Due Viandanti in India sulla Via delle Samosa di Parte 2 – Isole Andamane
Giorno 8 – Andamane – South Andaman – Bloccati a Port Blair.
Era notte fonda quando la sveglia del mio cellulare ha suonato all’impazzata e noi ci siamo dovuti alzare. L’hotel ha trasporto gratuito da e per l’aeroporto.
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Quando siamo arrivati l’aeroporto, esso era già pieno di persone. La guardia all’ingresso mi ha trovato problemi al biglietto perché figurava solo il nome di Lula, ma poi, non so come, l’ho convinto che un certo numero era il mio codice e mi ha fatto entrare. L’aeroporto è piuttosto piccolo ma sembra efficiente. Così, una volta fatto il check-in siamo andati a fare colazione. Lula ha preso un caffè nero ed una ciambella, mentre io mi sono concesso un caffè nero con un Pongal, una tipica colazione saporitissima del Tamil Nadu: si tratta di un piatto a base di riso con diversi aromi tra cui pepe in grani sul quale viene colato del sugo vegetale. E’ stato semplicemente fantastico!
L’aereo è decollato in perfetto orario. Il volo è stato piacevole ed è stata una grande emozione quando abbiamo visto apparire le isole Andamane. Era da tanti anni che desideravo visitarle, e finalmente stavo per metterci piede.
Due settimane prima.
Thunderbird mi lancia un segnale “Hai ricevuto una mail”. Apro il programma ed è un messaggio dall’Havelock Eco Palm Villa Resort. Il Sig. Sayan mi avvisava che erano cambiate le regole per l’immigrazione ad Havelock dalle altre isole. E per avere un posto sul battello governativo (il battello privato partiva troppo presto per prenderlo in considerazione) imponevano di prendere il biglietto, che per altro avevo già pagato, entro le ore 12.30. Ma come facevo se atterravo alle 12.45? Mr. Sayan mi ha detto che l’unica soluzione era di accettare di usare un “suo driver” che “avrebbe pensato a tutto lui” per 500 Rs. Una proposta che non si può rifiutare, come direbbe Il Padrino… Così, senza poter di replicare gli ho scritto “Ok, accetto il tuo generoso consiglio…”, siamo due facce della stessa ipocrisia (Il Padrino docet)?
Tornati al giorno 8 di viaggio
Siamo atterrati nel piccolo aeroporto di Port Blair, South Andaman che aveva appena smesso di piovere. L’odore di umidità permeava l’aria tipida tropicale. L’odore non era diverso dalla Samui che mi ricordavo, anche laggiù ero atterrato con la pioggia.
Una volta entrati nell’aeroporto abbiamo dovuto fare il RAP (Restricted Area Permit), ed abbiamo constatato che la burocrazia indiana come un virus incurabile e distruttivo era arrivata anche su queste isole. Quello che ci si parava davanti era una baraonda; c’era un bancone con delle povere impiegate sommerse di scartoffie che tra una richiesta di RAP dei turisti e l’altra, badavano anche ai figli che correvano tra le sedie ed i banconi. Abbiamo compilato i nostri fogli, l’impiegata li ha presi coi nostri passaporti e li ha messi in una pila. Qui i passaporti e le RAP venivano presi da omini-passacarte che avevano l’unica funzione di portarli ad altri omini appollaiati su banconi poco distanti. Gli omini ai banconi guardavano i passaporti con una lentezza disarmante, ed alla fine, con un movimento in slow motion, mettevano un timbro, per poi accatastarli in un angolo. Qui gli omini-passacarte li riportavano alle impiegate iniziali. Le impiegate prendevano i passaporti e li portavano ad un tizio che sembrava un generale o un dittatore coperto da medaglie, che nella noia, più assoluta convocava i turisti e dopo una breve serie di domande, dava finalmente il via libera. Finalmente dopo un’attesa che sembrava interminabile eravamo liberi di entrare alle Andamane.
Siamo così usciti dall’aeroporto ed abbiamo trovato un ragazzino ad aspettarci che ci ha portati in porto, ma invece di andare alla biglietteria ci ha portato in una stanza con poca luce e senza aerazione dove ci ha chiesto i passaporti per comprarci i biglietti e poi si è messo tra altri ragazzi del Barefoot (organizzazione a cui fanno capo diverse strutture di Havelock Island). Sembrava che nel frattempo, tutti i turisti stavano comprando biglietti per il battello e lui non faceva niente. Io continuavo a reclamare ma lui diceva “Wait”, così dopo aver chiamato il suo capo per più volte siamo rimasti a terra. Probabilmente i biglietti del battello governativo sono riservati agli indiani o ai clienti del Barefoot e solo pochi turisti riescono ad accaparrarseli. L’avrei ucciso. Così Mr. Sayan ci ha detto che ci avrebbe pagato una notte a Port Blair ed il battello per il giorno successivo.
