Diario Siriano

LA PARTENZA (2 novembre 2008) Il nostro è un viaggio organizzato, partiamo da Malpensa con un volo diretto per Amman e troviamo subito la coincidenza per Damasco, il servizio, veramente efficiente, è fornito dalla Royal Jordanian (le ali reali). Incontriamo subito la guida siriana: Bashar, l’autista e i nostri compagni di viaggio: tre...
Scritto da: gildam21
diario siriano
Partenza il: 02/11/2008
Ritorno il: 09/11/2008
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
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LA PARTENZA (2 novembre 2008) Il nostro è un viaggio organizzato, partiamo da Malpensa con un volo diretto per Amman e troviamo subito la coincidenza per Damasco, il servizio, veramente efficiente, è fornito dalla Royal Jordanian (le ali reali). Incontriamo subito la guida siriana: Bashar, l’autista e i nostri compagni di viaggio: tre uomini: M., A. E il Sig. G.: sarò l’unica donna della “spedizione”.

Il nostro albergo è l’ EBLA CHAM. Percorriamo la strada che collega l’aereoporto alla città con una certa apprensione: ad agosto, proprio su questo percorso, 17 persone sono morte in seguito ad un attentato. L’hotel è monumentale, con camere ampie e letti ad una piazza e mezza, ma è dislocato in periferia e un servizio di navetta gratuito che lo collega al centro, nonostante le 5 cinque stelle non offre prestazioni di standard occidentale, ma è pulito e confortevole.

PRIMO GIORNO: MAALULA E LE TURISTE IRANIANE La prima impressione di Damasco è quella di una città non bella, dal traffico caotico, caratterizzata da un alternarsi di abitazioni degradate e di costruzioni incompiute con le strutture di cemento a vista . Lasciata la città, siamo già in pieno deserto sabbioso e roccioso, il giallo ed il blu sono i colori prevalenti. Arriviamo a Maalula, situata a 600 mt. Di altitudine. E’ una località di villeggiatura per i damasceni, ma pur trovandosi in una bella posizione, è anch’essa devastata dal cemento.

L’escursione si riscatta per la profonda emozione che proviamo assistendo alla recita del Padre Nostro in aramaico nella chiesa romanica dei SS. Sergio e Bacco. La guida ci spiega che è in corso un progetto per introduzione dell’insegnamento di questa lingua nelle scuole , fino ad ora essa è stata tramandata solo oralmente nell’ambito familiare. Durante la nostra permanenza a Maalula incrociamo più volte un gruppo di turisti iraniani, prevalentemente donne, ricoperte da lunghi mantelli neri. Sono tutti molto allegri, chiassosi e si fotografano a vicenda si comportano insomma come normali viaggiatori. Noi rimaniamo un pò stupiti: non immaginavamo gli iraniani come turisti, invece sono anche molto desiderosi di socializzare, ci rivolgono la parola e vogliono sapere da dove veniamo, vogliono scambiare esperienze ed impressioni.

Lasciata Maalula ci dirigiamo verso la valle dell’Oronte (in arabo “il disubbidiente” perché è l’unico fiume siriano che sfocia nel Mediterraneo). Qui il paesaggio cambia completamente diventando collinare e quasi per incanto, verdeggiante. Ci fermiamo su un’altura e in distanza vediamo il Krak dei Cavalieri: è incredibile! Immenso, possente e bianco, le torri massicce sono tondeggianti: sembra un maniero madioevale francese trasportato, come per incanto in Siria .

Iniziamo la nostra visita: il castello, restaurato dai francesi nel 1936, ostenta maestose rampe di accesso predisposte per l’ingresso di uomini a cavallo, osserviamo le cucine e il refettorio (vi mangiavano a turno 4.000 soldati), i magazzini (la fortezza poteva contenere derrate che ne garantivano l’autonomia per alcuni mesi) , la chiesa gotica, la mensa , gli alloggi degli ufficiali e quelli del comandante. Giungiamo infine sulla torre più alta dalla quale si domina l’intera vallata e nelle giornate serene si può vedere il mare.

