Dickwella con Azemar, prima dello Tsunami

Ecco il mio viaggio, un accurato resoconto del Sud dello Sri Lanka tra mare e interno, prima dello tsunami. I posti da me descritti sono stati devastati e molta gente che qui cito colpita da quell'immane tragedia. Il Dickwella ha subito danni gravissimi e per mesi gli aiuti non sono mai arrivati. L'hotel è andato distrutto ma per fortuna...
Scritto da: Ivanweb
dickwella con azemar, prima dello tsunami
Partenza il: 21/10/2003
Ritorno il: 28/10/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Ecco il mio viaggio, un accurato resoconto del Sud dello Sri Lanka tra mare e interno, prima dello tsunami. I posti da me descritti sono stati devastati e molta gente che qui cito colpita da quell’immane tragedia. Il Dickwella ha subito danni gravissimi e per mesi gli aiuti non sono mai arrivati. L’hotel è andato distrutto ma per fortuna ricostruito nel 2005. 21/10/2003 – Il viaggio di andata Siamo a Elmas, sono le tre del pomeriggio appena passate. Il nuovo aeroporto di Cagliari, da poco ampliato, è del tutto irriconoscibile. Adesso finalmente assume sembianze più internazionali! Abbiamo poco da aspettare: un veloce check-in ed il volo è puntuale alle 16:10 per Milano Malpensa. Arriviamo dopo un’ora e poco più. Sbrighiamo con calma le formalità e il ritiro dei bagagli, del resto abbiamo molto da attendere. L’agenzia ha cortesemente chiamato ieri comunicando un bel ritardo di un’ora e mezza per il volo Milano Malpensa – Colombo. Anziché partire alle 23:00 tocca aspettare fino a mezzanotte passata. Facciamo un bel giro di perlustrazione per tutto l’aeroporto e scegliamo un posticino tranquillo dove aspettare. Stefania compra qualche giornale, più o meno culturale, e inizia a leggere. Nella noia, giro qualche ripresa con la videocamera per documentare questa lunga attesa. Almeno c’è l’entusiasmo del viaggio, sappiamo che ne vale la pena e che al ritorno sarà molto peggio, visto che dobbiamo passare l’intera notte buttati da qualche parte in aeroporto! Consultiamo ripetutamente il monitor delle partenze: finalmente compare il nostro volo. Raggiungiamo l’area gruppi cercando il nostro tour operator Azemar. Ci viene consegnata tutta la documentazione del viaggio, l’itinerario, i voucher per i resort e i biglietti aerei. Ci regalano persino uno zaino non proprio bellissimo con quei colori azzurro-marron e la scritta Azemar, e un borsello sullo stesso stile. Sistemiamo nel borsello tutta la documentazione ma dello zaino proprio non sappiamo cosa farne! Ci coglie impreparati, abbiamo già i nostri, così troviamo il modo di infilarlo nella valigia di Stefania alla bene e meglio. Andiamo a fare il check-in, ci liberiamo dei bagagli (due valigie più un borsone per l’attrezzatura da snorkelling), e attendiamo impazienti gli ultimi minuti prima del volo.

Il decollo arriva addirittura all’una di notte, giusto in tempo per tentare una sofferta dormita in aeroplano. Il volo Eurofly è comunque tutto sommato comodo, senz’altro più dei piccoli posti della China Airlines che abbiamo preso per andare in Thailandia l’anno scorso. Inutile dire che dal finestrino non si vede niente, è buio pesto, così non rimane che consolarsi con il monitor del sedile per vedere se c’è qualche film interessante e per scrutare la posizione dell’aereo che inizia a tracciare lentamente la linea bianca del tragitto sulla cartina e a macinare quelle oltre 4000 miglia che ci separano dallo Sri-Lanka. Vengono spente finalmente le luci e possiamo riposare abbassando i sedili. 22/10/2003 – L’arrivo a Colombo. Tour per la città. Visita templi induista e buddista. Alloggio al “Trans Asia” Hotel.

Difficile dire che ore sono, i finestrini dell’aereo sono ancora chiusi e siamo in mezzo all’oceano indiano in coincidenza di qualche fuso orario. Il personale ci serve la colazione e attendo sonnecchiando l’arrivo a Colombo. Apriamo finalmente i finestrini. Si vede ancora solo mare ma la mappa segna che l’aereo sta arrivando a destinazione. Inizia la discesa verso la capitale dello Sri Lanka. L’atterraggio avviene alle 14:30 ora locale, per cui, tolte le cinque ore di fuso orario, diventano quasi nove ore di volo da Milano. L’aeroporto di Colombo appare spartano ed essenziale. Ritiriamo in fretta i bagagli e cambiamo allo sportello 50 euro per prevenire le spese iniziali. Il cambio appare buono a 107,59 per un totale di 5379,5 rupie. Molto superiore a quello citato nella Lonely Planet ormai risalente a qualche anno fa. Ci ritroviamo così all’uscita, dove si riunisce il nostro gruppo di italiani dell’Azemar sotto l’unica guida di Gianfranco, un ragazzo sulla trentina. Tutti insieme sappiamo ora chi sono i nostri compagni di viaggio: una coppia di ragazzi come noi, Luca e Marzia, una coppia di signori, Ambrogio e Gabriella, due ragazze, Doriana e Patrizia, e poi ancora un’altra signora, Franca, e un altro ragazzo, Mauro. Dieci in tutto, provenienti da diverse parti d’Italia e di età diverse.

Aspettiamo Gianfranco che sbriga qualche commissione e formalità, per avviarci finalmente al nostro bus. Due ragazzi, tra i tanti in fila che non aspettano altro, come usanza da queste parti, portano le valigie al nostro posto per cento metri e spendiamo subito le nostre prime 50 rupie di mancia. Fa parecchio caldo e il sole picchia. Saliamo sul nostro autobus, del tutto simile ai nostri italiani, che risulta praticamente vuoto essendo solo in dieci! Durante il primo tratto, Gianfranco ne approfitta per presentarsi e spiegare alcune cose su usi, costumi e tradizioni locali. Prima di tutte: non spaventarsi per la guida tremenda dei singalesi, che superano e si infilano da tutte le parti senza apparente ragione, non risparmiando di tagliare la strada di netto e suonare il clacson a più non posso. Ce ne rendiamo subito conto nei primi chilometri… A questo punto, essendo il volo in ritardo, ci ritroviamo a dover azzardare una scelta non da poco: al posto di andare subito in hotel come previsto inizialmente dal programma, e poi fare il giro della città compreso nel pacchetto, Gianfranco propone di optare prima per il tour, visto che sono già le tre e mezza del pomeriggio e alle sei in punto fa buio. Dopo un giorno di viaggio intero, soprattutto per noi che da Cagliari abbiamo dovuto aspettare tante ore a Milano, risulta un po’ massacrante, ma decidiamo comunque all’unanimità di non perdere la possibilità di vedere Colombo. Il sogno di una bella doccia, un lauto riposo e di un pasto decente è solo rimandato: del resto, siamo in vacanza bisogna essere super attivi! Dopo un’ora di tragitto passiamo di fronte al nostro hotel. Difficile dire quanti chilometri abbiamo fatto dall’aeroporto, di sicuro è invece lineare affermare che la città di Colombo appare sterminata tra un susseguirsi continuo di case, negozi, veicoli di ogni genere (dai carretti ai tuk-tuk, agli autobus sgangherati alle utilitarie, assai rari le auto lussuose). Me l’aspettavo assai più piccola e contenuta, ma probabilmente è molto estesa per la mancanza di palazzi alti. Per il resto il panorama è quello tipico dei paesi orientali: tanti mercatini, bancarelle colorate, traffico indemoniato. La nostra prima tappa è un tempio induista. Appena scendiamo dal bus l’impatto non è davvero dei migliori, devo dire assai più duro e crudo di quello che si avverte passeggiando per le strade di Bangkok. Alle catapecchie decadenti si affiancano angoli di immondezzaio totale, dove gatti e cani randagi, quasi tutti con evidenti segni di malattie e in condizioni precarie, cercano qualcosa da mangiare. Per fortuna non ci sono anche persone. Tutto questo in appena cento metri di strada che ci separano dal tempio. Speriamo che il resto della città non sia tutto così! Osserviamo esterrefatti la facciata del tempio, ricca di statue e sculture che fuoriescono da tutte le parti creando giochi di profondità superbi e colorati. Subito dei mendicanti appostati iniziano ad avvicinarsi al nostro groppo, in chiaro atteggiamento d’elemosina. Pochi centesimi di euro per questa gente sono soldi che valgono. Gianfranco ha spiegato nell’autobus che il loro stipendio medio mensile varia tra i venti ai cinquanta dollari per chi è più fortunato. Dare cento rupie di mancia, che equivalgono più o meno a un euro, vuol dire regalare un’intera giornata di duro lavoro ad un singalese. E’ anche vero che chiedere l’elemosina non è mai bello, come non è bello vedere queste povere persone dalle facce sofferenti e tirate, spesso a petto nudo e scalze, tutte intorno a te che aspettano di ricevere qualcosa. Lasciamo le scarpe all’ingresso ed entriamo nel tempio. La parte visitabile non è molto grande, si fa solo il giro di qualche stanzone. Gli affreschi e l’interno in generale sono un po’ lasciati andare, ma in tempi migliori doveva davvero essere bello e splendente. Un signore anziano ci segue e improvvisa qualche parola in inglese per fare una sorta di guida. Inutile dire che all’uscita chiede la mancia, la quale Gianfranco ci informa comunque non essere affatto obbligatoria in nessun caso. Mentre riprendo le scarpe lascio così venti rupie al signore, che non pare molto contento o soddisfatto e continua a chiedere con un atteggiamento che quasi mi indispettisce.

Torniamo al bus e proseguiamo per un altro tempio, stavolta buddista, quello di Gangaramaya. L’ingresso è a pagamento e costa 100 rupie a testa. Beh, almeno così si mettono le cose in chiaro da subito: si paga e niente mancia! L’entrata è stravagante, con tanti gingilli, statuette e doni sparsi ovunque. All’interno pare una sorta di museo, con oggetti e reliquie di ogni genere, alcune molto colorate e alquanto bizzarre. L’antico si fonde col moderno senza vie di mezzo. Usciamo all’aperto in un cortile interno, di fronte a centinaia di statue disposte in modo organizzato ed equidistanti che creano un bel colpo d’occhio. Di lato un’auto d’epoca perfettamente conservata rende ancora più l’idea del museo stravagante. Un’altra sala di oggetti e sbuchiamo in un altro cortile con un gigantesco albero Bodhi. Dopo qualche spiegazione di Gianfranco in italiano e della guida del tempio in inglese, torniamo infine all’autobus.

La nostra prossima meta è un grosso negozio di souvenir, dove Gianfranco consiglia di guardare per iniziare a rendersi conto dei prezzi. Di passaggio, prima di arrivare, possiamo osservare velocemente dai finestrini alcuni monumenti tipici di Colombo, quali il tempio sul lago, il Trade Center, persino l’originale Municipio costruito come identica copia della Casa Bianca! Arriviamo dunque al nostro negozio, diviso in tre piani, ognuno ricco di numerosi oggetti e souvenir di ogni genere: statuette in legno, maschere tipiche, stoffa e batik, vestiti, parei, dipinti, prodotti artigianali, spezie, cartoline, davvero di tutto. Nonostante io e Ste avessimo promesso prima di entrare di non spendere nulla, visto che questo è solo il primo negozio che visitiamo, non possiamo non essere colpiti da innumerevoli cosettine che farebbero davvero gola da portare a casa. E’ così la nostra scelta finale ricade su un simpaticissimo e davvero per noi originale elefantino, ricavato scolpendo una noce di cocco, con tanto di proboscide e tratti dipinti in nero. Meraviglioso! Il suo costo è di 360 rupie (3,5 euro).

Finito lo shopping è giunta, per la gioia di tutto il gruppo, l’ora di andare finalmente in hotel a riposarci e a riempire il nostro stomaco con un pasto decente che non vediamo ormai da due giorni. Entriamo al “Trans Asia” hotel (5 stelle e probabilmente il migliore di tutta la capitale), rimanendo subito colpiti dalla lussuosa hall d’ingresso, spaziosa e tutta luccicante. Veniamo accolti in un’atmosfera cortese e rilassante, ci sediamo tutti attorno ad un tavolo dove ci viene offerto un ottimo soft-drink di benvenuti, mentre Gianfranco sistema le formalità alla reception e ritira per noi le chiavi delle stanze. La nostra è la n° 134 al primo piano. Rimaniamo d’accordo col gruppo di cenare tutti insieme e diamo un appuntamento alla sala ristorante.

