È la nona montagna più alta della Terra, e sulle sue pendici si può vivere un viaggio tanto emozionante quanto pericoloso
Questo viaggio tra Pakistan e Nanga Parbat nasce da lontano, ovvero quando ero ragazzo sentivo spesso notizie (non belle) alla tv su Peshawar (molto vicina all’Afganistan) e la curiosità mi è rimasta sempre dentro.
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Tale cosa si è rafforzata dopo la sventura del Nardi che ha tentato la scalata finita male, ma tutto questo mi ha fatto ancora più incuriosire leggendo anche il libro a lui dedicato. C’è da dire che a fianco a ciò vi è la passione per il trekking che ti porta a scoprire luoghi magici immersi nella natura e la voglia di vivere anche se per breve periodo in un mondo che sembra incantato dove si respira aria pura, c’è silenzio, riflessione e pace. È il posto giusto dove sbollire le nostre tensioni accumulate e smorzare l’infiammazione del nostro corpo, ma soprattutto del cervello.
Il nome Pakistan fa abbastanza paura, diciamo che corrisponde ad uno stereotipo ancora ben radicato dentro di noi, per cui questo comporta tutta una serie di difficoltà anche pratiche. Basta leggere quello che c’è scritto sul sito della Farnesina che sconsiglia proprio il fare trekking nella zone nord del Gilgit-Baltistan.
Comincio la preparazione e lo studio su cosa fare e vedere a giugno e la fatica va avanti fino alla partenza. Inizio ad esplorare il campo scrivendo all’ambasciata italiana circa la situazione di sicurezza del posto senza avere nessuna risposta, ma vado avanti leggendo su internet diari di viaggio di colleghi anche se a volte non recenti. Dopo aver tracciato una road map di massima e aver stabilito i giorni occorrenti passo all’acquisto del volo che cristallizza il periodo di permanenza.
Ci siamo, manca qualche settimana alla partenza e la tensione sale. Ci sono dei motivi oggettivi che destano preoccupazioni e inquietudine, come il rifiuto dell’assicurazione di emettermi la polizza per questa destinazione; il contatto con l’ambasciata ad Islamabad per l’emergenza non risponde perché trasferito da 9 mesi, l’impossibilità di contattare l’altro cellulare perché sempre spento e il tutto sfocia in una telefonata alla Farnesina le cui grida risuonano ancora tra le mura del palazzo. Ma ci sono altre incognite, come l’impossibilità di fare il biglietto per il trasferimento a Gilgit da Islamabad con bus e sempre il dubbio sulla grandezza dello zaino se rientra nella dimensione consentita.
Intanto mi conforta l’approvazione del visto sia per il Pakistan che per l’Arabia Saudita in cui farò lo scalo.
Diario di viaggio in Pakistan
Giorni 1-2. Islamabad, Rawalpindi, Gilgit
Arrivo di mattino presto a FCO per il volo Wizz che mi porta a Riyadh da cui prendo il volo Saudia per Islamabad con arrivo alla 8 del mattino. È curioso che in entrambi i voli io sia l’unico turista occidentale tutti gli altri sono mediorentali. Ho tanto tempo a disposizione, in quanto il bus parte nel pomeriggio, per cui cerco di cambiare subito un minimo di soldi che mi servono per il transfer a Rawalpindi. Appena uscito dall’aeroporto il caldo (38 °C) mi avvolge e tutti mi invitano a prendere il taxi per il centro. Prendo la rampa che porta al secondo livello e dopo aver chiesto giungo alla fermata della linea Orange che porta in centro per 90r. Non potendo pagare con carta torno indietro e un tipo mi invita a seguirlo per il cambio dei soldi tramite un suo amico; vedendo che si allontanava dall’aeroporto lo blocco e gli dico di portarmi all’ufficio di cambio ufficiale che in questo caso è lo sportello della compagnia PIA che cambia anche i soldi. Cambio solo 20USD in quanto il tasso sull’euro è svantaggioso.
Prendo il bus la cui fermata si trova uscendo dall’aeroporto andando sulla rampa a destra e dopo una fermata arrivo al terminal Faisal per comprare il biglietto che avevo prenotato via chat, ma l’operatore mi dice che non è possibile emettere biglietto a stranieri per motivo di sicurezza imposto dalla polizia. È inutile insistere anche se dico che avevo la prenotazione. Con molto sconforto decido di raggiungere Rawalpindi con un tuk tuk per 500r dove partono i bus della NATCO.
Arrivo allo sportello e con estremo timore che fossi rifiutato o non trovare posto, chiedo un biglietto per Gilgit e mi viene subito accordato per 3850r. Sempre con tuk tuk mi faccio accompagnare al cambiavalute dove cambio tutto quello che prevedo di spendere anche sapendo che nei giorni seguenti non avrei avuto possibilità di cambio. Cerco anche di acquistare una SIM Scom che funziona bene nel nord ma non sono riuscito a trovarla.
