Due giorni a Expo Milano 2015
Il mio EXPO è durato due giorni, a metà settimana nella speranza (vana) di trovare meno confusione. Il primo giorno arrivo all’ingresso Fiorenza verso le nove e mezza, convinta di dover attendere fino alle dieci per entrare, invece superati i controlli si può subito accedere al sito. Prendo la cartina e decido di tentare con il Giappone: dopo un breve tragitto in navetta arrivo davanti al padiglione ma, ahimè, ci sono già sei ore di coda… Mi guardo in giro e mi accorgo che dappertutto, nonostante siano ancora le dieci e mezzo e stia piovendo, ci sono code notevoli: che faccio adesso?
Finalmente vedo un angolo vuoto: è il padiglione Turchia che, essendo all’aperto, non attira molti visitatori in una brutta giornata, ma io preferisco l’acqua alle file ed entro. Dentro ci sono alcune costruzioni, che nella forma e nella decorazione esterna ricordano la loro ceramica tradizionale: in uno viene proiettato un video sul paese, un altro mette in mostra oggetti di vetro, il terzo parla delle spezie.
Vicino alla Turchia si trova il cluster cereali e tuberi, anch’esso semideserto. Ha la struttura di un cortile, con al centro enormi vasi in cui crescono le diverse varietà di cereali, e ai lati i vari stand. Li giro un po’ tutti: i miei preferiti sono Haiti, coloratissimo, e Zimbabwe, che espone il frutto del baobab, e dove si può assaggiare il famosissimo zebraburger (io passo…). Visito anche Congo, Togo e Mozambico. E’ stato interessante soprattutto vedere (e toccare) cereali e farinacei da noi sconosciuti, come il sorgo e la tapioca.
Uscita dal cluster, vedo che la fila per entrare in Austria è piuttosto scorrevole, perciò mi infilo, e in effetti sono dentro in un quarto d’ora. Il tema del padiglione è l’aria come prima fonte di nutrimento per tutti gli esseri viventi; ospita un vero bosco (ormai un po’ spelacchiato) con lettere piantate qua e là a formare frasi a tema (tipo “BREATHE” o “WE GROW AIR”). Dopo aver attraversato la vegetazione si arriva al bar (con una invitante vetrina di dolci e torte) e poi si costeggiano i lati dell’edifico, dove i temi del padiglione sono sviluppati come delle lezioni segnate sulla lavagna, in modo semplice e accattivante. Nel complesso un bel padiglione, anche se un po’ minimal.
E’ ormai ora di pranzo. Essendo in zona mi reco al cluster delle zone aride, dove so che si può mangiare bene spendendo poco. Tra quelli che ho visitato, questo è il cluster che ho preferito: ho apprezzato molto il padiglione palestinese, con la sua esposizione di artigianato in legno di ulivo (bellissimi i presepi esposti), l’artista dello stand giordano che creava disegni con la sabbia all’interno di bottiglie di vetro, la Somalia dove ho bevuto una tazza di profumatissimo tè alle spezie, e l’Eritrea dove ho potuto assaggiare lo zighinì, il loro piatto tradizionale: un misto di legumi, verdure e a scelta anche carne, tutti speziati, serviti su una specie di crepe, dal sapore acidulo perché l’impasto viene lasciato fermentare, da mangiare rigorosamente con le mani, aiutandosi appunto con la crepe che funge da piatto e da posata.
Dopo pranzo, data la loro vicinanza, ho visitato altri due cluster, isole mare e cibo e bio-mediterraneo.
Il primo purtroppo è stata una delusione: salvo la Corea che, almeno, esponeva i suoi prodotti tipici e aveva personale che indossava i costumi tradizionali; per il resto, le Maldive avevano una parete di televisori che trasmettevano immagini delle loro spiagge e dei fondali, Madagascar e Comore erano due negozietti etnici e nulla più, la Comunità Caraibica uno stanzone con vari tavolini, uno per stato, con qualche depliant e una piccola spiaggia finta fatta veramente male.