Saliamo le scale per il primo piano, il quale appare, come in quasi tutti i grossi hotel di questa categoria, un enorme labirinto di corridoi lunghissimi e porte tutte uguali. Troviamo la nostra stanza, bella e spaziosa, praticamente nulla da obiettare. Tranne che le prese di corrente non sono europee e il nostro adattatore non “adatta” poi tanto bene… in ogni caso riusciamo a risolvere il problemino, e nel frattempo arrivano i facchini a consegnarci le valigie. Altre 30 rupie di mancia. Facciamo una bella doccia e, neanche il tempo di aprire le valigie, tocca già scendere a cena all’appuntamento. Non potevamo prendercela con più calma? Scendiamo al ristorante passando per il salone, dove una ragazza singalese canta dal vivo sotto una piacevole musica di un pianoforte a coda, e troviamo già tutti a tavola: ma come hanno fatto a fare così in fretta? Dopo pochissime parole di Gianfranco a capotavola, andiamo a prelevare tutto il possibile e l’inimmaginabile dal buffet. La nostra prima cena non delude certo le aspettative: il cibo è vario, abbondante e buono. Passiamo dagli stuzzichini ai primi, secondi, verdure e dolce. Nonostante mi sforzi di leggere la descrizione delle pietanze, ammetto che mi risulta molto più semplice andare a “naso” e occhio: quello che mi ispira prendo, il resto può aspettare un altro giorno. Avendo Gianfranco a lato, ne approfitto per chiedergli qualche informazione e scopro con stupore e piacere che anche lui è sardo, delle parti di Olbia! Più che soddisfatti della cena, torniamo in stanza a riposare. Domani tocca alzarsi alle 6:30 per trasferirsi al Dickwella nell’estremo Sud dello Sri Lanka. Non possiamo che rimanere a bocca aperta nel sentire che ci aspettano cinque ore di bus per fare 180 chilometri… 23/10/2003 – Spostamento in bus verso la costa Sud. Visita ad un centro tartarughe marine. Arrivo al Dickwella village. Passeggiata e primi contatti con i bambini locali. La sveglia è alle 6.30 in punto. Scendiamo a fare colazione, sempre insieme al nostro gruppo Azemar, dopodiché andiamo alla reception per il chek-out. 490 rupie per le bevande della cena, che non erano incluse nel pacchetto (solo per la prima notte, gli altri giorni per fortuna sono all-inclusive). Un po’ care in effetti, ma si sa, negli hotel di lusso funziona così! Alle 7:30 ci troviamo tutti all’ingresso. Arriva il bus e partiamo. Le prime due ore e mezzo di viaggio sono tutte nel centro abitato, un continuo scorrere di case basse e bancarelle, persone che vanno a lavoro, scolaresche, gruppi di persone in chissà quali manifestazioni locali che ai nostri occhi appaiono, a dir poco, folcloristiche. Non capisco più ormai se siamo ancora a Colombo, in periferia, o chissà dove. Finalmente si vede l’oceano, con scorci sempre più frequenti. Stiamo seguendo pari pari la costa, tra paesaggi ripetitivi e pianeggianti, ma in alcuni punti pure molto belli e suggestivi. Le abitazioni diradano lasciando spazio ad una lussureggiante vegetazione verde di alte palme, mentre i sorpassi, per noi azzardati e senza senso, si ripetono costanti su una strada ad appena due corsie, stretta e non certo in perfette condizioni. Fatti da un autobus poi appaiono ancora più inopportuni, ma così è la guida nello Sri Lanka! Tutto sommato però non si corre ad alta velocità, e non ci si ferma praticamente mai per l’assenza di semafori o ingorghi. Si tiene una velocità costante sui 40-50 chilometri orari: tutto ciò che va più lento viene superato, compresi veicoli, automezzi, altri autobus, che siano su rettilineo o in curva. Ovviamente discorso analogo vale per chi va più veloce di noi, che non si risparmia di operare il sorpasso del nostro bus tra suonate continue di clacson e virate brusche per rientrare in corsia. Sostiamo di passaggio ad un centro tartarughe, per osservare la crescita e l’allevamento di questi meravigliosi animali centenari. Il biglietto d’ingresso costa 100 rupie (1 euro). Da un pezzo di terreno, protetto da un recinto, sbucano dei bastoncini di legno: qua sono deposte le uova delle tartarughe, ci viene spiegato dalla guida. Più avanti invece una vasca contiene centinaia di piccolissimi esemplari appena nati che si fanno le prime nuotate. Ne prendiamo una in mano per accarezzarla, è bellissima! In altre vasche ancora ci sono quelle più grandi, le quali mostrano un guscio stupendo, che pare disegnato dalla mano di un grande artista. Si fanno accarezzare tranquillamente senza ritrarre la testa, sono abituate alla presenza umana. Siamo proprio di fronte ad una bella, lunghissima spiaggia oceanica, con sabbia d’orata e tratti di un bel prato verde acceso sovrastato da alte palme di cocco. Scopriremo presto che questo è il tipico paesaggio costiero singalese.

Lasciato il centro, proseguiamo il tragitto sostando solamente un’altra volta per la cosiddetta pausa “toilette”, del resto doverosa dopo ore e ore di autobus… E’ una sorta di market che vende stuzzichini e bibite di vario genere. Durante l’attesa mi guardo intorno alla strada: siamo davvero in un altro mondo, che non assomiglia per niente a quello occidentale! Passiamo Galle, importante città costiera del Sud dal punto di vista commerciale per la sua posizione, storico per il forte portoghese, e culturale per i caratteristici pescatori. Ne vediamo alcuni in mare, pescando, appesi a quel loro singolare trampolo che li ha resi tanto famosi.

Passiamo anche Matara e, superato il punto estremo meridionale dello Sri Lanka, giungiamo finalmente dopo pochi chilometri a Dickwella, un modesto e piccolo paese di pescatori e artigiani. Il nostro hotel, che prende il nome dello stesso villaggio, è sulla strada principale. Entriamo che sono le 14:30: sono passate sette ore dalla nostra partenza! Il primo impatto non è per niente male e nonostante abbia visto le stupende foto panoramiche da Internet, rimango comunque sorpreso dalla bellezza di questo posto. Veniamo accolti con una allegra cerimonia di rito che consiste, tra suoni di tamburi e strani strumenti a fiato, nell’accendere una candela ed esprimere un desiderio. Tocca prima alle donne e poi agli uomini. Beviamo un drink dissetante e veniamo accompagnati in stanza, la n° 37, la quale risulta accogliente, spaziosissima, con finestra e uscita anche dalla parte opposta verso il prato verde che dà sulla spiaggia. L’arredamento è tutto in legno, le lenzuola sono decorate con petali colorati, e un grande sole dipinto risplende sorridente sopra il nostro letto. Che dire, siamo contenti ed eccitati come inizio va benissimo! Mi affaccio alla finestra e scorgo due sdraio per prendere il sole ed un appendino per stendere i vestiti, poi un ragazzo in lontananza mi saluta e mi dice di andare da lui. Ma non c’è tempo di esplorare adesso, non apriamo ancora le valigie e usciamo subito a pranzare visto che sono le 15:00 passate. Percorriamo il pittoresco vialetto coperto, anch’esso tutto di legno, che dalla reception porta alla nostra e alle altre stanze e più avanti al centro del villaggio, dove c’è una bella piscina, due palme altissime e una sala all’aperto dove si tengono i pasti quando fa bel tempo, come in questo caso. Delle simpatiche e colorate rappresentazioni di pavoni ed elefanti sui muri, con tanto di senso di profondità da farle apparire quasi sculture, rendono il tutto molto gradevole alla vista.

Troviamo anche stavolta tutto il gruppo già a tavola: ma questi sono dei fulmini! Andiamo a verificare immediatamente che il menù sia di nostro gradimento. Le pietanze non sono numerosissime ma c’è il nostro caro e amato forno a legna con un cuoco pronto a preparare delle invitanti pizze. Perché rifiutare una proposta così allettante? Durante il pranzo Gianfranco parla un po’ di come è costituito il villaggio, cosa possiamo fare, degli orari da rispettare e così via. Suggerisce che è sempre meglio, come in tutti gli hotel, non lasciare denaro contante in giro per la stanza, ma di non preoccuparsi minimamente per altre cose, anche di valore, poiché una denuncia per furto da queste parti è considerata molto grave e sarebbe la rovina del dipendente che tiene caro al suo lavoro e alla sua dignità. Spiega poi che i tour sono tutti di mezza giornata e si svolgono durante il pomeriggio. A tal proposito possiamo scegliere tra diverse alternative e stabiliamo subito, per cominciare, i giorni in cui vogliamo fare le due gite incluse nel pacchetto, quella a Matara e quella al tempio di Mulkirigala.

Finito il pranzo percorriamo un giro istruttivo del villaggio insieme a Gianfranco, che ci porta tanto per iniziare al centro di massaggi Ayurveda. Conosciamo il dottore responsabile, dall’aria giovanile e simpatica, il quale offre una seduta di massaggio ai piedi a tutti, da provare quando si vuole, per assaggiare le delizie delle tecniche Ayurveda. Ci spiega i principi e i benefici in termini di salute e benessere che si possono raggiungere con più sedute, le quali ovviamente sono più vantaggiose, sia in termini monetari che di risultati, prese a pacchetti di più giorni rispetto alle singole. Verremo senz’altro a provare il nostro massaggio nei prossimi giorni! Proseguiamo sul lato mare, di fronte ai nostri bungalow (chiamiamoli così, ma sembrano vere e proprie casette sul prato verde a pochi metri dalla spiaggia), dove raggiungiamo gli sdraio e il bar, e torniamo alla reception, dove su un lato c’è il negozio di artigianato e souvenir di Gianna. Gianna è un’italiana che sta qui al Dickwella e fa un po’ da mediatrice. La sua figura è ambigua quanto importante. Di fatto è lei che fa un po’ da padrona e direttrice, organizza le gite, dà ordini al personale singalese, divide il suo tempo ed i pasti con noi. Stiamo un po’ nel suo negozio e compriamo un bel pareo per Stefania a 600 rupie. Torniamo così in stanza, riposiamo qualche minuto e usciamo per una passeggiata sulla spiaggia da soli, prima del tramonto. Il posto è davvero bello: la spiaggia d’orata si perde sulla sinistra fino all’orizzonte insieme alle altissime palme che la costeggiano, le quali a tratti arrivano fino all’oceano perennemente mosso. Sulla destra invece gli scogli segnano la punta del Dickwella, dove le onde si infrangono con fragore provocando alti spruzzi d’acqua. In riva come in mare notiamo alcune barche di pescatori locali, dalla strana forma e costruzione. Il posto sull’imbarcazione è piccolo, al massimo per due o tre persone, lungo e stretto, tutto da un lato. Dal lato opposto, collegato con due archi in legno, c’è una sorta di contrappeso, evidentemente per questioni di equilibrio, il quale mi ricorda buffamente quella sorta di strana imbarcazione di tubi che Conan, nella fortunata serie di quel meraviglioso ed indimenticabile cartone animato, aveva creato per fuggire via dalla sua isola nativa. E’ proprio vero che la realtà supera di gran lunga la fantasia.

Torniamo al centro del villaggio, dietro la piscina, dove un muro bianco segna la recinzione del Dickwella verso l’altra spiaggia dove il sole tramonta. Qui l’arco di spiaggia è più piccolo e riparato, ciò non toglie che l’oceano sia comunque sempre mosso e anzi, all’orizzonte, alquanto suggestivo con possenti onde che si infrangono sugli scogli. Qua si vedono molti più pescatori al lavoro, mentre al cancello che dà sulla spiaggia d’orata veniamo catturati dai bambini locali, che iniziano a parlare in italiano, sorprendendoci non poco. Sono in tre, un maschietto e due femminucce, ma la più sveglia è la bambina che porta il nome di Nilani. Stefania si butta subito nel dialogo mentre io continuo le riprese e le foto. Una guardia del Dickwella dietro di noi tiene d’occhio la situazione, probabilmente per evitare che i bambini scavalchino la recinzione. I bambini si mostrano molto simpatici e, tra qualche parola in italiano e gesticolazioni varie, riusciamo a scoprire i loro nomi, quanti anni hanno, dove vivono e cosa fanno. Terminiamo il nostro giro, proprio al calare del tramonto, sopra la terrazza panoramica dove si tengono anche gli spettacoli di notte in una sorta di mini teatrino. La musica di Michael Jakson in sottofondo ci accompagna mentre ammiriamo sbalorditi la visuale a 360° della costa. All’orizzonte si scorge chiaramente anche il faro di Dondra, estremo punto del Sud dello Sri Lanka. Conosciamo un animatore del posto, un ragazzo della nostra età, anche lui molto simpatico, cordiale, e incredibilmente loquace con una gran voglia di parlare in italiano ed imparare parole nuove. Dice che è quattro mesi che lo sta imparando, il che mi sembra fantascienza visto che lo parla già benissimo… Rispuntano i bambini sotto di noi, che si fermano a parlare ancora per qualche minuto. Li osserviamo poi mentre giocano sugli scogli con gli spruzzi d’acqua. Hanno tutti degli splendidi sorrisi e dei bellissimi visi, che trapelano gioia e serenità, cosa che ci conforta molto dal momento che a Colombo la situazione sembrava assai più disastrata. Alle sei in punto il sole tramonta, regalandoci uno splendido e breve spettacolo di un colore rosso intenso, che non manchiamo di documentare con tante fotografie e riprese. Non resta che tornare in stanza e aspettare la cena.