Non fidandoci ormai piu’ dell’organizzatore, ci siamo fatti portare direttamente alla Makruzz, cioè l’agenzia che gestisce i traghetti privati tra Port Blair ed Havelock per ritirare direttamente i biglietti per il traghetto dell’indomani. Alla fine ci ha riportati al Reef Hotel. Eravamo bloccati a Port Blair per una notte. Dannazione”!
Port Blair è un posto che non vale la pena di fermarsi per una notte, ma alla fine abbiamo pensato di tentare di fare un bagno in mare prima di notte.
Vicino al porto abbiamo preso un Tuk-Tuk e ci siamo fatti portare all’unica spiaggia bella a Port Blair, Corbyn’s Cove: è una lingua di sabbia, non molto pulita a circa 8 Km dal centro di Port Blair. L’unico problema è che all’ingresso della spiaggia c’è un bel cartellone con scritto “Beware of Crocodiles”, attenzione ai coccodrilli! Siamo stati sulla spiaggia per un paio di ore, poi sono calate le tenebre. Il cielo era una volta trapuntata da milioni di stelle, il mare era calmo e nero, il vento spirava dall’est, portandoci un buon profumo di salsedine.
Poco più tardi è venuto a riprenderci il nostro Tuk-Tuk che ci ha riportati in centro. Qui abbiamo scoperto che Port Blair è davvero piena di gioiellerie, non ci potevamo credere! Abbiamo prima fatto un antipasto per strada con delle Samosa e poi ci siamo infilati nell’unico ristorante che abbiamo trovato che ci convincesse: era il ristorante Ananda, che poi abbiamo scoperto essere riportato anche sulla Lonely Planet; abbiamo mangiato Riso con Pollo, rigorosamente con le mani.
Era ora di tornare al nostro Hotel Reef. Le strade erano buie, per fortuna che avevamo la nostra torcia. Ci sentivamo strani per questa nottata improvvisata a Port Blair. Ma anche questo è viaggiare, e non scambierei mai tutto questo per un viaggio organizzato. L’Hotel Reef è stato appena sufficiente, ma non ci siamo lamentati. Ecco, qui, con la vista sulla città ed una notte scura trapuntata da stelle tropicali, ci siamo addormentati assaporando imprevidibilità del viaggiare. Buona notte mie Andamane, vi fate desiderare come delle vere signore. Ma so che saprete ripagarci della fatica.
Giorno 9 – Havelock Island – Incontro col mare tropicale
Era l’alba e mi stavo svegliando da una lunga notte di sonno profondo. Per un attimo mi sono sentito a casa: un gallo cantava, la luce filtrava dalla finestra, una campana in lontananza. Ma appena ho aperto gli occhi sono tornato alla bellissima realtà del viaggio. Ci siamo vestiti e siamo usciti dall’albergo, ho fermato un Tuk-Tuk e con 80 Rs ci siamo fatti portare al porto. Come previsto, il ragazzo che avrebbe dovuto portarci al battello non si era presentato.
Una volta nel porto siamo arrivati ad una sorta di hangar che viene usato come area check-in dalla Makruzz, e dopo pochi minuti eravamo liberi di aspettare l’imbarco. Così siamo andati a fare una passeggiata sul molo. C’era bassa marea e alla nostra sinistra c’era una parte del porticciolo totalmente prosciugata. Molte barche, barconi e battelli in disuso erano accasciati su un fianco. Sul lato opposto del porto, invece c’erano i fatiscenti battelli governativi. Come ogni cosa governativa in India.
Quando ci siamo imbarcati nel nuovissimo catamarano della Makruzz, abbiamo chiesto informazioni al personale e loro ci hanno fatto camminare lungo tutto il battello. Eravamo in una saletta con otto divani super comodi e vetrate su tre dei quattro lati. Mr. Sayan ci aveva fatto il regalo di averci comprato due biglietti di classe Royal. Con noi c’erano altri sei passeggeri, tutti indiani. Ci sentivamo dei divi!
Il viaggio dura poco più di un’ora, ed una volta attraccati ad Havelock e ritirati i bagagli, ci siamo diretti al primo villaggio, che si chiama appunto Village n. 1. Lungo il pontile siamo stati fermati dalla polizia che ci ha chiesto le RAP e ci ha registrati. Poi abbiamo incontrato Mr. Sayan, un ragazzo abbronzato con i capelli ricci e raccolti, che si è scusato per l’inconveniente. Quando siamo arrivati al Eco Villa Palm Resort, il personale ci ha accolti con due noci di cocco in cui erano infilate due cannucce e ci ha fatto sedere su due panchine in riva al mare mentre ci preparavano la camera, che con un upgrade ci avevano dato con aria condizionata. Il villaggio è costituito da pochissimi bungalow, forse 6 o 8, tutti vicini al mare. Il personale ci ha aiutati nel possibile portandoci dei mobili aggiuntivi per i nostri zaini, erano davvero gentilissimi. La nostra camera era molto spartana ed invasa dalle termiti, ma non erano i soli animali a farci compagnia: una gattina bianca e grigia che cercava sempre di entrare nella nostra camera è diventata Samosa, senza contare paguri, cani randagi e altre bestie.
