Dieci giorni per un assaggio di paradiso
PRIMO GIORNO
Vento forte, e umido in cima alla scaletta dell'aereo. E va bene così: se volevamo l'afa e il sole fisso non venivamo in Irlanda. Invece, mentre camminiamo nei colori verde e bianco onnipresenti nell'aeroporto di Dublino, tra le doppie scritte in inglese e gaelico, già sappiamo che le sorprese del cielo sapranno aggiungere...
Ascolta i podcast
PRIMO GIORNO Vento forte, e umido in cima alla scaletta dell’aereo. E va bene così: se volevamo l’afa e il sole fisso non venivamo in Irlanda. Invece, mentre camminiamo nei colori verde e bianco onnipresenti nell’aeroporto di Dublino, tra le doppie scritte in inglese e gaelico, già sappiamo che le sorprese del cielo sapranno aggiungere avventura ai nostri giorni. Se prendete l’Airlink per raggiungere il centro, spendete poco, vi gustate il panorama da un autobus a due piani e in meno di mezz’ora siete a un passo dal Trinity College. Le strade del centro hanno un aspetto vivace e lasciano spazio a un’atmosfera caotica ma accogliente: giovani di tutte le razze, turisti in grandissima parte spagnoli, mille negozi colorati, che si alternano con le imponenti facciate neoclassiche e i raffinati palazzi del Settecento. Il Portobello Hotel ha un buon rapporto qualità/prezzo, è graziosamente disposto lungo un piccolo fiume ma piuttosto lontano dal centro… E naturalmente non abbiamo pensato a prendere un autobus. Ma quando entri e il portiere ti saluta dicendoti “how are you”, senti davvero che sei il benvenuto… E che magari la sera dopo gli offrirai una birra! E a proposito di birra: passi un quarto d’ora a Dublino e scopri perché la leggenda dei pub irlandesi si è diffusa in tutto il mondo. A ogni angolo delle strade del centro: con le finestre di vetro spesso e le luci soffuse, con le vetrine di legno scuro e le scritte arricciolate, mai troppo affollati. Cenare sul tardi, invece, è più difficile: poco dopo le dieci di sera, anche in centro ci scuotono la testa. Pazienza: ci basta un toast nel Peter’s Pub, giusto per annaffiarlo con la nostra prima Guinness! SECONDO GIORNO Godersi una vacanza è anche sorseggiare un “complimentary tea” in camera (l’attrezzatura per farsi il tè o caffè solubile c’è in tutti gli alberghi), mentre si osserva la vita fuori dalla finestra che, lo sapevamo, fluisce di nuovo sotto un cielo azzurro. E naturalmente non è che l’inizio del godereccio: la colazione di Delia è un Irish breakfast con bacon e salsiccia, uova, pudding e pomodori, quella di Leonardo è vegetariana e ha i fagioli, le cipolle e le crocchette di patate, e tutti e due siamo entusiasti. Se invece per qualche motivo siete nervosi e arrabbiati, andate al St Stephen’s Green e farete pace con l’universo intero. Tappeti soffici smaglianti di verde e romantici gazebo, esplosioni di colori e laghetti appartati: come se un campione di natura dell’Irlanda fosse stato portato qui tra i palazzi, e custodito come un pezzo da museo. Nel cuore della cultura dublinese, cioè nel piazzale del Trinity College, senti un senso di benevola accoglienza, perché vedi attorno l’architettura di almeno trecento anni: i palazzi costruiti dall’inizio del Settecento ad oggi si abbracciano tra loro e delimitano gli spazi, una sfera di Arnaldo Pomodoro troneggia di fronte a una casa in stile veneziano, fatta un secolo e mezzo prima. Prendetevi il tempo per esplorare St. Patrick’s Church, cuore della profonda spiritualità di tutto il paese: all’interno potrete trovare antichissime lastre tombali celtiche accanto agli altari barocchi e, sul grande prato esterno, si può provare a immaginare il santo che proprio lì battezzava i pagani, oltre quindici secoli fa. Ma basta rilassarsi, perché è arrivato