Dopo il pranzo lasciamo il Krak alla volta di Homs, che è una città vivace e moderna, ci fermiamo solo per visitare la moschea di Al Walid. L’accesso al bel cortile in pietra a strisce bianche e nere, mi è consentito solo indossando un mantello lungo fino ai piedi con cappuccio (ciò si ripeterà tutte le volte che entrerò in una moschea). All’interno c’è un morto in attesa di sepoltura e su una parete un display elettronico indica le ore delle preghiera nel corso della giornata.

Ci soffermiamo davanti alla tomba del grande condottiero: Al Walid, la spada di Allah, che portò la Siria nella Umma (la comunità dei credenti) e poi usciamo, appena in tempo per vedere il corteo funebre composto di soli uomini (le donne non possono partecipare ai funerali,) che si allontana per i viali della città.

Sono le 17 e il sole sta tramontando, il trasferimento fino a Palmyra avverrà nel buio più fitto.

IL VIAGGIO IN SIRIA A NOVEMBRE COMPORTA QUESTO INCONVENIENTE : LE GIORNATE SONO MOLTO BREVI.

SECONDO GIORNO: PALMYRA E IL BUSINESS DEI LOCULI IN AFFITTO La strada che collega Homs a Palmyra è data dalle guide come “buona”, certo è sicuramente meglio della pista in terra battuta che pare ci fosse fino a qualche anno fa, è asfaltata, ma piena di buche, ci arriviamo dopo tre ore di sbalzi e scossoni da colpo di frusta. E’ buio pesto ma l’albergo, il PALMYRA CHAM, ci accoglie in un modo sontuoso con bei giardini ornati di palme, la piscina ormai disattivata, data la stagione, e una hall con il soffito bombato dipinto di azzurro che ricorda la navata di una cattedrale, alcuni specchi ne moltiplicano all’infinito l’effetto monumentale.

Meraviglia! dalla finestra della nostra camera, attraverso un palmeto, vediamo le rovine della via colonnata illuminate! Solo questo scorcio merita tutti gli scossoni patiti durante il viaggio! L’albergo- cattedrale è semivuoto: ci siamo solo noi (cinque persone) e un gruppo di romani molto rumorosi.

A cena con M. Ci dividiamo una bottiglia di vino rosso libanese della valle della Bekaa (12 euro la small bottle): il gusto è intenso e leggermente resinato.

Il giorno successivo alle 8, con un sole abbagliante ed una temperatura da montagna (per fortuna avevamo le giacche a vento) siamo in coda nella necropoli.

LE TOMBE PALMYRENE sono sicuramente uno spettacolo unico. All’epoca d’oro della città costituivano un buon investimento immobiliare , perché i proprietari ottenevano un cospicuo reddito dall’affitto mensile dei loculi.

Le più spettacolari sono quelle a torre: costruzioni quadrate che potevano raggiungere anche i quattro piani. Ne visitiamo una: la tomba di Giambico. Ammiriamo il soffitto affrescato e il bassorilevo con le immagini dei proprietari, ai lati osserviamo le celle, simili ai loculi dei nostri cimiteri, che originariamente erano chiuse da una lastra di marmo su cui era scolpito il ritratto, estremamente realistico, del defunto. Purtroppo molte di esse sono state distrutte dagli iconoclasti, ma al museo di Palmyra (imperdibile) è possibile ammirarne diverse: l’abbigliamento sontuoso delle signore e i gioielli da loro indossati, danno un’idea del benessere di cui la città, crocevia dei traffici lungo la via della seta, godeva.

Sicuramente l’attrattiva principale di Palmyra è la famosa via colonnata , l’antico decumano. Le colonne, caratteristica unica, sono ornate di mensole, sulle quali un tempo erano poste statue di notabili. Nel pomeriggio al tramonto c’è un momento magico in cui sembra che tutte le rovine si accendano dall’interno di una luce dorata, noi, come tutti i turisti a Palmyra, lo abbiamo goduto dal castello mamelucco che domina la città, l’immagine rimarrà nel cuore.

