Diario di viaggio california e hawaii
Direzione stazione di Trento. La valle è deserta, incontriamo solo un paio di camion nelle vicinanze dell’autostrada. Giunti in città, mentre il mio fantastico cuginetto cerca parcheggio, io e Mary corriamo al tabacchino: una scorta di riviste è quello che ci vuole per far passare il tempo! Infatti, tra uno scoop e l’altro… “Din Dan… Trento, stazione di Trento. Treno Intercity Night delle ore 04.37 proveniente da Bolzano diretto alla Stazione di Verona Porta Nuova in arrivo sul binario 2”. Allora è proprio vero! Si parte!! Il convoglio ha per la maggior parte vagoni cuccette, ma noi, non avendo fatto la prenotazione per quel servizio, saliamo nella parte riservata ai comuni viaggiatori. Un’oretta di relax prima di arrivare a Verona. L’atmosfera è stranissima: nello scomparto ci siamo solo noi tre, i nostri bagagli e il ferreo rumore della locomotiva. Ascolto un po’ di musica, vediamo… Gigi D’Alessio…No; misto latino-americano…No; Hits 2007…Neanche; ah ecco: Bryan Adams! Le note delle sue canzoni mi fanno sognare: ricordo che da piccola giocavo a fare la cantante mentre la mamma le ascoltava e me le faceva mettere ancora, e ancora… E adesso, vent’ anni dopo, le riascolto mentre sto per coronare il mio sogno: California.
“Look into my eyes… you will see… What you mean to me Search your hearth… search your soul… And when you find me there you’ll search no more… Don’t tell me it’s not worth dyin’for… You know it’s true… Everything I do… I do it for you…”
La pioggia scivola via sul vetro in mille goccioline, come fossero dei piccoli brillanti illuminati dal primo raggio di sole; i miei due amici dormono: non vedo l’ora di abbracciare Stefano, il mio Stefano.
La stazione è ormai vicina, fortunatamente si sono svegliati da soli! Nella breve pausa che precede il cambio treno, cappuccino e brioches alla nutella sono proprio quello che ci vuole! Mmm… Che profumino … Croissant appena sfornati… Sarei tentata di rapinare la vetrina dei dolci, ma… non si può! Purtroppo il tempo sta per finire, altro treno, altra corsa! Via! Questa volta si trova posto a fatica, del resto è la tipica tratta che percorrono ogni giorno i pendolari che si recano al lavoro… Nel vagone fa un caldo insopportabile… sarà l’inizio dell’estate, sarà l’affollamento, sarà quel cappuccino bollente che ho appena bevuto ma non aspetto altro che scendere e prendere una boccata d’aria fresca! Io e Mary, adesso che iniziamo a carburare un po’ meglio, ci mettiamo a chiacchierare del più e del meno; leggiamo qualche settimanale, commentiamo la moda estate 2007 e fantastichiamo su come sarà il nostro viaggio… un’avventura insolita per un gruppo di amici così giovani, ma che siamo sicure non scorderemo mai.
Mi giro per prendere la bottiglietta d’acqua che ho nella borsa… che strano, c’è un ragazzo con la maglia uguale a quella di mio cugino che sta “attaccando bottone” (e molto bene direi!) con una moretta… mah, allora non ho visto male… è proprio lui! Lo sapevo, non ha resistito… questi uomini…! “Stazione di Milano Centrale”. E’ la nostra! Dobbiamo scendere, forza! Che caldo fa…?! E io che speravo in un’arietta fresca… Niente da fare… Ci sediamo su una panchina all’ombra di un alto albero e aspettiamo che passi il bus navetta che dalla stazione ci porterà dritti dritti in aeroporto. Neanche cinque minuti ed eccolo! “Salve ragazzi, sono Gigi! Datemi pure i bagagli che ci penso io!” Non è la prima volta che prendo un bus navetta per Malpensa, dunque so già più o meno come funziona… finestrini abbassati, aria condizionata accesa, guida “da pirata” (evidentemente a Milano sono abituati così…) e un misto di musica commerciale, afro e caraibica (quando ti va bene e non prendi Radio Maria, soprattutto nei tunnel o passando in certe zone della città). I sedili sono larghi, un po’ vecchiotti ma comodi, di un bel color amaranto. Con noi sono saliti altri due signori, marito e moglie presumo, sulla trentina: lui con un completo jeans e camicia bianca, lei con pantaloncini alla pescatora, maglietta di cotone azzurra e infradito con strass. “Ecco l’entrata” dice Gianluca. Già, siamo proprio arrivati… Scesi dal pulmino ci guardiamo attorno: gli alti finestroni neri dell’aeroporto riflettono i caldi raggi del sole e dagli immensi parcheggi spiccano i bagliori delle carrozzerie. Guardo il cellulare, un sms: “Ciao bella, siete arrivati? Fammi 1 squillo qnd siete all’entrata. Bacio, Stefano”. Mentre Mary e Gian si avviano verso l’ingresso mi fermo un attimo e lo chiamo: “…Tuu…Tuu… Ehi!” – risponde –“Dove siete?” “Ciao, noi siamo al Terminal 2, stiamo per entrare.. Tu dove sei?”, “Vi sto aspettando al check-in, ci vediamo là”. “Ok! Arriviamo!”. Ma… la valigia?! Ah, me l’hanno presa quegli altri due… che spavento! “Grazie!”