Dream, il sogno diventa realtà
Mentre l'abbronzatura lentamente svanisce, vorrei cercare di fermare almeno il ricordo dell’indimenticabile viaggio alle Isole San Blas raccontandolo in poche righe.
Simonetta e Piero sono due italiani che vivono in questo angolo di paradiso da otto anni sulla loro barca a vela Dream. Organizzano charter ospitando al massimo quattro persone per...
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Mentre l’abbronzatura lentamente svanisce, vorrei cercare di fermare almeno il ricordo dell’indimenticabile viaggio alle Isole San Blas raccontandolo in poche righe. Simonetta e Piero sono due italiani che vivono in questo angolo di paradiso da otto anni sulla loro barca a vela Dream. Organizzano charter ospitando al massimo quattro persone per volta e adottano la formula dell’all inclusive a bordo. Arriviamo a San Blas il primo febbraio dopo circa 20 ore di volo. All’aeroporto conosciamo Devis e Giovanna, altri due italiani come noi in vacanza, che unitamente ai “padroni di casa” contribuiranno a rendere ancor più speciale questo viaggio. La barca è uno splendido Reve des Tropiques di 45 piedi (circa 14 metri) in alluminio che offre ampio spazio sia in coperta che all’interno. La cucina a bordo è gestita da Simonetta che è in grado di far apparire quasi dal nulla splendidi dolci al forno così come deliziarci con piatti a base di pesce sempre fresco cucinato in mille modi. Non dimenticherò mai il sapore del tonnetto preparato alla maniera Ceviche, cioè lasciato marinare crudo nel succo del lime e reso ancora più buono da un tocco di chili, pepe e cipolle. Per non parlare poi delle aragoste! Il tutto accompagnato da birra fredda o da un buonissimo vino cileno. Nei dieci giorni di vacanza in barca, non abbiamo mai mangiato la stessa cosa. Le giornate alle San Blas si trascorrono navigando da un’isola all’altra, calando l’ancora in rade semideserte di fronte ad isole perlopiù disabitate e facendo semplicemente quello che si ha voglia di fare. L’unico consiglio che vorrei dare è di togliere l’orologio dal polso sin dal primo giorno, dopodichè il trucco sta nel non domandarsi mai che ora è: vi assicuro che, trascorsa qualche ora, si prenderanno facilmente i ritmi del posto! Dopo pranzo si può portare a terra un’amaca e legarla ai tronchi di due palme e dopo essersi dondolati un pò, coccolati anche dalla brezza di mare, l’effetto “pisolino” è garantito! Piero e Simonetta hanno conquistato nel corso degli anni la fiducia e la stima degli abitanti del posto, i Kuna, e questo ci ha permesso di entrare a diretto contatto con loro. I Kuna hanno origini antichissime che cercano di preservare nel tempo tramandandole di padre in figlio. Le famiglie che vivono sulle isole più piccole, abitano in villaggi di capanne di legno e tetti di foglie di palma, costruite per resistere perfettamente alle piogge, al sole ed al tempo. Il web offre un’ampia possibilità di approfondire l’argomento su questo meraviglioso popolo; mi limiterò a dire che non è possibile tornare a casa senza aver comprato almeno una Mola. Le Molas sono prodotti dell’artigianato locale. Si tratta di stoffe di colore diverso sovrapposte l’una all’altra; vengono cucite e ritagliate fino a creare splendide raffigurazioni di scene di vita, tradizioni o leggende legate alla vita dei Kuna. Le più preziose sono formate da oltre cinque strati di stoffa ritagliati e cuciti in maniera talmente certosina da rappresentare delle vere e proprie opere d’arte. Tra le esperienze da provare, c’è quella della pesca con il cayucco, la caratteristica canoa locale scavata nel tronco di un albero. A Cayo Limon est facciamo amicizia con Joel Rudiel, un simpatico ragazzo Kuna di 21 anni. Usciamo in mare a bordo del suo cayucco, in una bella giornata di sole. Il metodo della pesca è tanto semplice quanto efficace: si lega una rete dalle maglie fittissime a due pali alti circa due metri e mezzo, si sale a bordo dell’instabile cayucco e si calano i pali con la rete dal lato sopravento dell’imbarcazione. Mentre la canoa va alla deriva trascinata dalla corrente, la rete raccoglie decine di minuscole sardine; con un gesto rapido si issano a bordo i due pali avendo cura di chiudere velocemente i bordi della rete per raccogliere più pesce possibile. La difficoltà sta nel fatto di restare in equilibrio sulla canoa durante tutta l’operazione di pesca, ma dopo alcune calate tra il divertimento di Joel nel guardarci e le nostre imprecazioni, riusciamo a tirar su circa un chilo di sardine che presto si trasformano in una squisita frittura di pesce! Terminata la lezione di pesca, Joel monta le vele sul cayucco: chiamarle vele è un eufemismo visto che si tratta di vecchi pezzi di stoffa forati qua e là e cuciti alla meglio tra di loro. La vela