Dixieland, viaggio nel profondo sud degli USA

Il nostro viaggio di due settimane nel su degli Stati Uniti, una zona intrisa di storia, dalla guerra civile alla segregazione, ma legata anche alla musica, qui infatti sono nati il jazz, il bues, il rock n roll e il country. Un viaggio intenso a diretto contatto con la gente del posto
Scritto da: Valeria23
dixieland, viaggio nel profondo sud degli usa
Partenza il: 08/09/2018
Ritorno il: 22/09/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
8 Settembre

Ci presentiamo prestissimo a Malpensa, ieri non mi hanno fatto fare il check-in online, e sono un po’ preoccupata. In realtà scoprirò che mi hanno semplicemente pescata per i controlli aggiuntivi, quindi dopo una semplice procedura un po’ più lunga sono abile e arruolata, possiamo partire!

Il volo diretto da Milano a New York è lungo ma tranquillo, invece il volo interno per Atlanta ha un’ora circa di ritardo, quanto basta per farci saltare la cena.

Una volta atterrati, ritiriamo la nostra auto, una Dodge Charger berlina, scelta perché in questo road trip visiteremo molte città, e non vogliamo lasciare nulla in vista, meglio avere il bagagliaio chiuso. E’ tardi e noi siamo troppo stanchi e confusi dal jet lag per pensare di cenare, così andiamo direttamente in hotel e ci buttiamo a letto.

L’hotel è un Clarion Inn & Suites Atlanta Downtown, un buon compromesso tra prezzo e vicinanza al centro.

9 Settembre

Come immaginavo, il fuso orario ci fa alzare ad un orario improponibile. Ne approfittiamo per sistemare i bagagli e rivedere il programma della giornata, poi non ci resta che attendere le 7.30, quando finalmente potremo fare colazione.

Dopo esserci rifocillati partiamo subito alla scoperta di Atlanta. Cominciamo dal Martin Luther King Memorial, nella zona est.

Qui si trovano diversi luoghi legati al predicatore ed attivista, oltre a un piccolo museo e un memoriale dedicato a chi ha combattuto per la parità e l’uguaglianza. Il monumento più importante è naturalmente la tomba di Martin Luther King e della moglie Coretta, circondata da una piscina, davanti alla quale brucia una fiamma eterna..

Accanto al monumento funebre si trova la Ebenezer Baptist Church. Qui era pastore il padre di MLK, e qui si sono svolti i suoi funerali, la salma trainata da un semplice carretto di legno, che vediamo nel museo. Più avanti, la casa che MLK abitò da bambino, e la caserma dei pompieri nei pressi della quale si fermava a giocare con i suoi amici.

Cambiamo genere e ci spostiamo in centro, al Museo della Coca-Cola. Uno spazio espositivo divertente e colorato, che racconta la storia della bevanda più famosa al mondo.

Subito ci danno un paio di lattine, e poi cominciamo il nostro percorso. L’esposizione è incentrata soprattutto sul merchandising e sulle pubblicità, e come si sono evolute nella storia. Si possono vedere diversi filmati, le fasi di imbottigliamento, e poi la gigantesca cassaforte, che custodisce la ricetta della Coca-Cola. Al termine della visita, è possibile assaggiare decine e decine di bibite del marchio, tutte stucchevolmente dolci, tutte assolutamente da provare!

Facciamo una passeggiata al Centennial Park, il parco creato in occasione delle Olimpiadi del 1996. Spiccano la statua di Le Coubertin e le fontane dei cinque cerchi olimpici, dove i bambini di divertono a giocare. Fa caldissimo, e un po’ li capisco. Da vedere anche le installazioni dedicate al mondo dello sport, e il medagliere olimpico.

Dedichiamo il pomeriggio al Museo dei Diritti Civili, che esplora la complessa tematica della segregazione razziale. Racconta storie di vita vissuta attraverso installazioni interattive, cartelli dell’epoca ed esempi pratici. Uno su tutti è l’esperimento del Lunch Counter. Ti siedi sullo sgabello, metti le cuffie e chiudi gli occhi. Sei un nero in un bar per bianchi, cerchi di bere qualcosa seduto al bancone, ma la gente intorno ti insulta, calcia lo sgabello, ti sputa in faccia. Quanto riesci a resistere? Io sono durata 30 secondi, e ne sono uscita molto scossa.

L’esposizione continua parlando della celebre marcia di Washington, quella in cui fu pronunciata la frase “I have a dream”, delle altre marce e proteste dell’epoca, e di come la questione è affrontata oggi.

Usciti dal museo facciamo un giro in centro, che però è deserto perché è domenica, ed è tutto chiuso. Non ci piace più di tanto, anche perché nel frattempo inizia a piovere a dirotto. Corriamo quindi verso la sede della CNN. Abbiamo deciso di non fare il tour all’interno, ma solamente un giro nell’immensa hall, piena di negozi e bar.

Abbiamo finito prima del previsto, così andiamo da Walmart per fare scorta in vista del road trip: frigo di polistirolo, bevande, snack, posate di plastica e tutto quello che può tornare utile. Tornati in hotel, predisponiamo il tutto in auto, insieme al programma di viaggio e alla chiavetta USB piena di musica country, in modo da essere pronti per partire il prima possibile domani.

Per cena andiamo in un locale visto in tv, The Vortex, che serve ottimi hamburger.

10 Settembre

Si parte per il vero viaggio on the road!

Oggi esploreremo parte dell’Antebellum Trail, un percorso di 120 km circa che tocca sette cittadine della Georgia.

Nel 1864, dopo aver conquistato Atlanta, il generale unionista Sherman procede con la marcia verso Savannah, attraverso il territorio della Georgia. Durante questa marcia, l’esercito distrugge tutto quello che trova, case, infrastrutture e raccolti, per sfibrare la Confederazione riducendo alla miseria anche i civili.

La particolarità di queste sette cittadine è che sono state risparmiate dalla furia distruttrice di Sherman. Qui è quindi ancora possibile vedere ville ed edifici antecedenti la Guerra Civile, periodo definito “antebellum”, la cui prerogativa è uno stile monumentale, che richiama l’architettura classica.

La prima città è Madison, dove facciamo un giro a piedi degli edifici storici, coadiuvati dalla mappa presa al Visitor Center. I più importanti sono il tribunale, la vecchia prigione, e poi le ville disseminate lungo la Main Street e le sue parallele. Alcune, come la Heritage Hall, sono imponenti e maestose, altre alquanto trascurate. Mi colpisce subito la vegetazione, tutte le case sono circondate da lussureggianti giardini di piante tropicali.

Seconda tappa è la piccola Eatonton. Anche qui passeggiamo tra le case storiche, ma questa città è più anonima, non ci dice granché.

Continuiamo con Milledgeville, cittadina universitaria definita “la bella del Sud”, che per un periodo è addirittura stata la capitale della Georgia. Si respira subito un’atmosfera diversa dalle altre città, grazie alla presenza dell’università e di tanti giovani. Il centro è più definito, pieno di negozi alla moda, bar e ristoranti. L’architettura è caratterizzata da edifici in mattoni rossi con inserti e colonnati bianchi. Ne sono alcuni esempi il tribunale, l’università, il municipio e l’ufficio delle poste. Una curiosità: qui visse per alcuni anni Oliver Hardy, il famoso Ollio del celebre duo comico, lavorando del Milledgeville Hotel insieme alla madre.

Lasciamo Milledgeville per Gray/Old Clinton. Più che un paese, un gruppetto di case nel bosco. Nel suo piccolo, anche questo villaggio ha comunque un certo fascino.

L’ultima tappa dell’Antebellum trail è Macon.

Un momento, avevo parlato di sette città, allora perché ne ho visitate solo cinque? Il motivo è puramente logistico. Athens e Watkinsville si trovano a nord di Atlanta, e oggi non avremmo fatto in tempo a visitare anche quelle. Ma non vi preoccupate, prima di tornare a casa recupereremo anche queste!