Il traffico è notevole ma sono abituato da precedenti esperienze come Bangkok. Arrivano le 16 e si parte con bus un po’ vecchiotto senza aria condizionata ed è curioso vedere il controllore tirare fuori un fucile a pompa che nasconde sotto un sedile: a cosa potrebbe servire?
Mi fanno sedere al primo posto per facilitare i controlli ai check point. Il viaggio è lunghissimo, ben 15 ore, ma la cosa più stancante è il caldo che mi fa sudare ininterrottamente. Per tale tragitto occorrono 10 copie del visto e 10 per il per il passaporto che vanno consegnati all’autista che a sua volta li consegnerà alla polizia ai 10 check point.
Note. Se per cambiare aereo bisogna uscire dall’aeroporto, bisogna fornirsi di visto che si può richiedere online prima della partenza o quando si arriva a Riyadh attraverso delle macchinette prima del controllo passaporti. Il costo è circa 100 €. Esiste anche un Visa transfer al costo di 25 € che si può richiedere come primo step online, ma dopo bisogna ratificarlo all’ambasciata che però in Italia non viene rilasciata. Quindi quelli che lo hanno fatto hanno dovuto pagare anche per la Visa turistica. Quest’ultima è multi entry.
Giorno 3. Verso Tato Village
Non arrivo a Gilgit, ma mi faccio fermare a Raikot Bridge in cui giungo in mattinata presto. Faccio la registrazione all’ufficio di polizia dove mi riceve un povero anziano che dorme su una brandina di fortuna e mi reco al parcheggio delle jeep per il trasferimento a Tato village.
Il prezzo attuale per una jeep A/R è 16.100r il cui ammontare è condivisibile anche con altri. Essendo arrivato presto ho trovato solo un turista pakistano e abbiamo diviso in due; da ricordare che anche il ritorno deve essere fatto con le stesse persone e all’autista bisogna specificare il giorno e l’ora del ritorno. Al contrario di quanto ho letto, il responsabile delle jeep è abbastanza accomodante, anzi ti invita ad aspettare affinché possano arrivare altre persone per dividere la jeep, quindi non ostacolano il mix con turisti pakistani.
Il viaggio dura 1,5h e il percorso è veramente unico, ovvero tortuoso, polveroso, stretto, sotto il quale potete, se avete il coraggio di guardare, vi sono dirupi simili agli abissi per cui se la jeep va giù non vi ritroverà nessuno. Ma i driver sono molto esperti pertanto è fattibile. Arriviamo a Tato e subito mi metto in cammino dapprima attraversando un ponte e poi in salita costante senza respiro per il caldo per 2/3h. Arrivato a Fairy Meadows, riposo, faccio un giretto visitando il lago e via si riparte.
Debbo premettere, in onestà, che questo posto non mi ha colpito per niente partendo dalle persone e finendo col posto che mi è sembrato umido, con prato pieno di escrementi di animali e con poca gente per il periodo in questione. Mi rimetto in cammino perché voglio arrivare a Beyal Camp. Questo tratto di salita leggera è veramente bello; si passa attraverso un bosco solcato da un ruscello con prati verdi. Camminando si respira un’aria di pace con mix di colori che vanno dal verde a quelli autunnali. Arrivo con sorpresa a Beyal camp dopo una quarantina di minuti e prendo una stanza nella prima struttura che incontro, costo contrattato 4000r con cena inclusa. Lascio lo zaino e con altri 30’ arrivo a Viewpoint per ammirare il mio primo ghiacciaio che appare di fronte a me: il Raikot, e dopo una lunga chiacchierata anche come arrivare al campo base NB con un ragazzo che ha una lodge al Viewpoint torno indietro.
Note
Fare foto al driver e alla jeep per Tato e mostrale al ritorno altrimenti non potrete individuarlo. a corrente elettrica si genera tramite gruppi elettrogeni per un tempo limitato tipo 1h in certe fasce orarie. Il segnale internet e voce non sono presenti nella zona.
Giorno 4 – Nanga Parbat base camp
Mi alzo, faccio colazione, preparo lo zaino e dopo aver liberato la stanza parto per il NB base camp. Prima sosta è al View point da cui si accede subito al sentiero, che inizia molto chiaramente fino alla roccia grande per proseguire in salita attraverso tratti anche rocciosi con attraversamento di 2 piccoli ponti di legno fino al primo campo da cui con salitone si arriva al Nanga Parbat BC. Ovviamente dovuto al tratto roccioso che non lascia traccia è possibile smarrire il sentiero, l’importante è mantenersi alti, non scendere di livello. Praticamente lì non c’è nulla, ovvero nella stagione alta vi è una struttura aperta per poter prendere qualcosa da bere, ma nel mio periodo era chiuso.