. Marianna è la prima volta che entra in un aeroporto, non ha mai preso l’aereo prima d’ora. Nei suoi occhi vedo un velo di agitazione, ma faccio finta di niente. Si guarda in giro, è un po’ spaesata. “Che grande” mi dice, “Non pensavo fosse così, me lo immaginavo diverso”. Gianluca intanto è andato a cercare Stefano; li vedo, stanno arrivando. Il suo dolce sorriso rassicura l’atmosfera. Guardiamo l’orologio, ci conviene fare il check-in e poi andare a mangiarci un boccone con calma. Al banco della British Airways c’è già molta fila, ma non disperiamo: uno dopo l’altro arriverà anche il nostro turno! Ok, ci siamo; mostriamo passaporto e biglietti: la banconista controlla che i nostri nominativi siamo inseriti nella lista passeggeri: tutto regolare, passiamo al controllo peso bagagli e alla conseguente emissione delle etichette (per il riconoscimento del bagaglio, sulle quali è presente un codice a barre con relativo nome, numero del volo e aeroporto di destinazione); opss… il peso eccede di sei chili… Mmm… lo sapevo io che non ero l’unica a portarmi l’armadio intero! L’addetta ci invita cortesemente ad alleggerire il bagaglio oppure pagare la differenza. Trentaquattro euro di multa! (La prossima volta devo ricordarmi che non è vero che gli uomini portano solo l’essenziale… e poi dicono alle donne…!) Comunque, paghiamo il nostro amaro conto e ci dirigiamo verso il controllo documenti. Nessuno dice più una parola… “Ma ragazzi, che vi prende? Non è successo niente… può capitare su!” Provo a sdrammatizzare, ma non mi sembrano molto convinti… Va beh… Il controllo bagaglio a mano procede alla grande, il metal detector no ha suonato e i documenti sono tutti in regola. Finalmente! Niente più valige e preoccupazioni! Siamo entrati ufficialmente all’interno del Gate 7A: ma che bello! Qui l’atmosfera è molto più vivace e solare! Guardiamo un po’ le destinazioni dei voli: Miami, Cuba, Santo Domingo, San Francisco (il nostro!!), Rio de Janeiro… lo credo che siamo tutti contenti! “Pizza?” Chiede Stefano. “Volentieri!” Gianluca si è già seduto a prendere i posti… Bravissimo! Ordiniamo una maxi pizza coloratissima! “Ahi, scotta!” La mozzarella fumante mi si attorciglia ad dito mentre cerco di afferrare il trancio… Che impresa riuscire a mangiarla! Arriva anche Marianna con due cocacole ghiacciate, una bottiglietta di minerale e un’aranciata… abbiamo occupato tutto lo spazio sul tavolino! Le prossime due orette trascorrono un po’ così, tra una tappa al bar, alla toilette e un giretto ai negozietti di profumi, parei e calzature. “Informiamo i gentili passeggeri che l’imbarco per il volo AZ 7602 delle ore 11.40 con destinazione San Francisco è aperto. Vi preghiamo di disporvi in modo ordinato e presentare l’apposito cupone di volo. Grazie per l’attenzione e buon viaggio”. “Oh! Venite! È il nostro!” Ci chiama Gianluca… Dalle grandi vetrate che danno sulla pista riesco a vedere il nostro aeromobile… un Boeing 737 pronto al decollo! “Wow!” Passiamo attraverso il tunnel, qui l’aria è un po’ irrespirabile causa il caldo… In men che non si dica siamo finalmente a bordo! L’interno è fresco e i sedili azzurro mare mi fanno già pensare a quanto me la spasserò su quelle spiagge da sogno! Siamo fortunati, abbiamo tutti i posti vicini ma… Con una sorpresa… Gianluca sarà il compagno di viaggio della mia amica Mary per ben 9 ore di volo! Chissà… Io nel frattempo mi sono già sistemata nel posto vicino al finestrino, il mio preferito a dire la verità, ho allacciato le cinture di sicurezza e detto una breve preghierina… (non si sa mai…!) Dopo circa quindici minuti di attesa il personale di bordo inizia ad illustrare le norme di scurezza per il volo e il conseguente comportamento da adottare in caso di… beh, non diciamolo, per scaramanzia! Marianna si gira verso di me con un’espressione che non saprei come descrivere… un misto tra la parola “Aiuto” e “Me la sto facendo sotto!”; le faccio un sorriso, ma anche stavolta non serve a un gran chè… In ogni caso il comandante è pronto al decollo… Si accendono i motori… una breve manovra per posizionare il boeing… dal finestrino osservo con un po’ di agitazione le luci a intermittenza blu, bianche e verdi che segnalano la pista… I propulsori sono al massimo, l’aereo inizia la sua corsa verso il cielo… decollo! Siamo in aria! Le grigie palazzine di Milano sono ormai un vecchio ricordo: noi ci dirigiamo verso il blu! Le hostess distribuiscono il catalogo del Duty Free di bordo, assieme alle cuffie per l’ascolto di musica e film e un bicchiere d’acqua. Mi tolgo le scarpe e infilo quei buffi calzettoni di lana giallo canarino; mi terranno caldo durante l’intera fase di crociera. Anche gli altri ho visto che si sono messi comodi… E io ne approfitto per dormire un po’. Apro gli occhi… l’aereo procede silenzioso… tutti sono nel mondo dei sogni… poso lo sguardo sulla schermata di fronte a me per vedere la nostra posizione: stiamo sorvolando gli Stati Uniti! Facendo attenzione di non essere vista, sollevo di poco la tapparella del finestrino e, tra i piccoli cristalli di ghiaccio, assisto ad un tramonto spettacolare… Da quassù il mondo sembra qualcosa di magico… la riabbasso lentamente, contenta di aver provato, anche solo per un breve istante, un’ emozione unica, solo mia. Ascolto della musica e mi coccolo nella soffice coperta. Sono passate ancora un paio d’orette, ormai dovremmo essere vicini! Mi guardo attorno, i passeggeri si stanno risvegliando un po’ alla volta, chi più, chi meno… e chi proprio non ne vuole sapere e continua a russare tranquillo! Le hostess distribuiscono snaks e bevande… succo d’arancia e una fetta di torta di mele… non male! Adesso che il viaggio ha preso una nuova piega, ci scambiamo i posti: Mary viene da me e, mentre i nostri due “boys” giocano a briscola, ci guardiamo un bel film: “Oceans Eleven”: lei lo aveva già visto, io no.