Prima di uscire dal Bungalow ho steso la mia corda da 10 metri ed abbiamo fatto un po’ di bucato in modo da fare asciugare i panni nella bella brezza marina. Ci siamo così cambiati e siamo andati in spiaggia.
La spiaggia, che è Beach n. 2, è piuttosto piccola ma il mare aveva un colore turchese vivo, che brillava forte nel sole tropicale. Era fantastico! Abbiamo così deciso di fare una passeggiata ed alla fine, accompagnati anche da un branco di cani randagi che popolava la spiaggia, e passando per piccole spiagge intervallate da mangrovie, siamo arrivati fino a Beach n. 1 e Village n. 1. Qui abbiamo fatto merenda al B3 Bar, che è di proprietà della Barefoot.
Dopo la merenda siamo tornati verso il nostro resort usando la strada interna. Il sole era cocente e ho tagliato una foglia di una pianta tropicale per fare un cappello a Lula. Lungo la strada abbiamo incontrato molta gente locale e tutti ci sorridevano e salutavano. Siamo passati davanti ad uno dei pochi benzinai di Havelock, poi dalla capanna che serve da asilo, per poi passare a fianco ad un pozzo con i bambini che scalzi facevano festa per poter giocare con l’acqua della fontanella. Scene di altri tempi, ma che mi affascinano sempre.
Visto che era ancora presto, abbiamo contrattato con un autista di Tuk-Tuk e ci siamo fatti portare a Radna Nagar conosciuta anche come Beach n. 7. C’è anche un bus che fa da spola tra Village n. 3 e Radna Nagar, ma in quel momento non eravamo ancora riusciti ad estorcere informazioni sugli orari del Bus. Quindi, non abbiamo avuto altra scelta che prendere un Tuk-Tuk.
La strada per Radna Nagar è tortuosa e passa attraverso la campagna di Havelock, attraverso piccoli villaggi dai nomi “evocativi” come Village n. 4, Village n. 6, Village n. 6 ½. Ma poi, si arriva in un punto dove si vedono tantissimi Tuk-Tuk fermi e tante bancarelle, è segno che si è arrivati alla spiaggia più famosa di Havelock.
Siamo scesi dal Tuk-Tuk e ci siamo diretti sulla spiaggia: una lunga distesa di sabbia candida si estendeva da sinistra a destra, mentre davanti a noi un bellissimo mare turchese era agitato e ci mandava una gentile brezza fresca di gocce di acqua e di sale.
Qui ci siamo allontanati dal punto con la maggiore concentrazione di turisti e dopo aver trovato un bel posto tranquillo dove stendere i nostri asciugamani, ci siamo tuffati in mare. Non riuscivamo a crederci, ce l’avevamo fatta. Era fantastico, indescrivibile ed emozionante. Stavamo davvero nuotando nel Mare delle Andamane! Siamo stati in acqua fino quasi al tramonto, poi siamo tornati sulla spiaggia ed abbiamo aspettato un po’ prima di tornare al Village n. 3, che era il villaggio più vicino al nostro resort. La marea si stava alzando con la stessa velocità con cui il sole si abbassava, ed in breve ci siamo trovati quasi al buio e ad attraversare una sorta di piccola baia con l’acqua fino alle cosce. A tratti ci siamo trovati quasi a correre, ma poi siamo arrivati in un’area sicura.
Con il tramonto si era fatto buio pesto. Per la campagna non c’erano luci lungo le strade, e a tratti ci trovavamo davanti, che apparivano dal nulla, le luci frontali di qualche camion o bus o auto. Più di una volta, quel pazzo del nostro autista di Tuk-Tuk era finito a marciare fuori dalla strada per evitare qualche mezzo che veniva in senso opposto. Una volta arrivati al Village n. 3, ci siamo concessi una passeggiata per negozi e poi siamo tornati al nostro resort a farci una bella doccia e a cambiarci. Lungo la strada, abbiamo scoperto che più tardi avrebbe aperto quello che forse era l’unico spaccio di alcolici di tutta l’isola, e forse sarebbe stato il caso di fermarci a comprare qualche birra, visto che nel resort la birra aveva prezzi stratosferici.
Più tardi, quando era già ora di cena, siamo tornati al Village n. 3 con le nostre torce. Havelock dopo il tramonto ha un fascino tutto suo: è su un’isola tropicale, ma non è ancora stata invasa dal turismo così pesantemente. Qui, quando fa buio, la gente se ne torna a casa e le città sono un po’ desolate. Noi siamo capitati che mancavano due giorni al Deewali e forse, grazie a questo, la città si è ravviata un po’.