Appena arrivato mi sono guardato intorno ed ho avuto la sensazione di desolazione senza presenza umana che mi ha fatto dubitare che quello fosse il CB. Pertanto, ho deciso di salire sul picco proprio di fronte a me per vedere cosa ci fosse oltre. La salita è stata notevole col sole forte, senza acqua sufficiente, con formazione costante di bocca impastata per la disidratazione, ma arrivato in cima ho potuto godere dello spettacolo che aspettavo da tempo, ovvero di guardare in faccia a distanza più ravvicinata il Nanga Parbat; è la ca cosiddetta “montagna assassina” che ha fatto molte vittime illustri come il nostro Nardi. Ho considerato quei momenti come il top del viaggio e sarei potuto anche ripartire perché quello spettacolo valeva già il viaggio stesso. Il corpo del nostro connazionale si trova dal lato Diamir sullo sperone Mammery, non visibile dal mio lato ma comunque emozionante.
Finite le foto, comincio a scendere e arrivato al campo base incontro altri gruppi appena arrivati e facciamo le foto tra di noi. Ritorno al View point molto stanco, faccio sosta a Beyal camp dove ho lo zaino e dopo aver bevuto una cola, saluto il proprietario del campo e via verso Fairy Meadows. La discesa è veloce per evitare che facesse notte e appena arrivato contratto per una stanza molto bella per 4000r incluso cena e colazione. I proprietari sono gentili, mi fanno ricaricare il telefono e posso connettermi anche al WiFi dopo 2 giorni di stop.
Faccio un giretto e arrivo al Reflection Lake per scattare foto al NP riflesso sull’acqua e torno nella lodge per la cena che preferisco consumare direttamente con loro per vivere l’atmosfera della tradizione insieme a loro.
Giorno 5 – Tato
Mi alzo presto per fare colazione per arrivare a Tato dove mi aspetta la jeep alle 8.30. Questa volta mi aspetta una discesa costante che riesco a bruciare in meno di 1.5h. All’arrivo vedo tutte le jeep pronte e un nugolo di affaristi incalliti che mi chiedono subito se voglio un passaggio o in alternativa la foto del driver dell’andata. Mi fanno attendere e all’arrivo del driver si parte, ma non sono da solo come dovrebbe essere per quello che ho pagato, si infilano altre due persone come all’andata.
All’arrivo a Raikot Bridge inizia la serie dei trasferimenti fatti prevalentemente in auto-stop. Dopo che alcuni mi avevano offerto passaggi onerosi, vedo un furgone che scarica turisti e sta per tornare indietro. Lo fermo e per 500r mi porta fino Danyor da cui prendo un bus locale per Minapin. Il bus non parte se non pieno per cui mi tocca aspettare un’ora anche arrabbiandomi con il bigliettaio che mi aveva detto di aspettare 10’.
Arrivo a Pissan e da lì si prende una strada tutta sterrata per Minapin. Ho chiesto subito un passaggio a una moto che mi ha portato nei pressi dell’inizio del sentiero anche perché è un bel tocco di strada molto brutta. Incontro un ragazzo pakistano che sta salendo anche lui, facciamo amicizia e percorriamo la lunghissima salita per Hapakun sotto il sol cocente, tempo di percorrenza 2h+.
Questo campo si presenta come una terrazza con un belvedere sulla vallata sottostante ed è dotato di tende che nel periodo ne presenta solo alcune, infatti tra qualche settimana viene smontato tutto. Prendo la mia tenda biposto per 4000r incluso cena e colazione e mi metto seduto a guardare l’orizzonte e godermi la tranquillità. Apprezzo molto il gesto di alcuni ragazzi pakistani che si riuniscono per mangiare e mi portano una ciotola di pastina. Prima di cena lunga chiacchierata con l’amico pakistano con cui ho condiviso il trekking.
Note
Il tratto da Pissan (incrocio con Minapin) non è molto breve ma distano qualche chilometro. Il sentiero che porta a Hapakun è abbastanza chiaro e non richiede particolare abilità. Verso metà strada incontrerete delle casette in pietra che sono ricoveri dei pastori e dei loro animali.
Giorno 6 – Rakaposhi, Karimabad
Mi alzo e subito dopo colazione e partiamo per Rakaposhi BC. La salita anche qui è costante e richiede 1-2h. Arrivati in cima salgo gli ultimi metri per arrivare sul bordo del crinale e mi appare di fronte uno spettacolo che non mi aspettavo mai di vedere: l’immenso ghiacciaio che scende tra le alte montagne come il Rakaposhi.
