Dolce eleuthera
Abbiamo scelto Eleuthera perchè volevamo una vacanza particolare, lontana dai giganteschi e impersonali all inclusive di Nassau e Grand Bahama.
Iniziamo a capire che probabilmente troveremo l’autenticità che cerchiamo in aeroporto a Miami, dove siamo gli unici stranieri che utilizzano la compagnia di bandiera delle Bahamas. Tutti gli altri turisti diretti verso l’arcipelago, infatti, si imbarcano a bordo di charter americani.
Anche l’addetto del check in sembra stupito dalla nostra presenza. Ci chiede da dove veniamo, dove siamo diretti, quanto ci fermeremo e ci spiega come raggiungere, una volta atterrati a Nassau, l’area dell’aeroporto destinata ai voli interni.
Lasciare gli Stati Uniti risulta quasi più complicato che entrarvi. Al controllo dei bagagli a mano ci fanno togliere la felpa e perfino le scarpe! I raggi x svelano la presenza di un accendino nel mio zaino. Un poliziotto preleva quindi il mio bagaglio e mi fa cenno di seguirlo, peccato che le scarpe non mi siano ancora state restituite… Recuperate le calzature, seguo l’agente che apre con sicurezza una taschina dello zaino e mi mostra il corpo del reato, dicendo che purtroppo è costretto a requisirlo. Se proprio volevo, mi spiega gentilmente, potevo portare dei fiammiferi. Va be’, non è importante, nessuno di noi due fuma e l’accendino era nello zaino da chissà quanto tempo… Il volo per Nassau dura circa un’ora, durante la quale non riesco a staccare gli occhi dal finestrino. Sotto di noi c’è un mare a dir poco stupendo, dai colori che non avevo mai visto! All’arrivo a Nassau ci mettiamo in coda all’immigrazione. Vediamo i numerosi americani sbarcati dai loro charter dirigersi in massa verso i bus che li condurranno ai resorts di Paradise Island, ampiamente pubblicizzati all’ingresso dell’aeroporto. Noi invece andiamo verso la zona per i voli interni. Già agli arrivi internazionali l’aeroporto non era una meraviglia. La zona per i voli “casalinghi” è allucinante: non tanto perché costituita da un unico grande locale munito di scomode sedie di plastica ma perché non c’è uno straccio di video che indichi arrivi e/o partenze, l’unica addetta agli imbarchi guarda una telenovela (c’è una tv in un angolo, appesa alla parete) e l’unico cibo che riusciamo a reperire sono due panini striminziti. Cosa ancora più preoccupante, almeno dal mio punto di vista, sono i velivoli a eliche parcheggiati oltre la vetrata che ci separa dalla pista, ma in fondo me l’aspettavo… L’attesa, di circa due ore, è interminabile. Mi riduco a guardare anch’io le telenovele, che a un certo punto vengono interrotte da un’edizione straordinaria del telegiornale. Preciso che, la mattina, mia mamma aveva chiamato dicendo di aver sentito la notizia di un’onda anomala al largo della Florida. Il ricordo della distruzione portata dallo tsunami è ancora vivo e quindi il mio primo pensiero va a un’emergenza del genere. Sto per dire a Matteo di raccattare armi e bagagli per ritornare sul continente, quando sul video appare l’immagine del Vaticano… respiro di sollievo, è solo una fumata nera per l’elezione del Papa! Finalmente viene annunciato il nostro volo. Saliamo su questa specie di bus con le ali e ci mettiamo in coda ad altri sette aerei. In teoria, vedendo il biglietto il volo sembrava dover durare un’ora. In pratica, ci vogliono venti minuti, tutto il resto del tempo è l’attesa sulla pista.