Purtroppo, dedichiamo a Macon troppo poco tempo. Dobbiamo infatti arrivare fino a Montgomery, capitale dell’Alabama, che dista 300 km, e sono già le 15. Ci permettiamo una veloce visita della Hay House solo perché il fuso orario ci verrà incontro, visto che al passaggio in Alabama porteremo le lancette indietro di un’ora.

Dunque, la Hay House è una villa a dir poco straordinaria. E’ costruita in posizione dominante in cima a una collina, non in stile classico bensì rinascimentale, una meraviglia per gli occhi. In più, era una casa molto tecnologica, infatti già all’epoca disponeva di cucina in casa, acqua corrente, illuminazione elettrica.

Non riusciamo a fare il tour guidato, che dura un’ora e mezzo, ma già oggi sperimenteremo la calorosa generosità del Sud. Spiego all’impiegato che purtroppo non ho tempo per il tour, e lui ci lascia comunque esplorare il piano terra, gratuitamente, giusto per vedere un paio di stanze e qualche cimelio.

Ora non ci resta che metterci in marcia e affrontare la lunga tratta per Montgomery, resa ancora più stancante dal maltempo, e dai due incidenti che troviamo lungo il percorso. Uno dei due ha coinvolto un mezzo pesante, che si è ribaltato bloccando completamente la carreggiata.

Arriviamo infatti con un’ora di ritardo al nostro alloggio, il favoloso Lattice Inn, una tipica casa del sud adibita a b&b. Il gestore è il simpatico Jim, che ci fa subito sentire a nostro agio. Ci fa fare un giro della casa e ci spiega cosa vedere e dove mangiare. Ci sono solo due stanze, e oggi siamo gli unici ospiti.

Per cena seguiamo ovviamente il consiglio di Jim, e mangiamo dell’ottima carne al Dreamland BBQ. La cameriera è così contenta di vedere due italiani che ci offre il dessert.

11 Settembre

Il nostro amico Jim ci fa trovare una colazione americana a dir poco sontuosa, tutta preparata con le sue mani. Frittata, salsiccette, e grit, una polenta bianca con formaggio, contorno tipico del sud. E poi plumcake, succo, tanto caffè e frutta fresca. Qualcosa mi dice che oggi non si pranza. Oltre all’ottima colazione abbiamo anche una piacevole conversazione sulle differenze tra Italia e USA, la politica, la musica. E’ davvero bello fare due chiacchiere con qualcuno che vive in uno dei posti più controversi del Paese, ancora afflitto dalle discriminazioni razziali.

La conversazione con Jim si protrae più del previsto, la giornata è appena iniziata e siamo già in ritardo sulla tabella di marcia.

Andiamo in centro a Montgomery, subito notiamo che il parcheggio davanti al Capitol ha un costo davvero irrisorio, appena 0,50$ per mezza giornata. Anche da queste piccole cose si vede che l’Alabama è tra gli stati più poveri degli USA, in Tennessee le cose saranno molto diverse.

Per prima cosa visitiamo la Casa Bianca della Confederazione. Montgomery fu capitale degli Stati Confederati prima di Richmond (Virginia), e qui visse il Presidente Davis con la propria famiglia. Il tour guidato è gratuito ed interessante.

Passiamo dal Campidoglio, un bell’edificio bianco in stile classico circondato da un prato perfettamente tagliato.

A brevissima distanza, passiamo davanti alla Dexter Avenue King Memorial Baptist Church. martin Luther King visse anche a Montgomery, e questa è la chiesa dove predicava e dove ha organizzato le più famose marce e proteste. E’ troppo tardi per il tour guidato delle 10, ma ancora una volta il calore del sud ci stupisce. La custode ci permette infatti di vedere per qualche minuto l’interno della chiesa, e il famoso pulpito di MLK. Trovarsi qui dà una strana sensazione, come un déjà-vu, da tante volte abbiamo visto questa chiesa in tv.

Proseguendo verso il centro ci fermiamo in un altro luogo simbolico, la fermata del bus di Rosa Parks. Il 1 dicembre 1955, la signora Parks salì sull’autobus dopo una dura giornata di lavoro. Alla stessa fermata salì anche un bianco, a cui lei avrebbe dovuto quindi cedere il posto a sedere. Si rifiutò di farlo, e per questo fu arrestata. Il suo arresto diede il via ad una protesta, passata alla storia come “Montgomery bus boycott”, in cui i cittadini di colore si rifiutarono per mesi di usare i mezzi pubblici, provocando gravi danni economici alla società di trasporti.

La nostra prossima destinazione è il museo dedicato ad Hank Williams, padre fondatore della musica country, morto a soli 30 anni la notte di capodanno del ‘53. Per noi, appassionati e ballerini country, questo viaggio è anche un pellegrinaggio nei luoghi più rilevanti della musica americana, e questo museo non può certo mancare. Visitiamo anche la statua in centro, e la tomba all’Oak Wood Cemetery.

Lasciamo Montgomery all’ora di pranzo, ci aspetta una lunga traversata di 500 km fino a New Orleans. Anche oggi prendiamo una bell’acquazzone mentre siamo in auto. Una pioggia così fitta che a malapena vedo l’auto davanti, un vero stress per molti km.

Ovviamente questo inconveniente ci fa perdere parecchio tempo, e arriviamo a New Orleans attorno alle 18. Il nostro alloggio è il Creole Gardens b&b, un ex bordello tutto colorato, con un bel cortiletto interno, nel Garden District.

I parcheggi in centro a New Orleans hanno prezzi folli, così prendiamo un Uber e ci facciamo lasciare in Bourbon Street. Ero così curiosa di vedere questa celeberrima strada, ma purtroppo ne reso molto delusa. Da luogo ribelle, bohémien e decadente a trappola per turisti il passo è stato breve. La fanno da padrona bar con ragazze seminude, pseudo cartomanti, negozi di paccottiglia e venditori ambulanti piuttosto insistenti. E gli ubriaconi, turisti e non, che si sbronzano di cocktail scadenti per poi abbandonare bicchieri e cannucce a bordo strada. Uno spettacolo indegno per un’attrazione che è diventata la caricatura di sé stessa, nel tentativo malriuscito di mantenere la sua fama di luogo pericoloso e malfamato. Ed è davvero un’occasione mancata, perché, architettonicamente, Bourbon Street e tutto il French Quarter sono eccezionali. I balconi in ferro battuto, le piante rampicanti e i vasi fioriti sono un vero spettacolo.

Per fortuna, basta spostarsi una via più in là, a Royal Street, Chartres Street, Decatour Street, per trovare un’atmosfera più autentica.

Facciamo la nostra prima cena creola al Gumbo Shop, e poi andiamo in Frenchmen Street, la strada del Jazz. Se volete ascoltare del buon jazz, lasciate perdere Bourbon Street e venite qui. Il locale più famoso è lo Spotted Cat, dove sembra di tornare agli anni ‘20.

Peccato che ci sia davvero troppa gente, non c’è posto neanche in piedi, perciò preferiamo cambiare posto. Facciamo pochi metri ed entriamo in un locale meno affollato, ma con musica di qualità. La buona cena e la serata ad ascoltare jazz dal vivo sorseggiando una birra mi fanno dimenticare la prima brutta impressione che ho avuto della città.

12 Settembre

Anche qui la colazione è ottima e abbondante, cucinata al momento dalla simpaticissima cuoca.

Cominciamo la giornata con il tour a piedi del Garden District, la zona delle ville signorili e del famoso Lafayette Cemetery.

Il cimitero sarebbe la principale attrazione del quartiere, ma noi non lo visiteremo. Come mai? Il Lafayette Cemetery è famoso per le sue tombe monumentali, così diverso dalle semplici croci bianche dei classici cimiteri americani da essere diventato un’attrazione turistica. Per gli americani sarà anche una cosa insolita, ma per noi europei non è niente di particolare.

Facciamo invece un giro delle ville più famose, tra cui la casa di Anne Rice, e quella utilizzata per la serie tv American Horror Story: Coven, ovvero la Buckner Mansion.