La cena si svolge in una apposita sala di ristorazione, grande ed accogliente, con la solita formula buffet e prima bevanda inclusa. Le pietanze sono più varie del pranzo, troviamo qualcosa della cucina italiana e qualcosa di tipicamente locale. Siamo sempre tutti insieme, il gruppo Azemar al completo più Gianfranco e Gianna, i quali propongono per i giorni successivi di organizzare una cena più particolare a base di aragosta e pesce. Un’idea interessante che viene accolta con successo! Notiamo, come a pranzo, che in tutta la sala ci siamo praticamente solo noi e una famigliola di inglesi. Ed è effettivamente così: in tutto il villaggio, che può contenere 165 persone circa, siamo solo noi! Situazione che, ci renderemo subito conto, ha i suoi pro ma anche contro. I vantaggi sono che si ha tutto per sè e si gode questo favoloso posto senza vedere turisti in giro: del resto già dalla passeggiata di stasera abbiamo subito realizzato che siamo lontani anni luce da luoghi iper gettonati o affollati. Qui pace e solitudine regnano sovrani in mezzo a suoni, odori e immagini di una natura solitaria ed primordiale. I contro di conseguenza sono che, essendo così pochi, abbiamo tutti addosso, dal personale del Dickwella ai procacciatori della spiaggia. In quanto a questi, Gianna e Gianfranco ci mettono subito in guardia. Li chiamano i “Beach Boys”, sono dei ragazzi pescatori che per arrotondare lo stipendio, molto povero, abbordano i clienti del villaggio proponendo di fare gite e visite di posti nelle vicinanze. Non sono cattivi o per forza truffatori, però è stato segnalato qualche spiacevole inconveniente in passato nei confronti di alcuni turisti. Ci viene consigliato perciò, se vogliamo passeggiare in paese o optare per alcune escursioni, di chiedere comunque ai ragazzi che lavorano al Dickwella, che possono dare maggiori garanzie e sono sotto la responsabilità dell’hotel. Lo davamo in realtà per scontato già da prima, ma ci accorgeremo presto che le cose non sono poi così semplici e si è instaurato un particolare e complicato rapporto di amore e odio tra il Dickwella, villaggio costruito sotto la direzione italiana, nei confronti della popolazione e del paese omonimo. Alle dieci pomeridiane in punto, finita la cena, saliamo sulla terrazza panoramica dove c’è il teatrino, per assistere al nostro primo spettacolo serale intitolato “Jubox”. Gianfranco presenta scherzosamente la serata al microfono, calano le luci e iniziano diversi balletti di svariate canzoni, interpretati devo ammettere con grande foga e precisione da un gruppo di sei animatori, considerando tra l’altro che il pubblico è di appena dieci persone! Si muovono davvero bene questi singalesi e rimaniamo sorprendentemente colpiti dal loro innato senso del ritmo, fisici scolpiti, grinta e volontà, che rendono lo spettacolo divertente e originale.

Terminato il tutto, passeggiamo una mezz’oretta ammirando per prima cosa il meraviglioso cielo stellato dalla terrazza panoramica, spostandoci poi nella piscina illuminata in notturna di fronte all’oceano, e nel vialetto coperto dove, prima di tornare in stanza, chiacchieriamo per lungo tempo con Franca. Scopriamo così che, oltre ad essere una persona estremamente in gamba, è una donna che viaggia tantissimo da sola ed ha accumulato esperienze umane profonde e straordinarie durante le sue avventure memorabili. Rimango colpito in particolare da quelle in Africa, dal fascino della sua popolazione e delle riserve protette.

24/10/2003 – La spiaggia del Dickwella. Massaggio Ayurveda. Tour a Mawella per vedere il “Blow Hole”, il soffione dell’oceano.

La nostra prima colazione è alle 8:30, nella sala ristorazione dove ieri abbiamo cenato. C’è un bel panorama sulle vetrate che dà verso gli scogli, con l’oceano e le sue possenti onde che creano tanti spruzzi bianchi d’acqua. Il menù è il classico internazionale: thè, latte, caffè, brioche, bacon e salsicciotti per i più forti di stomaco, e così via. I succhi di frutta deludono un po’, nessun paragone con quelli thailandesi! Prima di andar via ci mettiamo d’accordo con Gianna per fare una passeggiata lungo la spiaggia più tardi.

Torniamo in stanza e alle 9:30 vediamo alcuni del nostro gruppo passare. Li raggiungiamo e iniziamo la lunga camminata verso l’arco di spiaggia d’orata, che parte dal Dickwella e si prolunga per ben tre chilometri fino all’orizzonte. Insieme a noi vengono alcuni ragazzi dell’hotel, e altri tre del posto, i cosiddetti “Beach Boys”. Rimaniamo un po’ allibiti dall’immediato battibecco che nasce tra questi ultimi e Gianna, con varie accuse a tratti anche pesanti per varie vicende successe qualche giorno fa. Cerchiamo, nel limite del possibile, di lasciare estranea la discussione e non rovinarci lo splendido paesaggio che ci circonda. La spiaggia è a tratti larga e a tratti quasi scompare sotto le altissime palme e fitta vegetazione retrostante, costringendo a camminare piacevolmente sull’acqua calda, quasi a temperatura corporea. C’è molto vento e l’oceano è mosso, per cui non siamo ispirati a fare il bagno anche se il fondale è molto basso e non comporterebbe alcun pericolo. Il sole purtroppo è per la maggior parte del tempo coperto dalle nuvole, ma a tratti, quando viene fuori, regala sul mare splendidi colori con tonalità che vanno dal verde smeraldo all’azzurro più intenso. Non si vede un solo turista su tutta la spiaggia fino all’orizzonte! Ci siamo solo noi e qualche raro singalese del posto che va a pescare, a fare il bagno al proprio cane o una passeggiata romantica con l’ombrellino. I primi animali che incontriamo sono dei cagnolini, molti cuccioletti e altri un po’ più grandi, che vivono liberamente sulla spiaggia. Sono ovviamente randagi, e non devono avere vita facile visto che presentano evidenti segni di malattie. Meglio non accarezzarli per il momento, anche se poverini paiono innocui. Poi ci imbattiamo in un paio di mucche ferme, chissà, magari a prendere il sole. Non mi era ancora mai capitato di vederle in mezzo ad una spiaggia! Nel frattempo i battibecchi continuano e i Beach Boys tentano assiduamente di parlare anche con noi, sostenendo la loro buona fede e il fatto che non siano imbroglioni. Una situazione un po’ difficile di cui non ci sentiamo di dare né giudizio né critica, dal momento che siamo appena arrivati e non conosciamo le regole di questi posti! Nel dubbio cerchiamo ancora di evitarli e non dare confidenza. Siamo colpiti comunque dal fatto che anche loro parlino bene l’italiano, con discreta conoscenza della grammatica ed un ampio vocabolario. Il prossimo appuntamento con la fauna locale è il macaco col berretto, una bertuccia molto comune nello Sri Lanka. Ce ne sono due per l’esattezza, legate ad una corda su un ramo di un albero: una beve da una specie di biberon e l’altra ci osserva indifferente. Chiediamo ad uno dei Beach Boys a fianco noi perché siano legate, poiché è evidente che ci balena subito per prima l’idea che siano messe lì apposta per i turisti. Risponde che non è così, sono là per altri motivi e presto verranno liberate come prima. Non è del tutto convincente, però gli diamo fiducia potrebbe anche aver ragione.

