È la piccola Barcellona italiana: in questa città sull’isola parlano tutti catalano, e ti sembrerà quasi di trovarti sulla Rambla

Scritto da: fabri979
È la piccola barcellona italiana: in questa città sull'isola parlano tutti catalano, e ti sembrerà quasi di trovarti sulla rambla

C’era una volta un sardo che parlava catalano. No, non è l’inizio di una barzelletta, ma una scena che potreste vivere davvero nel nord-ovest dell’isola. Perché qui, nella bella città di Alghero, scoprirete l’exclave catalana in Sardegna, una curiosità storico e linguistica da scoprire con un diario di viaggio che parte da… Pisa. Curiosi?

Diario di viaggio ad Alghero e nel nord della Sardegna

Giorno 1. Pisa

pisa

Abbiamo il volo nel pomeriggio, ma partiamo di prima mattina per essere a Pisa ad un orario accettabile che ci consenta una visita al simbolo della città: Piazza dei Miracoli. Troviamo un comodo parcheggio a pagamento nei pressi dell’ospedale Santa Chiara, e dopo una breve camminata raggiungiamo la cinta muraria; valicando Porta Nuova entriamo nella Piazza del Duomo, universalmente riconosciuta come la Piazza dei Miracoli. Il nome di questo luogo deriva dalla presenza di opere di rara bellezza, i “miracoli”, appunto, che si identificano nella Cattedrale (il Duomo), nel suo campanile (la Torre Pendente), nel Battistero, nel Camposanto e nello “Spedale” di Santo Spirito, che oggi ospita il museo. Acquistiamo il biglietto cumulativo (11,00 euro) che ci permette la visita di tutti i miracoli con l’eccezione della salita alla Torre (biglietto acquistabile a parte) solo per mancanza di tempo. Iniziamo con il Cimitero Monumentale, il più vicino alla biglietteria e proseguiamo con il Battistero, a forma di uovo, che racchiude una magnifica fonte a pianta ottagonale, e poi il Duomo. Qui, ammiriamo (su tutti) lo splendido soffitto a cassettoni ed il mosaico attribuito a Cimabue. Usciti dalla chiesa ci ritroviamo in mezzo ad una folla vociante e festante di asiatici (giapponesi, mi sembra di capire), intenti a fare foto ricordo con le braccia tese nell’atto di puntellare o raddrizzare la torre. A giudicare dalle super professionali macchine Nikon delle quali sono dotati, sono certo che riusciranno a rendere probabile l’illusione ottica della sovrapposizione delle immagini. Inizia a piovere, tanto per cambiare, e percorriamo il viale in mezzo ai prati ben curati per raggiungere il museo, un poco sotto tono rispetto a quanto appena visto.

A questo punto, in un attimo di tregua meteo lasciamo la piazza e, ripresa la vettura, ci dirigiamo alla volta dell’aeroporto Galilei per il volo per Alghero. Lasciamo l’auto al parcheggio P4 (35,60 euro per tre giorni) e tramite il bus navetta raggiungiamo il terminal per apprendere che il volo avrà ritardo di quaranta minuti. Alla fine aspettiamo più di un’ora, e giungiamo ad Alghero alle 17 passate; ritiriamo l’auto a noleggio (81,00 euro tramite Discover cars) e dopo una dozzina di chilometri eccoci all’ingresso della città. Proseguiamo verso il centro costeggiando il lungomare, e prendiamo possesso della camera in via Brigata Sassari, giusto a cinque minuti a piedi dalle mura che delimitano il centro storico. Espletate le formalità del check-in portiamo l’auto al parcheggio concordato con la struttura (30,00 euro), quindi fatti circa cento metri entriamo nel cuore della città vecchia. La prima cosa che salta agli occhi sono le targhe che indicano vie e piazze scritte in catalano, ma ad onor del vero ho sentito la gente parlare solo in italiano; a una mia precisa domanda, una persona del posto mi ha confermato che la lingua originaria, una versione locale del catalano, è andata oramai perduta, eccezion fatta per qualche anziano o per qualche custode della tradizione. Strano, ma nessuno comunica nemmeno in sardo. Dopo una prima passeggiata sul lungomare, ci sediamo al tavolo della trattoria Maristella, consigliata dal nostro host per la cena, che si rivela una ottima scelta. Saliamo quindi sopra le mura per i doverosi quattro passi fino al bastione che segna l’ingresso al quartiere, e raggiungiamo la nostra camera chiudendo la giornata.