TERZO GIORNO: DURA EUROPOS, MARI E L’EUFRATE . GRANDE EMOZIONE E REMINISCENZE SCOLASTICHE Partiamo prestissimo, siamo d’accordo con la guida che andremo subito a Deir er Zorr a visitare il museo (anche se il tour non lo prevede). Il paesaggio è come al solito di deserto stepposo.

La costruzione di una diga sull’Eufrate e il lago Assad che ne è derivato , hanno modificato il clima nella zona, causando le piogge e ultimamente anche la neve. Lungo la strada incontriamo pastori nomadi con le loro mandrie.

Deir er Zorr è una città moderna, fondata dai turchi alla fine del 1800, attualmente gode di un discreto benessere grazie al petrolio ritrovato nei dintorni. E’ anche un importante centro agricolo e dispone dell’unico aereoporto nella zona est del paese, che putroppo non viene ancora utilizzato a scopi turistici.

Il museo, molto curato, è dedicato al territorio, dal neolitico fino al periodo islamico, interessantissimi i reperti rinvenuti a Mari e quelli di epoca romana. Alla fine della visita ci concediamo un ottimo thé nel fresco del portico per consolarci della colazione fatta velocemente.

Proseguiamo verso sud in direzione di Dura Europos (città ellenistica del II sec. AC) e Mari (2300 circa AC) e ci reimmergiamo nel deserto, secondo la guida qui in estate la temperatura supera i 40° e il terreno “fuma” per il caldo.

Dura Europos è un’esperienza deludente: le famose mura possenti e scintillanti per le inclusioni di mica, ci appaiono smussate, quasi disciolte nel paesaggio. Il sito è deserto, siamo gli unici visitatori. All’interno della città ci accolgono solo rovine. La guida ci fa notare le fondamenta degli edifici principali di cui rimangono le mura perimetrali, fra cui quelle della famosa sinagoga affrescata, i cui dipinti sono stati trasferiti al museo di Damasco. Al termine del decumano scorgiamo in basso l’Eufrate e ci prende una forte emozione. Quante volte alle elementari abbiamo ascoltato la maestra che ci parlava della Mesopotamia , culla della civiltà occidentale: la terra fra i due fiumi il Tigri e l’Eufrate! Ci fermiano a contemplarlo: anche se impoverito da dighe e canali, conserva un aspetto lento e maestoso quasi consapevole della sua eternità.

Ripartiamo subito per Mari dove arriviamo verso le 13, il cielo è terso ed il sole batte a picco (più di 30°), ci troviamo a pochi km dal confine con l’Iraq dove ad ottobre il bliz delle truppe speciali statunitensi ha causato 5 morti fra i civili, per fortuna ora è tutto tranquillo! Notiamo subito la grande tettoia verde che protegge l’area archeologica, possiamo anche vedere alcuni operai intenti ad uno scavo coordinati da due archeologi. Facciamo una visita veloce del sito, la guida ci fa notare i resti della sala del trono, ancora imponenti, le cui pareti si appoggiano su uno strato di sassolini mescolati a bitume, i magazzini e gli archivi, dove furono rinvenute le tavolette in scrittura cuneiforme, il pozzo dal quale emerse la famosa statua della signora delle acque, ora conservata al museo di Aleppo. Scorgiamo, ma solo in distanza, la Ziguratt, che si presenta come una bassa collina naturale, ma tutti sono stanchi e così si decide di pranzare.

Il bar locale è una tenda beduina: tappeti in terra e sedili bassi, più in là, in una piccola costruzione in muratura, ci sono i servizi, spartani ma puliti Consumiamo con appetito il nostro pasto: pane, pomodori, cetrioli, formaggio, olive, frutta, yogurt e marmellata. Chiacchierando, scopriamo che il nostro autista è druso. La guida ci spiega che si tratta di una setta eretica della religione mussulmana, piuttosto diffusa in Libano, con un proprio libro sacro e riti segreti.

Dopo un ottimo thè offerto dal proprietario (padre di 12 figli), ripartiamo alla volta di Deir er Zorr dove arriviamo che è già buio da alcune ore.