un momento critico. Leonardo ha fatto le prove psicologiche, per guidare all’inglese… E incrocia le dita. Ok, non sembra così impossibile: con il volante a destra nella corsia di sinistra ben presto tutto ti viene naturale. E impari in fretta a tenere la mano sinistra sul cambio, a fare le rotonde in senso orario, a stringere le curve a sinistra e allargare quelle a destra… La cosa più difficile forse è non avvicinarsi troppo al bordo della carreggiata, e c’è bisogno che Delia il passeggero urli terrorizzata perché il guidatore se ne allontani! Guinness Storehouse: fino a poco tempo fa fabbrica della più famosa bevanda irlandese, adesso imperdibile museo. Non diciamo nulla su cosa si vede nella visita… Soltanto che, alla fine, vi troverete su una enorme veduta panoramica della città. Da lì, potrete osservare le evoluzioni del cielo d’Irlanda tenendo fra le mani una pinta di birra scura che avrete imparato a gustare con gli occhi, con il tatto e pure con l’udito, prima che con la bocca… E che vi sembrerà un prodotto di alta ingegneria, o un’opera d’arte. Se avete in mente di passare solo una sera a Dublino, focalizzatevi sulla zona del Temple Bar, la più vitale e colorata: scegliete con calma la taverna che vi ispira di più (molte hanno anche la musica e le danze incorporate) ma attenzione: gli stufati di agnello, gli stinchi di maiale, le file di salsicce e le verdure di accompagnamento sono spesso una sfida da professionisti… Insomma, dovrete essere davvero affamati! TERZO GIORNO Usare la macchina a Dublino non è una buona idea: ci sono molti mezzi pubblici, quasi tutto è raggiungibile a piedi e, soprattutto, i parcheggi sono un salasso. E’ indispensabile però appena si esce fuori città. “We are ready to go”, diciamo al portiere, “Why??” risponde lui. Non possiamo che promettergli di tornare il prima possibile! Ma adesso è la campagna che ci aspetta, prima di tutto quella delle Wicklow Mountains: regione ancora molto inglese, villette deliziose e siepi curate. Powerscourt Garden: abbiamo un programma un po’ serrato e non entriamo dentro il parco. In fondo, com’è fatta una villa di principi lo sappiamo, quello che ci interessa sono i colori del mondo di fuori: le sfumature brillanti di ogni panorama, i campi che sembrano di smeraldo, ti ci tuffi dentro e scopri che sono un tappeto di trifoglio… E il profumo di quel miliardo di foglioline. Vuoi vedere che l’Irlanda è davvero come la raccontano? Lì nei pressi c’è una scenografica cascata (ideale per famiglie: si arriva molto vicino con l’auto e si può fare pic-nic, pochi euro per il parcheggio) e, scendendo verso sud, cominciano distese di brughiere, e popoli di mucche. Piano piano, meno case, meno villette, meno raffinatezze: e fermiamo la macchina di fronte a un pezzo di medioevo. Glendalough, antichissimo monastero fondato da St. Kevin nel VI secolo, è arcaico e misterioso come il nome promette, e le rovine delle minuscole chiese hanno più di mille anni. Il grigio della pietra e il verde dei prati, silenzio. Un cimitero, foresta di croci celtiche sorvegliate solo dalle pecore: è qui che puoi provare a spogliare l’animo di tutto e farlo tornare primitivo. Solo colline e nient’altro: il silenzio di un sentiero in mezzo a una torbiera… Poi l’incanto di un lago che si aggrappa alla discese di una valle, e fa da palcoscenico a un tramonto incantato. E, di fronte al lago, un enorme cerchio di pietre che nessuno ti spiega cos’è: così puoi far viaggiare la fantasia… E capire che il vero monastero non è racchiuso in quel che resta del chiostro: è la natura semplice e intatta che hai attorno a te, che può diventare la preghiera di qualsiasi religione. Il posto dove dobbiamo dormire si chiama