la mia mail che indicava il nome dell’hotel in cui soggiornavamo, quindi non sapeva dove inviare il pulmino a prenderci. Sconnesse da internet per più di due giorni, non sapevamo di questo problema, per fortuna nonostante la tarda ora siamo riuscite contattarla e dare il nostro indirizzo, anche grazie al gentile personale dell’hotel.

Il 22.11 ci vengono quindi a prendere intorno alle 4.30 h con destino Geyser del Tatio. Passiamo da un’altitudine di 2300 m slm di San Pedro de Atacama ai 4300 m slm, dove si trovano i geyser in sole due ore. La mia pressione bassa è messa a dura prova e la mia amica è costretta a far fermare il pulmino per evitare che io perda i sensi come già mi era successo in Perù a 4900 m slm: solo pochi minuti di acclimatamento e possiamo far proseguire il pulmino.

I nostri movimenti sono rallentati, tutto sembra più difficile per il poco ossigeno presente nell’aria e per il gran freddo: siamo a -4°C, ma l’alba è il momento migliore per godere di questo spettacolo e i circa 40 geyser creano una foschia molto suggestiva. Hanno getti di varia altezza e portata, alcuni alla base hanno dei cerchi colorati dovuti ai depositi dei minerali, altri formano dei piccoli ruscelli di acqua bollente. Ci sono anche delle vasche termali le cui temperature vanno dai 20 ai 40 °C, dove i più audaci si tuffano non pensando al freddo che li sorprenderà una volta usciti.

La guida ci raccomanda di rimanere nei sentieri segnalati, perché alcuni turisti poco attenti, sono morti in seguito alle ustioni riportate per il contatto con l’acqua, che qui raggiunge anche gli 85 °C.

Ci offrono una bella colazione davanti a questo spettacolo: mi verso due tazze di mate de coca, una sorta di tisana a base di foglia di coca, che aiuta a contrastare i sintomi dell’altitudine.

Ridiscendiamo e ci vengono mostrate la flora e la fauna locale (lama, fenicotteri, un fiore che profuma di resina, ottimo per contrastare il diabete, etc) e i danni che il rio Putana ha fatto esondando; arriviamo a San Pedro de Atacama che è appena passato mezzogiorno, il sole è cocente: l’escursione termica e di quasi 40 °C rispetto al mattino, ma dato che la partenza per la gita del pomeriggio è dall’agenzia, preferiamo rimanere in centro e curiosare nei numerosi negozi di souvenirs. Qui ci sono anche numerosi cambia valute che accettano euro e franchi svizzeri. Davanti alla chiesa in Plaza de Armas, di fianco alla Casa Incaica, c’è l’entrata al mercato artigianale coperto, dove approfittiamo per acquistare gli ultimi regali.

Camminando ci ritroviamo alla fermata del bus, dove nel piazzale adiacente ci sono diversi baracchini dove si può mangiare un po’ di tutto a poco: ci fermiamo da Paso Turistico e pranziamo con 13 euro.

Se avessimo avuto un po’ più di tempo, sarebbe stata interessante una visita al museo Gustavo Le Paige, che dicono essere uno dei musei più interessanti del Sudamerica, per varie mummie indios del paleolitico, tra cui spicca quella di un bambino sepolto in un’urna funeraria di ceramica.

Intorno alle 16.00 h ci vengono a prendere per la gita più scenografica del nostro soggiorno nel deserto. Prima tappa las Tres Marìas, delle rocce che, a causa dell’erosione, dovrebbero ricordare tre donne che pregano… ma ci vuole veramente tanta fantasia! Dopo una breve passeggiata su di un sentiero sterrato, raggiungiamo la Valle de la Luna, che in ogni angolo cambia colore: la sabbia color ocra della Gran Duna, la roccia nera, il rossastro della formazione rocciosa detta Anfiteatro … l’avvicinarsi del tramonto rende poi quest’esperienza veramente unica per i nostri occhi! Siamo in mezzo al deserto con solo una bottiglietta d’acqua e ci sentiamo piccole in confronto a questa vastità. Lo spettacolo della Valle de la Muerte è inferiore, anche perché con un nome del genere, chiunque si aspetterebbe un territorio ostile, in realtà il nome muerte è nato da un fraintendimento con la parola Marte, dato che il colore di questa valle ricorda il pianeta rosso. La nostra gita termina alla Piedra del Coyote, una lastra sospesa nel vuoto dove ci sediamo e ci godiamo la puesta del sol, il tramonto, con davanti a noi il deserto salato.