che ne esce fuori è simile a quella Aurica, mentre a prua c’è un piccolo fiocco. Partiamo per un giro intorno a Cayo Limon. Joel usa come timone la canaletta, un tipico remo in legno, mentre si affida a dei cordini per effettuare i cambi di direzione: niente scotte, niente winches, soltanto il sapiente movimento coordinato di questi semplici mezzi e la barca inizia a prendere il vento regalandoci sensazioni indimenticabili! La sera ci trasferiamo tutti in spiaggia per organizzare un barbecue a base di pesce e salsicce, avvolti da miliardi di stelle. Indimenticabile anche l’esperienza nella foresta tropicale. Ancorati a Cangombia ci viene a prendere Lisa (è famosa a San Blas per le sue splendide molas) per accompagnarci sulla terraferma con un vecchio cayucco a motore. Passiamo gran parte della navigazione a “sgottare” l’acqua che entra all’interno dell’imbarcazione, usando dei contenitori di plastica bucati che rendono ancora più improbabile l’impresa! Arrivati a riva, scendiamo per spingere il cayucco aldilà di una spiaggia ed entriamo nel fiume. Dopo un breve tragitto a motore, Lisa spegne il fuoribordo e restiamo avvolti da uno strano silenzio interrotto solo dai rumori della foresta. Siamo arrivati nella zona dei cimiteri Kuna e dobbiamo fare il massimo silenzio per rispettare i loro cari defunti. Scesi a terra ci incamminiamo lungo un sentiero che passa attraverso il luogo dove sono sepolti i genitori di Lisa. Ci promette che al ritorno potremo fermarci e farle domande sui riti e le tradizioni legate alla sepoltura, ma ora dobbiamo sbrigarci se vogliamo arrivare in tempo alla nostra meta finale. In alcuni punti la foresta è talmente fitta che si fa fatica ad attraversarla con lo sguardo. Lisa ci spiega che è difficile incontrare gli animali che vi abitano poiché escono fuori durante la stagione delle piogge, quando la frutta è più matura. Eppure riusciamo a sentirne i rumori e si ha come l’impressione di essere osservati da mille occhi. Bagnati dall’umidità e dal sudore abbiamo un unico desiderio: fare un bagno! E, come se la foresta ci avesse ascoltato, sentiamo in lontananza il rumore dell’acqua che scorre. Arrivati sul posto ci troviamo di fronte a due piccole cascate che finiscono in un’acqua ferma e trasparente piena di piccoli pesci. Un salto di tre metri ci separa da questo laghetto. Lisa è la prima a tuffarsi. Mi avvicino al bordo della roccia e guardo in basso la distanza che mi separa dall’acqua; cerco di infondermi il coraggio necessario per saltare dicendomi che se lo ha fatto Lisa posso farlo anch’io e senza pensarci troppo mi lancio! L’acqua fresca ha un effetto benefico immediato e, approfittando dell’adrenalina a mille, cerco subito un appiglio tra le rocce per arrampicarmi e buttarmi di nuovo. E’ un vero spasso! Il tempo passa e dobbiamo risalire il fiume a guado per tornare indietro. Ci fermiamo in un punto asciutto per mangiare i panini preparati la mattina da Simonetta e ripartiamo fino a raggiungere la zona dei cimiteri. Lisa ci spiega che i corpi dei defunti vengono adagiati su un’amaca legata a due pali e vengono fatti calare in una buca profonda fino a sfiorare il terreno. All’esterno delle tombe, si appendono ad alcuni fili, gli oggetti più rappresentativi della vita del defunto: le mascelle di una pantera indicano che la persona sepolta era un cacciatore; un paio di occhiali da vista, che era una ricamatrice di molas, etc. L’arrivo alla canoa, segna la fine di questa esperienza indimenticabile. Le giornate passano, scandite dal sorgere del sole e dagli squisiti Cubra Libre bevuti in barca davanti al tramonto. Purtroppo arriva il momento di lasciare le San Blas e dire arrivederci ai nostri amici. Con l’aiuto di Simonetta, abbiamo prenotato un taxi che ci porterà a visitare la città di Panama prima del rientro in Italia. Le attrazioni da vedere nella capitale sono il canale di Panama con le sue enormi navi che attendono davanti alle chiuse che l’acqua scorra per gravità dal livello superiore a quello inferiore per poter passare. Da non perdere anche il museo interno alla diga Miraflores. Bello anche il giro nel centro storico del Casco Viejo, fino ad arrivare alla terrazza che affaccia sull’Oceano Pacifico. Per mangiare ci sono una miriade di ristoranti per tutte le tasche. Noi abbiamo optato per il “Legnos y Carbòn” che affaccia sul marina di Amador: ottima la carne! Infine non poteva mancare un giro per i mercatini di Balboa per i tradizionali acquisti di souvenir. Resteranno nei nostri cuori i volti ed i sorrisi delle persone che abbiamo incontrato e le lunghe chiacchierate dopo cena in barca sotto un cielo stellato in compagnia di splendide persone come Devis, Giovanna, Piero e Simonetta a cui va il nostro più caloroso saluto. Buon viaggio a tutti!