Laragh: è segnato solo su poche carte, però ha un pub sempre aperto dove ci è possibile gustare una saporita zuppa di verdura, un croccante fish&chips e una scurissima Murphy da veri duri. Il B&B si chiama Pinewood Lodge ed è un’elegante casetta tutta di legno: cominciamo a collezionare i sorrisi di benvenuto dei proprietari, qui piuttosto signorili e distaccati. Fuori la pioggia fa il suo lavoro per prepararci colori belli lucidi per l’indomani; e noi, intanto, ci ricordiamo quanto può essere silenziosa una notte. QUARTO GIORNO Cambiate tutti i vostri piani… Truccate le carte, ingannate i compagni di viaggio: ma, se venite in Irlanda, non perdetevi quella zona incantata che si chiama Sally Gap. Risalite la cosiddetta Military Road (R115): arriverete alla cima di un precipizio, dove comincia la cascata di Glenmacnass e si apre una vallata senza fine. Se proseguite sulla stessa strada, entrerete presto nel regno della brughiera. Niente, a perdita d’occhio: non un paesino, non una casa… Solo colline di erba chiara spazzata dal vento, e le pozze degli acquitrini. Il grigio della striscia d’asfalto, senza nessuno; il giallo dei bassi cespugli, il verde degli arbusti; il tappeto di fiorellini dai mille colori e, sotto, il terriccio nero delle torbiere. Non perdete tempo a fare troppe foto, tanto non riuscirete a rendere la sensazione di quello spazio e chi le vedrà sbadiglierà… Piuttosto, scendete dalla macchina, spalancate tutte le stanze che avete dentro e lasciate che il vento passi in ognuna di esse. Kildare sembra una sonnacchiosa cittadina di provincia, ma nasconde i misteri della chiesa di Santa Brigida. Il vento fortissimo penetra tra le navate e suggerisce suoni da fantasmi; all’altare, invece del crocefisso, una croce messa a X fatta con le canne delle paludi. La costruzione sorge su un terreno dove, nel medioevo, i monaci e le monache vivevano in promiscuità: si dice che non avessero mai abbandonato i riti pagani e in effetti le tombe che si vedono oggi sono pieni di figure genere Bacco, insieme alle figure religiose… E pure a un simbolo fallico! Prima di finire la giornata a Kilkenny, ci impuntiamo per vedere la Rock of Dunamase. Non è molto famosa nè facile da trovare ma, se bazzicate nei dintorni di Portlaoise, potete trovarvi davanti uno scenario da film di paura: la collina si staglia come la gobba di un dromedario, le rovine del castello su di essa sono così consumate da sembrare tutt’uno con la roccia, ma i buchi delle finestre si vedono ancora, e sembrano occhi che si disperano per quella distruzione. Kilkenny è sinonimo di birra e, come ci aspettiamo, è vitale e colorata. Provate il Kyteler’s Inn, per esempio, dove nel XIV secolo viveva una “vedova allegra” in odore di stregoneria e chiedete una Smithwick, birra da una ricetta del 1710. Ci sarà anche musica dal vivo, e clienti che cercano di battere il record di birre in una sola sera… Poi uscite fuori per smaltire: da una parte c’è un imponente castello normanno, dall’altra una chiesa gotica che domina la città (se ancora non siete stanchi di chiese e castelli). Nel mezzo, una festa continua di pub rimbobanti di musica, gente che entra nei night club, gente che esce dai locali barcollando. Vitale e colorata sì, ma non così tradizionale come speravamo… QUINTO GIORNO La proprietaria del B&B “Teach Eilís” ci vizia: ieri ci ha accolto con tè e dolcetti “scones” di tutti i tipi, stamani ci prepara Irish breakfast e frittatine di mille verdure. E deliziosa è la sua casa: la nostra camera, come un confetto, fuori è incartata con un pergolato di rose, dentro è intessuta di ricami, cuscini traforati, cassettiere vecchio stile, letto agghindato con ogni cura… Come fai a non dispiacerti