Lungo la strada abbiamo comprato un paio di bottiglie di birra Kingfisher al prezzo di 60 Rs, poi siamo andati al mercato a comprare alcune banane ed in fine siamo andati a cenare. Abbiamo guardato un po’ di ristorantini e quello che ci ha convinto di più è stato il Wellcome Bar nella piazza principale. Qui abbiamo cenato con ottimi noodles ai frutti di mare, pane naan ed acqua visto che gli alcolici sembravano banditi in tutti i ristoranti che abbiamo visitato. Al momento di pagare ho notato che sul muro del ristorante c’erano annotati gli orari dei bus che vanno da Village n. 3 a Radna Nagar! Finalmente il mistero si era risolto e abbiamo annotato subito gli orari.
Era sera, era ancora presto, ma nel villaggio non c’era altro da fare, così siamo tornati al resort.
Siamo andati a piazzarci su due sdraio in riva al mare, abbiamo stappato una Kingfisher, ascoltando la musica sul cellulare e ci siamo rilassati mentre un paguro grande come un pugno ci teneva d’occhio mentre passava ed andava verso il mare. Le stelle erano scintille nel cielo ed il rumore ritmico delle onde del mare erano una colonna sonora estremamente rilassante. Il mio cellulare ha suonato la canzone Govinda, di Kula Shaker. Govinda è il nome giovanile di Krishna. Non poteva esserci nulla di più appropriato, quella canzone rilassandosi sulla spiaggia di Govind Nagar.
Abbiamo ballato qualche passo di balli caraibici, scalzi, sulla sabbia; come spettatori: due ranocchie ai piedi di un albero, un gattino, i cani randagi, i paguri ed un geko attaccato all’ombrellone. Ci sembra di essere uno zoo alla rovescia! Si era fatto tardi su quella bella spiaggia, così siamo tornati al nostro bungalow, una sistemazione molto “eco friendly”.
La camera nel buio aveva odore di legno, nel silenzio, in lontananza sentiva il dolce rumore ritmico della risacca.
Buona notte Havelock, sei bellissima, come mi aspettavo.
Giorno 10 – Havelock Island – Trekking a Elephant Beach (Aiuto! SOS!)
Ci siamo alzati di buon mattino. Il sole era alto sulla spiaggia di Govind Nagar e appena usciti dal nostro bungalow una cameriera dal sorriso smagliante ci è venuta incontro ed ha preso la nostra ordinazione per la colazione; nell’attesa ci siamo tuffati in acqua ed abbiamo fatto una bella nuotata, una vera goduria!
Mentre eravamo in mare è arrivata la cameriera e noi siamo corsi a fare colazione. Lula ha preso un Caffè nero con toast e marmellata, mentre io ho ordinato un Caffè nero, Uova Strapazzate e Pane Tostato. Dopo colazione ci siamo preparati e siamo partiti per la nostra scoperta di Elephant Beach. Per prima tappa, siamo andati al Village n. 3 dove abbiamo comprato delle Banane ed una Papaya al mercato locale, poi abbiamo aspettato il bus. L’autobus è arrivato in orario, il costo è stato di solo 8 Rs a persona, e ci siamo seduti a fianco a dei ragazzi che andavano ai loro villaggi. La strada tortuosa era deserta e silenziosa. Solo a tratti si vedevano persone del posto apparire da campi o dalla boscaglia, ma che poi sparivano con la stessa velocità con cui erano apparse. Non appena abbiamo visto l’indicazione siamo scesi dal bus. Qui abbiamo incontrato una coppia di occidentali che stava uscendo dal sentiero e ci ha avvisato di aver visto dei serpenti perciò non aveva proseguito.
Lula mi ha guardato riluttante, ma dopo averle procurato un bastone ha deciso di seguirmi. Siamo entrati nel tracciato da trekking; la strada si faceva a tratti fangosa, così ho trovato un nuovo bastone anch’io, mentre Lula usava il suo percuotendolo e cantando nella speranza di allontanare i serpenti (l’avrebbero seguita solo se sordi!). Siamo così arrivati ad un guado, e Lula con le infradito ha perso l’equilibrio ed ha infilato un piede nel fango profondo. Abbiamo continuato sulla nostra strada non senza lamentele, finchè non siamo stati raggiunti da due occidentali. Erano una coppia di Ukraini che si sono uniti a noi, abbiamo fatto subito amicizia. Nel frattempo, nella foresta erano apparse molte impronte di elefante e tantissime lucertole. Ecco svelato il mistero dei serpenti, forse quei due occidentali hanno sentito il rumore delle lucertole e l’hanno scambiato per serpenti. Il trekking è durato circa 40 minuti. All’uscita dalla foresta ci siamo trovati in una distesa di fango, come se fosse stata una palude prosciugata. Il terreno era coperto da grosse conchiglie coniche e granchi con una chela smisuratamente più grande dell’altra.
Oltre la palude siamo arrivati alla spiaggia. Alla nostra destra c’era un tratto di rocce e poi una distesa di sabbia, vicino a noi c’era qualche turista portato da barcaioli locali e alla nostra sinistra una spiaggia lunghissima, totalmente deserta. Davanti a noi un mare fantastico!