Eleuthera ci affascina già mentre ci avviciniamo dall’alto: un’esile mezzaluna di terra, orlata di spiagge bianche, circondata da un mare turchese, ma che diventa improvvisamente blu dove incontra la barriera corallina… L’aereo atterra, e stiamo per scendere quando comprendo di essere all’aeroporto sbagliato. Questo è North Eleuthera, mentre il nostro è Governor’s Harbour. Nessuno ci aveva detto che avremmo fatto scalo, fortuna che ho sentito la hostess, visto che non c’è alcuna indicazione! Quindi, di nuovo seduti, nuovo decollo, qualche minuto di volo e nuovo atterraggio… e finalmente siamo a destinazione! I nostri bagagli vengono caricati su una specie di carriola, e ci vengono restituiti all’esterno dell’aeroporto dove ci aspetta il nostro autista: un personaggio e una macchina che non dimenticheremo mai! Forse iniziamo a capire perché gli americani si fermano a Nassau… Il nostro hotel si trova a pochi minuti d’auto. Si chiama Cocodimama (www.Cocodimama.Com) ed è gestito da una coppia di italiani. E’ costituito da tre bungalow, di quattro camere l’uno, più una villa che fa, al piano terreno, da ristorante-bar-salottino con tv, e non è vicino alla spiaggia, ma sulla spiaggia! Non ci sono giardini, aiuole, alberi ma sabbia, conchiglie e il mare a pochi metri!!! Veniamo accolti da Sam che, per la mole e il sorriso, ci ricorda l’addetto del check in a Miami. Abituati alle formalità statunitensi, non sono ancora entrata nella hall che già preparo carta di credito, voucher e passaporto. Sam mi sorride, rifiuta tutto e inizia a introdurci alla mentalità del luogo. Siete stanchi, ci dice, venite a bere un drink, poi vi mostro la camera e domani penseremo al resto… La camera, nel bungalow verde, è ampia e spaziosa, e dispone di un bel terrazzo dal quale si gode una vista favolosa sulla spiaggia e sul mare. Le finestre a est sono sprovviste di tende perché, ci spiega Sam, oltre al fatto che nessuno vi si può affacciare, qui si vive alla luce del sole… capiremo ben presto il significato di queste parole. Non ci viene nemmeno consegnata la chiave per chiudere la camera; cioè, se la vogliamo è disponibile, ma davvero riteniamo che sia necessaria? In effetti, guardandoci intorno, dobbiamo ammettere che ha ragione: nelle vicinanze dell’hotel non c’è niente, niente, niente. I paesini più vicini si trovano a parecchie miglia e alle nostre spalle l’isola non è certo immensa… Ci fiondiamo in spiaggia per goderci le ultime ore di luce a disposizione. E’ subito chiaro che il nome, Alabaster Bay, è più che appropriato. Come descrivere quella sabbia bianca, quel mare con tutti quei toni di verde, blu, turchese… E poi la pace, il silenzio… La spiaggia è ampia e i pochi ospiti dell’hotel non si notano neppure… Iniziamo a camminare, i piedi immersi nell’acqua che sprofondano leggermente nella sabbia soffice… che meraviglia… e poi, le conchiglie!, ce ne sono a centinaia, gigantesche, e le stelle marine… Ci sediamo ad osservare il tramonto, e non rimpiangiamo più le nubi di Key West; è vero, qui non c’è alcuna celebrazione, ma che spettacolo… Ceniamo nel piccolo ristorante, una cucina mix tra l’italiana e la locale. Terminata la cena, usciamo sulla terrazza. C’è il buio più totale. Non si vede una luce, nemmeno piccola, neanche in lontananza. Siamo così lontani dal resto del mondo… Devo ammettere che questa sensazione ci lascia improvvisamente smarriti. Abituati a Miami, Key West, Orlando, ci sembra di essere finiti su un’isola deserta. E ora che facciamo? Siamo costretti qui, su questa spiaggia, in questa baia sperduta… fortunatamente la sensazione dura poco. E’ quello che cercavamo, e ora siamo qui. Viviamo alla luce del sole anche noi. Ora è buio, ritiriamoci in camera e riposiamoci, anche perché il sole sorge presto… Come da previsione, la camera è già inondata di luce a un’ora improponibile per alzarsi, in vacanza. Cerchiamo di oscurare i vetri, ma non c’è niente da fare, i raggi del sole nascente filtrano con insistenza. Ok, ok , viviamo alla luce del sole… andiamo a fare colazione… A quest’ora, la spiaggia è semplicemente abbagliante, e l’esserci alzati prima del previsto non ci pesa più. Muniti di un buon libro e di una crema solare protezione 30 e idrorepellente, cerchiamo un ombrellone libero… e scopriamo che l’ombra dell’unico non occupato è sfruttata da due cani. Va be’, io adoro i cani, e inoltre ho nostalgia del mio…Chi ha il coraggio di allontanarli, poveri cuccioli… vorrà dire che ci divideremo lo spazio! La giornata trascorre in relax sulla spiaggia: una nuotata, un giro in kayak, una passeggiata, qualche coccola ai cani… e un breve pisolino che, nonostante la supercrema protettiva, mi costerà due piedi ustionati alla grande! Comunque, domani si torna alle buone abitudini: noleggiamo una macchina e via, in giro per l’isola! Eleuthera è un’isola strana: lunga lunga e sottile, percorsa da un’unica strada. Iniziamo a percorrerla verso nord, muniti di una cartina offertaci dall’hotel, a bordo del nostro potente mezzo. Non so di che modello si tratti, ma certo ha visto tempi migliori; inoltre, qui si guida a sinistra, retaggio della dominazione britannica, ma l’auto non ha il volante a destra, come sarebbe logico… partiamo un po’ titubanti, anche a causa del serbatoio in riserva, ma per fortuna il traffico è praticamente inesistente e troviamo anche un distributore di benzina, seppure dall’aspetto decisamente alternativo. Avevamo infatti dei dubbi se si trattasse di un vero distributore o di un bidone abbandonato… ma anche questi aspetti, a prima vista forse non proprio rassicuranti, fanno parte del fascino di quest’isola ed evidenziano un mondo decisamente diverso da quello cui siamo abituati… un mondo più semplice e, da un certo punto di vista, probabilmente più autentico.