È inutile, lo spettacolo è immenso ed è difficile staccare gli occhi da quella massa immensa di ghiaccio bianco. Col mio amico raggiungiamo il BC da cui si può procedere per arrivare al Diamir BC dopo aver attraversato il ghiacciaio. Lungo il sentiero incontriamo il guardiano del parco, un personaggio molto interessante munito di bastone e binocolo. Lascio il mio amico al BC e torno indietro sul crinale per ammirare ancora il ghiacciaio e contemplarlo il più a lungo possibile. Peccato che il cielo era nuvoloso e le montagne avvolte dalla nebbia! Resto ancora un po’ e a malincuore comincio a scendere fino a Hapakun per prendere lo zaino e poi fino a Minapin. Arrivato sulla strada principale faccio l’autostop per due volte fino ad arrivare a Karimabad.
Cerco una sistemazione e via a piedi e poi con moto a visitare Altit Fort per 1500r. La visita è relativamente breve, scatto delle foto e prendo la strada per il ritorno. Fermo un ragazzo col motorino che sotto la pioggia mi accompagna, ma non si ferma a Karimabad e continua. Accorgendomi di ciò lo faccio fermare e salgo su un altro motorino fino all’ostello. Il ragazzo è stato molto gentile per avermi portato fin la sotto la pioggia.
Note
Per visitare i forti la tariffa è 1500r. L’interesse è limitato se non si prende una guida in quanto resta solo da vedere rovine. Per chi vuole affrontare il trekking per Ultar Meadows il sentiero comincia dietro Baltit Fort, io non l’ho potuto fare per la pioggia.
Giorno 7 – Baskochi Meadows, Passu glacier
Mi alzo presto a scendo giù a piedi fino all’incrocio con la strada principale per cercare un passaggio. Vicino a me c’è un ragazzo che aspetta anche lui. Dopo qualche tentativo si ferma un pick up e saltiamo sopra insieme ad altre persone. Mi lasciano nei pressi del lago Attabad in cui arriverò con un secondo passaggio. Mi faccio fermare di fronte al Sapphire Hunza hotel da cui parte il trekking per Baskochi Meadows. Il sentiero si prende sul lato sinistro dell’hotel e si sale per 1/1.5h fino ad arrivare ad una zona pianeggiante dove ci sono i pastori e si possono noleggiare delle tende. Proprio lì si può ammirare dall’alto il lago in uno spettacolo immenso. Faccio conoscenza con un turista di Malta e trascorriamo insieme la mattinata scattandoci a vicenda le foto. Diciamo che arrivare fin quassù ne è valsa proprio la pena. Dopo essere sceso, faccio colazione in un locale e mi rimetto a fare l’autostop per arrivare in due tappe a Borith Lake. Il secondo passaggio mi viene dato da 4 ragazzi che quando si presentano mi dicono di essere dottorandi in varie discipline. Sono molto simpatici e mi fanno un sacco di domande. Arrivo all’incrocio con la strada che porta al lago ed essendo in salita chiedo un altro passaggio a un suv. Il lago Borith non è di mio interesse per cui lo passo quasi con aria indifferente anche perché non emana un buon odore.
Dal lago una lunga camminata su strada sterrata per arrivare all’inizio del trekking per scoprire un’altra meraviglia: Passu glacier. In questo punto trovo dei ragazzi con cui valuto il tempo occorrente per il percorso e le condizioni meteo. Mi avvio con lo zaino addosso lungo il sentiero che comincia in salita per il primo tratto, poi vi è una zona pianeggiante che alcuni chiamano death zone, in cui incontro un gruppo di turisti scortati da guardie, per trovarsi alla fine del piano di fronte ad un picco non proprio breve da scalare. Ovviamente non faccio i complimenti e salgo su quel terreno pietroso che a volte mi sembra infinito. Le condizioni meteo sono avverse con piaggia anche se leggera, ma vado avanti. Finalmente arrivo in cima dove si può ammirare il meraviglioso ghiacciaio visibile anche in più punti in basso. Inizio con la serie delle foto e prima di scendere percorro il crinale per scorgere i vari punti del ghiacciaio. Si potrebbe continuare scendendo dall’altro lato e costeggiare il ghiacciaio.
Scendo e mi dirigo verso valle per riprendere la strada sterrata abbastanza lunga fino al lago Borith, dove prendo un tenda bellissima con due letti con all’interno tappeti e decorazioni che sembra una reggia per soli 1000r. Intanto che attendo la cena faccio una camminata rilassante lungo la sponda del lago mirando il tramonto e tutte le montagne intorno che fanno da sfondo. Per chi vuole si possono affittare delle canoe e pedalò. Finisco la giornata con una cena col mitico Chapati servito in tenda.