Rimaniamo un po’ dietro al gruppo, rallentati dalle numerose foto e riprese che sono d’obbligo. Li raggiungiamo dopo un po’, fermi ad ammirare un enorme riccio, piuttosto diverso dai nostri, con lunghissime aculei neri. Ci viene mostrato anche come si crea una resistentissima corda fatta con la peluria del guscio della noce di cocco, di cui non viene per sprecato proprio niente. Passiamo alcune barche e casette di pescatori e arriviamo alla fine della spiaggia, ammirando tutto il golfo fino all’orizzonte, dalla parte opposta, dove si scorge chiaramente la pittoresca architettura del Dickwella. Franca è l’unica coraggiosa a farsi il bagno nonostante il vento, mentre il resto del gruppo, compresi noi, si accontenta di chiacchierare e guardare il bel panorama. Si torna indietro, non prima però di osservare una stupenda aquila di mare che sorvola l’oceano in cerca del bottino quotidiano. Il resto del gruppo va avanti mentre io e Ste sostiamo diversi minuti estasiati da questo magnifico esemplare, che riesco a riprendere bene (e soprattutto a vedere!) con la mia videocamera digitale, la quale con uno zoom 20x è utilizzabile praticamente anche come binocolo! Stavolta rimaniamo davvero molto arretrati e restano con noi solo i due Beach Boys, due ragazzi appena sopra la ventina che si chiamano Gian e Upal. La loro conoscenza dell’italiano è sorprendente e così, anche se all’inizio con un po’ di diffidenza e malavoglia, intraprendiamo un lungo discorso approfondito sui loro usi e costumi. Ci spiegano che sono pescatori, ma al di fuori degli orari di pesca cercano di arrotondare qualcosa con i clienti del Dickwella. Non sono né procacciatori né venditori, fanno semplicemente da accompagnatori, ma sono in grado di procurare, a richiesta, quasi ogni cosa. Il loro modo di vivere è molto essenziale, hanno i beni di primaria necessità e lo stato li aiuta, distribuendo riso, vestiti di scuola per i bambini e così via. Ce lo spiegano appunto mentre passiamo di fronte ad un piazzale retrostante la spiaggia, dove una folla di gente aspetta in file ascoltando una voce al megafono. Nello stesso posto domani si svolgerà il mercato. Purtroppo tutto il mondo è paese e anche qua la politica gioca un ruolo a doppia faccia. Gli aiuti arrivano soprattutto in periodo elettorale, coinvolgendo molto donne e bambini che stanno in genere più in casa, mentre gli uomini sanno bene che una volta passate le elezioni tutto tornerà come prima. Rispondiamo a dovere con quello che succede in Italia, anche noi abbiamo i nostri problemi, anche se ad un livello diverso. Torniamo al Dickwella verso mezzogiorno, e mentre i nostri compagni stanno facendo il bagno a mare ed alcuni in piscina, noi prendiamo la via dei massaggi Ayurveda. Visto che la prima prova è gratuita, approfittiamone subito! Incontriamo il medico all’ingresso che ci invita cortesemente ad entrare. E’ una persona gentile, giovanile e molto preparata. Spiega alcuni trattamenti e propone dei pacchetti interessanti, poi ci fa accomodare all’interno. Qua si usa ancora separare le donne dagli uomini e così io entro in una camera con il mio massaggiatore e Ste entra in un’altra a fianco con una massaggiatrice. Ogni particolare è mirato a portare un senso di relax fisico e mentale, come i dipinti sulle pareti e la dolce musica in sottofondo. Il massaggio inizia spalmando sulla parte interessata, in questo caso i piedi, un olio profumato, che dopo qualche minuto provoca una sensazione di freschezza sulla pelle del tutto simile a quella del balsamo di tigre, ovvero l’equivalente di una caramella alla menta exraforte per la gola. Il massaggio è proprio rilassante, molto più delicato di quello thailandese, e termina dopo un quarto d’ora circa. Assicuriamo al dottore che torneremo senza ombra di dubbio a provare qualcosa di più serio, e lasciamo il centro Ayurvedico ormai ora di pranzo. Alle tre pomeridiane in punto raggiungiamo la reception insieme a tutto il gruppo. Aspettiamo il pulmino con Gianfranco per il tour a Mawella, che ci è stato proposto all’economico prezzo di dieci euro a persona. Il conducente si fa attendere, e dopo mezz’ora di ritardo finalmente partiamo. La prima meta è la casa di Flavio, un italiano (ci spiega Gianfranco) che ha investito qui nello Sri Lanka comprandosi un magnifico terreno con visuale mozzafiato ed ha costruito una casa con piscina a dir poco invidiabile. Per arrivarci percorriamo una strada sterrata stretta molto suggestiva, piena di buche e a strapiombo sulla costa. Rimaniamo davvero colpiti dal panorama una volta entrati nella proprietà di Flavio. La tenuta sorge su un colle verde con alte palme, con il panorama sull’oceano e su un isolotto collegato alla terraferma da un istmo di spiaggia che pare, durante l’alta marea, persino scomparire. Il mare è molto mosso sulla parte destra dell’istmo e più calmo sulla sinistra. E’ qui che faremo un po’ di snorkelling. Scendiamo un piccolo sentiero che porta alla spiaggia, dove troviamo diverse barche di pescatori con i relativi proprietari, incuriositi. Il cielo però è molto minaccioso e non tarda più di qualche minuto a scendere giù il diluvio! A questo punto ci dividiamo: io scelgo la nuotata con maschera e pinne seguendo gli incitamenti di Gianfranco, mentre Stefania insieme a qualche altro del gruppo si ripara in una capannina dei pescatori che ci guardano sempre più meravigliati. Con il mare mosso, come prevedibile, la visibilità sott’acqua è piuttosto limitata, però riesco a vedere nel mio primo snorkelling di questo viaggio qualcosina di interessante. Dopo una mezz’oretta usciamo e la pioggia e già finita. Risaliamo a casa di Flavio e troviamo il resto del gruppo alle prese con la bertuccia addomesticata di nome Rudi. E’ un macaco col berretto per la precisione, basta tendergli le braccia e salta sopra, mettendosi a pulire teneramente la pelle in segno d’affetto. Stefania è tutta entusiasta di questa simpatico animale che le salta addosso diverse volte, mentre io non manco di riprendere e fotografare questi momenti esilaranti. Si fa ora di andar via, dopo una doverosa chiacchierata con Flavio che racconta le sue disavventure sulla casa per problemi di titolarità, imbrogli e difficoltà in genere nell’acquistare e mantenere una proprietà all’estero in un paese così diverso dal nostro come lo Sri Lanka. Non è stato facile insomma, ma il posto è stupendo e direi che ne è valsa la pena! Durante il rientro in pulmino sostiamo a grande richiesta di Gabriella e del gruppo in un villaggio di pescatori sulla spiaggia, che stanno appena rientrando con un grosso bottino di bestioni. Li scaricano dalle barche e li poggiano in terra su un apposito spiazzo. Si riconoscono dei tonni, ma non saprei dire altre specie… Proseguiamo per Mawella, un altro villaggio diventato turistico per via del cosiddetto “Blow Hole”, il soffione dell’oceano, raro fenomeno conosciuto in soli dodici posti sul pianeta, di cui questo è il secondo per importanza. Così cita la Lonely Planet e noi ci crediamo per potercene vantare! Il tutto non è niente di più che un alto e potente spruzzo dell’oceano, il quale fuoriesce prepotentemente da una crepa sugli scogli (un vero e proprio buco) con la forte pressione che si crea a seconda delle onde e della corrente oceanica. Pare che nei periodi migliori possa raggiungere i 25 metri di altezza, che sono davvero tanti! Parcheggiamo nei pressi del villaggio e siamo immediatamente circondati dai bambini, mentre i singalesi dietro le innumerevoli bancarelle ci invitano a comprare ogni genere di cosa. C’è molta sporcizia per terra ed il terreno è un po’ fangoso. Seguiamo a piedi la strada principale che porta fuori dal paese verso la costa mentre inizia di nuovo a piovere, per fortuna solo per qualche minuto. Una salita a gradoni, caratteristica per il colore rosso della terra che stacca nettamente con tutto il verde circostante della prepotente e fitta vegetazione, porta in cima ad un promontorio, con la costa a strapiombo sull’oceano. Il paesaggio è molto bello non c’è che dire. Una folla di persone attende con ansia che il soffione spruzzi via dal buco. Mi sorprende che in realtà siano tutti singalesi, non ci sono turisti stranieri tranne noi e ho la chiara certezza ormai, dopo appena un giorno, che il turismo in questa zona all’estremo sud dello Sri Lanka, soprattutto in questo periodo, è una rarità quanto il Blow Hole stesso. Il mare sembra calmo e la corrente trasversale per cui l’attesa si fa più lunga del previsto. Lascio la mia fotocamera digitale a Stefania e mi dedico alle riprese della costa, rimanendo stupito dalla vista in lontananza di un pavone solitario tra gli scogli. Finalmente arriva il soffione tra la gioia e le urla di tutti! E’ davvero emozionante, lo spruzzo è alto, bianchissimo e preceduto da un fragoroso boato. Se ne susseguono diversi uno dietro l’altro, aumentando la nostra gratificazione per l’attesa. Sia io che Stefania riusciamo a riprenderlo davvero bene con la macchina fotografica e la videocamera, sarà un bel ricordo! Non resta che tornare dunque al Dickwella, a pochi chilometri di strada da Mawella. Durante la passeggiata di rientro al pulmino, ci soffermiamo in qualche bancarella ad ammirare incuriositi i souvenir e la cucina di pesce. Scattiamo qualche foto con i bambini locali, che appaiono estasiati quando le mostro a loro un attimo dopo nel display della mia fotocamera digitale. Chissà quale meraviglia tecnologica penseranno che sia, eppure rimango io stesso stupito subito dopo dal fatto che in realtà sono molto più organizzati del previsto! Arriva un bambino che consegna a me e Franca, anche lei con una videocamera digitale che scatta foto, il suo indirizzo in singalese per spedirgliele! Quasi commossi dal sorriso di questi bambini, io e Ste promettiamo senz’altro di mandargliele quando torneremo a casa. Gianfranco ci suggerisce tra l’altro, se vogliamo donare loro qualcosa, di dare caramelle o penne per scuola, ma non soldi. Sono perfettamente d’accordo: dare soldi abitua la gente a chiedere e a vivere di elemosina. E già molti lo fanno. Mi viene in mente lo stipendio di venti dollari di un povero pescatore, e penso che se ogni turista lasciasse pochi centesimi di euro a testa a chi chiede l’elemosina, questi camperebbero senza far nulla a dispetto di chi invece suda per guadagnarsi da vivere. Questo non è un paese che ha carenza di risorse primarie come ne può avere uno africano tipo l’Etiopia, tanto per fare un esempio. Qui c’è acqua, terra fertile da coltivare, mare ricco di pesci. La loro povertà è assai diversa, e in ogni caso quello che noi intendiamo per “povertà” è alquanto soggettivo. Non si può negare che il loro stile di vita sia per molti del tutto essenziale, ma questa gente vive comunque in modo molto più naturale e semplice di noi. Quei bambini che ridono e giocano sulla spiaggia del Dickwella tutto il giorno, per esempio, vivono in quella che per noi è la tipica immagine di un paradiso tropicale, e per quanto io li possa vedere “poveri” credo fermamente allo stesso tempo che siano felici. Lo leggo nei loro volti. Chi dice e chi può assicurare che l’arrivo del progresso, delle nostre diavolerie tecnologiche, dei soldi e dell’influenza occidentale, tanto per intenderci, porti davvero maggiore benestare e soprattutto felicità da queste parti? Mentre queste riflessioni mi balenano alla mente, mi rendo conto che forse conosco ancora troppo poco di questo posto per poter dare giudizi, meglio aspettare ai prossimi giorni! Arriviamo al Dickwella alle 18:30, giusto in tempo per riposare un po’ e andare a cena. Una succulenta cena stasera, a base di aragosta e pesce per la modica cifra di venti euro a persona. Dopo gli antipasti di mare, viene servito un bel piatto di spaghetti ai granchi. E che granchi! Me ne ritrovo quasi uno intero sul piatto con delle enormi chele più grandi di una cesoia! Poi arrivano in sequenza metà aragosta bollita, il sorbetto e l’altra metà aragosta arrosto con sughi speziati, dopodiché il nostro stomaco non ce la fa davvero più! Soddisfatti dalla cena ci aspetta lo simpatico spettacolo di cabaret, come ieri al teatrino sulla terrazza, che vede stavolta gli animatori impegnati in alcuni sketch e barzellette.

25/10/2003 – Mercatino locale. Tempio buddista di Wewurukannala Vihara. Tour: Weligama (visita fabbrica gemme), Matara (visita fabbrica batik, passeggiata per la città).

Oggi è il mio compleanno! Essere in viaggio è già il miglior modo per me di festeggiarlo, e sembra stupendo che questo sia il secondo anno consecutivo dal momento che l’anno scorso a quest’ora ero a Krabi, in Thailandia! Dopo la colazione, andiamo in spiaggia con il resto del gruppo e passeggiamo fino al mercato locale che si svolge settimanalmente. Veniamo accompagnati, anche oggi, da Gian e Upal, che troviamo ad aspettarci appena messo piede fuori dal Dickwella. Il mercato è, come prevedibile, pittoresco e caotico e soprattutto, a differenza di molti thailandesi, vero. Intendo dire che è realmente un mercato della gente del posto senza nessuna influenza per turisti, i quali come di consueto, a parte noi sono inesistenti! Camminiamo tra una miriade di bancarelle di frutta, verdure, pesce e vari generi di cibo sistemate per terra o su dei banconi, tra le urla dei venditori e il chiasso assordante della folla. L’area del mercato è piccolina e concentrata, quindi sembra che ci sia tantissima gente! Siamo colpiti dalle quantità industriali di banane, le quali sono molto più piccole delle nostre e più tozze. Parlo con Upal di questo fatto e mi spiega che ce ne sono cinque tipi nello Sri Lanka e le più buone paiono essere quelle rosa o rosse. Quelle lunghe che conosciamo noi per loro non sono neanche banane, non le considerano molto buone e infatti sono assai meno saporite. E’ simpatico anche vedere un signore che vende il cocco fresco, come l’abbiamo visto fare pure in thailandia: si taglia la parte superiore, si infila una cannuccia all’interno ed eccolo pronto per essere bevuto! Tra tutta questa confusione mi viene difficile riprendere e fotografare, così riesco a fare solo qualche scatto al volo delle banane e del peperoncino nelle sue diverse specie, ammassato a chili sui banconi. Ci spostiamo al reparto abbigliamento, altrettanto vivace e colorato come quello della frutta. Un tuk-tuk, dopo avermi quasi investito, mi fa sorridere passando in mezzo alla folla e strombazzando il buffo clacson a più non posso! Siamo arrivati alla fine del mercato e oltre vediamo il paese del Dickwella, dove siamo passati ieri di ritorno da Mawella con il pulmino.