L’albergo FURAT CHAM ci accoglie con la sua hall monumentale, ma per poter spedire una e-mail bisogna andare in centro. Lo raggiungiamo con il pulmino di servizio e gironzoliamo in un dedalo di stradine sconnesse piene di botteghe, alla fine con Bashar riusciamo a trovare uno scantinato che funge da Internet Café. Trasmettere un messaggio si rivela lungo e difficile, ma riusciamo a farcela! Rientriamo in albergo con un taxi (ce ne sono molti a buon prezzo) e ci accoglie un intenso odore di nafta: hanno acceso il riscaldamento: fa freddo e non potremo cenare nella splendida terrazza dà sull’ Eufrate.

QUARTO GIORNO: VERSO ALEPPO Ci alziamo prestissimo. I nostri compagni di viaggio, puntualissimi, sono viaggiatori esperti ed hanno esplorato quasi in tutto il mondo: i due amici M. E A. Amano in particolare i paesaggi desertici ed i viaggi avventura, il sig. G., autodidatta e persona colta, si muove seguendo le orme di Alessandro Magno e dopo essere stato in Iran progetta di vedere l’Usbekistan. Siamo fortunati: la compagnia è piacevole! La strada che collega Deir er Zorr ad Aleppo è considerata un’ autostrada. In Siria le autostrade sono gratuite ma non viene eseguita alcuna manutenzione , questo spiega le buche e gli scossoni sulla strada per Palmira. Ad ogni modo ora il percorso è in buone condizioni e c’è parecchio traffico anche di mezzi pesanti, ci sono pure le stazioni di rifornimento, purtroppo senza servizi igienici, in una di esse troviamo un furgoncino trasformato in bar che offre thè e caffè espresso (cattivo!!).

Ho modo di osservare la palandrana indossata dagli uomini: è una specie di polo lunga fino ai piedi, sotto portano i pantaloni e quando debbono salire o scendere dalla moto, mezzo molto diffuso, la sollevano fino ai fianchi, non mi pare una soluzione comoda! Facciamo una sosta ad Al Racca per ammirare le mura della città, imponenti e ben conservate, vediamo anche molti cartelloni con le teste di Assad padre e figlio circondate da due ali bianche simili a quelle degli angeli, secondo Bashar rappresentano la pace.

Verso le 10 raggiungiamo Sergiopolis, la Rasafa araba. Anche questa è una città morta in mezzo al deserto, potè prosperare grazie alla presenza di monumentali cisterme, tutt’ora visibili, che raccoglievano l’acqua piovana.

Le mura di cinta sono quasi integre e spettacolari. Sergiopolis, luogo del martirio di S.Sergio e meta di pellegrinaggi medioevali sulla sua tomba, fu anche città araba, e, a testimonianza della massima tolleranza religiosa che vigeva nel luogo, rimangono le rovine della basilica paleocristiana trasformata parzialmente in moschea, dove i fedeli delle due religioni potevano pregare gli uni accanto agli altri.

QUINTO GIORNO: IL BAMBINO CON LE UNGHIE DIPINTE DI HENNE’ Dopo quasi sette ore di viaggio giungiamo ad Aleppo. Pranziamo in un locale molto famoso: il SISSI RESTAURANT situato in un’antica dimora signorile, adibita anche ad albergo: questa formula è molto comune nelle principali città della Siria ed offre la possibiltà di vivere un’esperienza particolare, immergendosi in un’atmosfera d’ altri tempi Subito dopo pranzo andiamo a visitare la Cittadella. L’impatto è incredibile: una collina circondata da un fossato in mezzo alla città, con una corona di mura bianche sulla sommità che fa pensare ad un grosso cactus fiorito. La visita è impegnativa e richiede quasi tutto il pomeriggio. Il sito è sempre stato abitato dall’epoca preistorica e la collina si è formata grazie al susseguirsi di insediamenti. All’interno vediamo vestigia romane, moschee e bagni turchi, un grande anfiteatro di costruzione recente, grandi sale che fungono da museo del mobile. Alla fine ci riposiamo su una terrazza che domina l’intera città : molto suggestiva la vista su cupole e minareti, un thè poi lo si beve sempre volentieri! All’uscita notiamo che i dehors dei caffè si stanno animando, molte donne sono sedute in gruppo con i bambini, ci sono parecchi giovani e le ragazze in tenuta islamica chiacchierano con quelle vestite all’occidentale in un clima di cordialità e tolleranza che esprime lo spirito della città dove più religioni vengono praticate e coesistono pacificamente.