Torniamo a San Pedro intorno alle 20.30 h, una bella doccia che ci liberi dalla sabbia del deserto e seguiamo il consiglio della nostra guida e andiamo da Quitor, dove mangiamo burritos e frullati di frutta per 26 euro.

Dopo un sonno ristoratore, alle 7.00 h del 23.11 ci vengono a prendere direttamente all’hotel: oggi ci aspettano paesaggio molto diversi tra loro.

Arriviamo presto alla Laguna Chaxa, che si trova nel bel mezzo del Salar de Atacama e ospita la Reserva Nacional de Flamencos, famosa per la varietà e quantità di fenicotteri qui presenti (il flamingo cileno è tutto rosa, quello andino ha il codino nero, mentre quello di James è più piccolo) e veniamo subito colpiti dall’odore acre che emana l’acqua in putrefazione.

La nostra guida ci prepara una colazione con vista sulla laguna e proviamo lo yogurt alla chirimoja, un frutto tipico del Sudamerica, dal gusto fresco e gradevole.

Ci allontaniamo dal salar de Atacama, con in lontananza un vulcano che fuma, per raggiungere sempre in pieno deserto il poblado de Socaire (tassa di 3 euro), famoso perché la chiesa è costruita con adobe e legno di cactus a 4200 m slm.

Proseguiamo la nostra visita verso las Lagunas Altiplanicas di Miscanti e Miñiques, che sono due laghetti di un azzurro turchese: il colore della terra spoglia e il colore dell’acqua creano un forte contrasto, inoltre sullo sfondo c’è un altro dei tanti vulcani che si trovano in territorio cileno.

Sulla strada del ritorno ci fermiamo al poblado de Toconao, dove si trova il più antico campanile del Cile e all’interno della chiesetta una scala a chiocciola interamente costruita con legno di cactus. Vediamo da lontano anche la Quebrada de Jerez, cosa molto particolare nel deserto più secco del mondo, in quanto è un insieme di orti, dove si coltivano uva, fichi, mele e varie erbe grazie al fiumiciattolo che scorre proprio qui.

Rientriamo intorno alle 16.00 h, ci facciamo lasciare vicino a Paso Turistico e per 13 euro ci gustiamo un’empanada e un hamburger. Torniamo all’hotel che ci ha lasciato la possibilità di usufruire delle docce comuni, anche se abbiamo già lasciato le camere, ci prepariamo e torniamo alla fermata del bus da dove partiremo con Turbus alle 19.00 h. Volendo evitare le lunghe ore del viaggio in bus, ci sono voli da Santiago a Calama e bus da Calama a San Pedro.

Arriviamo a Santiago il giorno seguente intorno alle 18.00 h, e raggiungiamo il Landay Barcelo Hostel Boutique, vicino alla fermata Los Heroes della metro (info@landaybarcelo.cl, 37 euro invece che 48, senza bagno) per passare l’ultima notte prima del rientro in Italia e qui abbiamo un altro disguido, perché nonostante io abbia la conferma della prenotazione, a quanto pare la nostra stanza è stata data a qualcun altro, così dopo più di un’ora di telefonate tra il receptionist e il suo capo, ci propongono una camera simile senza bagno: dopo quasi 24 ore di bus non abbiamo la forza per protestare e accettiamo. Ci rimettiamo in sesto e ci facciamo passare l’arrabbiatura al vicino Café Paris dove ceniamo a base di carne arrosto (23 euro). Il 25.11 lasciamo l’ostello, dopo una colazione piuttosto varia e abbondante e ci rendiamo conto che siamo in un edificio in stile medioevale; raggiungiamo la metro, quindi torniamo per l’ultima volta all’aeroporto di Santiago, dove partiremo alle ore 12.05 h per Madrid. Arrivate a Madrid alle 07.00 h, abbiamo poco tempo per espletare nuovamente i controlli e prendere la coincidenza per Milano Malpensa, dove atterreremo intorno alle ore 11.15, stanchissime, ma felici per questo viaggio che ha coperto migliaia di chilometri, in terre così uniche e diverse fra di loro.

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Salse... piccantissime!

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San Pedro de Atacama

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Geyser del Tatio

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Perito Moreno

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Cartello politicizzato

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Los Cuernos

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Torres del Paine

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Grotta del Milodonte

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Islotes de Puñihuil

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Valle de la Muerte

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Valle de la Luna

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Laguna de Chaxa

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Iglesia San Francisco

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Ahu Akivi

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Rano Raraku

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Palafitte di Castro

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Eclissi sull'Isola di Pasqua

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Palacio de la Moneda

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Ahu Tongariki

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Ballo tipico

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Laguna Miscanti

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Piedra del Coyote



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