Chiediamo a Gian e Upal di accompagnarci per comprare dei rullini, così lasciamo il resto del gruppo e passeggiamo per la prima volta nel piccolo paese. Come era prevedibile siamo visti alla stregua di due alieni: così diversi dalla popolazione locale in tutto e per tutto non possiamo davvero passare inosservati! Nella via principale troviamo un piccolo Internet Point e ne approfittiamo per scrivere un’email a casa. Mentre torniamo indietro, Gian propone di andare a vedere un tempio buddista, affermando che è il più alto dello Sri Lanka con una statua di 50 metri e dista solo cinque minuti a piedi. Abbiamo letto in effetti di un bel tempio in zona sulla Lonely Planet, e tra le escursioni del Dickwella non è compreso per cui, anche se non ancora perfettamente convinti al cento per cento, accettiamo. Del resto, lui e Upal dicono di non volere neanche i soldi e chiedono solo una eventuale mancia alla fine del nostro soggiorno se rimaniamo soddisfatti. Vediamo il resto del gruppo all’altezza del mercato e invitiamo anche loro, ma vengono soltanto Franca e Doriana: almeno saremo in quattro. Attraversiamo un ponte e ci dicono di guardare giù: un grosso varano che sembra un coccodrillo passeggia tranquillamente nell’acqua fangosa del fiume! Proseguiamo lungo una strada asfaltata e piena di buche che porta fuori dal paese, ammirando il paesaggio della campagna singalese. Sulla nostra destra costeggiamo un vasto campo di fiori di loto, simile ad una palude, mentre in lontananza ci sono alcune case sparse tra la fitta vegetazione di palme. Il percorso si dimostra bello ma comunque molto più lungo del previsto e fa un caldo tremendo, altro che cinque minuti! Dopo una mezz’ora finalmente scorgiamo in lontananza la statua del Buddha, e devo darne atto è proprio alta e maestosa. Il tempio si chiama Wewurukannala Vihara, ed ha influenze miste tra il buddismo e l’induismo, che qui sembrano convivere e fondersi in sincera armonia. Il biglietto costa una cifra irrisoria per entrare, qualcosa in più per chi ha la macchina fotografica e la videocamera, ma Gian e Upal ci fanno pagare a forfait solo l’ingresso. Bisogna ovviamente togliersi le scarpe. Entriamo solo io e Ste nella parte buddista, rimanendo molto colpiti dalla pace e dall’atmosfera del luogo. I nostri improvvisati accompagnatori ci spiegano il significato di varie statue: la reincarnazione per esempio, rappresentata in una fila di oltre 50 buddha uno dietro l’altro, oppure la differenza tra la posizione del buddha morto e di quello dormiente, che si percepisce solo per l’allineamento o meno delle dita dei piedi. Usciamo da questa prima parte del tempio ed entriamo a lato in un’altra sezione, quella dedicata all’inferno. Rimango un po’ sconcertato, proprio non pensavo che esistesse il concetto di inferno anche per i buddisti, a meno che non si tratti di un’influenza induista. Le religioni non sono il mio forte! La Lonely Planet cita questa parte come una sorta di disneyland fumettistica e in effetti non è molto lontana dalla realtà. All’ingresso una serie di statue terrificanti ma allo stesso buffe nella loro realizzazione, rappresentano una atroce tortura di un uomo capovolto mentre viene segato in due, ad iniziare dalle parti basse (ahi che male, diamine!) e del diavolo con tanto di corna. Da qua in poi si susseguono dei corridoi, tutti minuziosamente dipinti da entrambe le pareti, dove nella parte superiore vi sono le malefatte compiute nella vita terrestre, e nella parte inferiore le corrispettive torture infernali. Una sorta di gigantesco inferno di Dante con qualche centinaio di gironi! Purtroppo c’è molto buio e non si riesce a riprendere bene, si vede invece chiaramente che le pitture sono un po’ lasciate andare all’usura senza alcuna protezione e manutenzione, come del resto praticamente tutto qua intorno, ed è un grandissimo peccato! Finita anche questa singolare e interessantissima visita, saliamo le scale nel vasto spazio all’aperto che prosegue verso la gigantesca e colorata statua del Buddha, ed entriamo alla sua base. Una lunga serie di gradini, spezzati a tappe da diversi stanzoni con pareti anch’esse dipinte, salgono verso la cima. Arriviamo in una prima terrazza panoramica proprio dietro la testa della statua e saliamo l’ultima rampa di scale. La vista è stupenda e merita la fatica! Osserviamo per diversi minuti la struttura del tempio, le persone piccole piccole sotto di noi, e tutta la fitta foresta di palme fino all’orizzonte. Si vede benissimo persino tutta la strada che abbiamo fatto per venire qua ed il campo di fiori di loto. Gian indica degli alberi in lontananza spiegando che là ci sono tantissimi pipistrelli e può portarci a vederli. Interessante! Però adesso non c’è più tempo, così gli promettiamo di andare domani. Dobbiamo tornare velocemente al Dickwella per pranzo e per velocizzare i tempi prendiamo un tuk-tuk. L’autista chiede appena 50 rupie (0,50 euro) per questo tragitto e non ci pensiamo due volte. Salire in quattro più il conducente in questo piccolo mezzo a tre ruote è un’impresa divertente quanto incosciente! Sperimentiamo così questo mezzo per la prima volta nello Sri Lanka, del tutto identico a quello omonimo thailandese. Sperimentiamo anche, meno piacevolmente, le buche della strada! Dopo pranzo l’appuntamento è alle 14:30 alla reception per il tour a Matara, che risulta compreso nel nostro pacchetto viaggio. Stavolta il pulmino è puntuale e ne arrivano addirittura due per stare più comodi. La prima tappa è a Weligama: più o meno tre quarti d’ora di viaggio caratterizzata da continui sorpassi e guida sportiva del nostro autista che sembra gareggiare con il suo rivale, partito in anticipo. Le scommesse sono fatte, tra le simpatiche battute di Mauro, Luca e Marzia insieme con noi nello stesso pulmino: chi arriverà primo? Superati in extremis i nostri compagni sul Mercedes sembra ormai cosa fatta, ma il nostro autista si smonta all’ultimo sbagliando vicolo una volta arrivati a Weligama! Ritrovata la strada siamo dunque ultimi: scommessa persa. Gianfranco ci accompagna all’interno di una abitazione, che è in realtà una vera e propria fabbrica artigianale di gemme. Ci viene offerto qualcosa da bere in un salone, dopodiché iniziamo la visita nel laboratorio retrostante, dove assistiamo alla lavorazione materiale delle pietre. Diverse persone maneggiano sapientemente precisi strumenti e pazientemente, una ad una, producono le gemme passo per passo in una mini catena di montaggio. Il prodotto finale viene poi portato in un salone più bello e rifinito, dove si svolgono le contrattazioni e le vendite. Rimaniamo ad ammirare qua questi piccoli e preziosi oggetti esposti in vetrine protette, mentre qualcuno del gruppo prova a contrattare e persino a concludere qualche acquisto. Risaliamo nel pulmino spostandoci verso Matara, a pochi chilometri di distanza. Qua entriamo in un’altra casa-laboratorio artigianale, stavolta di batik. In un piccolo cortile all’aperto troviamo alcune donne che lavorano il tessuto, anche loro con una invidiabile pazienza e precisione, ricoprendo di cera la parte di un determinato colore del disegno, che poi va bagnato e asciugato, togliendone la cera e rimettendola sulla parte del disegno che presenta un altro colore. E’ un lavoro incredibile, non avrei mai pensato che ci potesse essere tutto questo dietro quei quadri e parei di stoffa appesi al muro! Alcuni sono bellissimi anche se sono ancora incerati e quindi non conclusi. E’ evidente, come ci viene spiegato, che i batik più costosi sono quelli che presentano più colori, perché ogni colore in più comporta una ulteriore “passata” nel giro della lavorazione. E ancora, fondamentale, il vero batik è solo quello che presenta lo stesso disegno a specchio girando la stoffa da una parte all’altra. Se così non è, si tratta “solo” di stoffa lavorata, ma non di batik originale. Quante cose si imparano! Il prodotto finale viene esposto in un’apposita sala dove si svolge la vendita tra le più accese contrattazioni. Vediamo qualcosa di carino ma la folla e il prezzo, intorno ai venticinque euro, ci fanno desistere per il momento dall’acquisto. Terminata la visita veniamo condotti al centro di Matara, in prossimità di un colle dove sorge un forte portoghese, e ci viene lasciata un’oretta per passeggiare liberamente per le vie della città. Da qua notiamo subito che Matara è un centro abbastanza grosso: le strade sono molto animate, piene di tuk-tuk che svolgono la funzione di veri e propri taxi, si sentono continuamente i clacson e ci sono persino paradossalmente mucche che le attraversano indifferenti bloccando il traffico. Iniziamo camminando sull’orlo del fossato del forte, dove notiamo una biscia marina nuotare nelle sue acque. Qualcuno ha visto persino una tartaruga su un ramo gettarsi in acqua alla nostra vista. Dall’altra parte in un grande campo a prato verde si svolge qualche manifestazione sportiva con la musica singalese che ci accompagna in sottofondo. Terminato il periplo del forte camminiamo per le strade di Matara, passando un tempio e perdendoci tra bancarelle di ogni genere. Compriamo delle penne e delle caramelle da dare ai bambini alla prossima occasione, che sicuramente non tarderà a presentarsi. Raggiungiamo nuovamente il pulmino ormai quasi buio, e torniamo al Dickwella per le 19:00. Approfittiamo del tempo che rimane prima di cena per un bel bagno notturno in piscina, estremamente rilassante dopo una giornata calda e caotica come quella di oggi! Dopo cena lo spettacolo che viene presentato oggi è dedicato a Michael Jackson. Gli animatori ci stupiscono davvero con i loro balletti perfettamente studiati, a ritmo dei più grandi successi della famosa star, e confermano quella gran forma fisica che già avevo notato i precedenti giorni. Più tardi, finito lo show, sediamo in un tavolino tutti insieme di fronte alla piscina, complimentandoci con loro per l’ottimo risultato ottenuto. Siamo in un atmosfera così familiare: dieci turisti italiani e otto ragazzi del Dickwella, una guardia e qualche cagnolino che si intrufola abusivamente nel villaggio deserto. E’ tutto per noi! L’animatore fianco a me racconta del suo modo di vivere, del suo lavorare di notte, dormire la mattina, studiare e prepararsi il pomeriggio guardando anche delle videocassette. Gli piace quello che fa e si impegna: i risultati infatti si vedono. Un altro animatore ci racconta invece di suoi amici che sono venuti in Italia a cercare lavoro. Per loro l’Italia è un mito, sinonimo di ricchezza, benestare, vita invidiabile piena di tante cose che qui possono solo sognare. Gli spieghiamo che adesso, con le nuove riforme, non è più tanto semplice entrare facilmente come una volta nel nostro Stato, e tanto meno trovare un lavoro per un emigrato che sia ben retribuito. Quelli che a loro appaiono stipendi clamorosi sono anche da rapportare purtroppo al nostro costo della vita, per cui rischiano di passare da una vita essenziale ma dignitosa e con attorno un paradiso tropicale, un clima invidiabile etc.Etc., ad una povertà squallida vissuta in un buco nell’inquinamento di una fredda città indifferente a qualunque loro problema. Siamo sicuri che ne vale la pena? Io non ne sono affatto convinto. Eppure ci raccontano addirittura di alcuni loro amici che hanno passato disavventure pazzesche, avuto fregature da giri strani e illegali, che si sono imbarcati dallo Sri Lanka per arrivare sulle nostre coste dopo mesi. Vado a letto riflettendo su quanto sia davvero forte, per questi ragazzi, il sogno italiano, ancora per niente convinto che ne valga realmente la pena. Abbiamo tentato un po’ tutti di spiegarglielo stanotte, ma non è così facile. 26/10/2003 – Pipistrelli. Lavorazione artigianale del legno. Massaggio Ayurveda. Visita casa locale. Tramonto in spiaggia. Spettacolo di danze tradizionali Abbiamo appuntamento con Gian e Upal in spiaggia per andare a vedere i pipistrelli. Trovare i Beach Boys è un gioco da ragazzi, anzi, sono loro che trovano sempre noi. Mi viene in mente che se anche volessimo cercare di staccare un po’ e andare per conto nostro, sarebbe ormai cosa impossibile. Gli abbiamo dato confidenza e adesso sono i nostri accompagnatori personali. Agli altri del gruppo non è successo, non a tutti per lo meno. Loro sono stati più per conto proprio e nell’hotel, mentre io e Ste non riusciamo a stare fermi un attimo. Non siamo neanche abbronzati e non abbiamo ancora preso un po’ di sole. Ma tanto ci aspettano le Maldive, meglio approfondire la conoscenza di questo popolo singalese adesso che ne abbiamo l’opportunità! Passiamo dal retro del Dickwella fino ad arrivare alla strada principale dove Gian e Upal contrattano con un tuk-tuk. Il conducente è un po’ buffo con uno strano modo di parlare nasale e un po’ sdentato, ma sembra una persona tranquillisma. Saliamo stavolta solo noi con Gian, perché c’è pericolo di controlli in paese e in quattro ci farebbero sicuramente la multa! Prendiamo una strada secondaria e infine un vero e proprio viottolo sterrato, fangoso, pieno zeppo di buche profonde. Il tuk-tuk si improvvisa una vera e propria jeep! Ci fermiamo sulla soglia della fitta foresta, vicino ad una casa rurale, poco meglio di una baracca. Un bambino esce dalla porta e ci guarda incuriosito, timido. Gian fa cenno di osservare sulla cima degli alberi, che sono alti almeno una ventina di metri, dove si notano decine di pipistrelli dormienti a testa giù appesi ai rami. Rimaniamo a bocca aperta, ma il bello deve ancora venire. Arriva anche il conducente, parla un po’ con Gian e lui ci dice che adesso vanno a scoppiare qualche sorta di petardo per farli volare. I loro visi si illuminano come quelli di due bambini pronti a fare la marachella, ma io e Ste non siamo d’accordo nel far scoppiare quei cosi, nel rispetto di quei poveri animali sonnecchianti. In realtà, ci spiegano, non sono botti pericolosi e non fanno neanche rumore. Sono innocui fumogeni che li svegliano per qualche minuto e poi torna tutto come prima. Si lanciano nella loro impresa e scompaiono dietro gli alberi della foresta. Io e Ste, attoniti e incuriositi, sorridiamo nel frattempo a quel bambino che continua a uscire per pochi secondi dalla porta della sua modesta casa. Sentiamo un brusio in lontananza e vediamo il fumo, mentre in contemporanea centinaia di pipistrelli enormi cominciano a volare e strillare sopra le nostre teste girando in tondo! Rimaniamo a bocca aperta, ce ne sono una quantità incalcolabile, molto più di quelli che si vedevano a occhio nudo! Per fortuna volano là ad alta quota e non si avvicinano. Riprendo tutto con la mia videocamera che ancora una volta si rivela un binocolo utilissimo grazie al suo potente zoom. Dopo qualche minuto, lentamente, ad uno ad uno i pipistrelli si riposano sugli alberi a riprendere il sonno spezzato. Per noi è stata una grande emozione! Prima di andar via vediamo uscir fuori dalla casetta anche la mamma e un’altra figlia. Le chiediamo se possiamo scattarle una foto ma fa un cenno negativo timidamente con testa. E’ la prima volta che ci accade, ma rispettiamo ovviamente la sua volontà.