quando riparti, anche se sei arrivato soltanto la sera prima? “Procedere per 11,7 km”, dice la nostra voce amica: all’agenzia di noleggio ci hanno offerto questo navigatore, e accettarlo è stata la cosa migliore che abbiamo fatto. In Irlanda i segnali stradali sono pochi e maltenuti e non sai mai bene su che strada sei: a meno che non abbiate una cartina dettagliatissima, un GPS è un ottimo investimento e vi fa viaggiare in rilassatezza. Guardiamo i campi della contea di Tipperary e, ancora una volta, capiamo che il verde è un colore molto più bello da quello che conoscevamo prima di venire qui. Diventiamo familiari con gli scenari lungo la strada: come altrove trovi spesso un benzinaio, qui trovi una chiesa senza tetto e diroccata, mezza coperta di edera e con accanto un cimitero. La Rock of Cashel è naturalmente imperdibile: se avete poco tempo, evitate l’affollata visita guidata all’interno e godetevi la passeggiata al di sotto delle mura. Dal lato opposto del paese, scoprirete le rovine della Hore Abbey: noi abbiamo preferito restare un po’ così, sospesi tra la visione della enorme rocca col castello, da un lato, e dall’altro lato, sola nella pianura gialla e verde, le rovine dell’abbazia oggi abitata da mucche. Dobbiamo bruciare un po’ le tappe e arrivare per tempo a Ennis. Sulla strada c’è il Bunratty Castle: anche se il biglietto è una dozzina di euro, tutti ci hanno detto che è il posto migliore per vedere l’interno di un castello del Cinquecento e sbirciare lo stile di vita irlandese nella campagna alla fine dell’Ottocento (nel Folk Park). Superiamo Limerick e respiriamo finalmente un pezzetto di mare, che già porta il soffio dell’Atlantico. Ennis non è molto famosa ma assolutamente deliziosa e con un’aria da paesino francese: fiumicello placido che scorre tra i palazzi antichi, stradine dalle mille vetrine colorate con i vasi di fiori appesi ai lampioni, passeggio vivace e musica dietro ogni angolo. C’è una serata di gala che ci aspetta stasera: al vicino Knappogue Castle, abbiamo prenotato la cena con spettacolo medievale. Atmosfera ricreata alla perfezione, con i lumi delle candele e i piatti di terracotta tra le mura antiche. Rappresentazioni di galanterie tra cavalieri, e “Mead”, vino al miele dei re di Bunratty; verdure fresche, delizioso salmone, carne, dolce. A seguire, concerto di arpa e di violino, cantanti professioniste che fanno commuovere gli irlandesi, balletto tradizionale indiavolato di tacchi. Forse il biglietto di 50 euro per solo questo è un po’ troppo? Be’ ma guardate fuori però, e diteci quanto può costare l’incanto di questi castelli nei colori di questa campagna… SESTO GIORNO E, con prezzi assolutamente contenuti, potete dormire in un piccolo castello dentro un parco, appena fuori Ennis, che si chiama Newpark House. Noi ci svegliamo sotto il baldacchino di un imponente letto di legno scuro; immagini regali nei corridoi e, dopo le suggestioni di ieri sera, possiamo sentirci come il principe e la principessa della contea. Intorno all’antica magione, querce e abeti, un prato che saluta il mattino. Il proprietario di questo paradiso è un omino dinamico dall’aria semplice e dimessa, che proprio non sembra un principe e si veste come noi: che a un certo punto si mette un grembiule e prepara sorridendo ogni ben di Dio. Leonardo assaggia ogni marmellata possibile, Delia si gusta un autentico porridge; dentro, un salone decorato da mille porcellane raffinate, fuori tutti i suoni della campagna. Sì, la prima parte del viaggio è stata pascoli e castelli, campagna e rovine di chiese: ma ora vogliamo qualcosa di più, perché l’oceano è qui a un passo. Grazie a un racconto su questo sito, abbiamo scoperto che le scogliere