Sono le 10.20 pm ora locale, il comandante annuncia che sono iniziate le pratiche per l’atterraggio. Il personale di bordo distribuisce ad ognuno di noi un foglio prestampato in inglese sul quale indicare nome, cognome, dati anagrafici, numero del passaporto, motivo e durata del soggiorno all’interno degli Stati Uniti d’America. Lo compiliamo. Pronti all’atterraggio; sistemiamo i sedili, ci rimettiamo le scarpe (che nel frattempo si sono congelate con tutta quell’ aria condizionata!) e ci prepariamo allo sbarco. Il boeing si abbassa velocemente, sento le farfalle allo stomaco… Ancora pochi istanti e… “Tonf”, abbiamo toccato terra!! Un applauso si libera nell’aria e il comandante, dopo averci informato sulle condizioni climatiche e meteorologiche, ci dà ufficialmente il “Welcome in California!” Mamma che sogno…! Una musica rilassante inizia a suonare; prendiamo il nostro bagaglio a mano e ci apprestiamo a raggiungere l’uscita. Senza parole. Questa è la mia reazione nel scendere la ripide scale in acciaio che portano all’entrata dell’immenso, luccicante, spettacolare, aeroporto. Seguiamo la massa al ritiro bagagli ma prima… controllo passaporti. Per fortuna il personale è svelto: consegno la certificazione precedentemente compilata e l’addetto mi timbra una facciata del passaporto: “DATE OF ENTRY: 23rd June 2007”. E’ fatta! Aspetto gli altri e andiamo a riprenderci i bagagli… quei costosi bagagli! Io sono stanca morta, ho bisogno di andare alla toilette per rinfrescarmi un attimo le idee. Breve tappa al bar e usciamo. Parcheggiato a circa trecento metri da noi c’è un pullman, ma non uno qualsiasi, il nostro pullman, quello che ci porterà a Mendocino. È di un verde brillante, con eleganti rifiniture dorate. L’autista è un uomo di mezz’età, ben vestito, dalla faccia simpatica. Chiedo se è lui che ci porterà all’hotel, e simpaticamente mi risponde “Yea!”. Beh, non ci resta altro che salire a bordo e lasciarci guidare! Durante il tragitto, tutto curve e sali-scendi, mi guardo attorno, anche se con due occhi un po’ stralunati! Non si vede molto, è buio e anch’io non sono in ottima forma! Il bus effettua circa una decina (forse anche meno) di fermate intermedie ed ogni volta che le porte si aprono l’aria calda dell’asfalto mi accarezza i vestiti. Sono già passate due ore circa dalla nostra partenza ma dell’hotel non c’è traccia. Aspetta… Vedo delle luci… MacCallum House (la nostra incantevole locanda vittoriana); “Oh che bello! – penso – Siamo arrivati!”. Sbattuti dal viaggio e ancora increduli di aver finalmente raggiunto la meta, entriamo nella hall (speriamo di fare presto alla reception… non vedo l’ora di andare a letto!). “Hallo!” una voce proviene dalla sala accanto. La signora, dall’aspetto famigliare e ben curato, ci accoglie con delle bibite fresche, che noi accettiamo ben volentieri vista la nottata che ci spetta! Consegniamo i documenti richiesti, io e Mary prendiamo la chiave della nostra stanza, Gianluca e Stefano fanno altrettanto. Nell’ascensore, dalla luce accecante e pieno di specchi, nessuno dice più una parola. Noi alla room 320, loro alla 336; un bacio e ci salutiamo in corridoio. “Mary, apri te la porta che io intanto ti do una mano a portare dentro i bagagli”. La stanza è bellissima, non molto grande ma quel letto ha l’aria di essere proprio comodo! Mentre Marianna si sistema le sue cose in bagno, io mando un messaggino ai miei genitori, rassicurandoli che sono arrivata ed è andato tutto per il meglio. Dopo essermi fatta una bella doccia fresca mi metto sotto le lenzuola. Buonanotte!
Mendocino, 24 luglio 2007 Guardo l’orologio, segna le 9.17 am. Mmm… che sonno… questo lettino è troppo comodo! Chissà se gli altri due si saranno svegliati… certo che sembro proprio un cannolo siciliano conciata così! Le lenzuola attorcigliate da capo a piedi, solo la punta del naso si salva! Quasi quasi chiamo Mary… sta dormendo come un tasso! Cerco di non fare rumore e lentamente apro la finestra della camera… che sole! La signorina si è girata dall’altra parte… va beh; quest’arietta di primo mattino non è niente male! Ok, mi vesto… no dai, voglio aspettare ancora un po’… si sta così bene qui! “Tonc…Tonc…” “Cos’è questo rumore?” –Mi chiede Mary-; “Indovina…” –Le rispondo sconsolata”. “Oh no!”… sono i cari vicini che stanno “sfondando” la parete nel tentativo di chiamarci! “Buongiorno!” gli urlo; non l’avessi mai fatto! Sono già entrati nella nostra stanza… A questo punto non c’è niente di più scontato di un risveglio a cuscinate direi, vista la situazione! Un’ora dopo… Ce l’abbiamo fatta: alzati, vestiti e colazionati! Inizia la nostra avventura! Facciamo due passi nella cittadina: le strade sono semi deserte, la gente si alza di buon mattino per andare a pescare o recarsi al lavoro in qualche terreno vinicolo dell’immensa Napa Valley… Un fornaio ci invita ad assaggiare la specialità del giorno: pane croccante appena sfornato con marmellata d’ uva nera… una delizia! Qui gli abitanti sono molto ospitali e gentili. Com’è bella Mendocino sotto i raggi del sole! Un piccolo borgo colore del marmo che si affaccia solitario sulle spumeggianti onde dell’oceano che, come tante note musicali, si infrangono sugli irti scogli della costa. La salsedine appiccica la pelle e il venticello marino mi fa il solletico. Approfittiamo della mattinata per fare due passi in riva al mare… è proprio quello che ci vuole, un po’ di relax e tranquillità dopo l’interminabile viaggio di ieri! L’aria salmastra mette appetito, infatti… “Din…Don…Din…Don…”: l’orologio della chiesetta batte l’una e trenta; tutti a pranzo! Gianluca, durante il nostro giretto in centro, aveva notato un caratteristico bistrò: “Emanuel’s”. Vi entriamo. Il fumo grigiastro dei sigari annebbia le scure pareti lignee: grandi quadri porpora vestono l’interno, dando al locale un curioso gusto retrò. “Che strano – penso – , mi sembra di esserci già stata; ha un’aria famigliare…”. Il proprietario, un tipo biondo e “ben piazzato”, ci accoglie con simpatia e ci invita ad accomodare. Beh, non c’è che dire, il menù è superfornito di mille prelibatezze, ma, alla fine, un buon, sano, gigante hamburger americano con patatine fritte non ce o toglie nessuno! Il cameriere prende le ordinazioni e prima di andarsene chiede: “Do you want sauce?” Noi, spavaldi, pensando di fare la nostra bella figura, rispondiamo: “Yea, of course!”. Tempo due minuti e arrivano i piatti: 4 maxi porzioni di maxi hamburger con maxi fettona di “cheese”, cipolle fritte e la nostra fiera “sauce”. Stefano è il primo a divorare “quella cosa”. “?!??”, “Perché ha improvvisamente cambiato colore? È rosso peperone!”. “Ehi, quella è la mia bottiglia di minerale! Non scolartela tutta!”. Mah, si può sapere cos’ha mang… “Aahi!” Altro che “sauce”… questa è una “KILLER SAUCE!” Picccantisssima!!! “Adesso però gli frego io l’acqua visto che la mia è inspiegabilmente sparita!”. La prossima volta mi devo ricordare di non ordinare più salsine strane… Tra una risata e l’altra paghiamo il conto ($ 32,40 più 3,20 di mancia) e ce ne andiamo. Il cielo si sta annuvolando e anche l’oceano ha iniziato ad agitarsi; meglio mettersi la maglia, fa un po’ freschino! Aspettiamo l’autobus che ci dovrà portare a Point Arena Lighthouse (il vecchio faro): non passa nessuno. Ore 3.00 pm; 3.05 pm; 3.12 pm; 3.17 pm, “Ma… ragazzi?! – Chiede preoccupata Marianna – siete sicuri che ci sia il pullman? Perché o l’abbiamo perso o abbiamo sbagliato fermata!”. “Ma no, sta tranquilla – Le rispondo -, dovrebbe essere qui a momenti!” Gian e Stefano intanto stanno chiacchierando a proposito della partita di calcio: anche qui! Uff… “Eccolo!”. È un pullman bianco e azzurro della Greyhound, la rete di trasporti che collega ogni angolo della California. Una volta saliti, mostro la mia card, la carta turistica prepagata comoda per usufruire di svariati serviti senza perdere tempo nel fare il biglietto o inutili code; più o meno una specie di “abbonamento”, con scadenza di 10, 20 o 25 giorni. Il corridoio è illuminato da lucette verdi mela; non c’è molta gente. Dopo circa una mezz’oretta arriviamo a Point Arena. Una gocciolina mi bagna la punta del naso: sta iniziando a piovere. Camminiamo tra le fredde pietre fino ad arrivare alla costa: “Eccolo!”. Il faro. Bianco, imponente, maestoso. Se ne sta lì, solitario, in riva all’oceano a rassicurare i naviganti con la sua luce abbagliante. “Poo”, una voce meccanica, malinconica (il suono del faro), sembra salutarci. Ci avviciniamo sempre di più: taglienti scogli spuntano tra le onde cobalto, il vento scompiglia i capelli. Un’altra gocciolina, un’altra ancora: meglio ripararsi. Troviamo rifugio nei pressi del faro. Guardo Stefano. Come mi manca. È qui, accanto a me, eppure lo sento lontano. Rivolgo gli occhi all’orizzonte: infinito.