Abbiamo camminato fino quando abbiamo trovato un buon punto dove stendere i nostri teli. Ci siamo tuffati subito per fare snorkeling ed abbiamo potuto vedere tantissimi pesci colorati. E’ stato davvero fantastico nuotare in quel mare, e il lungo trekking ne è valso la pena. Siamo rimasti sdraiati per un po’, ma poi ci siamo resi conto che era un peccato non visitare ancora un po’ la spiaggia. Così abbiamo lasciato Illyas e Lilly e siamo partiti per l’esplorazione. La spiaggia di sabbia candida era ricca di vita, molti paguri e granchi. C’erano enormi alberi abbattuti sulla spiaggia, ci sentivamo due novelli Castaway. Non c’era segno di civiltà; in tanti anni di viaggio, avevo raggiunto un posto che avevo sognato da tempo, una spiaggia senza impronte di piedi di altre persone! Eravamo i primi (almeno quel giorno)!
Purtroppo, troppo presto sono arrivate le 16.00, e quindi siamo dovuti tornare, la marea si stava alzando si stava inondando l’area, il sole si stava abbassando e noi non trovavamo più la strada del ritorno perché l’area dove eravamo passati si era già allagata. I nostri amici hanno deciso di proseguire lungo la costa, ma noi siamo tornati sui nostri passi in modo da cercare un’altra strada verso il sentiero che avevamo fatto quella mattina. Ma appena tornati sulla spiaggia, Lula ha visto una barca passare e s’è messa a fare segni per attirare l’attenzione. Sulla barca c’erano due famiglie di indiani che stavano tornando al Village n. 1, e io mi sono lanciato in mare e gli ho spiegato che eravamo rimasti bloccati sulla spiaggia a causa dell’innalzarsi della marea che aveva allagato tutta l’area dietro la spiaggia. Loro, senza battere ciglio, ci hanno fatto segno di salire. Fortunatamente, Lula è riuscita anche a chiamare Lilly che con Illyas si sono messi in salvo con noi. Il tramonto è sceso subito. Il mare si è agitato, ma per me era la pace assoluta. Eravamo in salvo! A bordo della barca io invece ho fatto la cosa che mi riesce meglio: li ho intrattenuti a parlare, di cucina indiana, dell’Italia, etc. Loro si sono divertiti così tanto che mi hanno prima offerto un sacchetto di snack al pomodoro e poi hanno tenuto a dire che eravamo loro ospiti e non avremmo dovuto pagare i barcaioli perchè loro avrebbero pensato a tutto. Per fortuna che c’erano capitati dei benestanti di Mumbai!
Siamo attraccati alla spiaggia del Village n. 1, e dopo esserci scambiati i contatti, ci siamo messi in marcia verso il Village n. 3; l’adrenalina era ancora altissima e non facevamo che parlare della nostra avventura.
Guardando il programma “Pechino Express” in Rai, noi ci eravamo proposti di provare scroccare un passaggio a qualche indiano, e questa volta avevamo fatto di meglio: un passaggio in barca, e senza troupe televisiva al seguito.
Una volta tornati al Village n. 3 ci siamo concessi una Coca Cola ghiacciata a testa e poi resort, doccia ed eravamo nuovamente sulla strada per il Barefoot per prenotare la day trip per il giorno successivo per Inglis Island. Non ne vedevamo l’ora!
La serata è proseguita con una cena a base di riso fritto al Wellcome Bar e poi un’altra bella serata romantica sul mare, nel nostro resort, con la musica, una Kingfisher in una notte senza luna, ma con tantissime stelle a farci compagnia. Una giornata avventurosa era trascorsa velocemente, ed era ora di tornare a dormire. Buona notte Havelock!
Giorno 11 – Inglis Island l’Isola Deserta
Un’altra notte era passata al suono delle onde del mare ed ora il sole si stava facendo strada in un cielo costellato da qualche sporadica nube. Batuffoli d’argento in una volta turchese.
Noi siamo usciti dal Bungalow e mentre andavamo a tuffarci in mare abbiamo ordinato la colazione. Si era alzato un piacevolissimo venticello che profumava di mare e della vegetazione delle isolette deserte davanti a noi.
Come la mattina precedente, anche questa volta la cameriera ci ha portato la colazione che eravamo ancora in mare, così un’altra corsa per raggiungerla prima che se la portasse indietro. Ci siamo preparati, abbiamo preso gli zaini e siamo andati al resort Barefoot di Village n. 3; lì abbiamo compilato una lunghissima e farraginosa scheda di iscrizione, dopodiché ci hanno dato l’attrezzatura per lo snorkeling e siamo saliti in barca, un’imbarcazione tradizionale, lunga e a pescaggio basso. A metà vi era una copertura “a tunnel” per ripararci dal sole forte. Io e Lula ci siamo seduti a prua, mentre gli altri sei turisti erano ben riparati indietro.