Le ville e i loro giardini sono spettacolari: imponenti colonnati bianchi, intarsi in ferro battuto, balconi traboccanti di vasi fioriti e piante tropicali, piccoli porticati con amache e sedie a dondolo… un po’ meno le strade e le aree pubbliche in generale: le grosse radici delle piante spaccano i marciapiedi e il manto stradale, e c’è una generale aria di trascuratezza. Si vede proprio che la città fatica ancora a rialzarsi dal terribile colpo dell’uragano Katrina.

Lasciamo momentaneamente la città per andare a fare il tour del bayou, l’insieme di fiumi, paludi e canali tipico del delta del Mississippi.

Devo fare una piccola premessa. Avevamo prenotato il tour ecosostenibile con la società Beyond The Bayou, che però ha annullato perché non si era raggiunto il numero minimo di partecipanti. Abbiamo quindi dovuto trovare un altro tour all’ultimo momento, e la scelta è caduta sul Jean Lafitte Swamp Tours. Lo dico, per precisare che (purtroppo) tutti i tour del bayou sono così, con l’unica eccezione di quello che non abbiamo potuto fare.

Il giro in barca inizia molto bene, è divertente ed interessante, i canali stretti dalla fitta vegetazione hanno un’aura misteriosa, da “pirati dei Caraibi”, lo spanish moss che cresce sulle piante rende tutto più romantico e selvaggio, e poi ci sono gli alligatori, che pattugliano la zona.

Tutto molto bello, finché la nostra guida non tira fuori da un armadietto un cucciolo di alligatore, imbavagliato, esortandoci a toccarlo, prenderlo in braccio e fare foto.

Una pratica dalla quale ovviamente ci asteniamo, un maltrattamento bello e buono che mi farà andare di traverso il resto del tour. Il pensiero di questa povera bestia che vive rinchiusa in un armadio imbavagliato proprio non mi va giù, e non riesco più a divertirmi.

Torniamo alla svelta in città e andiamo al City Park, l’attrazione di New Orleans che mi è piaciuta di più.

Non abbiamo molta fame così ci “accontentiamo” di uno spuntino a base di café au lait e beignets nel suggestivo bar del parco (lo so, caffellatte e paste fritte non sono il massimo con 40 gradi). Il contesto è super romantico, siamo circondati da alte querce e accanto a noi c’è un bel tempietto. Il bar sembra uscito da un dipinto impressionista.

Facciamo quindi un giro in questo lussureggiante spazio verde, così bello da essere quasi commovente. Le querce sono coperte di spanish moss, l’intrico di piccoli canali e fiumi è collegato da eleganti ponticelli, c’è persino un’area con delle sculture all’aria aperta, perfettamente integrate nel paesaggio.

Torniamo in centro, sempre con Uber, per esplorare il French Quarter di giorno. La speranza è che, con la luce del sole, Bourbon Street migliori. In realtà, con i bar chiusi e i resti dei bagordi della notte abbandonati in strada, è ancora più squallida che di sera.

Attraversiamo il quartiere a nord del French Quarter, conosciuto anche come Vieux Carré; che in realtà sarebbe poco raccomandabile. Diciamo che di giorno, con tutta la gente in giro, non ci sono problemi. Quello che vogliamo vedere è Congo Square, il parco in cui i neri schiavi si trovavano a fare festa la domenica. Questo è, di diritto, il luogo di nascita del jazz.

Torniamo indietro, fino alla bellissima Jackson Square, dove sembra quasi di essere a Parigi. La piazza è dominata dalla Cattedrale di San Luigi, con al centro una piccola area verde recintata, e tutto attorno un quadrato di palazzine in mattoni rossi e gli ormai familiari balconcini in ferro battuto, che non riesco a smettere di fotografare. Il tutto è completato da un bel porticato, dove hanno sede numerosi negozi e locali.

Rispetto ad altre città americane, New Orleans ha un’architettura più europea. Il centro è ben definito, ed è il luogo in cui ci sono la chiesa, i negozi, e dove in generale si svolge la vita sociale. Solitamente, il centro delle città americane è il polo di uffici e banche, pieno di giorno ma desolatamente vuoto la sera, e spesso anche pericoloso. Non è il caso di New Orleans, qui il centro è anche la zona più vivace ed attiva della città.

Ci spostiamo lungo il Mississippi, dove c’è una piacevole passeggiata pedonale, e vediamo anche attraccare un tipico battello a vapore, visitiamo il French Market e facciamo un po’ di acquisti, poi torniamo in hotel e andiamo a cena al Cheesecake Factory.

Non sarà una tipica cena creola, ma per noi è ormai una tappa obbligata.

13 Settembre

Lasciamo New Orleans, che ci ha colpiti per i suoi contrasti, e andiamo a vedere le storiche piantagioni del Mississippi. Piantagioni di cotone? No! Il clima qui è troppo caldo e umido. Nelle piantagioni della Louisiana, in realtà, si coltivava la canna da zucchero.

Le piantagioni sono molte, ognuna con una sua particolarità, ed in alcune è anche possibile dormire. Per esempio, se siete interessati ad approfondire la tematica della schiavitù, consiglio la Whitney Plantation. Noi non l’abbiamo visitata perché gli orari del tour non combaciavano con il nostro programma, ma è l’unica piantagione dove l’argomento è preso davvero sul serio.

Noi, per questioni di tempo, ne visitiamo due, più una da fuori. Quest’ultima è la Evergreen Plantation, che ci tenevo a vedere perché compare nel film Django Unchained di Tarantino.

Le due piantagioni che visitiamo sono invece la St Joseph, e la Oak Alley.

La St Joseph è molto interessante perché l’arredamento è autentico, anche se piuttosto spartano. Inoltre, la produzione di zucchero di canna è ancora attiva. Ci sono pochi visitatori, il tour guidato è intimo, interattivo ed interessante, anche se ci si sofferma unicamente sulle vicende della famiglia proprietaria, e non sulla vita degli schiavi. Questo perché la proprietà, arrivata dopo la guerra, non vuole essere associata o in qualche modo confusa con la famiglia originale. Si ha comunque un’idea discreta di come fosse la vita a quei tempi.

La vicina Oak Alley è la piantagione più conosciuta e visitata in assoluto, grazie al suo splendido viale di querce, un simbolo di tutto il Sud. Ci fermiamo a pranzare nell’area picnic, e appena finito ci sorprende un violento temporale. Siamo però fortunati, visto che proprio alle 13 abbiamo il tour guidato della villa.

La villa è ovviamente lussuosa e bellissima, ma l’arredamento non è originale. Con la fine della guerra di secessione, la casa fu espropriata e tutti i beni venduti all’asta.

La visita è più commerciale e turistica rispetto alla St Joseph, ma la nostra guida è brava, e si sofferma molto anche sugli schiavi e sulle loro assurde mansioni all’interno della casa. Per esempio, un ragazzino era incaricato di azionare manualmente un enorme ventilatore in sala da pranzo, fintanto che i commensali erano a tavola, e i pranzi potevano durare anche 5-6 ore.

Dalla casa si arriva al meraviglioso viale alberato, lungo 250 metri, e popolato da enormi querce di 300 anni. Una volta, gli alberi erano ricoperti di spanish moss, che purtroppo oggi è stato rimosso.

Sul retro c’è invece un piccolo giardino all’italiana, e da lì si accede alle altre esposizioni, tra cui una mostra sulla schiavitù, situata dove c’erano le baracche degli schiavi. Impressionante vedere come vivevano e come venivano trattati, per esempio le catene e tutti gli strumenti di punizione.

Terminata la visita, ci rimettiamo in marcia in direzione Natchez, una piccola cittadina sul Mississippi ricca di storia. Come le sette cittadine della Georgia, anche Natchez è stata risparmiata dalle truppe unioniste. La leggenda narra che le donne di Natchez abbiamo accolto i soldati dell’unione nelle loro case, invitandoli a bere un tè. Questa gentilezza pare li abbia convinti a non mettere la città a ferro e fuoco.