Giorno 2. Stintino

stintino la pelosa

Ci svegliamo alle 8 e troviamo un comodo e lindo bar (7000 caffè) a 200 metri dove consumiamo la colazione, quindi prendiamo la macchina e ci avviamo verso Stintino, che raggiungiamo dopo circa quaranta minuti lungo un tragitto in assenza quasi totale di traffico. Seguendo le indicazioni troviamo subito la nostra meta, la famosissima spiaggia della Pelosa. Oggi la giornata è bella e soprattutto molto calda rispetto a ieri, così che il luogo è già preso d’assalto da una fiumana di gente, in maggioranza stranieri. Riusciamo a trovare un parcheggio nella parte pianeggiante della strada (due euro l’ora) e facciamo una passeggiata fino al belvedere che divide le due spiagge, la Pelosa e la Pelosetta: lo spettacolo è veramente appagante. Scambio due parole con l’ ausiliaria del traffico che mi fa il biglietto: mi informa che la spiaggia è ad ingresso contingentato su prenotazione, al costo giornaliero di 3,50 euro, mentre quello relativo al parcheggio salirà a 3 €/h a luglio ed agosto.

Vedendo la calca che c’è già oggi, penso che sicuramente non mi verrà mai in mente di venirci in alta stagione, ma comunque oggi ci godiamo il paesaggio con una lunga passeggiata e una sosta di fronte all’isolotto con la famosa torre. Il sole scotta, e trascorse le due ore di sosta pagata ce ne andiamo alla volta del paese, dove facciamo uno spuntino frugale e due passi lungo il porticciolo e le stradine del borgo. Sulla via del ritorno facciamo tappa alla necropoli di Anghelu Ruiu, dove trascorriamo una buona mezz’ora a parlare con la gentilissima (e colta) ragazza della biglietteria, che ci impartisce una ampia lezione di storia, usi e costumi della zona di Alghero. Apprendo che fra i tanti mali quello minore è stata la dominazione catalano-aragonese, al contrario di quella dei Savoia, che non hanno lasciato un buon ricordo, non ultimo gli insulti del principe Vittorio Emanuele in occasione della visita del 2006, quando definì i sardi alla pari di “capre che puzzano”. La visita alle tombe richiede una mezz’ora, essendo praticamente solo delle buche scoperchiate con presenza di qualche anfratto; sono sicuramente interessanti le didascalie descrittive. Lasciata la necropoli torniamo ad Alghero, dove  ci dedichiamo ad una lunga passeggiata sul bel lungomare ombreggiato. La sera ceniamo alla trattoria Maristella, ottimo pasto, con Giuseppe, il proprietario, che ci illustra (e ci offre a fine cena) il metodo artigianale per produrre il tipico liquore al mirto. Facciamo due passi per i vicoli attorno al torrione concedendoci un gelato, e chiudiamo la pratica odierna con le gambe di piombo.