La nostra barca fendeva un mare agitato sotto un cielo che iniziava a screziarsi dell’argento di alte nuvole, dritta, imperturbabile verso est. A tratti salivamo sul dorso delle onde per poi scendere di colpo. Nuvole di schizzi si materializzavano davanti a noi, investendoci in un fresco caleidoscopio di scintille colorate. L’Italia era lontanissima, affondata in un grigio inverno alle porte. Tutto, il lavoro, le famiglie, gli amici, erano in un’altra galassia. In quei momenti io e Lula vivevamo quegli stessi momenti, e David Gray cantava la sua canzone Sail Away nel nostro MP3.
Crazy skies are wild above me now Winter howling at my face And everything I held so dear Disappeared without a trace.
La nostra barca è passata prima davanti alla piccola Sir William Peel Island, poi la baia e la punta sud della facile da riconoscere John Laurence Island per poi costeggiare un tratto dell’isola Henry Lawrence e siamo arrivati davanti alla piccola Inglis Island.
La barca si è fermata davanti ad una spiaggia bianchissima e la guida di quel giorno, un ragazzo Andamano dalla faccia da Birmano, ci ha detto in indossare la nostra attrezzatura da snorkeling e di tuffarci, che ci avrebbe accompagnati nella barriera corallina.
La barriera corallina era più colorata e viva di quella che avevamo visto il giorno prima ad Elephant Beach . Più tardi ci ha raggiunto la guida ed ha iniziato a spiegarci i nomi dei vari pesci ed aneddoti sugli stessi. Poi ad un certo punto, ci ha fatto segno di raggiungerlo. Quando ci siamo avvicinati ci ha fatto vedere uno stupendo esemplare di Latucauda Colubrina, un serpentello striato di bianco e di nero. Lula è ritornata al giorno prima, solo che ora non aveva due bastoni da battere, e non poteva cantare sott’acqua: era terrorizzata!
Il serpente ha pensato di puntare me. Ho iniziato a pinneggiare indietro, ma lui mi seguiva deciso. La guida che mi ha gridato “Non morde! E’ solo curioso! Stai immobile e se ne va!”, questa cosa l’ho già sentita in Jurassic Park! Così, immaginandomi già morso da un serpente marino, ho preso fiato e mi sono immerso, immobile a mezz’acqua. Il serpentello mi si è avvicinato, ha quasi posato il musetto sulla maschera, forse curioso di vedere questo strano pesce peloso che sono io, e poi, sinuoso ha nuotato in superficie dove a preso aria prima di tornare ad immergersi. E’ vero, basta stare calmo.
Quando sono emerso, Lula stava ridendo . Abbiamo così proseguito la nostra immersione e sono riuscito a vedere un pesce palla, ricci marini colorati e tantissimi altri pesci. Molto più tardi abbiamo nuotato fino alla spiaggia dove la guida ci ha detto di aspettare un poco prima di partire per un trekking. Quando siamo partiti la guida ci hanno fatto vedere segni lasciati da cervi selvatici e cinghiali, che probabilmente sono stati portati tanto tempo fa dagli inglesi.
Alla fine del trekking siamo arrivati in una piccola baia circondata da alte pareti di roccia. Abbiamo fatto un’altra nuotata e tantissime fotografie. Inglis Island aveva un fascino primordiale. Non c’era traccia di persone se non le nostre impronte che lasciavamo su una sabbia perfettamente lisciata dal mare.
Purtroppo, ad un certo punto, s’è alzato un vento burrascoso ed una tempesta è apparsa sul mare ed ha iniziato a piovere. Cosi’ abbiamo fatto il trekking a ritroso nella giungla fino a raggiungere la spiaggia.
Nel frattempo, mentre eravamo nella boscaglia, aveva smesso di piovere e la guida con gli altri ragazzi ci ha offerto il pranzo. Si trattava una sorta di zuppa vegetale al masala con degli Idli da intingerci dentro. Poi c’era un budino dall’aspetto sinistro e delle banane.
Appena finito di mangiare la guida ci ha detto che il mare stava cambiando e saremmo dovuti partire subito. La barca non poteva avvicinarsi alla spiaggia per via del reef e del mare agitato, quindi, con casse del cibo e le borse ci siamo calati in mare e siamo arrivati alla barca che avevamo l’acqua all’altezza del petto. Quindi, accesi i motori, ci siamo diretti a massima velocità verso Havelock. Ci stavamo spingendo verso un mare furioso. Le onde si susseguivano ritmate come un mantra e se alcune erano piccole, sul mezzo metro, altre erano come la nostra barca. Quei fenomeni dei barcaioli non le prendevano contro, ma di lato, col risultato che abbiamo avuto più volte l’impressione di rovesciarci. Io continuavo a guardare le onde che si susseguivano, di una nuance di blu scuro incredibile, e sentivo il sapore del sale sulle labbra.
