Diario di vita: Gran Canaria
Dopo i primi giorni di smarrito ambientamento, in cui ogni cosa è davvero nuova e la gente incredibilmente gentile, grazie agli amici-colleghi imparo a conoscere l’isola, la sua filosofia e il suo stile di vita, completamente diversi rispetto a quelli delle mie colline piacentine. A svegliarmi non è più la brezza delle foglie d’acero, ma la vista dei buggy tra le palme, guidati dai mattinieri dei golf; la sera non ci sono più libri e tv, ma passeggiate a strapiombo sul mare e lunghe chiamate via Skype. Quando il bancone della reception non reclama la mia presenza, e la mia testa non esplode fra problemi a cinque stelle strillati in mille lingue diverse, mi avventuro fra le bellezze dell’isola, proprio come una vera turista (quasi) per caso.
Ogni paese a Gran Canaria è piccolissimo, sviscerabile in mezza giornata, mentre i trasferimenti in pullman (per chi, come me, non possiede o non desidera noleggiare una macchina) richiedono più tempo e scienza: gli orari riportati su internet non sono mai quelli delle singole fermate, bensì calcolati sul capolinea, rendendo quindi necessario di volta in volta fare una stima dei minuti di partenza e arrivo, in base alle mappe e al proprio istinto.
Il mio primo giorno di libertà è dedicato all’esplorazione di Mogán, che col suo porticciolo raccolto e le viuzze drappeggiate di buganvillee costituisce una delle destinazioni preferite sia da abitanti che da vacanzieri. Vago a zonzo, mi godo la vista dell’immensa distesa oceanica dall’alto del mirador e compro gioielli e souvenir in pietra lavica, una delle tipicità di questa isola vulcanica. Proprio a causa di questa sua origine, il colore della sabbia a Gran Canaria si mantiene sempre su sfumature d’ocra, e di conseguenza il mare non colpisce per limpidezza, pur essendo uno fra i più puliti del mondo. Per i nostalgici delle tinte coralline diventa quindi d’obbligo la tappa ad Anfi, raggiungibile a piedi dalla fermata di Patalavaca, che con la sua distesa di granelli bianchi artificiali fa risaltare benissimo la trasparenza delle acque che la lambiscono. Una cosa che imparo dopo qualche settimana di permanenza è che, nonostante le sue modeste dimensioni, l’isola ha di tutto: lunghe dune del deserto e baie ristrette; oceano blu scuro e acque turchesi; colline bruciate dal sole e montagne rigogliose; calore intenso in spiaggia e freddo sferzante alle altitudini più elevate.
Nel tempo, mi passano a trovare la sorella e il fidanzato, felici di poter indossare il costume da bagno per l’Epifania, ma impressionati dalla Kalima, la tempesta di vento e sabbia che quest’anno si è imbattuta impietosa sulla spiaggia, rendendola semi-impraticabile per svariati giorni. Tuttavia, Sara non dimenticherà mai i canti che tutti i ristoratori di Meloneras le hanno dedicato in occasione del suo compleanno, e a Guido (nonostante la pessima memoria) sicuramente rimarranno impressi i chilometri di scivoloni sulle famose dune di Maspalomas che ci siamo fatti insieme. Per tutti noi, i colori del cielo visti a Gran Canaria sono e rimarranno i più sensazionali che abbiano mai colpito le nostre pupille nella serie dei nostri grandi viaggi, e notiamo che il golf è decisamente lo sport più apprezzato sull’isola, dove ampi spazi vengono riservati a campi per grandi e piccini, esperti e principianti. Decisamente meno importanza invece viene data al cibo, che non offre niente di speciale e, ahimè, fa avvertire in modo acuto la mancanza del mio Bel Paese. Nonostante questo, mi innamoro dei pimientos padrón (peperoncini verdi al sale), dei gamberetti all’aglio e del ron miel (il liquore tipico dell’isola, ovvero rum al miele, che avrò il piacere di provare declinato in una miriade di varianti presso la ronería di Arehucas, piccola, ma pur sempre la più grande di Europa); reprimo presto la mia avversione iniziale per il mojo (la salsa all’aglio, verde/rossa, in cui a tutti i Canari piace intingere le piccole patate lesse tradizionali dell’isola, da mangiare rigorosamente con la buccia) e divento cliente affezionata de El Churrasco e Las Rías, i due locali, rispettivamente di carne e pesce, che con la loro eleganza illuminano dall’alto la passeggiata di