Il conducente fa una divertente inversione tra il prato e il piccolissimo viottolo, dopodiché risaliamo sorbendoci nuovamente le voragini del terreno. Ripassiamo di fronte al Dickwella e Gian ci chiede se vogliamo andare a vedere una casa dove lavorano artigianalmente le statuette in legno. Ma sì perché no, ormai ci siamo! Raccogliamo anche Upal visto che andiamo dalla parte opposta al centro del paese e i controlli non ci sono. Dopo pochi minuti arriviamo di fronte ad un’altra tipica abitazione locale. Questa è assai più accogliente di quella vista prima, ma sempre molto modesta. Entriamo nel salone dove salutiamo un bambino. C’è un televisore e l’arredamento non è male. Dietro si trova il laboratorio, chiamiamolo così, del proprietario che adesso è fuori. Mi sorprende come qua siano tutti una famiglia, si entra così facilmente nelle case altrui senza mettersi alcun tipo di problema. Io e Ste in realtà ce ne mettiamo eccome, siamo un po’ imbarazzati e ci sentiamo dei perfetti estranei. Usciamo in cortile e arriva la signora di casa. Ci saluta, parla un po’ con i ragazzi (noi non capiamo una parola) e ci lascia. Appare evidente che l’artigiano in questo momento è fuori e così Gian e Upal pensano loro a mostrarci come funzionano gli attrezzi del mestiere! Prendono tanto di martello e scalpello, fatti rigorosamente in legno in maniera del tutto semplice e primitiva, e mimano il gesto dello scolpire il legno ancora grezzo, prime che diventi una piccola opera d’arte. Ci sono alcuni modelli non ancora terminati che fanno capire i vari passaggi della lavorazione. E’ incredibile, è tutto fatto a mano, statuetta per statuetta! Non ce ne sarà mai una uguale perché non esistono strumenti meccanici e industriali: qua si parla di lavoro artigianale puro al cento per cento! Dopo la dimostrazione entriamo in una stanza per l’esposizione del prodotto finale. Abbiamo capito ormai che da tutte le parti funziona allo stesso modo. I lavori sono quasi tutti artigianali, che si tratti di souvenir, di gemme preziose, di legno, di abiti e così via; il concetto di fabbrica e produzione di massa non esiste, si lavora nella propria abitazione che allo stesso tempo è divisa in laboratorio e sala per l’esposizione e la vendita finale. Rimaniamo un bel po’ ad ammirare questi oggetti in legno e iniziamo le contrattazioni su alcune cose da cui siamo più attratti. Alla fine troviamo un accordo per una statuetta di un pescatore di Galle, appeso al suo trampolo con tanto di lenza: un ricordo carino e particolare. Lo paghiamo 950 rupie, non sapendo in realtà se sia o meno un prezzo davvero buono visto che sono i primi che vediamo. Aveva ragione Gianfranco però, devo ammetterlo, quando aveva detto a Colombo, in quel negozio di souvenir, di dare uno sguardo veloce a tutti i prezzi almeno per rendersi conto del valore delle cose. Salutiamo e torniamo al tuk-tuk. Chiediamo di lasciarci in paese all’Internet Point di ieri, dal quale con 80 rupie, che sono esattamente 80 centesimi di euro, mandiamo una email a casa, senz’altro più economica di una telefonata! Rientriamo poi al Dickwella passando per la spiaggia: una piacevole passeggiata fatta in compagnia, tanto per cambiare, dei soliti bambini che sono ovunque! Sostiamo nella piazza dove si svolge il mercato, oggi deserta. C’è solo qualche mucca sdraiata che si riposa. C’è molto sole e caldo, per fortuna smorzato dal costante vento. Barattiamo qualche penna e caramella in cambio di qualche bel primo piano, e il trucco di mostrare subito la foto digitale ai bambini per stupirli funziona sempre. Arrivati in hotel troviamo i nostri compagni in spiaggia intenti nelle contrattazioni con i venditori ambulanti: parei, asciugamani, batik, magliette, un po’ di tutto. Stefania si lancia immediatamente per acquistare qualche pareo mentre io riprendo con la videocamera. Poi vedo una maglietta carinissima, con davanti il disegno di un elefante visto frontalmente e sul retro il disegno del suo posteriore. La spuntiamo al prezzo di 850 rupie (8,5 euro) insieme a due splendidi parei colorati: non male! Torniamo in stanza che si è già fatta ora di pranzo. Di pomeriggio optiamo per un massaggio Ayurveda, stavolta uno serio e non di prova come l’altro giorno. Stefania sceglie lo Shirodara, un trattamento alla testa con olio caldo, ed io uno classico alla schiena. Durano entrambi più o meno un’ora. Ne usciamo completamente rilassati, ne è valsa la pena! Poco dopo scendiamo in spiaggia, dove ancora una volta troviamo Gian e Upal, che chiamano i bambini per mostrarci la loro danza tradizionale. Si riunisce così il solito gruppetto di quattro ragazzini, che iniziano un po’ timidamente a ballare e cantare in gruppo, senza nessun aiuto, e poi incalzano con il nostro incitamento. Sono divertenti e spontanei, così tanto che Stefania si fa coinvolgere provando i movimenti insieme a loro! Terminato lo spettacolino camminiamo insieme a loro dall’altra parte degli scogli, dove tramonta il sole, verso l’arco di spiaggia che finora non abbiamo ancora visto. Ci sono molti pescatori in mare su quelle strane e strette barchette che assomigliano a catamarani. Qualcuno simpaticamente saluta anche col braccio al nostro passaggio. La sabbia d’orata, le alte palme e la fitta vegetazione si susseguono esattamente come in tutta la costa vista fin’ora. Alla fine della spiaggia il paesaggio è stupendo. Alle nostre spalle si vede il Dickwella mentre di fronte il sole sta tramontando colorando tutto di giallo e rosso fuoco. Siamo attrezzati di cavalletto e lo piazziamo per fare qualche indimenticabile foto. Ne faccio una a due bambini sulla nostra destra, seduti vicino ad un edificio diroccato senza tetto. Uno abbandonato come tanti altri penso, ma Gian e Upal mi dicono che in realtà quella è la scuola! Il sole scende rapidamente non deludendo le nostre aspettative fotografiche e regalandoci un tramonto memorabile sull’oceano, alle 18:00 in punto.

Mentre torniamo indietro al calar della luce, Nilani ci invita teneramente a vedere casa sua. Siamo del tutto spiazzati e un po’ titubanti, ma lei insiste prendendomi per mano e noi accettiamo. Del resto, un’occasione così non capita tutti i giorni. Attraversiamo il prato sul retro della spiaggia e finiamo sulla strada principale, che seguiamo per un breve tratto. Attraversiamo anche questa e ci ritroviamo in un piccolo e povero quartiere di case e baracche. Non c’è strada né luci, solo terra e fango. Abbiamo qualche difficoltà persino a salire all’ingresso in pendenza perché si scivola molto. La casa che visitiamo è quella di uno dei bambini: è in muratura ma è quasi un rudere. Gian ci spiega che le famiglie più povere, come questa, non hanno neanche la corrente e la luce elettrica. Scorgiamo infatti delle candele dalle aperture del muro dove in realtà dovrebbero esserci delle finestre, e alcune persone sul fondo che si lavano con un secchio. I più fortunati invece hanno persino il televisore, e lo condividono riunendosi in gruppo per vederlo. Come da noi per il rito delle partite di calcio. Siamo attenti e silenziosi, immersi in questa che per noi rappresenta la prima vera esperienza di povertà. Non mi sfiora nemmeno il pensiero di riprendere o fare qualche foto a queste persone, non è proprio il caso. Mi chiede Nilani, mentre mi guida prendendomi teneramente per mano, cosa ne penso di tutto ciò ed io, imbarazzato più che mai, rispondo cercando di essere normale con un “carino qua”. Pessima uscita, ma del resto cosa si può dire in questi casi? Mi risponde sbigottita in italiano: “Carino? Questo è carino?!”. Non dimenticherò mai la sua espressione mentre me lo diceva, così sorpresa e allo stesso provocatoria. Ci spostiamo un po’ più su nella sua casa. Qui c’è la corrente elettrica, ma le condizioni sono comunque pessime. Ci sediamo un po’ sulla veranda osservando tutto intorno. Dopo qualche minuto arriva la mamma e altri bambini: sono i fratelli e le sorelle, ben sette in tutto! Ci fanno accomodare dentro, in una stanza di modeste dimensioni, con un letto tutto rotto e un nuvolo di zanzare ovunque. Sulle pareti ci sono delle foto appese, che loro ci mostrano tutti orgogliosi! Sono quelle fatte dai turisti o per qualche raro e grandioso evento. La mamma torna con in mano un paio di piccoli limoni e ce li offre insieme a delle conchiglie, affermando qualcosa. Gian fa da traduttore spiegando che ha detto che portano fortuna. Non chiede nulla in cambio, né soldi né altro. Dice solo se le possiamo mandare le foto dandoci l’indirizzo. Credo di non esser mai stato così commosso in tutta la mia vita e le prometto di farlo sicuramente. Intanto si fa buio ed è ora di tornare in hotel. Lasciamo i bambini e ci facciamo accompagnare da Gian e Upal, che ci aiutano nella nostra goffa discesa tra fango ed erba scivolosa. Avessimo portato almeno una pila! Torniamo al Dickwella scossi e provati, con tanti pensieri per la testa. Per rilassarci un po’ facciamo una nuotata nella calda piscina illuminata, insieme a Franca, raccontandole la nostra toccante esperienza. Lei ne ha fatte tante e molto peggio in Africa. Dopo cena il gruppo si riunisce come di consueto nella terrazza all’aperto per lo spettacolo. Oggi fanno da protagonisti un signore in costume, un suonatore di tamburi e due ragazze, che propongono alternati alcune danze tradizionali. La musica, ritmica e ripetitiva fino all’ossessione, è costituita solo dal rumore del tamburo e da quello del signore che provoca ballando durante i suoi movimenti, avendo legato su ogni articolazione una sorta di campanellio. E’ incredibile con quanta precisione debba calcolare ogni suo minimo movimento per ritmare a tempo il campanellio con il tamburo. E lo stesso vale anche per le ragazze, che si alternano in alcune danze. Ad ogni ballo successivo a quello delle ragazze il signore rientra mascherato da capo a piedi sempre in modo diverso. Si propone alla fine con un costume molto inquietante, avvicinandosi a noi con una macabra maschera e illuminandola con delle torce che ruota abilmente con le braccia! Per fortuna il tutto assume un aspetto divertente ed esilarante tra il gruppo quando il personaggio si ferma più volte sussurrando con una voce da vecchietta: “OHI!OHI!”, ma quella maschera terrificante proprio non la vorrei sognare stanotte! 27/10/2003 – Safari allo Yala National Park La sveglia è alle 5:30 del mattino. Fuori è ancora buio pesto, vedremo l’alba durante il viaggio in pulmino verso lo Yala National Park. Sia io che Ste siamo eccitatissimi perché questo di oggi è il nostro primo safari vero e proprio! Non tutto il gruppo ha deciso di partecipare, anzi, siamo solo noi con Franca e Doriana, insieme a Gianfranco e Saman del Dickwella che ci accompagnano. L’appuntamento è alla reception, dove ci vengono consegnati i pacchetti per la colazione, che nessuno però consuma sul momento risparmiandoli per metà mattinata. Saliamo nel pulmino e intraprendiamo il lungo viaggio di un’ora e mezza verso il parco. Non c’è molto traffico e il conducente va spedito; cosa che, unita alle curve, al sonno e allo stomaco vuoto sono una pessima combinazione per uno come me, che soffre ogni tipo di mezzo di trasporto esistente sulla terra. Alle prime luci dell’alba arriviamo a destinazione. Facciamo colazione con un the caldo, poi Saman va a prendere la nostra guida, che arriva con una bella e classica jeep da safari: alta, con i sedili a panca laterali per i passeggeri e aperta su 3 lati con il tetto coperto. Ci stiamo perfettamente in sei seduti comodi, con gli zaini sul pavimento. Vi sono anche i binocoli che saranno utilissimi. Percorriamo un lungo tratto di strada sterrata in pianura, ammirando il paesaggio che è stupendo. Sostiamo in un’area apposita che ci conferma definitivamente che siamo allo Yala National Park: un capannone adibito a museo faunistico mostra la cartina geografica e stradale del posto. Faccio due passi perché sono ancora molto rintontito dal viaggio in pulmino, mentre Ste gioca con alcuni gattini. Saliamo nuovamente sulla jeep e dopo un altro tratto di strada finalmente arriviamo al vero ingresso che si presenta come una sorta di casello stradale. La nostra guida parla con l’addetto, viene segnato su un registro l’orario di entrata e arriva il nostro battitore, che per il safari in questo parco è obbligatorio. Si siede a fianco all’autista e finalmente, alle 8:00, diamo inizio al safari! Dopo pochi metri incontriamo subito due esemplari di scimpanzé della specie “Entello di Sri Lanka”, facilmente riconoscibili dalle illustrazioni della Lonely Planet. La strada sterrata è in ottime condizioni, ci aspettavamo molto peggio. Affido la mia fotocamera digitale a Gianfranco seduto a fianco a me, visto che io sono impegnato nelle riprese, mentre Stefania usa la sua Canon EOS 300 tradizionale, Franca usa invece una videocamera digitale e Doriana una fotocamera compatta. Gli incontri si susseguono uno dietro l’altro, come gli scorci stupendi e mozzafiato di alcuni tratti del paesaggio, che si aprono all’improvviso dietro qualche curva. Vediamo frequentemente vari cerbiatti, cinghiali, bufali, cervi pomellati e purtroppo ci rendiamo presto conto, come davamo per scontato, di essere molto svantaggiati per le foto senza un potente teleobiettivo. Gli animali rimangono distanti dalla strada principale per cui risultano troppo piccoli. Per l’ennesima volta, ringrazio di aver scelto almeno la mia videocamera con uno zoom ottico 20x: meraviglioso, anche se fare riprese stabili con la jeep in moto che balla ad ogni minimo movimento dei passeggeri è un’impresa! Il nostro primo obiettivo, ci spiega l’autista, è trovare gli elefanti perché più tardi, come il sole comincia a scaldare, si ritirano all’interno della foresta ed è difficile avvistarli. Gli chiediamo anche dei leopardi ma, come già sapevamo, non è un buon periodo per vederli e per trovarli bisogna rimanere diversi giorni all’interno del parco. Sul lato destro costeggiamo una vasta distesa di fango con enormi pozze d’acqua: ci sono le orme fresche degli elefanti appena passati, siamo sulla strada giusta! Troviamo in uno spiazzo un iguana che scava una fossa, e dietro un pavone maschio che apre a ruota la sua coda in segno di corteggiamento. Purtroppo non si gira mai frontalmente verso di noi e la parte più bella della coda rimane nascosta. Più avanti in ampi prati verdi con diversi laghetti troviamo gli aironi, poi i pellicani. Avvistiamo l’aquila e la mangusta, persino uno stambecco, ma di elefanti ancora nulla. Caspita, e noi che pensavamo fosse pieno! Parlano tutti dello Yala come una riserva dove è facile incontrare questi animali, ma per noi oggi non lo è affatto.