Si sta facendo tardi, meglio avviarci. La serata è molto tranquilla, cena in albergo, chicchere e tv. Nelle stanze c’è un romantico caminetto in pietra. Lo accendiamo. Nel bicchiere di Chardonnay vedo riflessi gli occhi di Marianna. Sta sorridendo a Gianluca.
Napa, 25 luglio 2007 Un ragazzo su una macchina dal motore truccato ci passa davanti con fare malizioso. Il sole sta sorgendo nel cielo terso; Stefano e Gianluca sono andati nella caffetteria a fianco a fare colazione. Mi guardo attorno: poche stelle brillano ancora sopra i tetti di Mendocino, riflesse nel crepuscolo dorato.
Da lontano sento il rumore del bus che poco a poco si sta dirigendo verso di noi; prossima meta: Clear Lake. Con mio cugino ammazziamo il tempo giocando a briscola (sebbene io non conosca né “i segni”, né le “mosse tattiche”!), comunque in qualche modo ce la caviamo. “Ahi!” . Oggi l’autista è letteralmente impazzito! O da queste parti sono rimasti al verde per sistemare la viabilità, o tutti i dossi e le buche sono suoi! “Volete una caramella?” –chiede Mary-; “Ma si dai, grazie! Wow! I coccodrilli Haribo! I miei preferiti! Io voglio quello rosso e guai a chi me lo ruba!” –Intimo agli altri-. Dopo circa un paio d’ore di viaggio, finalmente vediamo il lago: Clear Lake, una tranquilla località lacuale di montagna (circa come i nostri laghetti alpini) che fu per molto tempo meta esclusiva di soggiorno di famiglie benestanti e divi del cinema. All’ingresso, nei pressi di Ehrman Mansion, una consueta area pic-nic sulla sponda californiana dello specchio d’acqua, vi sono tante casette in legno con esposti grandi cartelloni pubblicitari, insegne dei vari centri sportivi, bar, paninoteche e pizzerie! Sotto alle grandi querce, l’erbetta fresca e soffice è un richiamo irresistibile per due fannullone come me e Marianna, tuttavia, prese dall’entusiasmo della situazione, ci attrezziamo di sci d’acqua, giubbotto e paracute e ci tuffiamo nell’emozione del parasailing! Il centro mette a disposizione l’assistenza di un istruttore che ci guiderà, passo dopo passo, in questa singolare esperienza! Il motoscafo è pronto al pontile: ho il cuore in gola! Con l’adrenalina a mille mi sistema la mascherina, aggancio gli anelli di sicurezza e mi getto in acqua: “Non è poi così fredda!” Sarà la paura, l’emozione della prima volta “in volo con gli sci”, non so… so solo che non vedo l’ora di part… “AIUTOOO!!!” … “AHAAA!!” . Il motoscafo sta correndo veloce sul lago, le onde mi intralciano la strada: “Cos’è? Un nuovo tipo di slalom a chi riesce a schivare tutti questi salti?!”. Con gli occhiali ormai pieni d’acqua, guardo le mie mani aggrappate alla fune: “Reggerò…?”. Non faccio neanche in tempo a pormi la domanda che… sono in aria! “Sto volando! Ahha!!”. Il cuore batte a mille, la velocità si fa sempre più intensa e ormai sono diventata un tutt’uno con aria, acqua e paura! Finalmente scendo… sono stati dieci minuti da brivido! “Ma cosa ridete??!” –chiedo scherzando a quei “pinguini” che mi stanno prendendo i giro a più non posso! Stanchissima, mi lascio scivolare nel blu del lago… Adesso tocca all’altra “Miss”, vediamo un po’ come se la farà! Beh, non c’è molto da dire, l’aria impaurita e un po’ (ma giusto un pochino!) titubante c’è: “È inutile che adesso fai gli occhioni dolci…” -le grido- “Dai, forza, su! Hai voluto provare? E adesso… “Good luck!” (ti servirà, stanne certa!)”. Tutto sommato anche la sua performance non è niente male; qualche scivolone qua e là ma… è tutta salute! (Oh… “na roba…” non mi sembra molto d’accordo…) Va beh, ormai è andata! Nel frattempo i nostri due spavaldi si stanno arrampicando sulle nude rocce che circondano il parco: funi, imbracature e scarpe anti-sdruciolo sono indispensabili per riuscire nella scalata! “Però, che fisico!” Penso. “Guardali là!”. Mentre loro sono impegnati nel raggiungere la cima, facendo attenzione possibilmente a non cadere come due salami, io e Marianna ne approfittiamo, tra una nuotata e l’altra, per stenderci al sole… Come si sta bene… Sento il caldo dei raggi sulla pelle, il profumo del bosco; un soffio di vento gioca con le fronde dell’acero creando un gioco di ombre sul praticello… “Dov’è la crema? L’hai presa te?” Mi chiede Mary. “Sì guarda, l’ho appoggiata là, sotto l’asciugamano… No… L’altro… Quello arancione… Ok!”. “Non ci posso credere…” Mi dice sorridendo, “Siamo qui, in California, io, te, Gian e Stefano… soli, noi quattro e basta… chi l’avrebbe mai detto?”. “Già…” le rispondo… Mezzogiorno è ormai passato da un paio d’ore, a malincuore lasciamo il posto agli altri turisti giunti in zona e ci dirigiamo verso Napa Valley, nel cuore della produzione vinicola della California del Nord. In pullman ci viene offerta una dissetante bevanda dal sapore fruttato… “Mmm… Buona!”; il suo sapore zuccherino addolcisce la giornata! “Eccoci, siamo arrivati!” – Penso fra me e me – . Marianna va alla ricerca dello sportello biglietteria per acquistare i tikets che ci serviranno per prendere parte al tour guidato di Sterling Vineyards, una maestosa cantina vinicola in stile mediterraneo, circondata da un profumato giardino e una fresca veranda tra i glicini. Passeggiamo per le immense sale buie arredate da file e file di botti in rovere, ben ordinate e suddivise per anno di produzione e tipo di vino. La nostra visita si conclude con un piccolo spuntino in terrazzo, degustando i morbidi sapori caserecci mentre assistiamo ad un caloroso tramonto sulle vigne. Con delle biciclette gentilmente offerteci dai proprietari della cantina, scendiamo un po’ più a valle; pedala, pedala intravedo un vecchio trenino bianco e rosso, che giace lì, solitario, tra i mille grappoli d’uva. Si tratta del Napa Valley Wine Train, un elegante convoglio che in circa tre ore attraversa l’immensa Napa Valley, servendo alta cucina regionale ed ottimi vini. “Vacci piano” –ricordo a Stefano-, che vedo particolarmente entusiasta della serata! “Che prelibatezze… ho una fame…”! L’orologio a pendolo batte le 11.00 pm, anche questa giornata è ormai finita. Prendiamo un autobus di linea, a pochi chilometri di distanza ci attende il nostro hotel. Vi entriamo, il buffo signore alla reception gentilmente consegna le chiavi delle rispettive stanze. Un “clic”, e la lampada si spegne.