Una volta doppiata John Laurence Island il mare si è calmato e siamo attraccati davanti al Barefoot Village. Siamo scesi, sempre con l’acqua al petto per la marea che si stava alzando, e abbiamo raggiunto la spiaggia. Avevamo trascorso un’altra avventura da raccontare. Lungo la strada ci siamo fermati per prendere una Coca Cola e poi abbiamo proseguito verso il resort. Quella sera siamo siamo tornati al Village n. 3 per cenare. Per prima cosa abbiamo comprato alcuni fuochi artificiali per il Deewali che ci sarebbe stato il giorno successivo, ed è stato divertente comprarli con quei commessi totalmente pazzi che ci volevano descrivere con le mani e con versi gli effetti pirotecnici di ogni singolo fuoco artificiale. “Vedi questo fa” ed apriva le mani una affianco all’altra “BOOOOOM!”, “Questo fa” ed apriva le mani una dopo l’altra e una sopra all’altra “BOOM, BOOM, BOOM, BOOOOOOM!” l’ultima esplosione era mimata con due mani, “Questo invece” simile ad un bazooka “fa BOOOOOOM!” e lui apriva prima le mani e poi le braccia, per poi coprirsi le orecchie. Una rappresentazione tanto realistica che ho guardato il cielo e mi sembrava di sentire l’odore della polvere da sparo. Gli ho chiesto se fosse stata una bomba atomica, ma mi ha detto “Mooolto grade!”, allora è meglio di no… Metti che mi esploda nello zaino… Così abbiamo comprato una scatola con una decina di razzi dall’aspetto più inocuo, e poi avevamo il 30% di sconto! Con tutto quello sconto dovevano essere per forza fantastici!
Abbiamo deciso di andare ancora a cenare al Welcome Bar ed ordinare granchio grigliato. Purtroppo, gli indiani mettono il masala ovunque, quindi più che grigliato era affogato nel masala! Il carapace era intatto, e mi hanno dato un martello per romperlo. Come risultato, l’ho devastato ed io sono stato coperto da schizzi di curcuma, che vira dal giallo al rosso se si cerca di lavarla, tanto che quella sera, dopo averla insaponata, sembrava la maglietta di un serial killer. Tornati al resort abbiamo passato il resto della serata sulle sdraio in spiaggia, con la musica, la birra Kingfisher e la tempesta che ci offriva un vero spettacolo di lampi sulle isole di fronte.
Grazie Havelock, sei riuscita a rendere ogni giorno indimenticabile! Sei davvero speciale!
Giorno 12 – South Andaman – La Festa del Deewali a Port Blair
La notte ad Havelock è stata agitata. Era passata da poco l’una, quando si sono sentiti i tuoni e poi la pioggia battente, il vento soffiava così forte che sembrava volesse spazzare via la capanna. Poi, con l’avvicinarsi dell’alba la tempesta si è spostata verso South Andaman e ci ha lasciati con un cielo nuvolo, ma senza pioggia.
La mattina ci siamo accorti che nella notte avevamo avuto una infiltrazione dal tetto, e tutta la camera era allagata, fortunatamente i nostri zaini erano sollevati da terra.
Prima di colazione abbiamo fatto un ultimo bagno in mare: l’acqua era tiepida, mentre l’aria era fresca dopo la tempesta. Quella mattina le cameriere sono state un po’ più lente e ci hanno lasciato nuotare per qualche minuto in più. Poi, come sono apparse, siamo usciti dall’acqua e siamo andati a fare colazione. Per Lula Caffè Nero e Tast con Marmellata, mentre per me Caffè Nero con la Uova Strapazzate e Pane Tostato.
Dopo aver fatto il check-out, abbiamo preso un Tuk-Tuk e ci siamo fatti portare al Village n. 1, dove abbiamo fatto il check-in sul battello della Makruzz. Quando però eravamo in coda per salire sul battello s’è messo a piovere e alcuni poliziotti di frontiera ci hanno ospitato nella loro capanna per ripararci.
Finalmente siamo saliti a bordo, questa volta avevamo i posti in classe Premium, che è la classe Proletaria, tuttavia erano molto comodi.
Con un ruggito il catamarano è partito, ha manovrato e poi si è diretto verso mare aperto. Havelock ci è passata davanti ai finestrini ancora una volta per poi lasciare il posto ad un mare di onde dalle creste di schiuma. Il catamarano ha preso velocità e si è lanciato verso South Andaman, verso Port Blair.