Note
Il trekking per il ghiacciaio è abbastanza semplice, mentre per salire il picco alla fine della zona piana richiede tempo. Io l’ho fatto con un po’ di affanno per le condizioni meteo che non promettevano bene. La strada sterrata da Borith lake è abba stanza lunga da fare a piedi, se si ha la possibilità di trovare un passaggio è meglio per evitare di stancarsi prima del trekking.
Giorno 8 – Husseini e Passu Bridge
Dopo colazione raggiungo a piedi Husseini bridge. Pago 200r e lo percorro velocemente un po’ infastidito da un nuvolo di ragazzotti pakistani che si sono messi a fare baldoria lungo il ponte anche se non dovrebbero consentire il passaggio simultaneo di tanta gente per ragioni di sicurezza.
Il ponte viene definito il più pericoloso al mondo solo perché i listelli sono distanziati per cui è possibile, se non si centra la tavoletta, andare giù con una gamba. Considerando tutta la baldoria che fanno lassù direi che non così pericoloso. Tuttavia, dopo averlo attraversato senza giubbotto di salvataggio raggiungo l’altra sponda per iniziare il trekking che mi porterà a Passu bridge. Il sentiero inizialmente è molto chiaro, ma dopo che si raggiunge la macchia verde è matematico perdere il sentiero. A me è successo varie volte e dopo esserne uscito fuori solo con le dritte di un contadino sono riuscito a trovare la direzione giusta per arrivare al secondo ponte.
Arrivato a Passu bridge, ovviamente, non c’era anima viva e il ponte presenta listelli curvi e malandati. Inoltre, non era in equilibrio per cui mi sono spostato col peso verso destra per tenerlo piano. Se c’è da sentire qualche brivido li sentirete proprio qui. Alla fine del ponte c’è da percorrere una strada sterrata che porta fino alla strada principale da cui chiedo un passaggio a un piccolo camion che porta le bibite e mi faccio fermare all’incrocio con la strada che porta a Shimshal.
Sono le 12.30 e attendo l’arrivo di qualche auto o trasporto locale sotto la pensilina. Faccio un programma di massima che comporta l’attesa max fino alle 14.30 dopo di che avrei cambiato programma. Attendo un’ora e arrivano delle jeep che provengono dal villaggio, ma mentre parlo col driver della jeep ecco che arriva un’altra jeep che mette la freccia verso il lato di imbocco della strada per Shimshal. Non ci potevo credere!
Mi carica e via si parte. La strada è molto caratteristica a volte spettacolare, ovvero si passa attraverso delle gole tra le montagne, si attraversano ponti di legno, e ci sono dei tratti che costeggiano dei dirupi ed è meglio non guardare giù. Tuttavia, i driver sono molto esperti per cui alla fine va sempre bene.
Finalmente dopo 66km arriviamo al villaggio, e dopo aver scaricato la merce il driver mi accompagna presso una lodge dove incontro un gruppo di motociclisti, tra cui italiano di Torino che mi dice di essere arrivato fin là con la sua moto. Rifiuto l’offerta di questo lodge perché chiedeva troppo, e trovo miglio prezzo presso un’altra guest house con camera nettamente migliore. Faccio un giro e torno indietro per la cena.
Note
I mezzi pubblici che vanno a Shimshal partono da Gilgit e credo non abbiano un orario fisso. Occorrono 2/3 ore per arrivare a Shimshal dall’incrocio di Passu. Il prezzo è variabile a seconda del mezzo che si prende: quello pubblico 1000r, privati non speciali variabile 2000r, privati speciali 15.000/20.000r
Giorno 9 – Smishal e verso Passu
Mi alzo e dopo colazione faccio un trekking per arrivare su una collina suggeritami dal ragazzo del lodge, che permette di ammirare tutto il villaggio e i dintorni. Una caratteristica di Shimshal sono le strade comprese quelle secondarie delimitate tutte da muri di pietra. Non nascondo una certa difficoltà nel muoversi e ritrovare la strada dovuta proprio a questi muri. Insomma, ho avuto più volte la sensazione di trovarmi in un labirinto.
Dopo aver scattato le foto torno a valle e non sapendo come passare il tempo mi viene in mente di raggiugere il lago che avevo letto su internet prima di partire. Percorro la strada principale e con l’aiuto di alcuni operai che lavoravano lì cerco di trovare il percorso giusto. Fatto un po’ di strada mi ritrovo in un labirinto di muri di pietra e dopo aver parlato con un contadino mi indica come uscirne rimproverandomi di non avere una guida.