La strada sterrata continua ad essere sempre in buone condizioni e c’è poco movimento in giro. Incrociamo solo qualche jeep, che salutiamo mentre gli autisti si scambiano le loro informazioni e avvistamenti. Devo dire che il nostro è davvero bravo: riconosce facilmente le orme, i gesti degli animali e persino i suoni, che talvolta imita per attirarli. Il battitore invece sembra un turista come noi, parla poco e non mi pare granchè utile. Il paesaggio è spesso di vedute molto ampie poiché la vegetazione è rada e vi sono grandi spazi pianeggianti, ma allo stesso tempo è vario e affascinante. Verso le dieci e mezza raggiungiamo il confine del parco di fronte all’oceano. Parcheggiamo la jeep sotto gli alberi e scendiamo a fare due passi nella bella e lunga spiaggia d’orata. Consumiamo i nostri pacchetti della colazione mentre ammiriamo lo stupendo panorama incontaminato. L’entusiasmo del safari ha preso il sopravvento e il mal d’auto adesso mi è passato, sto molto meglio! Riprendiamo il tragitto sui sentieri sterrati del parco esclusivamente alla ricerca degli elefanti. Superata una curva ci fermiamo ad osservare il paesaggio che per me è il più straordinario visto fin’ora: un enorme acquitrino, circondato da prato e fiori con centinaia di farfalle e qualche gruppo di cinghiali, con in lontananza alberi spettrali e secchi e una particolare cresta rocciosa. Il tutto immerso in una pace perfetta, come solo la natura sa creare. Cominciamo ad essere seriamente preoccupati di non riuscire a vedere però i nostri amati mammiferi, visto che il sole è alto e sta facendo molto caldo. L’autista a questo punto dà il meglio di sé e tenta di seguire le tracce per un sentiero secondario. Lasciamo così la strada principale e intraprendiamo un viottolo dove finalmente la jeep può dimostrare le sue potenzialità. Passiamo un tappeto roccioso, diverse buche profonde e sfioriamo la vegetazione di striscio nei punti più stretti. Questo è il safari come l’ho sempre immaginato! All’improvviso arriva l’urlo di Gianfranco: “Eccolo! Fermo!”. L’autista blocca la jeep e torna indietro. E’ là per davvero l’elefante, nascosto tra la vegetazione che strappa con la possente proboscide per il suo pasto quotidiano. E’ sfuggito alla vista di tutti ma Gianfranco è stato grande! A motore spento, osserviamo per vari minuti in perfetto silenzio l’animale. L’autista dice che ce ne sono altri, almeno tre; poi diventano cinque, ma io ne vedo sempre solo uno! E’ incredibile ma pur così grossi gli elefanti riescono a mimetizzarsi perfettamente tra gli alberi, non l’avrei mai detto! Il nostro esemplare visibile in ogni caso sembra non avere via di uscita: l’unico sentiero libero è quello che dà sulla strada e quindi sono convinto che prima o poi dovrà venire allo scoperto. Invece rimango a bocca aperta quando lo vedo sparire tra la vegetazione, facendosi strada sradicando tutto quello che c’è intorno senza difficoltà! Certo che vederli selvatici è tutta un’altra cosa, io mi ero abituato ai docili elefanti addestrati della Thailandia. Dopo pochi minuti ecco uscirne un paio a pochi metri di distanza. Uno si nasconde perfettamente dietro un albero a mangiare: non riuscirei a riconoscerlo se non l’avessi visto entrare là! Poi finalmente esce allo scoperto l’intero branco. Fa da guida una mamma che protegge un bellissimo cucciolo, poi ne arrivano altri dietro. Seguono la strada sterrata, sono proprio di fronte a noi a pochi metri, è un’emozione grandissima! Nel silenzio profondo si sentono tutti i nostri movimenti e gli scatti delle macchine fotografiche. Ad un certo punto, proprio sul più bello mentre gli elefanti ci passano a fianco, all’improvviso sentiamo il motorino di riavvolgimento del rullino: è Saman che ha finito le foto! Fa un chiasso micidiale e cerchiamo di coprirlo subito. Per fortuna gli elefanti non se ne preoccupano. Passato l’ultimo esemplare davanti a noi, l’autista accende la jeep per stare dietro al branco che dopo qualche decina di metri si getta nuovamente tra la vegetazione. Li abbiamo disturbati e non appena arriviamo nel punto dove sono scomparsi, troviamo ad attenderci l’enorme testa della madre capogruppo che spunta dal fitto verde con un possente e terrificante nitrato! Ci congela spaventosamente, l’autista spegne la jeep e comanda di stare zitti. Non c’era alcun bisogno di dirlo, siamo a dir poco pietrificati, comprese macchine fotografiche e cineprese varie. L’elefante è di fronte a me, Gianfranco e Stefania, ad un paio di metri in linea d’aria, proprio dal lato della jeep dove siamo seduti. Lo vediamo benissimo, è enorme, ha uno sguardo provocatorio e deciso: credo di non aver mai avuto così paura ed allo stesso tempo rispetto per nessun animale prima. Dopo pochi secondi, gira gli occhi e riprende indifferente a mangiare, ma per noi è stata una grande lezione. Siamo tutti convinti che se qualcuno avesse urlato ci avrebbe caricato e rovesciato senza troppi complimenti, poveri noi e povera jeep! L’autista ci spiega che sono tutte femmine, e diventano aggressive quando hanno i loro piccoli da proteggere. Del resto, è comprensibilissimo. Quella che vediamo è la capogruppo, che rimane sempre per ultima a controllare la situazione nei dintorni. Appagati e carichi di adrenalina da questa eccitante esperienza, giunge così l’ora di rientrare. L’autista chiede se siamo soddisfatti e noi gli lasciamo una discreta mancia come ringraziamento: è stato davvero bravo! Durante la via del ritorno, assistiamo all’ultimo eccezionale evento del giorno: un aquila plana proprio davanti a noi e si getta a capofitto sulla strada pochi metri avanti, catturando un serpente e portandoselo sopra un albero. Il tutto dura appena qualche secondo ma è davvero una di quelle scene che pensavo si vedessero solo nei documentari! Torniamo al casello dove viene registrato il nostro orario di uscita dal parco (mezzogiorno in ounto), percorriamo qualche chilometro tra il paesaggio che assume sembianze del tutto simile alla savana, e lasciamo infine la jeep riprendendo il nostro originario pulmino.

Arriviamo al Dickwella e pranziamo, poi riposiamo in stanza stanchissimi. Stefania va a farsi un altro massaggio Ayurveda completo, e poi ci avviciniamo in spiaggia dove passeggiamo per un po’ con i bambini. Troviamo sempre Gian e Upal che ci aspettano, e ne approfittiamo per andare anche in paese a cercare qualcosa da comprare e lasciare loro per la scuola. Rimango piuttosto sconcertato dal fatto che i bambini non possano venire con noi. I Beach Boys ci spiegano che non è saggio camminare in paese con i bambini piccoli perché ci guarderebbero tutti molto male e la polizia ci fermerebbe per controlli. La colpa è della pedofilia, tristemente praticata dagli stranieri, soprattutto europei, che vengono qui a cercare le loro piccole e innocenti vittime. Da non credere! Abbiamo sentito parlare di questi bastardi anche da Gianfranco che ci spiegava qualche giorno fa una brutta storia che si prolunga da qualche tempo qui nei dintorni, ma non pensavamo di essere ai livelli di non poter camminare con dei bambini senza essere guardati come dei mostri. Tutto questo è allucinante e il pensare a quei viscidi luridi esseri che mettono le mani addosso a questi angioletti mi mette una rabbia addosso da ulcera. Altri pensieri su cui riflettere molto stanotte e in futuro.

Ad ogni modo giriamo per i negozi in cerca di qualche vestitino, con l’aiuto indispensabile di Gian e Upal che conoscono le taglie dei nostri cari bambini. Ma non troviamo nulla di particolarmente allettante, la qualità del tessuto è scarsa e non ci piacciono i disegni. Così optiamo per la stoffa bianca degli abitini di scuola. Ce ne vogliono 2,5 metri per ciascuna delle due bambine e 3 metri per la terza più alta. Siccome è tardi ci facciamo dire il prezzo ma decideremo se comprarli per domani mattina. Torniamo al Dickwella ormai buio. Siamo proprio stanchi e in piedi dalle 5 del mattino: stasera si cena e si va a nanna! 28/10/2003 – Dickwella in paese. Tour al tempio di Mulkirigala. Lo spettacolo finale dei fuochi in piscina.