Attraversiamo una serie di paesini dalle variopinte casette di legno e, a nord di Gregory Town, ci fermiamo per osservare una delle principali attrazioni dell’isola, Glass Window Bridge, ovvero il punto più stretto di Eleuthera. E’ davvero impressionante, a parte la strada e una scogliera non c’è altro, la larghezza dell’isola si riduce a una manciata di metri. E’ veramente un luogo affascinante: da un lato l’oceano Atlantico, con le sue possenti ondate dal colore blu cupo, dall’altro le acque tranquille e cristalline del canale di Exuma. Il contrasto è davvero notevole, a destra la natura si mostra in tutta la sua forza e a sinistra in tutto il suo splendore…
Ormai siamo arrivati a nord, dove troviamo l’unico bivio della strada: andiamo a destra, verso quello che sulla cartina viene indicato come “Three Islands Dock (ferry)”. Vogliamo infatti traghettare fino a Harbour Island. La parola “ferry” ci trae in inganno: non si tratta infatti dei traghetti che ci aspettiamo, ma di motoscafi dalla portata di una decina di persone. La traversata è veloce e, appena arrivati, ci lanciamo alla scoperta di Dunmore Town, il più antico insediamento dell’isola nonché originariamente capitale dell’arcipelago. La cittadina, dal fascino coloniale, è molto caratteristica, e si può visitare in due modi: a piedi o a bordo di golf cart, che si possono noleggiare appena sbarcati. Nonostante le condizioni, alquanto pietose, dei miei piedi, convinco Matteo che il cart non è necessario, quindi ci incamminiamo per le viuzze tranquille e assolate. Ci rechiamo anche al mercato della paglia, tipico delle Bahamas, dove acquistiamo alcuni souvenir. L’attrazione maggiore dell’isola, però, è la Pink Sand Beach che, a mio parere, vale da sola il viaggio: una spiaggia immensa di sabbia rosa, spazzata dalle onde dell’oceano, uno spettacolo meraviglioso, unico, a cui è impossibile rendere giustizia con le parole… Pranziamo in un localino simpatico, il Sip Sip. La terrazza, circondata da palme, si affaccia sulla spiaggia rosa. Sembra di essere sospesi tra il cielo e la terra, proviamo una sensazione di libertà e pace davvero intensa e vorremmo non dover ripartire… Durante il tragitto di ritorno, ci piacerebbe fermarci alla Surfer’s Beach, per osservare le evoluzioni dei surfisti, ma la strada sterrata, (anzi il sentiero…!.), è decisamente accidentata, servirebbe un fuoristrada, altro che la nostra auto… infatti dopo pochi metri desistiamo e, con infinite manovre, facciamo dietrofront… La sera, dopo cena, Sam improvvisa sulla terrazza del ristorante una “serata danzante”, ovvero mette musica locale (tipo reggae) e invita noi ospiti a ballare: oltre a noi ci sono altre due coppie, una proveniente dalla Svizzera tedesca e una dal Vermont (USA). Anche se siamo in pochi è divertente, ognuno balla come gli pare, con gran divertimento di tutti (noi, che non sappiamo fare altro, mescoliamo un po’ di salsa e di merengue!). E’ stata forse la serata più bella di tutto il viaggio (Florida compresa): su quella terrazza sulla spiaggia, con la sola luce delle torce, il profumo del mare, la brezza e le stelle, ci siamo sentiti in armonia con il mondo intorno a noi e con le persone che, casualmente, hanno incrociato il loro cammino con il nostro in questo luogo… come se il mondo fosse costituito solamente dalla nostra spiaggia, da noi e dai nostri nuovi amici, e non esistesse nient’altro… … e così è arrivato anche l’ultimo giorno di vacanza, domani si torna in Florida… La sveglia naturale con la luce del sole ormai non ci pesa quasi più, devo dire che ci siamo abituati in fretta. Sul balcone della nostra camera, il mio cane preferito (che ho battezzato Cucciolo e che ci segue quasi ovunque) è lì ad attenderci, probabilmente ha dormito lì… evidentemente si è affezionato a noi come io a lui, vorrei poterlo portare a casa… La giornata trascorre tra chiacchiere, nuotate, giri in kayak, e relax rigorosamente all’ombra! Raccolgo alcune conchiglie e facciamo le ultime foto, pur sapendo che nessuna immagine potrà trasmettere completamente la bellezza di questo luogo. La sera, dalla terrazza, osserviamo l’ultimo meraviglioso tramonto… L’aereo parte presto. Veniamo accompagnati in aeroporto dal proprietario del Cocodimama con un anticipo che potrebbe sembrare eccessivo se ieri non ci avesse spiegato che molto spesso il volo parte prima dell’orario previsto. Avviene così anche oggi. Tra poco saremo a Nassau, e tra meno di quattro ore a Miami. Osserviamo dall’alto la nostra isola, una strisciolina di sabbia nel blu, un luogo incantevole, dolce ed etereo, come già fa pensare il suo nome, Eleuthera, che sembra uscito da una leggenda… e in effetti il nome, a mio parere, è decisamente adeguato, poiché esprime una delle sensazioni che si provano più frequentemente sull’isola : le fu attribuito dai pellegrini che, trecento anni fa, giunsero qui dall’Inghilterra, ed è un termine greco che significa “libertà”.