Giorno 3. Capo Caccia

capo caccia

Oggi andiamo a Capo Caccia, con l’idea di visitare le Grotte di Nettuno. Arriviamo in cima al promontorio alle 9,45 e fatichiamo non poco a trovare dove parcheggiare l’auto, ma alla fine ecco un buco provvidenziale al bivio con la strada che porta all’osservatorio dell’aeronautica militare. Giunti alla biglietteria apprendo che la visita è guidata e va prenotata, ed il prossimo accesso sarà alle 10,30. Faccio due rapidi conti, e decido di soprassedere: la scalinata che scende alle grotte è ancora in buona parte in ombra, ma al momento della risalita sarà sotto i raggi del sole, che oggi è ancora più caldo di ieri, e 654 scalini in salita non sono certo una passeggiata. Scendiamo quindi al mare, fermandoci ad un paio di belvedere per un bel colpo d’occhio sulla baia, e facciamo una sosta lungo il tragitto per visitare la villa romana di Sant’Imbenia. Il biglietto è cumulativo, 9,00 euro, e comprende la visita al Parco Naturalistico, al Museo della Memoria Carceraria, a quello di Antoine De Saint Exupery, l’autore del Piccolo Principe e al museo della migrazione a Fertilia. Durante il ventennio fascista infatti, con la costruzione di nuovi centri come Carbonia e Fertilia, si favorì lo spostamento di masse contadine e operaie dall’Istria e dalla Venezia Giulia, che altrimenti sarebbero emigrati nelle Americhe.

La villa romana non è nulla di che, solo quattro sassi rimasti dalle millenarie predazioni che hanno spolpato l’originaria costruzione di 3500 mq, ma è interessantissimo ascoltare la lezione di Andrea, il custode, che ci fornisce dettagliate informazioni ed il consiglio di visitare il Museo Archeologico di Alghero, dove sono custoditi i pochi reperti ritrovati nella parte della villa ormai sommersa dalla crescita dei mari. Sulla manica sinistra della giubba Andrea ha lo scudetto con i quattro mori bendati, così è la volta buona per farmi spiegare se il simbolo della Sardegna vuole i mori bendati o meno, e finalmente è risolto l’arcano: i quattro mori rappresentano le teste di altrettanti re arabi uccisi nella battaglia di Alcoraz agli inizi dell’anno 1000, e in origine non erano bendati, in quanto la fascia posta sulla fronte era il segno distintivo che rappresentava la corona. La croce rossa su sfondo bianco che divide le quattro teste è il simbolo di San Giorgio, che apparve nella battaglia e condusse gli spagnoli alla vittoria. Durante il periodo del Regno di Sardegna i Savoia bendarono le teste, in quanto era la prassi che si seguiva prima delle esecuzioni, segno che i re erano stati giustiziati nella battaglia. La regione Sardegna ha messo tutti d’accordo nel 1999, quando con decreto ha stabilito il ritorno alle origini, e oggi le teste recano gli occhi aperti.

Facendo la strada a ritroso visitiamo il museo ex carcere, dove cartelloni didattici illustrano episodi di vita dei residenti, reclusi e guardiani. Tanti tristi episodi di vita in cattività, come la corrispondenza fra detenuti e rispettive consorti, con lettere censurate causa una sola parola di tenerezza. Un posto privilegiato nelle bacheche tocca ad Antonio Marras, l’integerrimo ed inflessibile capo dei guardiani, che dispensava senza parsimonia punizioni per qualsiasi pretesto gli venisse offerto. Attraversata la strada ci inoltriamo nel Parco faunistico, che meriterebbe molto più tempo di quello che abbiamo potuto dedicargli causa un abbigliamento non consono a lunghe passeggiate. I percorsi sono diversi, tre i principali, ma ci limitiamo a quello più breve, alla volta di Baia della Barca, dove in posizione sopraelevata si domina il mare. Ripartiamo, e costeggiando il golfo arriviamo a Porto Conte, dove all’interno di un torrione di guardia è stato allestito il museo di Saint Exupery, ma quando arriviamo in loco è già chiuso, quindi dopo una breve sosta sulla spiaggia torniamo ad Alghero, facendo tappa al Nuraghe di Palmavera lungo la strada (avevo il biglietto cumulativo fatto ieri alla necropoli di Anghelu ruiu). Questa costruzione è stata ricomposta in modo tale da rendere perfettamente l’idea di quello che erano questi blocchi di pietre a forma di cono: abitazioni e centri di riunioni dei vari clan. Mangiamo due dolcetti al bar per calmare la fame, e riprendiamo la strada.