Mentre ci avviamo al souk M. Ed A. Si fermano da un ambulante a comprare i famosi SAPONI DI ALEPPO: ce ne sono di diverse forme, colori ed aromi e potrebbero essere un’idea simpatica per un regalo.

Il souk, con le sue grandi gallerie, è maestoso e l’insieme di botteghe e persone è un interessante spaccato della vita cittadina, quanto agli acquisti, la globalizzazione è giunta anche in Siria e le merci cinesi e indiane la fanno ormai da padrone, quindi è molto difficile trovare qualcosa di tipico.

Più interessante e spettacolare è il settore alimentare che offre lo spunto per belle foto, poi da una porta, che a noi sarebbe passata inosservata, entriamo nella grande Moschea. Bashar ci spiega che l’accesso dal bazar era stato creato appositamente per favorire i mercanti e permettere loro di accedere al luogo di culto senza allontanarsi troppo da posto di lavoro.

Ormai è quasi buio e mentre aspettiamo il pulmino che ci porterà, in albergo noto un bellissimo bambino biondo in braccio ad una donna con il il velo integrale, mi avvicino, le faccio i complimenti per il bimbo e lei in perfetto inglese mi risponde dicendo che si chiama Khaled ed ha 5 mesi: è il suo quinto figlio, mi chiede da dove vengo e mi augura un buon soggiorno in Siria, ha una voce giovane, la guardo con attenzione e, sotto il fitto velo, scorgo gli occhiali da vista. Dopo poco mi lascia per salire su una macchina che è passata a ritirarla, Kaled mi saluta con la manina e noto che ha le unghie dipinte di hennè.

Il nostro albergo appartiene alla catena Sheraton e si rivererà l’albergo più confortevole di tutto il viaggio: al buffet troviamo anche la macchinetta con le cialde e ci gustiamo un buon caffè, inoltre è situato a poca distanza dalla Cittadella così dopo cena possiamo uscire a fare due passi. Il monumento illuminato è molto suggestivo, abbiamo tempo di notare che le costruzioni che lo circondano sono case d’epoca con terrrazze piccole e grandi da cui provengono musica e rumore di risate, sono i ristoranti tipici di Aleppo, peccado non avere più tento da spendere qui!

SESTO GIORNO: LA COLONNA DIVENUTA UN SASSO (MONASTERO DI SAN SIMEONE) E IL TRAMONTO AD APAMEA Il monastero è situato nelle vicinanze di Aleppo in cima ad una collina verdeggiante che domina la vallata. Arrivando si ha una sensazione di pace e di frescura .

E’ un bell’edificio romanico nato dall’unione di quattro chiese, purtroppo è ormai in rovina ma dà ancora l’idea di una notevole maestosità. La prima cosa che colpisce l’attenzione è un grosso masso che è ciò che rimane della colonna su cui , a quanto racconta la leggenda, S.Simeone, monaco nel convento ma desideroso di un maggior isolamento, si ritirò a vivere fino alla morte, dispensando miracoli. I pellegrini che si recavano sul luogo per devozione, staccarono nel corso dei secoli numerosi frammenti della colonna fino a trasformarla nel masso che possiamo vedere adesso. Torniamo ad Aleppo per visitare il Museo archeologico. Sapevamo che il pezzo più pregevole era l’enigmatica Signora delle Acque: la statua di una sacerdotessa abbigliata in modo sontuoso ed eleborato, rappresentata mentre versa dell’acqua da un vaso che tiene fra le mani, risalente al terzo millennio avanti Cristo e ritrovata a Mari, ma ciò che abbiamo trovato stupefacente è il grande portale in pietra nera (basalto) che incornicia l’ingresso del museo. Esso proviene da un tempio mesopotamico risalente alla Dinastia Kapara (IX sec. A.C.) ed è formato da alcuni leoni sormontati da figure umane, con strani copricapi conici, che reggono un architrave , uomini ed aninali hanno grandi occhi in pietra bianca e iridi di ossidiana e sembrano rivolgersi al visitatore con espressione sorridente e quasi invitante. Il reperto è purtroppo una copia: l’originale, trasportato a Berlino dopo il suo rinvenimento, scomparve tra i bombardamenti durante la II guerra mondiale.