Sacramento, 26 luglio 2007 La giornata trascorre alla grande! Abbondante colazione in hotel, qualche incidente di percorso qua e là (guarda caso mi rovescio l’orange juice sui pantaloni, ma come dire… è lo stesso, ormai non è una novità!) e partenza in autobus alla volta di Sacramento, bellissima cittadina immersa nel verde, nonché capitale dello Stato. Passeggiando per il centro colgo un’atmosfera alquanto singolare… non so… è una cittadina moderna, vivace, molto carina ma allo stesso tempo racchiude un fascino unico… come se il tempo si fosse fermato per un attimo ed ora è lì, imprigionato tra le lignee pareti giallastre della Vecchia Scuola, ad attenderci, osservarci… Passeggiando per la Old Sacramento, l’antico rione ricco di fabbricati storici, mi tornano alla mente i film che sono solita guardare la domenica pomeriggio, o che mandano in onda durante i cosiddetti “periodi morti”: storie di famiglie americane, di bambini vestiti in divisa che si recano in queste piccole scuole ad un’unica stanza, dove la maestra (solitamente interpretata da una bella e giovane ragazza), finisce sempre per far innamorare il medico del paese. Così mi immagino alcune scene, provo ad ascoltare le risate di quei fanciulli, ma improvvisamente un grido di disperazione mi entra dentro; è un uomo che implora la sua innocenza nel freddo salone di Hastings Building, ovvero la Corte Suprema per eccellenza della California di un tempo, oggi divenuto uno dei musei più rappresentativi di questa parte di città. Continuiamo il nostro giretto in bici tra le antiche botteghe; le vetrate, ormai logorate dal tempo, hanno perso la loro brillantezza. Pranziamo al Delta King Riverboat, uno degli ultimi traghetti a vapore divenuto oggi un caratteristico hotel e ristorante. E’ di un bel color prugna, con grandi pale che solevano lentamente l’acqua spumosa del fiume. Un profumino di carne alla grigia ci fa venire l’acquolina in bocca… “Buon appetito a tutti”! Nel pomeriggio ne approfittiamo per scoprire la parte nuova della città, in particolare ci rechiamo al “California State Capitol” (il Campidoglio), sede del congresso californiano nel quale il governatore svolge ancora oggi la sua attività. Marianna si mette ridere: “Sistemati i capelli che magari incontriamo “Rambo”! Eh si… questo Paese è un continuo mix di fantasia e leggenda…! Magari incontrare lo statuario Swarzeneger (anche se a dire la verità negli ultimi anni il fisico non è più un granché…)! Il complesso sorge imponente alla fine di un fresco viale alberato, costeggiato da panchine e zampillanti fontanelle in granito. Gianluca, l’addetto alle foto, non perde l’occasione per farci posare come delle star! “Muoviti che ho il sole negli occhi”! Altrimenti poi va a finire che mi scendono i lacrimoni e addio foto! Il sole sta ormai illuminando la capitale con i suoi ultimi raggi; ci rechiamo in albergo.
Una doccia rilassante, un po’ di zapping in tv e scendiamo al primo piano per la cena. Sacramento stasera ospita un gruppo rock molto conosciuto in zona, idolo soprattutto dei teenagers. L’albergatrice ci vende un paio di biglietti e così ci infiltriamo anche noi al concerto! Da urlo!!!
Yosemite National Park, 27, 28 luglio 2007 Ed eccoci a nostro quinto giorno di vacanza! La compagnia si dimosra molto reattiva alla sveglia: “Stano!” Oggi li attende una lunga giornata nel Gold Country, la famosa “regione dell’oro” ed è forse priorio il nome ad entusiasmare tutti! Mary ed io ci chiediamo se valga la pena comperare dell’attrezzatura per cercare l’oro, ma le facce dei nostri due ragazzi ci fanno subito capire che la proposta non è stata molto gradita. (“Eh… Pazienza…). Passeggiando qua e là, tra leggendari sitisilenziosi e botteghe d’artigianato, facciamo un po’ di shopping, mentre Gialuca e Stefano sono spartiti nelle botteghe a fianco rapiti da un’inspiegabile passione per gli oggetti antichi, a tal punto da sentirli “brontolare” quando io e marianna cerchiamo di dare la nostra spiegazione riguardo l’uso di tali arnesi. Una volta giunti in albergo nessuno può impedirci di sonnecchiare un po’: Mary prova ed accendere la tv ma… si trova a fare i conti con gi altri tre inquilini che con fare molto convincente la pregano di stare buona buona e SPEGNERE QUELL’AGGEGGIO! La serata si fa interessante verso le nove e trenta quando usciamo per un drink nelle vicinanze. Grazie ad un look azzeccato e a dir poco perfetto, io e Mary riceviamo complimenti su complimenti! “You are beautiful! Very nice Italian girls!”. Inutile dire come abbiamo reagito gli altri due, ma non è poi così difficile da capire! Buona notte… Dopo aver temuto di annoiare i miei prodi con la sosta a Coloma, ho potuto ricredermi osservando le loro espressioni: questa volta penso proprio di aver soddisfatti tutti! Mary, che ha un’innata passione per il cielo, ha potuto visitare uno deinprimi osservatori astronomici, Gianluca e Stefano, da veri uomini, hanno mostrato un crecente intersse per la vecchia progione ed io… Beh, me la sono spassata vedendoli alle prese con un inglese molto… “Fai da te!”. La giornata è perfetta, i nostri umori anche, quindi, di comune accordo, abbiamo stabilito che ognuno di noi avesse potuto gestire il tempo come meglio credeva; e così è stato! Purtroppo posso solo raccontare il mio pomeriggio, dato che gli altri hanno mantenuto il segreto… “Mah… Che infami!”. Ho approfittao della tranquillità per scattere qualche foto ed immortalare così per sempre quei luoghi leggendari, fatti di case abbandonate, vecchie segherie, miniere d’oro e caratteristici saloon ben conservati. Stamattina ci siamo alzati di buon mattino e dopo un comodo viaggio in pullman, abbiamo trascorso la giornata a Lake Tahoe, cimentandoci in sport acquatici ed escursioni a cavallo fino a raggiungere lo Yosemite National Park.