Il bio-mediterraneo, invece, ospita alcuni stand molto interessanti: l’Algeria, che al suo interno ha ricreato la tradizionale tenda araba, con pouff e tappeti su cui sdraiarsi e rilassarsi; il Montenegro, con una particolare installazione sul soffitto, tipo cristalli di ghiaccio, che si riflette sul pavimento a specchio; e Malta, che parla del suo miele ed espone bei pezzi di artigianato; deludenti invece la Grecia, con le piantine aromatiche ormai secche, e la Serbia, una stanza quasi vuota.
Nel pomeriggio la calca è molto diminuita, e padiglioni che al mattino erano pienissimi sono adesso accessibili in pochi minuti.
Inizio dall’Oman: un bel padiglione, sia esternamente perché ha l’aspetto di un castello arabo, sia internamente dove si parla di miele e di pesca; molto interessante il touch screen a forma di barca che permette di conoscere le specie ittiche del loro mare.
Accanto all’Oman, l’Estonia ha un bel padiglione in legno, caratteristico per le numerose altalene; all’interno si parla della cucina tradizionale estone e dell’ambiente del Paese, ci sono molte postazioni interessanti, dove pedalare per produrre energia elettrica, girare una macina in pietra o entrare in una foresta di tronchi di betulla.
A malincuore rinuncio alla vicina Russia, ancora troppo affollata, e visito la Francia. Per entrare nel padiglione vero e proprio si attraversa un orto molto curato, rallegrato da statue a grandezza naturale di animali da fattoria, coloratissime; l’interno richiama un mercato al coperto tipicamente francese, con cibarie varie e utensili da cucina appesi sul soffitto; essendoci molta gente mi limito a una visita veloce, e uscendo ammiro le vetrine dell’area ristoro, piene di macarons, brioches e altre prelibatezze.
Dopo la Francia, la Spagna: il padiglione è molto tecnologico, con led inseriti nelle valigie e animazioni che fanno comparire le parole su dei piatti, ma l’insieme risulta piuttosto confuso e il messaggio non arriva… Di certo con più tempo a disposizione la visita sarebbe risultata più interessante.
Lì vicino visito il padiglione UK, senza dubbio uno dei più suggestivi. La struttura metallica ha la forma di un alveare; per raggiungerlo si attraversa una zona verde che rappresenta la campagna inglese, con vari pannelli che parlano delle api, che allo stato selvatico sono in via di estinzione, e di progetti per la loro salvaguardia; dentro la struttura si notano tante lucine intermittenti che ripropongono i movimenti delle api di un vero alveare in Inghilterra; ci sono anche delle postazioni dove, attraverso dei bastoncini di legno, si possono sentire le vibrazioni da loro prodotte.
Tappa successiva sono due cluster, spezie e frutta e legumi. Il primo è esteticamente il più bello: si compone di appena quattro padiglioni, le cui facciate sono affrescate con disegni floreali; visito Afghanistan (dove assaggio un ottimo dolce, il fernì, una sorta di budino speziato e spolverato con granella di pistacchi) e Pacific Islands Forum, che raccoglie diversi stati insulari dell’Oceania, mentre devo rinunciare al Brunei per la fila.
Il vicino cluster frutta e legumi è decisamente meno interessante: gli unici padiglioni che ho apprezzato sono stati l’Uzbekistan, paese che ho visitato, dove ho ritrovato molti degli oggetti visti alcuni anni prima; e lo Sri Lanka, che espone dipinti, artigianato e soprattutto thè e spezie (più dei padiglioni nel cluster delle spezie)
Tappa successiva il padiglione Argentina. Esternamente si presenta come una fila di silos, bruttini a vedersi, dentro ci sono alcune sale che parlano di agricoltura, della Patagonia, ma anche di emigrazione, con proiezioni e modelli di legno animati; durante la fila mi arriva l’invitante odore della carne arrosto dal loro ristorante.