Percorro uno tratto molto lungo piano che fiancheggia il fiume fino ad arrivare nei pressi di una formazione montuosa che non presenta un picco ma un cratere. Arrivato lì si imbocca sulla destra un sentiero che sembra non finisca mai. Infatti, ero scoraggiato in quanto il lago pur continuando a camminare non era visibile. Arrivato ad un certo punto decido di tornare indietro e solo dopo aver dato seguito alle parole del contadino incontrato prima decido di arrampicarmi per arrivare sulla cresta di questo pseudo cratere e solo dopo essere arrivato in cima scopro inaspettatamente il ghiacciaio con vari laghetti circostanti. La soddisfazione è enorme per non ritornare a mani vuote e l’intraprendenza e la non accettazione della resa sono stati gli elementi che mi hanno permesso di raggiungere l’obiettivo. Dopo aver scattato le dovute foto riprendo il sentiero e molto velocemente rientro al villaggio. Arrivato al lodge mi reidrato a sufficienza e sentendo ormai di aver concluso la mia visita lì, decido di tentare la sorte del ritorno a Passu dopo aver saputo che il bus pubblico non aveva più posti per l’indomani e non avevo nessuna voglia di rimanere intrappolato in quello sperduto villaggio. Mi faccio accompagnare sulla strada principale per cecare un passaggio. Sono le 14.30.
Vedendo arrivare una jeep la fermo, ma purtroppo mi dice che non va a Passu e aggiunge che sarà quasi impossibile che possa passare qualcuno che vada lì. Ad un certo punto vedo un ragazzo con la moto, lo fermo e gli dico se mi vuole portare a Passu; lui accetta subito e dopo aver contrattato per 6000r, facciamo rifornimento, si fa prestare una pompa per gonfiare, poi passa da casa per prendere degli attrezzi e finalmente si parte.
Appena dopo aver fatto qualche centinaio di metri capisco subito la pazzia che avevo fatto, ovvero mi sono reso conto del grave pericolo che stavo correndo seduto dietro quella moto guidato da un incosciente ragazzotto che per esibirsi e fare lo sborone viaggiava a velocità supersonica. I sobbalzi dovuti al terreno sterrato mi facevano saltare e ricadere sulla sella e restare in equilibrio comportava uno sforzo fisico notevole. Andando avanti pensavo come avrei potuto resistere fino alla fine. Allora, ho cominciato a pregare che si rompesse la moto che era l’unico modo per fermare il pilota di moto GP. Le mie preghiere hanno avuto subito effetto, infatti dopo un po’ siamo costretti a fermarci per la fuoriuscita dell’ammortizzatore dal perno. Dopo aver recuperato i pezzi persi per strada, rimontiamo l’ammortizzatore e si riparte a velocità finalmente bassa. Purtroppo, siamo costretti a fermarci più volte perché l’ammortizzatore usciva sempre dal perno e cominciavo a pensare di passare la notte tra le montagne.
Solo dopo il terzo intervento si è riusciti a fissare il pezzo in modo definitivo. La strada è lunghissima e sembrava non finisse mai e solo al tramonto appariva all’orizzonte Passu. Mi faccio accompagnare a Borith lake e riprendo la tenda dell’altra volta in quella struttura molto bella, peccato che la tenda era stata svuotata e ho dovuto dormire su un materasso di fortuna. Ceno in tenda e via a dormire.
Note
Shimshal è stata la mia delusione. Questo è un villaggio dove non c’è nulla ed è semideserto. Mi sono chiesto più volte perché la gente ci va e credo che un motivo sia quello di vivere e raccontare di aver percorso quella strada al limite del reale. L’unica cosa da fare è il trekking al ghiacciaio. Debbo dire che non mi è piaciuta neanche l’atmosfera che avvolge il villaggio rispetto agli altri posti visitati. Tempo di percorrenza 2/3 h. Presenza di 3/4 strutture ricettive con prezzi decisamente più alti.
Giorno 10 – Sust
Arrivo a piedi all’intersezione con la strada principale dove cerco e trovo un passaggio per Sust. È un ragazzo che porta della merce su un camion non grande che viaggia a rilento per il troppo peso. Tuttavia, alle 8.30 sono lì, compro l’acqua e approfitto per chiedere al negoziante come fare per arrivare al confine con la Cina: Khunjerab. Il ragazzo mi consiglia di prendere un taxi e mi dice anche le tariffe come sono in particolare quella minima che posso spuntare, 8000r. Faccio colazione in un locale e mi metto a parlare con uno seduto al tavolo circa la possibilità di fare tappa in qualche villaggio prima del confine, ma mi dice categoricamente che Sust è l’ultimo villaggio. Chiedo in giro per un taxi a un ragazzo che poi scoprirò essere un procacciatore/organizzatore di spostamenti con vari mezzi. Lui chiama un suo amico e mi offre una tariffa a 12.000r che rifiuto in modo netto, ma alla fine cede per 8.000r.