Oakland, 30 luglio 2007 Finalmente siamo arrivati a Oakland! Sono stanchissima… sono stati due giorni veramente intensi e pieni di emozioni! Ieri abbiamo esplorato lo Yosemite National Park, uno dei parchi in assoluto più rappresentativi, nonché tra i più visitati della California e non solo. Sveglia di buon mattino, incontro all’appostamento dei ranger (con il nostro amico Mike, che abbiamo conosciuto poco dopo il nostro arrivo al parco) e via! Prima di partire facciamo una breve sosta al chiosco e ne approfittiamo per riempire gli zaini; qualche panino, bibite, biscotti e un essenziale kit di pronto soccorso. Siamo pronti! La prima tappa della giornata sono le Yosemite Falls, ovvero le cascate più belle dello Stato. Il percorso è un po’ ripido e tortuoso, ma per fortuna il sole non è ancora troppo caldo e riusciamo a raggiungerle senza troppa fatica! “Ohhh…” Lo stupore di tutti noi di fronte a tale bellezza è indescrivibile… piccole goccioline fresche ci corrono incontro e la nebbiolina che avvolge il laghetto ai piedi delle cascate gioca con la luce in scintillanti striscioline arcobaleno… La foto è d’obbligo! Io e Marianna ci mettiamo in posa… “Cheese…” CLIK! Il ranger è già pronto con il cappello in mano per riavviarsi lungo il sentiero; andiamo! Uff… la temperatura inizia a salire, le pietre della stradina si fanno calde e secche… fortuna che la fitta foresta ci ripara un po’… Dopo circa un’oretta di cammino (interrotta da frequenti soste per rinfrescarci e bere come dei cammelli) raggiungiamo l’Half Dome, un monolite granitico, cima simbolo del parco. La sua mole maestosa è ripresa in centinaia di cartoline, poster, fotografie e manifesti. Seduti all’ombra delle conifere, Mike ne approfitta per darci alcune notizie di carattere generale sul parco; la sua nascita, la conformazione geologica, le specie animali e vegetali presenti e i punti di maggiore attrazione turistica. Il “breefing” dura all’incirca venti minuti, dopodiché siamo indecisi sul da farsi. La seconda parte di visita del parco è prevista per il pomeriggio… Sono le 11.30; “Che si fa?” –Chiedo-. Stefano e Gianluca hanno intravisto un laghetto assolato e suggeriscono di scendere a fare il bagno… “Perché no?!”. Le rive non sono sabbiose, ma soffici praticelli interrotti qua e là da bianchi massi portati dalla corrente del fiumiciattolo. Mentre stendo gli asciugamani e sistemo gli zaini all’ombra, mi accorgo che non molto lontano si trova un punto di noleggio kaiak; “Gian! … “Gian! Ma è sordo?! Gianluca!!” “Cosa?” “Oh finalmente mi rispondi! Guarda là… dai che ne affittiamo un paio e ci facciamo un giretto!” . Neanche a dirlo… cinque minuti dopo arrivano i nostri due ragazzi con i rispettivi kaikak. “Dai mary corri!” Io, ovviamente, salgo con Stefano. “Ci vediamo dopo! Non fate tardi!” -Raccomando agli altri due…!-. Sento il sole che picchia sulla schiena, spero solo di non scottarmi… non ci vuole proprio! Ci sono molti turisti oggi, tutti qui… sembra di essere nel parcheggio del Top-Center di Trento…! Marianna e Gianluca sono già spartiti nel nulla, e anche noi ci stiamo allontanando sempre più… Troviamo un posticino tranquillo nei pressi di alcune rapide (niente di chè, solo qualche spruzzo e salto in più, un po’ come sul “Colorado Boat” di Gardaland, però qui è molto meglio!). Io e Stefano ne approfittiamo per parlare un po’… di noi, della nostra storia (finita ufficialmente ad ottobre) ma in realtà ancora in sospeso… e così passa il tempo senza rendercene conto. La situazione inizia a farsi un po’ imbarazzante, meglio tornare dagli altri e non complicare le cose! Riprendiamo i nostri zaini e ci avviamo verso l’area pic-nic, attrezzata con negozietti di bibite, souvenir e creme solari, alcuni chioschi e una gelateria. Con questo caldo un bel gelato menta a amarena è quello che ci vuole! Sono le 2.30; al meeting-point non c’è ancora nessuno: aspettiamo. Dieci minuti dopo, trafelato e accaldato, arriva il nostro ranger Mike, e con lui anche la jeep che ci porterà a fare l’intero giro del parco. Lungo il percorso vediamo El Capitan, maestoso muro granitico che si staglia per oltre 1370 m dal fondovalle, la città fantasma di Bodie, la più vasta della California oggi preservata come parco storico nazionale (qui ne approfittiamo per fare un giretto a bordo del caratteristico trenino turistico che porta i visitatori attraverso le silenziose case): che strana atmosfera… solo il vento abita ormai questa cittadina segnata dal tempo… In serata raggiungiamo Glacier Point, incantevole punto panoramico sul parco, dal quale assistiamo ad uno spettacolare tramonto sul fondovalle. Senza paragoni. Sono ormai le sette e trenta, inizia a fare buio. Scesi dalle jeep nei pressi dell’entrata dal parco, con calma ci incamminiamo verso i nostri lodge. Cena, doccia e… doposole; mi sono scottata, uff…! La mattina seguente l’abbiamo invece trascorsa in pullman per lo trasferimento dallo Yosemite alla cittadina di Oakland, nella quale ora mi trovo. Siamo arrivati un po’ tardino rispetto al nostro programma, a causa di un incidente che ci ha costretti in colonna per circa un’ora e mezza. Ci siamo fermati in una rosticceria lungo Jack London Square per mettere qualcosa sotto i denti e poi un breve giretto in centro storico. Oakland l’ho incontrata spesso nel romanzo “On the Road” di Jack Kerouac, ma dal modo in cui la descriveva mi ero fatta un’idea totalmente diversa;: più cupa, fredda, “nebbiosa”. Chissà come mai… L’ atmosfera è tranquilla ma vivace allo stesso tempo; gente che corre per i negozi, pendolari a bordo dei tram, manifesti pubblicitari appesi agli incroci e molti viali alberati; piante piccole e semplici, ma che danno un tocco in più! Si avvicina ora di cena, le giornate haimè passano veramente in fretta! Prima di recarci al nostro albergo, ci sediamo per un aperitivo da Heinhold’s First and Last Chance Saloon, caratteristico saloon in legno, risalente all’epoca della Gold Rush, arredato da una moltitudine di quadri, stemmi, locandine, oggetti e “gadget” originali dell’epoca. Ordiniamo l’aperitivo della casa, un mix di succo di frutta di stagione, con rum, zucchero di canna e cubetti di ghiaccio: “Incominciamo bene…!”. Dopo questo “assaggio di felicità” prendiamo il tram numero 12 che ci porta all’hotel; sistemiamo i bagagli in camera e con un certo appetito scendiamo a cena. La serata si prospetta divertente, infatti nella vicina piazza assistiamo ad una rappresentazione di balli folkloristici con musiche tradizionali. Ad assistere allo show sono presenti anche una tv locale e alcuni giornalisti: che serata da VIP! Sausalito, 31 luglio 2007 Oggi ne abbiamo approfittato per dormire un po’ di più… tanto, come si dice: “Siamo in vacanza!”.