Anche oggi ci prendiamo la nostra dose di traffico, che ci fa arrivare troppo tardi per le visite guidate alle ville antebellum.

Abbiamo però un colpo di fortuna. Decidiamo di vedere comunque le ville da fuori, e, mentre passiamo davanti alla più famosa, la Choctaw Hall, dalla porta sbuca un signore, che ci invita ad entrare. Scopriamo che si tratta del proprietario della casa (è sua da generazioni), che ci offre un breve tour perché “non esiste che due italiani vengono fino a qui e non gli faccio vedere la casa”. Quante volte ho già citato l’accoglienza del sud?

La Choctaw Hall è di gran lunga la villa più bella, lussuosa e meglio tenuta che abbia visto, anche meglio delle piantagioni, ed il suo proprietario ne va particolarmente fiero.

Felici del colpo di fortuna che abbiamo avuto, andiamo al parco sul Mississippi a goderci il tramonto, e poi a cena alla King’s Tavern, un ristorante storico.

Terminiamo la serata in un altro luogo iconico, l’Under The Hills Saloon. Un tempo era nella zona malfamata di Natchez, tra delinquenti e prostitute, frequentato anche da Mark Twain quando era marinaio sui battelli a vapore. Oggi è un pub dove si suona musica dal vivo quasi tutte le sere.

Attiriamo subito l’attenzione della gente del posto, che di certo non vede degli stranieri così di frequente. In particolare un signore sulla sessantina, che scopriamo essere l’ex sceriffo. Lui ci prende subito in simpatia, e ci invita al suo tavolo. Ci racconta un sacco di aneddoti sulla storia della città e sulla guerra civile, e vuole sapere tutto sulla vita in Italia. Conosce i fatti della guerra, la navigazione sul Mississippi, è una vera enciclopedia. Ci dà consigli sulle nostre prossime mete e ci racconta anche storie di fantasmi che riguardano il nostro hotel.

In tutto questo la band suona “Have you ever seen the rain”, mentre noi ci beviamo una bella birra ghiacciata.

Questa è, posso dirlo a posteriori, la serata più bella della vacanza, e di tutte le mie vacanze negli States.

Il nostro hotel è la Brandon Hall Plantation, un’affascinante ex piantagione adibita a b&b e location per eventi. E’ poco fuori città, lungo la Natchez Trail Road, immersa in un enorme parco. Le sale comuni hanno gli eleganti arredi di un tempo, così come le stanze, con caminetti, letti a baldacchino e una morbidissima moquette. Mi sembra impossibile avere a disposizione tutta questa ricchezza, domattina voglio esplorare ogni centimetro di questa meravigliosa villa.

E la storia dei fantasmi? Ah già. Pare che il fantasma di un soldato dell’unione si aggiri da queste parti, inconsapevole della fine della guerra, proprio nel parco dell’hotel. Parola del nostro amico, che lo ha visto con i suoi occhi!

14 Settembre

Ci alziamo presto, la colazione è alle 8.30 e poi dovremo subito partire, voglio godermi ogni angolo della casa e del parco prima di rimettermi in marcia.

La casa è piena di cimeli, ritratti, candelabri, eleganti caminetti e piante da interno. Al secondo piano c’è un bel terrazzo completo di chaise longue, per rilassarsi nel sole del pomeriggio. Sembra di stare in Via col Vento. Il parco è davvero grandissimo, ci sono anche i cerbiatti che pascolano liberi, e un romantico laghetto.

La colazione è preparata dal proprietario di casa aiutato dal suo simpatico cagnolino. Anche oggi non rischiamo di andare via affamati, anzi, molto probabilmente salteremo il pranzo, come ormai capita spesso.

Lasciamo a malincuore la bellissima piantagione e risaliamo il Mississippi verso Vicksburg, città sede della più importante battaglia della Guerra Civile. Vicksburg era uno snodo cruciale per lo spostamento di persone e merci lungo il Mississippi; la sua conquista da parte dell’Unione diede un duro colpo ai confederati, ed aprì la strada alla capitolazione finale di Gettysburg. La città, inoltre, si contende con Atlanta il ruolo di città natale della Coca-Cola. Chi avrà ragione?

La storia della città è raccontata dai murales lungo il fiume, che raffigurano la vita quotidiana ed i principali eventi. Il centro è carino,fa però davvero troppo caldo per goderselo, così risaliamo in auto e ci dirigiamo al Vicksburg National Memorial Park.

Situato nel luogo della battaglia, il parco raccoglie reperti e testimonianze della Guerra Civile, così come numerosi memoriali. Interessante la nave da guerra USS Cairo, e molto toccante il cimitero, in cima a una collinetta affacciata sul fiume Yazoo.

Lasciamo Vicksburg e proseguiamo verso nord, per la precisione siamo diretti ad Indianola. Quest’anonimo villaggio è la patria di BB King, l’immenso chitarrista blues che seppe conquistare anche il pubblico bianco. Il museo, dove è sepolto, racconta la sua storia, da contadino e lustrascarpe ad artista di fama mondiale, che ha incontrato persino Papa Giovanni Paolo II. Ma non solo, c’è anche un interessante excursus sulla vita lungo il delta del Mississippi, e sul ruolo centrale di Memphis nella nascita del blues e del rock n roll. Solo a Memphis, infatti, poteva un artista di colore provare ad avere successo.

Il nostro viaggio prosegue in direzione Clarksdale, altra cittadina sul Mississippi con forti legami con la musica. Qui nasce la leggenda del chitarrista Robert Johnson, che vendette l’anima al diavolo in cambio di saper suonare la chitarra come nessuno mai. Il punto in cui avvenne lo scambio di chiama Crossroads, ed è indicato da un piccolo memoriale. Robert Johnson morì in circostanze misteriose nel 1938 a soli 27 anni, è quindi il capostipite del “27 club”, termine con cui ci si riferisce ai numerosi artisti venuti a mancare proprio a 27 anni. Il suo corpo non fu mai ritrovato.

Il nostro hotel è un anonimo Quality Inn, vecchio sporco e malandato. Wifi? non funziona. Lavanderia a gettoni? spiace, è fuori uso. Il peggiore della vacanza, da evitare. L’alloggio più indicato per Clarksdale sarebbe in realtà il famoso Shak Up Inn, ma purtroppo nel weekend (oggi è venerdì) chiedono un minimo di due pernottamenti.

Ceniamo al Ground Zero, pub di proprietà di Morgan Freeman. Anche questo è una mezza delusione, il posto è nuovo, ma si vuole dare una finta aria vissuta, con divani logori, insegne arrugginite e scritta sui muri. In più, ci chiedono 10$ a testa per la musica dal vivo, anche se ceniamo qui (normalmente paghi solo se non consumi). La musica e il cibo, in compenso, sono buoni.

15 Settembre

Anche se l’impressione di ieri non è stata delle migliori, facciamo comunque un rapido giro di Clarksdale. A parte qualche murales, la città è bruttina. Il Mississippi è lo stato più povero degli USA, e qui è particolarmente evidente. La città vive prevalentemente del suo legame con la musica, ma è chiaro che ci sono parecchie difficoltà economiche, i negozi sono quasi tutti sprangati.

Ripartiamo subito, perché abbiamo in programma alcune visite importantissime, oggi incontreremo il Re!

Ci dirigiamo spediti a Memphis, dove resteremo due notti. Soggiorneremo in un hotel adiacente a Graceland, così da essere più comodi per la visita.

La villa di Elvis è su un lato della strada, visitabile solo con tour guidato, mentre dall’altra parte c’è tutto il museo, un complesso enorme che vedremo più tardi. Il tour della villa si può fare anche al momento ma, per evitare ritardi, noi abbiamo prenotato in anticipo il primo tour disponibile, alle 10.

Graceland è perfettamente in stile con il personaggio di Elvis. Esagerata, colorata, eclettica e anche parecchio kitsch. Le stanze sono tutte a tema, quella più famosa è la Jungle Room, arredata con una spessa moquette verde, totem in legno, poltrone pelose e piante rampicanti. C’è anche una stanza nel seminterrato che è molto particolare, perché dotata di alcune meraviglie tecnologiche che oggi ci appaiono normali, ma che per l’epoca erano all’avanguardia.