Meloneras e con la loro qualità riescono immancabilmente a soddisfare ogni palato. Stringo inoltre amicizia col gestore della deliziosa griglieria El Asador di Puerto Rico, parlo con tantissimi italiani che qui hanno deciso di aprire un’attività o semplicemente di svernare (bergamaschi, veneziani, romani, friulani e persino sardi), e mi diverto al centro commerciale Yumbo di Playa del Inglés, celebre ritrovo gay dove ogni sera è festa, a suon di disco e cabaret. La vita notturna al sud non è particolarmente accesa: i locali sono tanti e diversificati, quasi tutti a ingresso gratuito e aperti ogni giorno, ma concentrati in pochi agglomerati decisamente poco chic, perlopiù centri commerciali (il Plaza col Pacha di Gran Canaria è di sicuro il più famoso e frequentato). Per questo è consigliabile spostarsi qualche volta al nord, nella capitale Las Palmas, a camminare sulla Playa de las Canteras, fare shopping e immergersi nel flusso dei party vacanzieri che culminano ogni giovedì sera con la ruta de los pinchos, quando i bar del bellissimo quartiere storico di Triana offrono stuzzichini e bicchieri di birra e vino a prezzi veramente stracciati. Così, fermandosi di volta in volta nell’uno e nell’altro locale, si è trascinati in un vortice di apericena che dura diverse ore e permette di provare tutte le tapas, le bevande e i formaggi tanto amati dai Canari. Per chi invece fosse in cerca di atmosfere più distese e stilose, è preferibile una serata a bordo piscina sulla terrazza dell’hotel Gloria Palace di Playa Amadores, spiaggia nella quale è piacevole soffermarsi anche di giorno per godersi il sole e fare uno splendido bagno.
Turisticamente, il ricordo migliore che conservo di Gran Canaria è il tour nella zona interna dell’isola, iniziato con la visita alle grotte di Guayadeque, insediamento aborigeno dove una vecchina dimora tuttora, ed esibisce ai visitatori con un gran sorriso il suo letto e la sua cucina, poco più grande di un lavello; proseguendo, abbiamo osservato con occhi stupiti la baita di un contadino eremita costruita nel cratere di un vulcano spento, e avvistato il Monje, la roccia a forma di monaco in preghiera che si staglia piuttosto netta sullo scenario del Roque Nublo, montagna simbolo dell’isola. Abbiamo inoltre ammirato i balconi intagliati in legno di Teror e presagito il peggio quando il pullman, a furia di salire e scendere per i tornanti strettissimi, a un tratto ci ha lasciato a piedi (il guasto si è poi risolto, per fortuna, nel giro di un’oretta). Menzione d’onore mi sento di riservare alla gentile signora che, impressionata dall’herpes che mi troneggiava sul labbro inferiore, mi ha donato un pezzetto di foglia d’aloe, pianta dai mille apporti benefici che qui cresce copiosa, e col suo succo viscoso e filamentoso costituisce la base di numerosissimi prodotti cosmetici e farmaceutici. Altrettanta gratitudine Guido e io dobbiamo attribuire alla bionda signora della Boulangerie di Playa del Inglés, sulla grande Avenida de Tirajana, che con la cura di una mamma premurosa ci ha preparato un’incredibile colazione tedesca, coronata da autentico caffè Lavazza.
Nonostante mi tocchi ammettere, a onor del vero, che vivere a lungo su una piccola isola come Gran Canaria sia un po’ limitante e alle volte soffocante, non potrò mai dimenticare la fuga in giornata a Tenerife (con pranzo sul peschereccio di una collega e vertiginosa salita al Teide), o la vigilia di Natale passata a giocare col calimocho (cocktail a base di vino rosso e coca cola, scadente eppure avvincente) e i dodici chicchi d’uva trangugiati alla mezzanotte del trentun dicembre, con fuochi artificiali e musica ispanica.
…e quel 9 di febbraio, riabbracciando finalmente mamma e papà all’aeroporto di Malpensa, non ho saputo trattenermi dal sorridere di gratitudine al ricordo dei miei fantastici colleghi canari, e a quelle ventidue candeline spente sull’arroz de leche (riso al latte, uno dei disgustosi dolci più apprezzati nell’arcipelago), momento unico e straordinariamente emozionante della mia vita da giovane esploratrice e inarrestabile viaggiatrice.
DOVE MANGIARE: Ristorante Abrasa, a san Bartolomé de Tirajana
DOVE DORMIRE: Hotel Riu, a Playa del Inglés