Prima della città facciamo una deviazione verso la Spiaggia del Lazzeretto, e visitiamo dal sentiero tre o quattro bellissime calette già occupate da uno stuolo di bagnanti. Una volta ad Alghero andiamo al piccolo Museo Archeologico (5 euro), dove è stato ricomposto il pavimento marmoreo di una stanza della Villa Romana, ed un mosaico raffigurante una testa di Medusa. Percorriamo ora via Carlo Alberto, la “via del corallo” che trabocca di gioiellerie, e concludiamo la nostra giornata di visite alla Cattedrale, con il suo monumentale ingresso fra le due alte colonne. Torniamo al nostro alloggio percorrendo il camminamento sulle mura, costeggiando una miriade di locali che offrono musica dal vivo ed aperitivi, e ci prepariamo per la cena. torniamo anche stasera al “Maristella”, e questa sera il cuoco si supera con un superlativo piatto tradizionale: i maccarones de Busa con ragù di pesce, pesce fresco ai ferri ed una bottiglia di Vermentino eccezionale. Chiudiamo in bellezza.

Giorno 4. Bosa

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Oggi si chiude. Facciamo colazione al solito bar e poi una passeggiata a piedi al mercato coperto, che riscuote sempre un certo fascino, ma che si rivela essere una enorme delusione: completamente spoglio, ad eccezione di due soli banchi, seppure fornitissimi, uno di pesce e l’altro di frutta e verdura. Osservo con invidia bellissimi ortaggi e frutta di stagione, per non parlare di saraghi e scorfani, ma con sempre più rammarico dobbiamo constatare che le vecchie attività hanno cantato da tempo il proprio de profundis. Rientriamo in appartamento per ritirare i bagagli, ed una volta lasciata la camera preleviamo la macchina e lasciamo Alghero in direzione di Bosa, ultima meta. Impieghiamo un’ora per raggiungere la nostra destinazione, a velocità moderata per goderci il panorama costeggiando il golfo. A Bosa troviamo un comodo parcheggio lungo la strada che lambisce il fiume, di fronte alle vecchie concerie sull’altra riva, e ci inoltriamo nel centro storico per una passeggiata; visitiamo il Duomo, che raccoglie una statua di Nostra Signora di Bonaria, patrona dei marinai e particolarmente venerata dai sardi, poi dopo un breve percorso nei vicoli raggiungiamo la vettura e saliamo al castello aragonese, che dal basso si mostra in ottimo stato di conservazione. Non vale assolutamente il costo di 10,00 euro del biglietto di ingresso. I servizi igienici sono “temporaneamente” fuori servizio (il cartello sarà stato affisso almeno da un paio di anni), nessuna agevolazione nei percorsi per ipotetici disabili, ai quali è preclusa ovviamente la visita, e tutto si riduce ad una passeggiata lungo il camminamento di guardia, evitando di salire alle torri perché le scale sono talmente ripide che nella discesa rischi di romperti l’osso del collo.

A questo punto torniamo ad Alghero, dove consumiamo un leggero spuntino in attesa di visitare il complesso museale di San Francesco, che apre alle 15,30. Giusto il tempo di finire la birretta Ichnusa e siamo all’ingresso, costo di 3,00 euro, perché è preclusa la salita al campanile, che riapre domattina. Salta quindi la vista della città dal punto di osservazione privilegiato, ed in mezz’ora scarsa completiamo il percorso cripta-chiostro-sacrestia e chiesa (molto bella). Ci concediamo un ultimo gelato, quindi riprendiamo la vettura ai giardini davanti al torrione e via verso l’aeroporto, dove una volta tanto il volo parte in orario.

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