Io ero tranquillo e leggevo il mio libro, e Lula il suo, poi ad un tratto, abbiamo iniziato a sentire la nave che ondeggiava sempre di più da un lato e dall’altro. Noi abbiamo guardato fuori, e al di là dei finestrini rigati di pioggia, le onde sembravano grosse dune liquide che danzavano in uno schieramento senza fine sul Mare delle Andamane. Le onde continuavano ad ingrossarsi, la nave oscillava sempre di più, e quasi da subito è iniziata la colonna sonora che speravo di non sentire, gli indiani hanno iniziato a dare di stomaco. Io ho preso l’MP3 e l’ho passato a Lula che sembrava iniziare ad accusare gli effetti della furia del mare. Le onde erano sempre più grosse ed a tratti il catamarano era inclinato tanto che ci sembrava di poter toccare la perpendicolare solo allungando una mano dal finestrino. Il capitano non ha voluto saperne di ridurre la velocità e tantomeno di cambiare la rotta, sempre parallela alle onde. Probabilmente il capitano era parente dei barcaioli del giorno precedente. Poi, com’era iniziato, a pochi minuti da Port Blair, il mare si è calmato.
Siamo così attraccati senza un grande ritardo. Appena si è fermato ci siamo fiondati verso l’uscita da quel catamarano saturo dell’odore dei succhi gastrici. Usciti dalla barca abbiamo respirato a pieni polmoni l’aria dall’odore di sale, pioggia e …gasolio. Era quello l’odore di Port Blair sotto una piacevole pioggerellina.
Port Blair non ci era mancata ed ora ci aspettava un’altra notte in questa noiosissima città. Fuori dal porto abbiamo fermato un Tuk-Tuk e ci siamo fatti portare all’hotel che avevamo prenotato, l’Andaman Residency. La camera stessa era a dir poco orrenda: piccola, sporca, bagno tremendo ed un condizionatore che sparava un blizzard gelido e fumoso in camera. Un attimo dopo ci hanno bussato alla porta ed era un cameriere che ci ha portato una brocca d’acqua purificata. Lula ha aperto il rubinetto del bagno dove usciva acqua gialla-rossiccia ed abbiamo così deciso che quella sera avremmo usato solo l’acqua della brocca per lavarci i denti, ma nel timore, ci avremmo buttato comunque dentro una o due pastiglie di cloro per sterminare ogni cosa fosse in agguato li dentro.
Siamo così usciti dalla catapecchia e con la cartina alla mano, abbiamo fatto un giro per fare il punto della situazione. Allora, i punti più interessanti erano l’aeroporto, il museo navale, la Cellular Jail ed un parco davanti al porticciolo dove c’erano i bunker giapponesi della Seconda Guerra Mondiale.
La prima tappa è stato il museo. Oggi era il giorno del Deewali e molti negozi erano chiusi, di conseguenza, Port Blair, era addirittura più noiosa di quanto non fosse normalmente. “Port Blair!” ecco, da nome era diventato sinonimo di disperazione. Ovviamente, il museo era chiuso per la festività, così siamo andati verso la Cellular Jail. Questa prigione è uno dei monumenti principali di Port Blair. Essa era stata costruita appunto come prigione e tra gli ospiti ha vantato i membri dell’opposizione armata alla Corona Britannica che amministrava l’area. Ora gli indiani l’hanno eletta a simbolo della loro “libertà” dalla Corona Britannica. Neanche a dirlo, anche la Cellular Jail era chiusa per il Deewali, così, dopo le foto di rito davanti ai cancelli della prigione, siamo scesi nei parchi davanti alla marina. Con il calare delle tenebre, la città si stava accendendo in un crescendo di lampi di petardi e luci colorate di razzi. Ecco, il Deewali era iniziato!
Noi siamo rimasti per un po’ a guardare i fuochi d’artificio, poi abbiamo deciso che visto che la festa stava impazzando, era l’occasione di festeggiare anche noi, così siamo tornati all’albergo ed abbiamo preso i fuochi artificiali che avevamo comprato la sera prima ad Havelock.
In men che non si dica abbiamo macinato tutti quei chilometri per prendere i fuochi e tornare alla Marina. Qui ci siamo sistemati lungo una ringhiera e li abbiamo lanciati in cielo coi loro bellissimi colori brillanti, ed a ogni razzo ci gridavamo “Buon Deewali!”. Ce l’avevamo fatta! Avevamo partecipato anche noi ad una festa indiana. Siamo tornati in centro dove ormai la festa impazzava. Ognuno era impegnato a lanciare fuochi sempre più rumorosi. Era una gioia stare in quella confusione. Eravamo anche felici che Port Blair aveva guadagnato nuova vita rispetto a due ore prima.
Siamo tornati a cenare al ristorante Ananda, dove abbiamo preso due Thali. C’era tanta gente, in particolare turisti, forse perchè era uno dei pochi ristoranti rimasti aperti durante la festa.
Dopo cena ci siamo diretti verso l’albergo fermandoci di tanto in tanto a guardare gli indiani che invadevano le strade per accendere i loro fuochi artificiali. Molti avevano i propri arsenali all’ingresso dei negozi e c’era un rumore continuo proveniente da ogni direzione, mentre il cielo sembrava illuminato da luci stroboscopiche. Era incredibile essere in quella confusione pirotecnica, era quello che cercavamo per un Deewali come si deve.
Siamo tornati nel nostro albergo, il giorno successivo saremmo tornati nell’India continentale.