La tomba di Elvis è sul retro, vicino alla piscina, molto sobria rispetto al contesto. Il Re riposta accanto ai suoi genitori. Si vede che è ancora molto amato, pur a 40 anni dalla scomparsa. I fan continuano a depositare piccoli oggetti e ricordi sulla lapide, alcuni si raccolgono in preghiera.

Passiamo il resto della mattinata ad esplorare il gigantesco e gelido museo. L’aria condizionata è insostenibile, e dobbiamo uscire spesso all’aperto per recuperare la sensibilità degli arti. La collezione è così grande da essere divisa in padiglioni. Uno è dedicato alle auto e alle moto. Un altro, molto grande, raccoglie i costumi, le foto (ma quanto era bello da giovane!), gli innumerevoli riconoscimenti. Elvis era un personaggio poliedrico, iperattivo, aveva sempre qualche idea in testa. Esplorando l’enormità del museo, si ha la sensazione che fosse “larger than life”, come dicono gli americani, quasi “troppo” grande, in qualche maniera predestinato.

Molto interessante l’approfondimento sull’influenza che Elvis ha ancora oggi sugli artisti moderni, e di nuovo studiamo il ruolo centrale di Memphis e del substrato culturale che ne ha favorito l’ascesa a capitale del soul e del rock n roll.

Gli aerei, la cui visita si paga a parte, ci lasciano invece l’amaro in bocca. Belli, ma onestamente non valgono il sovrapprezzo.

Dopo un veloce pranzo da Subway andiamo a vedere il piccolo ma fondamentale Sun Studios. Tutti i più grandi musicisti dell’epoca sono passati da qui, da Elvis a Johnny Cash a Jerry Lee Lewis, e la lista è molto lunga.

Il tour guidato si compone di solo due stanze, gli uffici e la sala di registrazione, ma nonostante questo la visita è ricca ed intensa. La musica pervade ogni angolo, si può respirare la musica. Questo grazia anche alle guide, che sono dei veri appassionati e raccontano le vicende del fondatore Sam Phillips e degli studios in maniera davvero avvincente.

Nella sala di registrazione c’è il microfono di Elvis (vi prego, non leccatelo, ci dice la guida!), nonché il pianoforte suonato in occasione del “million dollar quartet”, una breve sessione improvvisata il 4 dicembre 1956, quando Elvis, Johnny Cash, Carl Perkins e Jerry Lee Lewis si trovarono per caso insieme negli studios.

Ci spostiamo quindi in centro, per fare un giro esplorativo della città.

Partiamo dal Peabody Hotel e lungo la Main Street attraversiamo l’ex quartiere del mercato di cotone, scendendo infine al Tom Lee Park, una piacevole area verde sul Mississippi, dalla quale ci godiamo il tramonto.

Memphis e il sud sono celebri fondamentalmente per due piatti: le costine al bbq (che proveremo domani) e il pollo fritto. In questo, una vera istituzione è Gus’s World Famous Fried Chicken, un ristorante/rosticceria semplice e spartano. Tovagliette usa e getta, posate di plastica, un menù stringato (pollo fritto, pollo fritto e pollo fritto) e un pollo fritto davvero eccezionale, croccante e non unto, accompagnato dai contorni tipici del sud, come il cole slaw e i fagioli con l’occhio.

Dopo cena andiamo in Beale Street. E’ sabato sera e c’è una gran folla, ogni edificio è un locale di musica dal vivo, vorremmo provarli tutti!

Ma in realtà non ne abbiamo bisogno.

Passeggiando, arriviamo fino in fondo alla strada, dove notiamo un maxischermo. Nel teatro lì accanto c’è un concerto, e lo stanno trasmettendo qui fuori. Passiamo una magnifica serata ballando e cantando in strada, con un finale davvero da urlo. Da qualche parte in città, qualcuno spara dei fuochi d’artificio, che ci godiamo anche noi da Beale Street. Non avrei potuto chiedere di più a Memphis!

16 Settembre

Oggi restiamo in quel di Memphis, per visitare a fondo la città. Forse abbiamo anche esagerato, saremmo pure potuti partire per Nashville nel tardo pomeriggio invece che domani. Ma tant’è, ormai è andata così.

Oltre a Elvis, c’è un altro personaggio che ha segnato la storia di Memphis, qualcuno di cui abbiamo già parlato. La sera del 4 aprile 1968, mentre lasciava la sua stanza al Lorraine Motel per recarsi a una riunione, il reverendo Martin Luther King fu freddato da un colpo di fucile, sparato da un certo James Earl Ray.

Il Motel oggi ospita il Civil Rights Museum, dove arriviamo ancora prima che apra.

Tanto per cambiare, la temperatura all’interno del museo è insopportabile, al punto che fatichiamo a concludere la visita nonostante siamo dotati di foulard e felpa.

Rispetto al museo di Atlanta, questo è più incentrato sulle lotte, le marce e le proteste più famose. Ci sono diverse installazioni, come il bus di Atlanta e il ponte di Selma, ma c’è soprattutto tanto da leggere. E’ interessante scoprire che MLK era malvisto non solo dai suprematisti bianchi del KKK, ma anche dai movimenti neri estremisti, come i Black Panther, che lo ritenevano troppo “morbido”, che chiedevano un approccio violento per combattere le discriminazioni.

Il tour del museo culmina con il passaggio, senza però poter entrare, dalla stanza in cui fu ucciso MLK.

Dopo questa toccante visita torniamo al Tom Lee Park sul Mississippi, l’obiettivo è oltrepassare il ponte Memphis-Arkansas Bridge e approdare in Arkansas. Dall’altra parte del fiume, infatti, si cambia stato. Dal ponte si ha anche una bella visuale sullo skyline di Memphis. Mettiamo piede sul suolo dell’Arkansas, ma non c’è molto altro da fare se non dire “ci sono stato”, quindi torniamo indietro e andiamo a pranzo, di nuovo da Subway.

A questo punto recuperiamo una visita lasciata indietro ieri. Torniamo al Peabody Hotel, visto che ieri siamo arrivati troppo tardi per vedere le anatre. Sin dagli anni ‘30, lo storico hotel ospita infatti 5 anatre, che dalle 11 alle 17 popolano la hall, e sono un’attrazione molto popolare. Le troviamo che sguazzano allegramente nella fontana, facciamo loro qualche foto, e le lasciamo ai loro giochi.

Facciamo un giro in Beale Street, che però di pomeriggio è piuttosto triste, e alla statua commemorativa di Elvis. Qui siamo assillati da un tizio che a tutti i costi ci vuole spillare denaro, alla fine per levarcelo di torno siamo costretti a dargli un paio di dollari. Un consiglio, assicuratevi che ci siano altri turisti attorno alla statua, così potrete fare le vostre foto ed andarvene in pace.

Entriamo anche al Rock & Soul Museum, che ormai abbiamo prenotato. Sinceramente, è una visita che ci potevamo risparmiare. Dopo aver visto Indianola, Graceland e i Sun Studios, questo si rivela essere un po’ ripetitivo. Per chi non ha visto gli altri musei, è un’ottima panoramica su Memphis e sul rock n roll, ma per noi sono ormai concetti ben impressi nella mente.

Visto che abbiamo tempo, ne approfittiamo per fare il bucato in una lavanderia a gettoni, e un po’ di spesa al supermercato. L’esperienza della lavanderia è allucinante. OK, i capi sono usciti puliti, ma siamo riusciti pure a trovare quello che ci voleva vendere la droga.

Ieri pollo fritto, oggi ovviamente barbecue! Sfortunatamente, il locale più famoso di Memphis, il Charlie Vergos Rendez-vous, è chiuso la domenica. Dobbiamo quindi ripiegare, si fa per dire visto che il cibo è ottimo anche qui, sul Central BBQ. Anche questo è un posto no-frills, dove si bada più alla sostanza che all’apparenza. Le costine, rigorosamente senza salsa, si sciolgono in bocca. Se volete per forza mettere la salsa, c’è un angolino dove potete andare ad aggiungerla. Aspettatevi però sguardi di disapprovazione, la salsa la usano a Kansas City, storica rivale di Memphis nella cottura delle costine!