di Loop Head sono tra le più spettacolari del paese: ci arriviamo per strade remote e deserte, in mezzo alla piana spazzata di vento e silenzio, bordate di cespugli fioriti. Incontrate l’oceano in una località chiamata Kilkee, poi proseguite su una salita: si lascia l’auto di fronte a una base militare e poi ci si inchina di fronte alla natura. La tavola di un gigante finisce con falesie nere, alte decine di metri, a volte con imponenti ponti di roccia schiaffeggiati dal mare; e, sopra, è apparecchiata con una tovaglia di brughiera fiorita. Prendete il tempo per camminare in tutto questo, e sentirvi assolutamente minuscoli; fate attenzione al ciglio dei burroni, e dopo… Non raccontate in giro quel che avete visto: altrimenti un giorno arriveranno anche qua il megaparcheggio e l’accesso in cemento, i negozietti di art&craft e i turisti spagnoli, come è successo alle Cliff of Moher! Nessuno sulle scogliere: risentiamo voci umane in una taverna sul mare, a Kilkee, dove si stringono tutti gli abitanti della zona, si riconoscono e si danno pacche sulle spalle. Più vai a Ovest più la gente è allegra e disponibile, l’accento è più marcato, i sorrisi più larghi e l’unica forma di saluto è sempre “Hi how are you”, pronunciato tutto insieme. Abbiamo alcuni problemi con l’auto, per colpa nostra: una famiglia della zona se ne accorge, come prima cosa ci invita a casa loro a prendere un tè e a toglierci da dosso l’umidità… Poi fa per noi tutte le telefonate necessarie! Chiudiamo la giornata ancora davanti al mare: a Spanish Point è già buio, tutte le stradine sembrano uguali e trovare il nostro B&B è impossibile. Ma ormai sappiamo come fare: bussiamo alla prima casa illuminata, chiediamo dov’è il “South Wind” e facciamo vedere il numero di telefono. Qualcuno telefona per te e, dopo poco, arriva in macchina la proprietaria del B&B: che ti accoglie come un parente che non vedeva da tanto e aspettava con ansia, ti accompagna verso la sua casetta, si trattiene a parlare con te e si augura davvero che tu passi una notte serena. SETTIMO GIORNO Pezzetto di campo oltre la finestra di camera, poi la duna e poi l’oceano. Il tempo è ancora cupo e sembra che ti basta alzare un braccio per toccare le nuvole: ma magari è meglio così… Ci fosse stato sempre un cielo brillante ci saremmo innamorati per sempre di questi luoghi, e non saremmo ripartiti più! Buffo vedere la padrona che ti dice buongiorno mettendo una mano sul ventre e facendo un mezzo inchino: ma è ovvio signora, torneremo anche da lei la prossima volta! Grazie alla dritta di un’amica, evitiamo il parcheggio-scandalo (8 euro) alle Cliff of Moher: poco centinaia di metri più sotto c’è una stradina dove puoi lasciarla gratis. Sì, il luogo è diventato un po’ un supermercato della bellezza, adatto per turisti mordi e fuggi, ma alla fine è il minimo che poteva succedere: in ogni caso, lassù puoi contemplare a bocca aperta l’opera d’arte della natura e fare una scorta di panorami per tutto il tempo che sarai lontano. Non prendete il sentiero lungo le Cliff con troppa leggerezza irlandese: quando ci siamo andati noi era fangoso e scivoloso, non c’è nessuna protezione verso lo strapiombo e in certi punti è essenziale aggrapparsi bene al muretto dall’altro lato! Quanti turisti spagnoli ci saranno in fondo al precipizio? Da ieri guida Delia, e dice parolacce: le strade di campagna, strette tra i muretti a secco, con un pubblico di mucche e pecore che ci osserva, hanno il fondo disconnesso e sono tutte a doppio senso. Dovunque, cartelli tragicomici che impongono un limite di velocità a 100 km/h: le auto in direzione opposta sembrano sfiorarti a un millimetro, forse non superano il limite ma fanno di tutto per