Il viaggio per il confine non è molto lungo e bisogna passare anche attraverso vari controlli sia di polizia che di guardiaparco e quest’ultimo mi fa pagare 8600r per entrare nella riserva. Lungo la strada si possono ammirare le formazioni montuose ricoperte di neve. Arriviamo al border e il driver chiede il permesso di poter arrivare vicino al cancello come limite invalicabile che si trova a qualche centinaio di metri dalla sosta dell’auto. Scendo e mi guardo intorno e tutto mi sembra irreale; sono circondato da montagne, neve e c’è un’aria particolare che mi affascina molto. Mi metto in cammino, arrivo al primo cancello, chiedo alla guardia se posso passare e mi dice di aspettare. Dopo avermi chiesto la provenienza e altro mi fa entrare e ci mettiamo a scattare le foto insieme ad altri 2 ragazzi turisti che erano in bici: incredibile. È stato curioso che dall’altro lato del cancello c’erano i turisti cinesi che festeggiavano una ricorrenza nazionale agitando le bandierine cinesi. La guardia ci invita ad uscire dal cancello e a tornare indietro, cose che faccio molto lentamente a malincuore. La guardia che cammina davanti a me si gira ripetutamente fino a che non arrivo vicino a lui e mi chiede un’intervista che registra sul cellulare per poi farne pubblicità. È veramente ora di andare, per cui faccio le ultime foto e via si torna a Sust. Arriviamo al villaggio e il driver mi porta fino ad un bus che sta partendo per Gilgit, dove ritrovo il procacciatore (praticamente si sono scambiati i favori) che fa i biglietti e per 1.200r salgo a bordo. Durante il viaggio una borsa vola dal portabagagli e sono l’unico ad accorgersene facendo fermare il driver dopo avergli gridato lo stop.
Arrivo in serata a Gilgit terminal bus e la mia preoccupazione è trovare un bus per Islamabad per l’indomani. Mi affaccio in vari uffici senza illuminazione come Faisal, Marco Polo, ma appena mi vedono subito mi dicono full full, questo perchè non accettano stranieri. Mi reco invece nella grande struttura di NATCO e con molto timore di non trovare posto chiedo per un biglietto e mi viene subito accettato per 4500r, però questa volta con bus nuovo con aria condizionata. Ovviamente chiedono sempre 10 copie del visto e 10 del passaporto. Assicuratomi il biglietto, cerco una stanza nel vicinissimo hotel di fianco al terminal che prendo per 2000r.
Note
Per arrivare a Khunjerab bisogna arrivare a Sust ultimo villaggio. Questo posto è molto dinamico in cui arrivano molte merci: è come se fosse un posto di frontiera. Il border è molto bello e mi ha emozionato molto per cui vale la pena arrivarci. Da Gilgit ci sono dei bus che partono per Sust e viceversa. Per i turisti bisogna pagare una tassa di 8.600r per entrare nel parco.
Giorni 11-12. Peshawar
Mi alzo tardi, faccio colazione e alle 13.00 si parte, arrivando a Islamabad alle 3.00 del mattino. Il terminal Rawalpindi è sempre movimentato di gente, attendo un po’ e prendo il bus alle 5.00 per Peshawar per 600r. Il viaggio va molto a rilento perché questo bus si ferma dappertutto e fa carico e scarico impiegando 5 ore per arrivare quando ne occorrono 2.5h.
Dal terminal prendo un tuk tuk che mi porta in centro dove comincio il mio giro. Il primo obbiettivo è cercare un hotel che inizialmente sembra difficile da trovare; poi ne trovo uno economico ma sembrava una bettola ed infine allontanandomi un po’ trovo un hotel dignitoso contrattato per 4000r. Peshawar: perché? Perché è una cosa che hai dentro da bambino quando ascoltavi la tv ed era ricorrente il nome di questa città per cose purtroppo negative e la curiosità è rimasta sempre dentro di me.
Esco dall’hotel e comincio il giro visitando il grande mercato che si dirama in varie direzioni con differenti tipologie di merce che vanno dagli alimentari agli oggetti d’oro. Visito la grande moschea Mahabat Khan. Nel pomeriggio faccio riposo e la sera esco solo per cena.
Note
Questa città assomiglia abbastanza alle altre del Pakistan, ma ha la particolarità di essere abbastanza vicina all’Afganistan prendendone le influenze. È una città esposta alle possibili infiltrazioni talebane con tutti i rischi come l’attentato del 2023. Tuttavia, a me è sembrata accogliente , la gente mi ha salutato sempre in modo festoso e tutto mi è sembrato tranquillo.