Verso le dieci circa andiamo a curiosare al mercato cittadino, momento di incontro della comunità locale, ricco di prodotti afroamercani, asiatici e di origine europea. Ciò che mi colpisce in modo particolare è lo straordinario mix di colori, profumi, sapori e ritmi così diversi ma così vicini tra loro. Ci sono molti banchetti di degustazione, il più delle volte sono proprio i commercianti che ti invitano ad assaggiare i loro prodotti, sperando in qualche acquisto. Il mercato è un’importante evento di richiamo per i turisti, che non perdono l’occasione per portarsi a casa qualcosa di veramente caratteristico e genuino.
Passeggiando lungo Lincon Avenue, circondato da profumatissimi giardini e alte palme illuminate dai raggi del sole, si staglia Mormon Temple; progettato nel 1963, successivamente edificato in cima ad un colle, è l’unico tempio mormone della California del Nord. Lo ziggurat centrale spicca elegante dalle quattro torri più basse che lo circondano, tutte interamente rivestite di granito bianco con lucenti piramidi dorate. Ci avviciniamo sognanti… La fontana del giardino è ancora in penombra. Scattiamo qualche foto, ci guardiamo in giro; non c’è molta gente nei dintorni. Pranziamo al Rockridge Cafè, uno dei locali più conosciti in zona, luogo ideale per addentare un appetitoso hamburger e ascoltare della buona musica anni ’40. Nel primo pomeriggio raggiungiamo Berkeley, rinomata cittadina universitaria, punto focale del Free Speech Movement e della rivolta studentesca contro la Guerra del Vietnam negli anni Sessanta. Passeggiando per il centro, ma soprattutto lungo le vie laterali, ci affascina questo mondo di bancarelle, mercatini con oggetti psichedelici che ricordano un po’ l’epoca hippie… Forte! Ora sì che inizio a riconoscere quella California che mi ero da sempre immaginata…! Tappa indiscussa (sebbene Marianna non sia molto entusiasta) è la rinomata University of California (di Berkeley appunto), una delle più prestigiose del mondo. Davanti all’alto cancello principale, una gentile signora ci invita a prendere parte al tour organizzato del campus. Con noi ci sono una ventina di studenti americani e alcuni turisti che non perdono l’occasione per aggregarsi! Lungo il nostro percorso (della durata di circa un’ora e mezza) visitiamo la biblioteca che custodisce, tra le centinaia di testi scientifici e letterali, la targa che si presume appartenga al noto pirata Sir Francis Drake, risalente ai primi anni del 1500 quando rivendicò la California parte dell’Inghilterra. Proseguiamo il nostro percorso attraverso gli immensi giardini del campus fino a Sather Tower dalla quale ci godiamo una piacevole vista sulla baia. Stanchi morti, ma soddisfatti della giornata, cerchiamo una fontana per rinfrescarci un po’ prima di prendere l’autobus per Sausalito. Fortunatamente il pullman della Greyhound è in perfetto orario… Non vedo l’ora di raggiungere l’hotel! Il viaggio passa in un baleno; pernottiamo a Casa Madrona Hotel, un piccolo albergo vecchio stampo immerso nel verde, con una bella vista sul lungomare.
San Francisco, 4 agosto 2007 Eccomi di nuovo qui! Sono già passati tre giorni e credetemi, sono talmente presa da questa vacanza da non trovare nemmeno il tempo (e la voglia ad essere sincera) di appuntare tutte le mie emozioni! Ci troviamo a San Francisco, per gli amici “Frisco”, la più bella, secondo me, delle metropoli californiane. Sarà per il suo carattere tranquillo, per il clima sereno e molto vivibile (a differenza di quanto ci si possa aspettare da una città che conta alcuni dei centri finanziari più importanti degli Stati Uniti), ma io qui mi ci trasferirei di corsa!! Siamo arrivati lunedì 1 agosto; il tragitto in taxi da Sausalito a qui è stata un’avventura indimenticabile! Nel vero senso della parola! Tutto è iniziato così: io non volevo prendere il pullman, perché ritengo che attraversare il Golden Gate Bridge su di un mezzo affollato e cercare di godermi il panorama con altre 50 persone che parlano, fotografano e quant’altro non sia il massimo… Gianluca era d’accordo con me, ma gli altri due… la mettevano abbastanza sul polemico. “Perché non andiamo in taxi?” – Propongo – “Guarda quanti ce ne sono di liberi!”. Mi guardano malissimo. “Ma sai quanto costa?” Dicono, con gli occhi sbarrati e un’espressione del tipo: “Questa è matta”. Alla fine, dopo un’animata discussione (mettiamola così), siamo giunti ad un compromesso: PRENDIAMO IL TAXI, PUNTO E BASTA. (Più democratica di così…!). Scherzi a parte, ho avuto ragione… Dal finestrino posteriore ci si rende veramente conto di quanto siamo piccoli di fronte ad una costruzione così… così… non ci sono parole per descriverla. Il ponte, color mattone, è perennemente sospeso tra la nebbia, apostrofo caratterizzante della baia. Ci fermiamo in prossimità del centro, beviamo qualcosa in un moderno bar e ci rechiamo alla fermata del bus turistico per un primo sighseen della città. La visita dura all’incirca tre ore (tra uno stop e l’altro) e io ne approfitto per cercare sulla guida i monumenti che ammiriamo.