avvicinarvisi… È bello vedere che siamo ancora vivi. E’ tempo di esplorare anche il cuore di questa zona, questa volta in verticale. Le Ailwee Caves sono in un boschetto al centro della regione chiamata Burren, e si può fare un giro guidato di queste caverne scoperte da poco. Il percorso è breve, ma spiegato con competenza e effetti speciali: la tana dell’orso primitivo e l’evoluzione delle stalattiti, le cascata delle infiltrazioni d’acqua e l’esperienza del buio assoluto. Fuori, si estende il Burren nella sua bellezza nuda. Colline lastricate da pietre nere, profondamente incise dalle glaciazioni, dove si infilano l’erba e fiorellini di tutti i tipi. Ogni sasso più spigoloso dell’altro, paesaggio lunare dicono tutti: però è una luna percorsa di vita, che non soffoca il verde ma lo protegge in scrigni di pietra. Al Poulnabron Dolmen tutto questo è spiegato con cura esemplare: in quel luogo davvero suggestivo, puoi guardare in faccia l’Irlanda dell’epoca primitiva e pensare alla storia, milioni e milioni di anni, delle rocce attorno a te. Il paese di Doolin ha una splendida baia sull’Atlantico ma, per il resto, comprende due strade messe in croce, una con pub e negozi e una con i B&B. Tuttavia, è qui che forse ci godiamo la cena più buona della vacanza: ristorante dall’aria raffinata, prezzi del tutto tranquilli, se vai dopo le otto e mezzo passi da autentico nottambulo. Bistecca con un taglio detto “Sirloin”, per uno, con salsa di funghi e di birra, e tutto il mare della zona per l’altro, dal merluzzo alle cozze, dall’aringa al salmone… Assieme a montagne di verdure. Appena esci da un locale, è il buio assoluto: mai visto un lampione nelle campagne d’Irlanda, se non nelle strade del centro! Ma la gente del posto lo stesso entra e esce dai pub: e, nell’oscurità completa, la intravedi passeggiare ridendo. OTTAVO GIORNO Non si può dire di aver veramente visto l’Irlanda se non si va alle isole Aran. La più piccola, più selvaggia e più vicina si chiama Inisheer ed è mezzora di traghetto da Doolin (consigliabile fare il biglietto il giorno prima). E menomale che è solo mezzora: il mare grosso ci sbatacchia tra i passeggeri e le bici (unico mezzo che si può portare), ci spruzza di onde e di pioggia: solo un piccolo raggio di sole viene a far sorridere la spiaggia dell’isola. Le corse dei traghetti non sono molto frequenti e conviene organizzare con attenzione le cose da fare, per essere pronti all’orario di ripartenza. Ci sono le solite rovine di chiese e castelli, sulla cima di Inisheer: ma forse è più bello costeggiare la lunga spiaggia bianca, respirare l’odore dell’oceano e distendere gli occhi sul paesaggio. Il sole si fa deciso, il mare brilla azzurro e l’isola è un nuovo tappeto di verde, cucito da file infinite di muretti a secco. In un luogo dove praticamente non ci sono auto, ma solo bici e cavalli, è immediato passeggiare nel tempo e fingere di essere tornati indietro di qualche secolo! La cosa più suggestiva è forse il Plassy Shipwreck, relitto di una nave arenata sull’isola alla metà del secolo scorso: una imponente scultura di ruggine ritta sulla scogliera, a guardare l’infinito e fronteggiare tutti i climi. Le nuvole d’Irlanda corrono più in fretta di noi, hanno abbandonato il cielo e, quando torniamo a Doolin, ci accorgiamo di essere abbronzati. Se passate da queste parti, percorrete la strada costiera R477 (e se non ci passate veniteci apposta!): a Black Head le colline pietrose del Burren si spalancano sul mare, e capirete di non avere occhi abbastanza grandi per abbracciare tutto. Quando la strada si addentra nella baia di Galway, vale la pena di fermarsi al Dunguaire Castle, elegante torrione in cima a un terrapieno, a guardia