Dopo cena, proviamo a replicare la bella serata di ieri. Sfortunatamente non ci sono eventi, c’è anche meno gente in giro essendo domenica,e così la serata è un po’ fiacca.

17 Settembre

Lasciamo Memphis di buon’ora e partiamo subito per Nashville, che dista circa 350 km.

La prima tappa della giornata è in realtà fuori città, a Hendersonville. Si tratta del Memory Garden and Funeral Home, il cimitero dove sono sepolti Johnny Cash e June Carter. Per due appassionati di musica country, un vero pellegrinaggio, una visita molto commovente. June morì nel maggio 2003 e Johnny non riuscì a reggere il colpo, raggiungendola il 12 settembre.

Dopo aver portato i nostri omaggi a Johnny & June, andiamo a fare il check-in nell’hotel che ci ospiterà per le prossime due notti, l’ottimo Club Hotel. Un po’ fuori dal centro, ma in compenso vicino al Grand Ole Opry, e soprattutto offre la colazione e ha il parcheggio gratuito.

Andiamo subito in centro, al Johnny Cash Museum. Decisamente più piccolo di quello di Elvis, è un concentrato della storia e delle opere del grandissimo cantante country, la cui vita è stata raccontata anche nel film “I walk the Line – quando l’amore brucia l’anima”. Sono esposti abiti, riconoscimenti e testi autografi delle sue canzoni, oltre a reperti della sua villa sul lago, distrutta da un incendio. Bellissima l’area in cui si ascoltano le sue canzoni interpretate da altri artisti, e il mixer, con il quale si possono isolare i singoli strumenti, in particolare la chitarra e la sua voce calda e profonda, perfetta anche senza accompagnamento musicale.

La parte più commovente è al termine della visita. Qui ci sono un busto, il suo anello, e la sedia che compare nel video di Hurt, l’ultimo brano inciso, che suona in loop.

Facciamo quindi un tour a piedi del centro. Partiamo dalla Broadway, la strada principale, alla quale però non dedichiamo tanto tempo perché torneremo stasera. Passiamo da Fort Nashboro, una riproduzione dei primo insediamento di Nashville, e risaliamo, letteralmente visto che la strada è piuttosto ripida, dal quartiere degli uffici fino al Campidoglio. Il Capitol è nel punto più alto della città con un bel panorama sul Bicentennial Park. Nel tornare ci fermiamo a vedere la fuori di Ryman Auditorium, il teatro che era utilizzato in passato per il Grand Ole Opry e riconosciuto come luogo di nascita del bluegrass, una variante di country nata a Nashville.

Per cena, ovviamente scegliamo un locale di musica country, il Wildhorse saloon. Il cibo è appena decente, ma in compenso si alternano sessioni di musica dal vivo a sessioni di ballo, a cui ovviamente partecipiamo. In realtà noi balliamo country da anni e io insegno, quindi ci facciamo subito notare, ed essendo pure stranieri diventiamo un po’ l’attrazione della serata.

Dopo cena facciamo il giro per locali della Broadway. Ogni palazzina ospita un bar/ristorante con musica dal vivo, per lo più di proprietà dei pezzi grossi del country come Alan Jackson, Blake Shelton e Dierks Bentley. Ed il bello è che l’ingresso è sempre gratuito, anche senza consumazione, basta avere 21 anni.

Alla fine ci fermiamo al Luke Bryan’s 32, proprietà dell’omonimo cantate. Ascoltiamo un po’ di musica, balliamo, ma soprattutto ci godiamo l’atmosfera giovane e vivace, e il panorama dalla terrazza all’ultimo piano. L’ennesima serata indimenticabile di questo viaggio.

18 Settembre

Oggi giornata interamente dedicata a Nashville e al country.

Cominciamo dal Centennial Park, il parco urbano di Nashville, nel quartiere dell’università. Il parco è nato nel 1876, in occasione dell’esposizione internazionale per il centenario dell’indipendenza americana. Tra le varie attrazioni spicca la copia del Partenone, che celebra l’importanza di Nashville come città universitaria. Un monumento piuttosto kitsch, che però si inserisce bene nel contesto. All’interno c’è persino la statua di Atena, ma noi decidiamo di non entrare.

Il parco è molto piacevole, ci sono persone che fanno jogging, e un bel laghetto. Lì accanto sorge il memoriale alle suffragette. Il Tennessee è stato il 36mo stato a ratificare l’emendamento per il suffragio universale, consentendo così all’emendamento stesso di passare.

Torniamo in centro per visitare la Country Music Hall of Fame, il museo dedicato alla musica country di ieri e di oggi. Parcheggiamo vicino allo stadio, alla modica cifra di 10$ per tutto il giorno.

Davanti al museo c’è la walk of fame del country, in stile hollywoodiano, con le stelle dei più famosi artisti. Per noi, il museo è ovviamente super interessante. Attraverso costumi, strumenti musicali, brani ascoltabili e pannelli informativi, ripercorre la storia di questo genere, dagli albori fino ai giorni nostri. Ci sono sempre anche delle mostre temporanee, noi abbiamo potuto visitare quella sull’ “outlaw country”, una corrente degli anni ‘60 creata dagli artisti più ribelli, come Waylon Jennings, Merle Haggard, e Willie Nelson.

La visita termina e culmina nella “rotunda”, lo spazio circolare che racchiude le effigi dei più grandi cantanti country della storia. Lungo il perimetro è inciso il testo del brano considerato il simbolo stesso del country, “will the circle be unbroken” della Carter Family. Sì, proprio la famiglia di June Carter, moglie di Johnny Cash.

Dopo pranzo ci dedichiamo un po’ allo shopping, siamo a Nashville e non possiamo tornare a casa senza dei nuovi stivali! Giriamo praticamente tutti i negozi, alla fine trovo un paio di stivali neri con un ricamo a note musicali, bellissimi e di cui vado molto fiera.

Torniamo in hotel a sistemarci per l’attesissima serata al Grand Ole Opry Theater, e io indosso subito gli stivali appena acquistati.

Il concerto inizierà alle 19, così prima facciamo una capatina da Cooter’s, il museo di Hazzard. L’ingresso è gratuito e si vedono alcune foto, filmati, e tanto merchandising (bambole, automobili e altro). Compriamo qualche souvenir a tema e facciamo una foto alla mitica auto Generale Sherman.

Ceniamo ad un orario improbabile, e ci presentiamo puntuali a teatro. Consapevole che l’aria condizionata sarà insopportabile, sono vestita come se dovessi affrontare una tempesta di neve, ma almeno mi godo la serata senza congelare.

Cos’è il Grand Ole Opry? E’ uno spettacolo dal vivo e radiofonico, che esiste dal 1925. Dapprima andava in scena al Ryman Auditorium, ed ora invece nell’apposito teatro fuori città. In ogni serata si esibiscono 5-6 artisti, alcuni grandi nomi e qualche nuova proposta. Oggi è un’occasione speciale, ci sarà infatti l’investitura di Justin Lynch a membro ufficiale del Grand Ole Opry, un importante riconoscimento che conferisce ai cantati alcuni diritti speciali, come quello di esibirsi qui quando vogliono, e presentare nuovi talenti.

La serata è favolosa, emozionante, tra le nuove proposte c’è anche Luke Combs, un ragazzo che si sta rapidamente affermando, tanto che oggi, a soli 2 anni di distanza, è già stato eletto membro ufficiale.

Terminato il concerto, usciamo con non poca fatica dal parcheggio e torniamo sulla Broadway, stasera cambiamo locale e andiamo all’Ole Red, il pub di Blake Shelton.