Il padiglione successivo è la Cina, uno dei padiglioni che più mi è piaciuto. L’edificio esterno, con il tetto ondulato formato da canne e la distesa di garofanini gialli, vale da solo una sosta. L’interno è un concentrato di cultura cinese: all’ingresso si percorre un corridoio decorato da ombrelli in carta, poi si attraversano varie sale dove, con plastici, animazioni e sculture, si parla di cucina e di agricoltura nelle diverse stagioni dell’anno, per arrivare infine al grande tappeto di fibre ottiche, dove si alternano immagini legate sempre al ciclo delle stagioni (il ghiaccio in inverno, i fiori in primavera e così via); carinissime le statuine in terracotta che riproducono le fasi principali (dieci, in totale sono ben trentuno) della preparazione dell’anatra laccata.
Dopo la Cina è la volta della Malaysia: un altro bel padiglione, articolato in quattro sale, esternamente rappresentate come quattro semi. Nella prima ci si siede e su tutti i lati e il pavimento viene proiettato un video descrittivo della lussureggiante vegetazione del Paese; la seconda sala, la più bella, ricostruisce un angolo di foresta pluviale in Lombardia, con tanto di cascata, animali finti a grandezza naturale e rumori della foresta in sottofondo; la terza sala illustra la coltivazione degli alberi della gomma, altra tipicità del Paese; la quarta sala parla della capitale Kuala Lampur.
Vado a vedere la vicina Bielorussia attratta dalla sua ruota, ma il padiglione è piccolissimo, un semplice corridoio con video che illustrano le attrattive del Paese.
Si sta facendo tardi, penso di andare a cena ma prima voglio vedere la rete brasiliana, uno dei padiglioni che più desidero visitare e che ancora non ho avuto modo di vedere. Contrariamente alle mie aspettative, l’accesso è ancora consentito e ci sono poche persone, così mi metto in coda e in quindici minuti sono dentro. L’esperienza si è rivelata ancora più divertente del previsto, in certi momenti ho rischiato di cadere perchè tremava tutto ma lo rifarei di corsa. Il resto del padiglione, molto minimal sui toni del bianco, mi è piaciuto esteticamente ma non ho colto i contenuti. All’uscita si passa ancora sotto la rete, ed è stato divertente vedere altri alle prese con le mie stesse difficoltà.
Accanto al Brasile, l’Angola sta chiudendo proprio in quel momento: un piccolo scatto ed entro con l’ultimo gruppo. Non posso che confermare i giudizi positivi del padiglione, bello e d’impatto esteticamente, molto interattivo, dedicato anche all’importanza delle donne nella società, con una bella installazione centrale dove appaiono le immagini di donne di spicco nella società angolana.
Vicino si trova il padiglione del Nepal, visitabile liberamente. Il padiglione effettivamente è vuoto, ma l’architettura tradizionale è veramente molto bella e gli intarsi, le bandierine colorate, la musica di sottofondo, la statua del Buddha trasmettono un senso di grande pace e spiritualità.
Per cena scelgo il ristorante del Basmati Pavilion nel cluster del riso, dove prendo un buon pollo al curry accompagnato dal naan, il tipico pane indiano. Nè approfitto per visitare il cluster, dove alcuni stand sono ancora aperti. Il mio preferito è quello della Cambogia dove, nella prima sala, statue e gigantografie alle pareti riproducono il famoso sito archeologico di Angkor: né approfitto per qualche foto. Gli altri padiglioni sono più piccoli e più semplici, nel complesso poco interessanti. L’architettura del cluster è sicuramente la più bella: davanti ai padiglioni sono infatti costruite delle vasche dove cresce il riso, e queste si riflettono sulle pareti a specchi dei vari edifici.
Esco distrutta alla dieci passate.
La mattina dopo, memore dell’esperienza del giorno precedente, arrivo con anticipo e alle nove e mezzo sono già dentro.