Giorni 13-14. Islamabad e rientro in Italia
Con un tuk tuk arrivo al terminal bus per ritornare a Islamabad, ma trovo una bella sorpresa: sciopero con manifestazione per 2 giorni. Cosa faccio? Mentre cammino e parlo con dei ragazzi che mi consigliano di andare in un secondo terminal, passa un piccolo bus che mi carica e mi ci porta lui. La mia presenza attira molto l’attenzione dei presenti e comincio a chiedere ai vari bus il passaggio per Islamabad, ma nulla da fare. Alle mie spalle spunta un tassista che mi offre un passaggio in auto insieme ad altre persone per 3500r scese a 2500r dopo contrattazione. All’inizio sono titubante ma poi accetto e si parte. Arrivato all’aeroporto cerco di prendere l’orange line bus per andare in centro ma è tutto bloccato per lo sciopero. Non rimane che il taxi o restare tutto il giorno in aeroporto aspettando il volo. Dovuto al forte caldo, decido di rimanere in aeroporto anche se non è possibile accedere all’area interna con molto anticipo. Resto a bivaccare su un prato appena fuori l’uscita tutta la giornata e solo verso le 22.00 faccio un secondo tentativo per entrare all’interno che mi viene finalmente concesso.
Intanto apre il check-in e mi appresto a prendere il bording pass. L’operatore vedo che ha delle difficoltà a consegnarmi il pass dopo aver visionato il visto; infatti, si alza e va a chiedere a una responsabile che lo invia al banco immigration. È lì che mi viene contestato il visto, ovvero aveva scadenza dopo 30 giorni ma valido solo per 10gg. Io faccio una faccia smarrita anche se l’avevo notato prima della partenza ma pensavo che non avesse importanza. Il responsabile dopo avermelo fatto notare mi acconsente la partenza: che paura! Parto alle 02.00 con Saudia Air con doppio cambio fino a Damman da cui prendo il volo Wizz per Roma su un volo semideserto.
Informazioni utili su un viaggio in Pakistan
- Abbigliamento: leggero in questo periodo dovuto al tempo ancora molto caldo.
- Visto per il Pakistan: si richiede la visa on line estesa per 30 giorni, ma attenzione per quanti giorni è valida, 35usd.
- Visto peer l’Arabia Saudita: il visto è multientry e costa sui 100€ da fare on line o alle macchinette quando si arriva.
- L’uso della carta di credito è quasi inesistente per cui dotarsi di contante.
- Le banche non cambiano i soldi ma bisogna andare dai cambia valute. All’aeroporto c’è lo sportello PIA che cambia.
- Il costo del biglietto con i mezzi pubblici è 90r da rifare se si cambia linea.
- L’unica compagnia che trasporta gli stranieri verso il Gilgit è NATCO, le altre no.
- Gli alloggi vanno dai 4000r e le spese per i pasti variano molto; normalmente sono molto economici.
- L’uso dell’autostop è normale, si aspetta pochissimo per avere un passaggio che è gratis.
- Registrarsi sul sito della Farnesina viaggiaresicuri.it inserendo il proprio itinerario e contattare il numero di emergenza a cui comunicare ogni giorno gli spostamenti inviando la propria posizione. A tal riguardo i numeri di emergenza di Islamabad risultano non attivi, mentre quello di Karachi è attivo.
- Operatore telefonico: Zong e Scom sono quelli più usati nel nord, in particolare Scom è quello più consigliato.
- Dotarsi di carta igienica che è abbastanza poco diffusa!
Conclusioni
Il viaggio in Pakistan è qualcosa di particolare. Lo vedrete quando prenderete l’aereo dove non ci sono facce occidentali. Lo stereotipo del Pakistan pericoloso aleggia nel nostro cervello a torto o ragione ed è difficile eradicarlo. La voglia di fare questo viaggio si rafforza dopo aver letto il libro dedicato a Nardi e la curiosità di guardare in faccia il Nanga Parbat è cresciuta fino a diventare adulta e a partorire il viaggio.
I luoghi visitati sono straordinari, soprattutto per il periodo dove c’è ancora del verde affiancato però ai colori autunnali insieme a temperature ottime. Potete vedere un cielo terso, stellate notturne, montagne ricoperte di neve, corsi d’acqua e tanti paesaggi.
La gente? Tranquilla, sempre pronta ad aiutarti, a essere gentili, con sorriso, col saluto, con la stretta di mano, a trattarti con riguardo. Si può viaggiare soli? Io l’ho fatto senza guida o driver, ma solo con autostop e internet. Quindi è pericoloso viaggiare nel Gilgit-Baltistan? A voi la risposta.
Desidero ringraziare tutte le persone locali che mi hanno sempre aiutato, accolto col sorriso, con la stretta di mano, facendomi sentire ben voluto e soprattutto ho apprezzato sempre il modo con cui mi guardavano ovvero in modo neutro mai in modo giudicato, Grazie, Pakistan!