19 Settembre

Oggi lasciamo Nashville e ci mettiamo in marcia molto presto, per due motivi: il primo è che abbiamo prenotato il primo tour della giornata alla distilleria del Jack Daniel’s a Lynchburg, e il secondo è che oggi dovremo “restituire” l’ora guadagnata nel passaggio dalla Georgia all’Alabama, torneremo infatti sull’Eastern Time zone.

Per un paradosso della storia, il whisky più conosciuto al mondo è prodotto in una dry county, ovvero una contea dove è vietata la vendita di alcolici.

Il paesaggio attorno a Lynchburg è realmente come ce lo immaginavamo: case di campagna sparpagliate su colline verdeggianti e boscose, recintate da staccionate bianche e, sullo sfondo, i fienili rossi.

Come dicevo, abbiamo prenotato in anticipo il tour della distilleria, perché i posti sono limitati, se non si vuole rischiare di attendere ore è meglio fare così. Abbiamo scelto il tour senza assaggi, dopo dobbiamo guidare.

Il tour è interessante, impariamo moltissimo sulla produzione del Tennessee whisky, che ha come prerogativa l’essere filtrato con la carbonella, che gli conferisce il tipico aroma di bruciato. Scopriamo anche che tutto il Jack Daniel’s venduto nel mondo è prodotto qui, non esistono altri stabilimenti, e che le botti in cui è invecchiato vengono poi rivendute ad altre distillerie.

Il nostro accompagnatore è preparato e ci racconta tanti aneddoti, tra cui quello legato alla morte di Jack Daniel. Uomo molto irascibile, un giorno si arrabbiò perché non riusciva ad aprire la cassaforte, dandole un forte calcio e facendosi male al piede La ferita si infettò causando una setticemia, e la fine della vita dell’imprenditore.

Terminato il tour facciamo un giro nel minuscolo centro di Lynchburg, che sostanzialmente ruota attorno al merchandising del Jack Daniel’s. Non possiamo acquistare il whisky, ma compriamo comunque qualche souvenir nel negozio ufficiale, e poi ci mettiamo in auto in direzione Chattanooga.

Arriviamo alle 15, visto che abbiamo dovuto portare avanti le lancette.

La città, al confine con la Georgia, si affaccia sul Tennessee River, ed è famosa per una battaglia della Guerra Civile.

Per dormire abbiamo scelto il River View Inn, un romantico b&b con terrazza panoramica su un’ansa del fiume.

Dopo esserci sistemati andiamo subito a visitare Lookout Mountain, che si trova in Georgia. E una cittadina molto benestante, con ville stratosferiche costruite sul fianco della collina.

La nostra destinazione è il Rock City Garden, una via di mezzo tra parco naturale e parco divertimenti. C’è un percorso a piedi, che si snoda tra enormi massi di granito, con alcuni passaggi davvero stretti e diverse grotte. Si cammina su passerelle in legno e ponti tibetani, ma il tutto è molto piccolo, in 20 minuti si arriva in fondo al sentiero. Qua e là sono disseminate sculture kitsch, statue di nani e funghetti, con la musica in filodiffusione.

E’ più che altro un parco per famiglie con bambini, noi infatti restiamo un po’ delusi. Le uniche attrazioni degne di nota sono le cascate Lover’s Leap, ed il punto panoramico “see seven states”, dal quale è possibile vedere ben 7 stati, nelle giornate limpide, e ammesso che siate in grado di distinguerli.

Un’area che io ho trovato terribile, e non so come possa piacere ai bambini, sono le Fairyland Caverns. Nel percorso tra le grotte ci sono delle installazioni che rappresentano le più famose fiabe. Il problema è che le statue sono fluorescenti, brutte e in penombra, con un aspetto da film horror accentuato dalla musichetta in sottofondo.

Per cena andiamo in centro, su consiglio di un amico proviamo la pizza di Community Pie, che è davvero molto buona.

E poi facciamo una passeggiata fino al lungofiume. Non c’è molto, vediamo l’acquario da fuori e facciamo qualche foto alle fontane sul fiume. La città, nel complesso, non sembra male.

20 Settembre

Ci godiamo una romantica alba direttamente dal nostro terrazzino, il vantaggio di viaggiare a Settembre inoltrato è che non dobbiamo svegliarci prestissimo.

Dunque, Chattanooga ha visto un’importante battaglia della Guerra Civile, poiché la città era uno snodo ferroviario cruciale per gli approvvigionamenti e lo spostamento di merci e persone. La battaglia si svolse alle pendici di quello che è oggi Point Park. Siamo sempre a Lookout Mountain, ma in Tennessee.

Ci andiamo la mattina presto e visitiamo il piccolo museo, il parco e i memoriali, ammirando l panorama sul fiume.

Prima di andarcene, torniamo in centro per vedere il Chattanooga Choo Choo, il treno a vapore che ha ispirato la a canzone del 1941 della Glenn Miller Orchestra.

La vecchia stazione è stata salvata dal fallimento e convertita in un hotel, nel quale si può dormire nei vagoni dei treni, appositamente attrezzati. Pur essendo una struttura privata, è comunque possibile per tutti passare dalla hall e andare ai binari per ammirare il celebre treno.

Lasciamo Chattanooga per andare a Gatlinburg, alle porte del Great Smoky Mountains National Park. Incredibilmente, questo è ogni anno il parco nazionale più visitato degli Stati Uniti, più del Grand Canyon o dello Yellowstone. Probabilmente, questo è dovuto al fatto che il GSM si trova in una zona densamente popolata, ed è una meta molto gettonata per le gite fuori porta.

Oggi facciamo anche l’unico vero pranzo della vacanza, ci fermiamo infatti al Cracker Barrel. Se non sapete cos’è, ve lo dico subito. E’ una catena di ristoranti/negozi a tema country, distribuito in tutto il Paese, ma prevalentemente negli stati del sud. Il negozio vende abbigliamento, preparati per cucinare, libri, cd di musica country e molto altro. Io adoro le decorazioni a tema, in questo periodo hanno tanta oggettistica di Halloween.

E non si mangia neanche male, anche se, dall’età media, sembra di essere alla bocciofila.

Gatlinburg, all’ingresso del parco, è una specie di parco divertimenti per turisti, piena di negozi di souvenir e attrazioni pacchiane come il labirinto degli specchi e il minigolf. E’ già tutto addobbato per Halloween. Bruttina, ma può essere divertente per le famiglie con i bambini.

A noi interessa soprattutto il parco, dopo tante città abbiamo voglia di natura. Appena entrati notiamo subito che il Great Smoky Mountains è effettivamente molto affollato, la strada per Cades Cove è lunga, lenta e trafficata.

Ci fermiamo nei pressi del campeggio per fare un primo percorso di trekking, il Cades Cove Nature Trail, che onestamente non è nulla di speciale, molto simile ai nostri boschi. Si vedono soprattutto ruscelli e funghi, pochi animali. Noi vorremmo vedere un orso, ma con tutta questa gente in giro sarà dura.

Percorriamo allora in auto la strada panoramica Cades Cove Loop Road, ma anche questa non ci soddisfa. La strada è lunga solo 22 km, ma molto lenta per via del traffico, anche fermarsi a fare foto diventa problematico. Serpeggia tra boschi e vallate contornate da alte montagne, ma sono panorami che nel nord Italia conosciamo molto bene, niente di nuovo.

Cambiamo allora zona, e andiamo a prendere il Roaring Form Motor Trail, una strada di circa 20 km in mezzo ai boschi, dalla quale si dipanano diversi sentieri.

Non abbiamo molto tempo e ne scegliamo uno solo, il Noah “Bud” Ogle Nature Trail. Il percorso è molto semplice e passa dalla Ogle Farm, in insediamento del 1879 con una fattoria in legno e il fienile, costruito da Noah Ogle, detto Bud. Più avanti, oltre il ruscello, si arriva al mulino usato per macinare il granoturco. Nel GSM ci sono diversi insediamenti di metà ottocento, tutti abbandonati in seguito alla fondazione del parco nazionale.