La collezione conservata all’interno del museo è molto ricca, l’osservazione dei reperti e la lettura delle tavole permette di integrare le conoscenze acquisite con la visita a Mari, Palmyra e Dura Europos.

Purtroppo alle undici e mezza veniano letteralmente scacciati perchè è venerdì ed è l’ora della preghiera: il museo chiude e tutto il personale si reca in moschea.

Lasciamo Aleppo con rammarico per aver avuto così poco tempo per visitarla.

Nel pomeriggio raggiungiamo Apamea. Situata su un’altura nella valle dell’Oronte, questa città, raggiunse il suo massimo splendore nel 300 AC sotto il generale macedone Seleuco I Nicatore che la trasformò in un importante centro politico e commerciale, dandole il nome della moglie persiana Apamea. Di quest’epoca purtroppo non rimangono tracce, ora si possono visitare solo i resti della città romana ricostruita dopo un terremoto dall’imperatore Traiano. Entriamo dalla porta di Antiochia, la città era circondata da mura poderose che avevano diversi accessi, ed incominciamo a percorrere il cardo maximo: la via colonnata, in parte ripristinata da una missione archeologica belga, che vi lavora ancora ogni estate. Essa si dipana per un paio di chilometri, la carreggiata, larga una quarantina di metri, ha un lastricato ancora segnato delle ruote dei carri, ai lati si possono vedere i porticati con ciò che resta delle botteghe dei mercanti. Le colonne, altissime, alcune dellle quali con scanalatura a spirale, sono di un’eleganza estrema, in cima ad una di esse un viso scolpito: secondo la tradizione sarebbe quello di Seleuco Nicatore, il fondatore.

Anche qui siano gli unici turisti e l’atmosfera è particolare, alla fine del percorso sentiamo un canto, si direbbe un canto religioso: un gruppo di ragazzi, probabilmente inglesi, ai piedi delle colonne canta con grande fervore un inno. Ci fermiano per riposarci nella casa del custode dove i sedili sono frammeti di architravi scolpite o tamburi di colonne crollate, ed ammiriamo lo spettacolo del tramonto su questa citta un tempo fiorente ed ora abbandonata.

SETTIMO GIORNO: “VAI INDIETRO QUANTO VUOI NEL TEMPO, E DAMASCO C’E’ SEMPRE STATA” (Mark Twain) Arriviamo ad Hama in serata, piuttosto stanchi e raggiungiamo il nostro albergo: l’APAMEA CHAM, un gigantesco edificio in vetro e cemento con i balconi a bow window. Le stanze, piccole, hanno le finestre bloccate e l’aria condizionata rumorosa e poco efficiente, pazienza! Ci consoliamo guardando lo spettacolo delle norie, le grandi ruote (diametro 2° mt. ), che sono la caratteristica della città. Il mattino successivo a colazione incontriamo il sig. G. Molto entusiasta: è di ritorno dalla sua passeggiata quotidiana di due ore ed ha già avuto modo di ammirare la città che ha trovato piacevole. Ci avviamo a piedi, il centro di Hama ricorda le città turche: case basse, vicoli , archi e sottopassi: molte di queste abitazioni hanno una ruota ancora funzionante. Arriviamo al parco fluviale dell’Oronte e qui la visuale si apre su un piacevole lungofiume dove vediamo altre ruote che girano. Bashar (la guida) ci spiega che esse hanno origine mesopotamica e che furono adottate dalla civiltà araba e diffuse anche in Spagna: sono ruote idrauliche che sfruttando la corrente del fiume, convogliando l’acqua per l’irrigazione dei campi. Un tempo eramo molto più numerose ma ormai stanno scomparendo a causa dei rilevanti costi di manutenzione e delle nuove tecnologie.