Dopo una lauta colazione ci dirigiamo all’uscita del Dickwella, dove ci aspettano Gian e Upal per andare in paese e comprare la stoffa bianca per gli abitini da scuola dei bambini. Pattuiamo il prezzo per dieci metri di stoffa in 1100 rupie, e torniamo dalla spiaggia facendo la nostra ultima passeggiata con vista oceano qui nello Sri Lanka. E’ strano come l’ultimo giorno in cui si sta in un posto si osservino le cose con una prospettiva diversa, più intensa e purtroppo spesso malinconica. In ogni caso siamo più che entusiasti di partire domani per le Maldive! Prima di arrivare al Dickwella, Gian e Upal ci fanno vedere un ristorante di pesce molto carino. Leggiamo il guestbook dove tanti turisti, tra cui molti italiani, hanno lasciato i loro commenti e le impressioni: tutti favorevoli e superlativi, si mangia proprio bene qua! E guardando il menù, scopriamo che una cena a base di aragosta viene anche meno di quella pagata in hotel: 15 euro in tutto! Dietro al ristorante un signore sta scegliendo, da una grossa scatola in cartone, proprio le aragoste fresche. Ci avviciniamo: mai viste tante in una volta sola! Sono grandi e insabbiate, ancora vive, dentro la scatola. Sediamo su una sedia mentre Upal ci porta un pacco di cartoline che gli abbiamo richiesto, e cominciamo a sceglierle. Dopo una ventina di minuti finalmente le trattative si concludono e raggiungiamo il numero di ben 35! Prima di rientrare lasciamo loro una mancia come ringraziamento per la compagnia, la guida e la simpatia che ci hanno regalato in questi giorni. Una volta in stanza decido di dare anche il mio cappellino a Gian (che l’aveva gentilmente chiesto come ricordo) e il mio vecchio portafoglio in pelle a Upal. Ne rimangono molto contenti e lo considerano un gesto affettivo da tenere come ricordo. Ammetto che siano stati un po’ ossessivi durante questa settimana ma fanno molta tenerezza, sono dei bravi ragazzi. E’ una bella giornata di sole ed essendo ancora presto sentiamo forte il richiamo della piscina dove ci lanciamo per un breve refrigerante bagno. Subito dopo pranzo incontriamo i bambini per lasciargli i nostri regali. C’è anche Mauro che sta dando loro dei vestitini. Noi abbiamo la stoffa da distribuire e lo zaino fornitoci dal tour operator Azemar a Milano, che abbiamo deciso di dare a loro che ne hanno sicuramente più bisogno di noi. Alle tre bambine spetta la stoffa, mentre lo zaino lo regaliamo ad un’altra bambina piccola che ci osserva da lontano, timida timida, abbracciata al padre. Una scena tenerissima e quasi commovente, così come l’ultimo saluto ai nostri cari, simpatici e allegri bambini singalesi.

Alle 15:00 in punto siamo alla reception per attender il pulmino che ci condurrà a Mulkirigala, alle pendici di una roccaforte dove è stato costruito un tempio nella roccia. Il tragitto non dura molto e una volta arrivati ci troviamo in mezzo al verde di una splendida foresta. Scorgiamo lo spuntone di roccia che è la nostra meta da scalare con oltre 500 gradini! Già dai primi passi il paesaggio si fa molto suggestivo e il panorama passa da una visuale di pochi metri tra la fitta vegetazione lussureggiante a scorci all’aperto, sempre più ampi man mano che saliamo verso l’alto. Ad un primo terrazzamento visitiamo una sala letteralmente scolpita nella roccia. Lo sono anche le statue all’interno ci dicono, successivamente pitturate e oggi vivacemente colorate come in ogni tempio buddista. Un anziano signore si avvicina un po’ a tutti chiedendo se conosciamo l’inglese. Tutti rispondono prontamente e furbescamente in modo negativo, mentre il nostro leggero tentennamento ci porterà ad avere questa persona attaccata come una patella durante il resto del percorso. Inizialmente è tranquillo, tenta di spiegarci qualcosa su storia e tradizioni del tempio, ma noi abbiamo già la guida del Dickwella. Ci fa comodo solamente perché rimaniamo staccati dal gruppo per godere in tranquillità del paesaggio e per scattare foto e riprendere a volontà. Dopo altri gradini arriviamo ad un’altra terrazza con un ottimo panorama, dove si vede persino il nostro pulmino in fondo piccolo piccolo. Visitiamo altre due sale nella roccia, e proseguiamo per l’ultimo tratto che risulta un po’ più complicato. I gradini sono anch’essi scavati nella roccia, piccoli e poco profondi, ma ci sono delle corde a cui tenersi e aiutarsi. Salta fuori il primo macaco con berretto, che osserva incuriosito la nostra ascesa. Poi, una volta sopra, ne arrivano a decine a prendere le caramelle. Corrono e saltano da una parte all’altra ma rimangono comunque diffidenti dall’avvicinarsi troppo o nel giocare con noi. Agguantano la caramella e scappano sul ramo più vicino.

Infine ancora una breve camminata conduce alla vera e propria cima della montagna, un balcone con uno strapiombo di oltre 200 metri sulla foresta! Una bella emozione, animata da un altro macaco solitario che ci segue sugli alberi e posa lì, quasi sospeso nel vuoto, a godersi lo strepitoso panorama. Sembra uno di quei posti che nella sua posizione ed isolamento pare adatto tipicamente a eremiti e monaci lontani dal mondo e dall’umanità. Purtroppo, nel vedere un signore che chiede l’elemosina attrezzato con tanto di banco, sedia e cartelli in nome del bene del tempio, mi fa sospettare che anche qui l’odore dei soldi ha rovinato l’atmosfera pura e religiosa del luogo.

Sospetto che viene confermato durante la discesa, quando il signore improvvisatosi nostra guida in inglese, comincia a parlarmi della sua numerosa famiglia da sfamare, di lasciare un aiuto per loro e le solite cose di cui ormai, dopo una settimana, cominciamo ad essere stanchi di sentire.

Il percorso del rientro prevede una sorta di giro ad anello e quindi risulta per un bel tratto diverso da quello dell’andata. Ci sono addirittura più scalini, che in tutto, sommati, sembrano essere circa 530: non male come esercizio per le gambe! Quasi arrivati alla fine, torna ormai ossessiva, quasi una lagna ed una pretesa, la richiesta di mancia del signore che inizia a indispettirmi. La nostra sfortuna è non avere cambio di banconote, così sono costretto a darne una da 500 rupie al signore dicendogli prontamente che gli lascio una mancia di 100 rupie. La più alta che abbia lasciato, tra l’altro, qui nello Sri Lanka seguendo i consigli di Gianfranco il quale sostiene a ragione che 100 rupie sono una mancia più che discreta. Ma il nostro ‘amico’ non è affatto contento, pretende almeno 200 rupie per averci detto due parole in inglese! Rimango allibito e mi pento quasi di avergliene voluto dare 100. Dopo un po’ di battibecco (da parte solo sua perché io non sono affatto né scortese né arrabbiato), ne ritorna con il resto di 300 rupie mentre il nostro gruppo sta salendo velocemente nel pulmino per tornare indietro. A questo punto rimango imbestialito. La sua arroganza nell’essersi appropriato dei soldi che non gli volevo dare è vergognosa, senza alcuna dignità al contrario di altre splendide persone, molto più povere di lui, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare al Dickwella. Insisto nel riavere le altre 100 rupie nella fretta di dover salire nel pulmino ma lui rifiuta perentoriamente. Questo si chiama rubare, ma che bravo, ha imparato bene il mestiere! Non solo, ha il coraggio di andare a chiedere altri soldi ai miei compagni che stanno a loro volta salendo sul pulmino con le stesse patetiche lamentele di mantenere la famiglia, ma a loro non ha neanche fatto da pseudo guida, che coraggio! Come se non bastasse, mi arrivano addosso anche i bambini non appena vedono svolazzare le 300 rupie di resto che il signore mi ha dato, chiedendo a loro volta la loro parte. “Chiedetela a vostro padre” gli rispondo imbufalito, ma ancora in senno per evitare una scenata inopportuna che non mi sembra il caso di fare, rendendomi conto dalle loro facce che probabilmente, da quel padre a cui ho dato 200 rupie, non vedranno neanche uno spicciolo. Ammesso che sia il padre certo. Il mio disappunto ovviamente non è per la quantità dei soldi in sé stessa che per noi è ridicola (parliamo di 2 euro) ma per la totale mancanza di rispetto, l’atteggiamento arrogante, pretenzioso e senza alcuna umiltà di questa persona che vive a sbaffo dei turisti, senza far nulla, in un luogo religioso dove ci si aspetta di trovare persone tra l’altro un attimino più spirituali. Ma dove sono finiti i monaci? Rientriamo al Dickwella alle 18:30, già buio ma ancora in tempo per l’ultimo bagno in piscina. Poi torniamo in stanza e usciamo per la cena. Stasera c’è doppia festa: i venticinque anni di matrimonio di Ambrogio e Gabriella, per i quali abbiamo organizzato una torta a sorpresa, e lo spettacolo notturno in piscina, che pare sia tradizione fare ogni fine settimana per salutare i clienti che vanno via. Appena mettiamo piede fuori dalla stanza però inizia a diluviare! I lampi frequenti illuminano a giorno e la pioggia è talmente forte che non abbiamo il coraggio di attraversare quei pochi metri che dalla passerella di legno coperta superano la piscina e portano alle scale verso la sala di ristorazione. E’ però un grande spettacolo! Per fortuna dopo pochi minuti tutto si placa e possiamo cenare in pace. Se avesse continuato avremmo perso anche lo spettacolo, che invece si farà regolarmente all’aperto di fronte alla piscina. La sorpresa della torta riesce bene e Ambrogio e Gabriella ne rimangono contenti. Per due grandi viaggiatori come loro sarà consuetudine festeggiare in viaggio questi eventi, li invidio proprio! Verso le 22:00 scendiamo in zona piscina, dove ci hanno preparato delle sedie per assistere allo spettacolo. Ci hanno incuriosito molto affermando che sia stupendo. L’atmosfera è grandiosa: è calata la pace assoluta, l’acqua della piscina è immobile e funge da perfetto specchio per le luci e la temperatura è piacevole. Parte la musica e la solita presentazione di Gianfranco, che spiega la storia della rappresentazione che vedremo stanotte. E’ un classico del genere: un principe ed una principessa si innamorano e vivono felici e contenti fin quando i “cattivi” non vengono a uccidere il principe e imprigionano la sua amata. Ma un angelo salverà il principe, che affronterà in duello il cattivo numero uno e libererà la sua principessa. Ebbene, nonostante il tutto possa sembrare banale e scontato, lo spettacolo non lo è affatto: tutt’altro, risulta più che mai spettacolare ed eccezionale! La musica accompagna sempre in modo appropriato il crescere della storia, ma il punto forte dello show risultano la bravura degli attori (gli animatori del Dickwella) unita agli “effetti speciali” dei fuochi e delle luci riflesse sulla piscina. Quando i protagonisti passano con la loro torcia ad accendere altri punti di fuoco e luce sparsi nel grande palcoscenico naturale della piscina, si comincia ad avvertire la magia di questo spettacolo. E quando arrivano i cattivi, dal tetto del Dickwella, volteggiando con le torce infiammate e scendendo dalle altissime palme, è un tripudio. Qualcuno, me compreso, ha sicuramente spagheggiato nel veder saltare dal tetto da un altezza di diversi metri quel ragazzo dritto in piscina, nel punto più basso della stessa, senza alcuna protezione! Per non parlare dello scontro, assolutamente memorabile ed indimenticabile, dei cattivi contro il principe, armati di spade infuocate che nulla hanno da invidiare alle spade laser di Star Wars, con la differenza che questo però è fuoco vero! L’agilità, la prontezza di riflessi e le capacità di questi ragazzi sono davvero incredibili. Chiamarli animatori mi pare del tutto riduttivo, hanno le potenzialità per fare ben altro. Rimaniamo a bocca aperta per tutto lo spettacolo, che dura circa 45 minuti. Poi alla fine scrosciano gli applausi che, pur essendo solo di noi dieci clienti, parevano quelli di uno stadio al goal della propria squadra. Come rito finale c’è quello del cerchio di fuoco, e del salto all’interno di esso per tuffarsi in piscina. Ne nasce così un putiferio tra tuffi, schizzi, giochi. Il fatto però di partire alle 3 e mezza del mattino, cioè tra qualche ora, impedisce a molti di buttarsi spensieratamente in piscina senza dover pensare di buttare poi infradiciati i vestiti che ha addosso, peccato! Mauro e Luca vanno però contro tendenza e si fanno il bagno così come sono: del resto loro hanno un compito preciso e si sono allenati ‘duramente’ in questi giorni per regalare uno spettacolino esilarante di acqua gim in onore di Ambrogio e Gabriella! E bravi ragazzi! Finisce così alla grandissima in un’atmosfera di gioia, serenità e magia, il nostro soggiorno al Dickwella che ci ha regalato intense e profonde emozioni. Torniamo in stanza a chiudere le valigie dal momento che tra un pò si parte. Appena il tempo di un piccolo sonnellino… Il viaggio continua su questo sito nel racconto: Il paradiso di Bandos Island con Azemar Nel mio sito ci sono tutte le foto di quei posti meravigliosi e un forum per aiutare il Dickwella a risorgere.

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