Riprendiamo l’auto e terminiamo il percorso, fermandoci nei punti più interessanti, quando vediamo qualche vecchia fattoria o scorci panoramici. Ne troviamo uno dal quale ammirare un bel tramonto tra le montagne, insieme a un piccolo gruppo di giovani amish.

Torniamo in città e ci concediamo una gustosa cena messicana da No Way Jose’s. Stupidamente, abbiamo lasciato i passaporti in hotel, ma gentilmente si accontentano delle nostre patenti italiane per servirci una birra.

Tentiamo quindi la sorte anche al negozio della Ole Smoky, la più famosa marca di whisky moonshine. Il moonshine è, o meglio dire era, il whisky illegale dei tempi del Proibizionismo. Non invecchiato, veniva distillato velocemente “al chiaro di luna” in mezzo ai campi di granoturco, imbottigliato nei barattoli di marmellata e subito venduto. Oggi ovviamente è un alcolico legale, ma purtroppo qui non si accontentano della patente. Niente passaporto, niente whisky.

21 Settembre

Entriamo nel parco la mattina presto, e seguiamo la strada panoramica US-441 S. Siamo a circa 2000 metri di altitudine e fa freddo, ma dopo tutto il caldo patito in questa vacanza non ci lamentiamo.

Ci fermiamo a fare foto in alcuni punti panoramici, come il Carlos Campell Overlook, Chimney Top e Morton Overlook, e poi parcheggiamo all’imbocco del sentiero per Clingsman Dome. I panorami sono molto simili, montagne e boschi.

Il percorso, in salita, porta ad una brutta piattaforma panoramica in cemento, un ecomostro dal quale però si gode uno splendido panorama sulle foreste e le montagne. Le nuvole sulle cime dei monti sembrano vapore, è per questo che si chiamano Smoky Mountains.

Il prossimo stop è il Mingus Mill Trail, un percorso breve e semplicissimo dal quale si arriva ad un mulino del 1886, all’interno del quale è possibile assistere a una dimostrazione della produzione della farina di mais.

Proseguiamo fino all’Oconaluftee Visitor Center, immerso in una vallata, dove ci sono il museo, e un esempio di insediamento del tardo ‘800. Questo è l’ingresso del parco per chi arriva da Cherokee e dalla Carolina del Nord. Dall’ufficio turistico prendiamo il sentiero che costeggia il fiume e arriva fino a Cherokee. Non abbiamo tempo per completarlo, camminiamo un po’ e poi torniamo indietro.

Usciamo dal Great Smoky Mountains ed imbocchiamo la Blue Ridge Parkway, una delle strade panoramiche più frequentate degli Stati Uniti, lunga ben 750 km. Noi ne percorreremo solo una piccola porzione, circa 150 km, dall’inizio fino a Pisgah Access, perché poi dovremo fare rotta verso la Georgia, ad Athens.

La strada è piena di punti panoramici, tutti con splendide visuali sui boschi e sui profili blu delle montagne, effetto ottico dal quale la strada prende il nome. Il problema è che sono davvero troppi, ogni 500-800 metri, e questo ci manda presto in confusione. Impossibile fermarsi ad ogni punto, ci metteremmo giorni a vedere tutto. Dapprima decidiamo di fermarci ogni tre stop, ma anche così è troppo impegnativo. Ci lasciamo quindi guidare dall’istinto, fermandoci solo quando ci sembra che il paesaggio cambi. Non che ci sia grande varietà, a dire il vero, ma con questa strategia riusciamo a vedere un po’ di tutto, anche un timido accenno di foliage, anche se è ancora presto.

I belvedere più belli sono Waterrock Knob e Richard Balsam Overlook che, con i suoi 1850 metri, è il punto più alto della strada.

Usciamo dalla Blue Ridge Parkway attorno alle 16 e, dopo un po’ di lotte con il navigatore che prova a tutti i costi a farci prendere la strada più lunga, arriviamo a Athens verso le 18.30.

Dormiremo al Quality Inn & Suites, tipico motel americano, ma recente e ben tenuto, dove ci offrono anche un piccolo sacchetto con acqua e snack.

Athens è una città universitaria, infatti notiamo subito un gran numero di ragazzi che bazzicano per i ristoranti e i numerosi locali, anche perché è venerdì sera.

Per cena scegliamo, dopo non poche difficoltà perché è tutto pieno, il South Kitchen + Bar, dove finalmente assaggio i pomodori verdi fritti. Non il mio piatto del sud preferito, ma non potevo tornare a casa senza averli provati. La qualità di questo ristorante è comunque eccellente.

22 Settembre

Oggi è l’ultimo giorno, ma per fortuna abbiamo il volo questa sera tardi, faremo in tempo a vedere ancora parecchie cose.

Athens fa parte delle 7 città dell’Antebellum Trail, il percorso storico che avevamo intrapreso ad inizio viaggio. Ora, finalmente, recuperiamo le ultime due città che avevamo lasciato indietro.

Cominciamo con un giro dal gigantesco campus universitario, con i suoi edifici in stile classico e l’immenso parco, che ci ricorda tanto i film ambientati nei college americani. Ci sono persino le lettere greche sulle porte delle case. E’ sabato mattina e non ci sono studenti in giro, possiamo passeggiare indisturbati.

In centro, passiamo dalla statua di Atena e dal Georgia Theatre, e poi andiamo a vedere le ville antebellum. La prima è la Waddel-Brumby House, che funge anche da ufficio turistico. Sarà anche l’unica casa che visiteremo all’interno. La villa non si trovava qui, è stata spostata per evitarne la demolizione in seguito al piano di rinnovamento urbano. Ironicamente, è stata risparmiata da Sherman solo per rischiare poi di essere demolita in nome del progresso.

Le altre ville sono sparse per la città, ci dobbiamo spostare in auto.

La più affascinante è senza dubbio la Ware-Lyndon House, oggi una galleria d’arte. L’edificio è in mattoni rossi, con un bel porticato in ferro battuto finemente lavorato, e sul retro c’è un piccolo giardino all’italiana. La Taylor-Grady House, alla quale non possiamo accedere perché c’è un matrimonio, è di gran lunga la più maestosa, con il suo imponente colonnato in stile classico, mentre la TRR Cobb House rimane un po’ più defilata.

Infine, andiamo a vedere “l’albero che appartiene a sé stesso”, una vera stranezza. Alla sua morte, il proprietario lasciò l’albero in eredità all’albero stesso, insieme al terreno circostante, per un raggio di 2 metri. La quercia originale fu abbattuta nel 1941, quella attuale è stata piantata nel 1946, e si trova in una zona residenziale.

Ci dirigiamo a Watkinsville, l’ultima città dell’antebellum trail che ci manca, e ultima meta del viaggio.

In pratica, è una strada con qualche edificio storico. Il più significativo è la Eagle Tavern, una locanda storica al cui interno ci sono ancora alcuni oggetti originali. Era in una posizione strategica, perché di fronte al tribunale. Interessante la ricostruzione delle camerate, e della sala da pranzo, il menù del ristorante risale invece all’epoca..

L’altra attrazione di Watkinsville è l’Ashford Manor, una villa adibita a b&b. La casa, in realtà, è del 1893, non ha quindi nulla a che fare con il periodo pre-bellico.

Poco fuori dalla città, facciamo un ultimissimo stop all’Elder Mill Covered Bridge, uno dei 13 ponti coperti della Georgia. Queste costruzioni sono tipiche del Vermont, ma se ne trovano alcune anche nel resto del Paese. Per le macchine di oggi, è incredibilmente basso e stretto. Seppur ancora in funzione, non ce la sentiamo di provare ad attraversarlo in auto. Siamo arrivati a fine viaggio senza un graffio, non vogliamo danneggiarla proprio oggi.

Ora non ci resta che sbrigare le ultime commissioni. Pranziamo ancora da Cracker Barrel, e poi acquistiamo alcune provviste saltuari e poco caloriche da portare a casa: oreo, m&ms, preparati per dolci, burro di arachidi e patatine.

Riprendiamo la strada per Atlanta e via verso l’aeroporto, dove ci aspetta l’aereo che ci riporterà a casa.



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