Ripartiamo per Damasco: il nostro obiettivo è il museo archeologico. Durante il viaggio ci vengono date notizie sull’economia siriana, molto avvantaggiata dalla scoperta del petrolio nella zona di Deir er Zorr (rende il paese autonomo dal punto di vista energetico), ma prevalentemente dedita all’agricoltura nella parte di territorio (un terzo del totale) non occupato dal deserto, ora anche il turismo sta progredendo, ma sostanzialmente mancano le industrie e il paese è costretto ad importare ogni genere di manufatto, nonostante questo, l’economia è in fase di costante crescita.

Superata la periferia della città con un susseguirsi di concessionarie d’auto delle migliori marche occidentali ed asiatiche, arriviamo al museo archeologico. E’ ospitato in un edificio ottocentesco circondato da un ampio giardino, dove tra cespugli di rose damascene e palme, si possono ammirare lapidi, steli, frammenti di capitelli e di colonne, statue e mosaici, insomma un lapidario esposto alla rinfusa e senza spiegazioni, ma pur sempre affascinante.

All’ingresso è ricostruita la facciata di un castello Omayyade dell’VII secolo.

Le raccolte provenienti da Mari, Ebla ed Ugarit rappresentano il fiore all’occhiello della collezione. Mi soffermo davanti alla teca dove è esposta la statuina di un sacerdote in tenuta cerimoniale, a torso nudo e con la gonna di pelliccia di capra: è di squisita fattura: gli occhi e le sopracciglia sono di lapislazzulo, si fatica a credere che si tratti di un oggetto risalente a quasi 3000 anni prima di Cristo. Rimaniamo incantati anche di fronte agli affreschi della Sinagoga di Dura Europos. Ricostruite in una sala che evoca il raccoglimento della chiesa originaria, le scene tratte dal vecchio testamento catturano l’attenzione per i loro colori caldi e terrosi, le figure umane sono dipinte con uno stile ingenuo, quasi naif: i tratti dei volti ben caratterizzati ed i particolari della vita di ogni giorno riprodotti con grande veridicità rappresentano un esempio unico di arte paleocristiana. E’ impossibile vedere nel dettaglio tutti i tesori che il museo racchiude, riusciamo ancora a visitare con una certa attenzione la sezione di arte islamica, che ci rivela antiche edizioni miniate del Corano, vetri, maioliche ed argenti. All’uscita un grande cartello spiega che nel museo è in corso un progetto biennale di collaborazione italo-siriana per la riclassificazione dei reperti e per la creazione di un archivio informatico.

Come dice la frase di M.T. Damasco è una delle più antiche città del mondo. IL centro storico ha un aspetto vissuto e molto suggestivo con sue le stradine strette e tortuose, ricche di edifici ,all’apparenza semplici, ma che all’interno celano veri e propri tesori. Si tratta di case signorili che ospitavano fino ai primi anni del secolo scorso, famiglie patriarcali. All’interno su uno o più cortili ricchi di alberi e di fontane, si affacciano i locali comuni e al primo piano si trovano le camere da letto. Molte di esse si sono state salvate dal degrado grazie alla trasformazione in alberghi detti “boutique”, perchè offrono in vendita ai turisti oggetti di antiquariato o semplicemente d’antan esposti in grandi vetrine che arredano ristoranti e bar. Pranziamo in uno di questi palazzi e la guida ce ne fa gentilmente visitare altri, che ci lasciano lasciano incantati. Subito dopo pranzo visitiamo la Moschea degli Omayyadi alla quale arriviamo attraversando il souk molto affollato. La ricchezza e la finezza di mosaici che decorano gli esterni, ricordano Ravenna, i colori prevalenti sono l’oro e il verde. Visitiamo anche l’interno dove in una cappella è conservata (pare) la testa di S.Giovanni Battista al quale era dedicata la chiesa cristiana che sorgeva precedentemente in loco. Al termine della giornata, ci aspetta la casa di Anania. Scendiamo una rampa di scale e ci accoglie la piccola chiesa dedicata al santo che accolse S. Paolo e gli ridonò la vista. Al momento è in corso una funzione: in Damasco, città tollerante, vengono liberamente praticate molte religioni. Ci accorgiamo che si tratta di una Messa, naturalmente in arabo.