dell’insenatura. Noi però abbiamo moltissimi chilometri davanti: superiamo Galway e il castello di Aughnanure ci dà il benvenuto nel Connemara. Qui invece è indispensabile fermarsi, perché ti sembra che a quel posto si siano ispirate tutte le fiabe che parlano dei castelli dei buoni. Un ingresso discreto protetto dal bosco, poi le torri che proteggono un cortile di prato, più verde di tutti i verdi visti fino a adesso. Subito sotto, il piccolo torrente si illumina del sole che penetra tra le fronde e anche le mucche, inquiline perenni di ogni prato, sembrano ammirare. Il paradiso dentro il paradiso dà quello che la sua fama promette. Il Connemara non è solo un posto da cui passare per arrivare a una meta specifica: è attraversarlo per 60 chilometri che è già una meta. Finalmente montagne vere come le Twelve Bins, quasi tremila metri, che giocano con le nuvole del tramonto; fantasia inesauribile in chi ha disegnato le quinte di colline, piccoli laghetti dovunque, lungo la strada, che riflettono le luci di crepuscolo. In fondo c’è Clifden, poche strade e una chiesona di fine Ottocento, arroccata su un fiordo sull’oceano. Pensavi di essere nel culo del mondo, invece troviamo subito un ristorante che ci accoglie anche alle dieci di sera, e minuscoli pub dove ti affacci sulla porta e chiunque ti invita a entrare: per ascoltare i loro chitarristi, per assaggiare il loro sidro o per vedere il vecchietto del paese come balla indiavolato. NONO GIORNO “Sea Mist House”: segnatevi questo nome se volete trattarvi bene a Clifden. Il B&B ha davvero un’aria da “hotel de charme”, con l’edera sulla facciata, pieno di fiori all’interno e di colori accoglienti. Sala da pranzo, come tutte quelle che abbiamo visto, arredata così kitch e così all’antica da fare tenerezza: e la colazione forse più sontuosa di tutto il viaggio, con tanta frutta fresca oltre che i soliti pudding e pancetta. Quando sei in Irlanda su un fiordo sull’oceano, capisci che puoi stare anche molti giorni lì (o anche molti anni) e sorprenderti a ogni angolo. Noi abbiamo visto la Coral Strand Beach, appena un quarto d’ora di auto a sud di Clifden, dove il mare si riposa sui sassolini e ti porta in regalo centinaia di splendide conchiglie; la piana di prati che accolse Alcock e Brown, nel 1919, alla fine del primo volo transatlantico dell’uomo; la brughiera attorno a Ballyconnelly, un oceano di fiorellini gialli che tappezzano i cespugli, le pecore con la faccia e le zampe nere che ti fanno compagnia e il senso di pace, in ogni molecola d’aria. Se per caso tutto questo non bastasse, tornate a Clifden e avventuratevi sulla Sky Road. Strettissima tra la montagna e il precipizio verso il mare, ma così mozzafiato che non pensi a che cavolo puoi fare se arriva qualcuno in senso opposto. Se scendi dalla macchina, ovunque il vento ti prende in consegna: vorresti essere un aquilone a volte, ma poi ti guardi intorno e capisci che puoi volare anche con lo sguardo, sopra l’abbraccio di mille tentacoli tra terra e acqua che hai davanti. C’è un film degli anni ’50, “A quiet man”, dove John Wayne fa il paesano irlandese, e ogni angolo di Connemara si vanta di essere stato una location. A Letterfrack sono state girate scene dicono famose, sulla spiaggia di una baia molto riparata, sul margine del bosco. E nel bosco c’è il “Dooneen Lodge”: ancora una camera deliziosa affondata tra gli alberi (e pure una buona WiFi gratis!), ancora cura estrema dei dettagli e ancora la sensazione di essere in un punto strategico di accesso al paradiso. Siamo stati noi così bravi da scegliere ogni volta il posto ideale, oppure da queste parti comunque capiti, capiti bene? Non perdetevi un giro nel Connemara National Park: ci sono