Prima di ritirarci in Hotel (Ebla Cham) visitiamo il Palazzo Azem, un discreto esempio di architettura islamica, che accoglie un museo del costume e del mobile.

Ultima puntata: due negozi di tessuti per acquistare il famoso tessuto di seta detto “DAMASCO”, purtroppo la delusione è grande: i prezzi sono molto elevati (minimo 100 euro al metro) per stoffe belllissime ma molto rigide e quindi difficilmente utilizzabili per l’abbigliamento, Peccato!

ULTIMO GIORNO: TRIONFO DEL BIANCO E NERO A BOSRA E POI VERSO IL CONFINE CON LA GIORDANIA Prima di lasciare l’Ebla Cham affido fiduciosa le mie cartoline già affrancate all’ impiegato della reception, purtroppo su dieci ne arriveranno solo tre…, in compenso c’è un business center che mi permette di controllare la posta e spedire la mie e-mail.

Due ore di viaggio ci portano a Bosra: grande stupore di fronte ad una città nera costruita esclusivamente in basalto. Anch’essa ha origini antichissime ma noi vediamo la città romana portata al massimo splendore dall’imperatore Traiano.

Dopo la caduta dell’impero essa fu ancora abitata fino all’epoca del protettorato francese e questo le conferisce un’aspetto vissuto, molte abitazioni sono ancora intatte. Le autorità francesi sgomberarono il sito ed iniziarono i lavori di scavo che sono tutt’ora in corso. Visitiamo gli edifici pubblici e poi ci rechiamo alla cittadella araba che ha provvidenzialmente protetto nel corso dei secoli il grande teatro romano, gioiello della città. Restaurato di recente, può accogliere fino a 6.000 spettatori: sul nero delle gradinate spicca il marmo bianco delle colonne che formano la scena creando, un contrasto di estrema eleganza. Ci divertiamo ad esplorarlo salendo e scendendo le gradinate per osservarlo dalle diverse angolazioni, apprezziamo le grandi gallerie di sgombero che permettono l’uscita di tutti i visitatori in meno di 10 minuti, proviamo gli effetti acustici al centro della cavea, insomma giochiamo! Dopo il pranzo raggiungiamo il posto di frontiera di Dara. Bashar ci comunica il nome della nostra guida giordana: Mohamed, dovremo essere noi ad accertarci della sua identità (!!), lui tornerà a Damasco in auto-stop. Ci salutiamo e scendiamo dal pulmino, passeremo la frontiera a piedi. Un grande cartello con l’immagine del Re Abdhalla, in tenuta militare, ci accoglie con un aperto sorriso: benvenuti nel Regno Ascemita di Giordania! FAST SYRIA Il mio viaggio in Siria può essere paragonato metaforicamente ad un fast food itinerante: abbiamo visto moltissimo ma troppo velocemente e non abbiamo mai avuto il tempo di “assaporare” nulla, un itinerario simile avrebbe richiesto un tempo maggiore, almeno 10 o 15 giorni.

La situazione del paese mi è sembrata tranquilla: non abbiamo subito particolari controlli, neanche nelle località turistiche più rinomate e abbiamo trovato la gente disponibile e cordiale.

Per quanto riguarda il cibo: non è stato un viaggio gastronomico. Abbiamo raggiunto la saturazione di mezé (gli antipastini arabi) a base di hummus (purea di ceci) e di piatti unici di couscous e montone. Il vino, sia siriano che libanese, è buono ma un pò caro, volendo si trova anche la birra.

Viaggiare nel mese di novembre ci ha favorito dal punto di vista climatico perchè non abbiamo dovuto sopportare temperature elevate, ma ci ha svantaggiato per la brevità delle ore di luce pomeridiane: al confine con l’Iraq il tramonto avveniva alle 16,30.

Consiglio a chi si volesse recare in questo bellissimo paese di viaggiare in ottobre, pare che sia il mese ideale e consiglio anche di fare un minimo di approfondimento storico-artistico-culturale e religioso, prima della partenza, in modo da poter apprezzare con maggiore consapevolezza ciò che la splendida Siria è in grado di offrire. happy slow syria!



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