percorsi piuttosto brevi che, ancora una volta, vi trasportano in un universo di brughiera. E non c’è niente che ci sembra già visto: perché qui costeggi anche le falde di una montagna, puoi spaziare lo sguardo avanti, fino a oltre la baia di Letterfrack e l’oceano libero… Perché hai la sensazione di vivere in un mondo senza uomini, come fosse appena creato… E perché comunque tra 36 ore dobbiamo partire, domani sarà soprattutto trasferimento e tutto questo dobbiamo imprimercelo bene! DECIMO GIORNO “Punto strategico di accesso al paradiso” vuol dire, per esempio, che in un quarto d’ora di macchina sei di fronte alla Kylemore Abbey. L’avevamo vista mille volte, nelle foto e nelle cartoline, ma ci stupiamo lo stesso nel vedere che è proprio uguale alle cartoline: il palazzo neogotico con le come addossato al bosco della montagna, il lago disteso come una platea, un palazzo a testa in giù che sul lago si dipinge. Dobbiamo correre accidenti, alla fine della giornata dovremmo essere quasi dall’altro lato dell’Irlanda! Ok, in dieci giorni di viaggio ancora non abbiamo capito i settaggi del GPS. Perché adesso, per esempio, ci ha portato su questo tratturo più stretto della macchina? Un gregge ci si mette davanti, com’è giusto, la strada era probabilmente casa loro… Riusciamo a proseguire solo quando arriva di corsa il cane pastore, che abbaia come un pazzo per allontanarle da questi turisti rompiscatole. Serve un po’ di musica alla radio, per dire arrivederci a questi posti selvaggi e infilarci sull’autostrada. Newgrange: è un famoso sito preistorico a 40 chilometri da Dublino, con una spettacolare tomba a tumulo fatta cinque millenni fa. Il nostro scopo è arrivare in tempo per l’orario dell’ultima visita: e, con una perfetta suddivisione dei compiti tra guidatore e navigatore, arriviamo pure in anticipo. Ma purtroppo ci dicono che tutte le visite del giorno hanno già raggiunto il numero massimo di visitatori… E a Delia non passa la tristezza finchè Leonardo non si segna il numero di telefono, per prenotare la visita quando un giorno torneremo qui. Presa in giro: al centro visite c’è un cannocchiale da cui puoi intravedere il tumulo, a circa 1 chilometro da lì. Consigli: prenotate la visita oppure informatevi sulle altre tombe preistoriche della zona, che si chiamano Dowth e Knowth. La contea ha comunque una campagna suggestiva, testimone di molte storiche battaglie sulla riva del fiume Boyne. A Slane l’atmosfera torna decisamente inglese, curata ed elegante ma con accoglienza irlandese: ci affacciamo a una lussuosa sala da tè, per chiedere informazioni, e in mezzo minuto il cameriere ci convince a sederci a un tavolo, prima di ascoltare le informazioni. Il tè all’inglese è servito con vassoi di tramezzini di salmone, maionese, sottaceti: aggiungici due “scones” e hai quasi fatto una cena. L’ultimo B&B è “Tigh Cathaìn”, a Trim, che ha il più grande castello normanno d’Irlanda e dista mezzora di auto dall’aeroporto di Dublino. Un ingresso di bosco, di nuovo, di nuovo un cagnolino saltellante a cui spieghiamo che siamo amici; il sorriso chiaccherone della padrona, e di nuovo una cameretta agghindata. Come faremo domani sera senza i cuscini trapuntati sul letto? Senza le essenze profumate, senza gli uncinetti appesi alle specchiere e i soprammobili di ceramica? Come si fa a prepararsi un porridge da noi? Il viaggio finisce nelle strade deserte di Trim, con le rovine del castello che si stagliano nella notte, e noi che finiamo l’ultimo goccio di vino al miele. Appare un pezzetto di luna che sembra dirci buon viaggio, e attorno nuvole in corsa. Già da domani cominceranno a preparare un cielo nuovo per noi, per quando torneremo. Non lo dimenticheremo.