Finito il tour ci rechiamo in hotel, cena, doccia e una scappatina alla discoteca a di là della strada. Non male come prima serata! La mattina seguente facciamo colazione da Starbuck’s, uno dei locali simbolo dell’America moderna, che ho scoperto in anteprima durante una gita scolastica a Madrid… la vetrina dei dolci era immensa, per non parlare della lunga lista di caffè, cappuccini, frappuccini, succhi d’arancia e ghiottonerie varie. La giornata è stata molto intensa; abbiamo passeggiato per Financial District, il centro, il cuore finanziario di Frisco, per poi tuffarci alla scoperta di quella parte di città più discreta, caratteristica e coinvolgente, dal punto di vista storico, quale Montgomery Street, lungo la quale si trova un distretto dal tipico carattere californiano, con molte facciate storiche in mattoni e granito risalenti ai tempi della “Gold Rush”. Per quanto riguarda invece la modernità e lo sfarzo, lo scintillio della Transamerica Pyramid non passa di certo inosservato; con i suoi ben 260 metri d’altezza vanta il primato di grattacielo più alto della metropoli! Nelle vicinanze si trova inoltre il museo di Wells Fargo & Co., la più grande compagnia bancaria dell’Ovest, nonché l’Embarcadero Center, una specie di immenso centro commerciale con all’interno lussuose boutique, caffè, uffici, giardini, immensi piazzali e perfino l’atrio di un’ hotel! Davvero incredibile…! Ci fermiamo per una sosta al Yerba Buena Center, il parco pubblico nel cuore della città, molto gettonato soprattutto tra i giovani della zona; qui bistro, caffetterie, ristorantini all’aperto e fast food di certo non mancano e noi ne approfittiamo per fare uno snack: la giornata è ancora lunga! Un ragazzo, all’incirca della nostra età, dai capelli neri e occhiali da sole all’ultimo grido, “attacca bottone”. Parla un inglese molto americano, bello da sentire e forse anche un po’ più facile da capire (per lo meno il senso del discorso…)! Con la scusa di chiedermi una sigaretta (che purtroppo per lui non ho) mi spiega che sta frequentando il primo anno di università qui a San Francisco, per la precisione la facoltà di Economia. Per aiutare i suoi genitori a finanziare gli studi, nel tempo libero lavora come guida turistica della città; accompagna gruppi di ragazzi nei vari musei, spiega loro la storia e le curiosità che caratterizzano questi luoghi, in modo da conciliare studio, lavoro e svago. Incuriosita dal suo atteggiamento molto aperto ed ospitale, gli propongo da farci da accompagnatore, visto che siamo arrivati in città da solo un giorno e mezzo e vorremmo riuscire a catturarne tutto il fascino, il mistero e la poesia che l’avvolge. Entusiasta della proposta, non perde tempo in chiacchiere: la visita prosegue! San Francisco è conosciuta soprattutto per la sua atmosfera culturalmente ricca e cosmopolita, che ben si riflette nei brillanti murales che decorano intere facciate dei rioni urbani; molti furono realizzati negli anni Tenta, altrettanti negli anni Settanta, dipinti spontaneamente o su commissione. Christophe ci porta al Carnaval Mural, sulla 24th Street, nel quartiere di Mission; quest’opera dalle tinte sgargianti, sebbene sia il colore celeste a prevalere, è dedicato a tutte quelle persone che ogni anno si radunano per il festival del Carnaval, in tarda primavera, evento clou dell’anno. A seguire, tra Dolores e la 18th Street si trovano alcuni dei migliori esempi dell’arte murale storica, soprattutto nella Coit Tower, dove si trova una prestigiosa serie di pannelli, creati da artisti locali, finanziata dal programma “New Deal” del presidente Roosevelt durante la Grande Depressione. Essi raffigurano scene storiche, nelle quali sono riconoscibili personaggi quali Mussolini, Stalin, Hitler, a testimoniare il ruolo svolto agli artisti nella lotta contro il Fascismo. Sono le 3.30pm, un giretto a China Town direi che si può fare. Beh, non c’è che dire; i profumi delle rosticcerie, la musica e i lampioni rossi ornati da dragoni ci fanno immediatamente capire che siamo arrivati. Rimango incuriosita dalle decine e decine di piccole botteghe ai fianchi dei marciapiedi, piene di oggetti penzolanti, gingilli colorati, stoffe, abiti in seta, spezie, bonsai… sembrano scoppiare da un momento all’altro! Qui a China Town non c’è mai un attimo di tregua: biciclette che sfrecciano agli incroci, carretti in legno carichi di ortaggi, commercianti intenti al lavoro, bar, ristoranti tipici, locali di divertimento… Un caos totale!! Piano piano raggiungiamo Chinatown Allyes, un’insieme di quattro caratteristiche viuzze nelle quali non è raro udire le dolci melodie orientali; poco distante sorge il Tin How Temple, un caratteristico tempio di metà Ottocento dedicato alla regina del cielo. Usanza vuole che la visita per i turisti sia un gesto di buon auspicio… Speriamo bene! Anche oggi il sole sta lasciando il posto al primo luccichio delle stelle. Salutiamo Christophe e ci mettiamo d’accordo per l’indomani mattina.
Doccia, cena in hotel, trucco, tacchi, un velo di profumo e via di nuovo per una romantica passeggiata a Nob Hill, una delle zone residenziali più lussuose dello Stato. Vi arriviamo in taxi; le strade sono illuminate da lucenti scintillii colorati. Scesa dall’auto mi guardo attorno: “Non ci credo…” – mi ripeto – “E’ un sogno…”. Mi sentivo un po’ come Cenerentola ammirando quelle meraviglie; alte palme illuminate, sentieri in ciottoli bianchi attraversano giardini bellissimi, fontane e piscine dalle mille forme e dimensioni regalano alle ville quel tocco di eleganza in più. Spettacolare! E’ già mercoledì. Mi affaccio al balcone della stanza; il cielo è limpido, una lieve brezza marina mi dà il buongiorno mentre osservo l’orizzonte. L’oceano tranquillo gioca con gli scogli lungo la costa. Le nostre tappe principali oggi sono Fisherman’s Wharf, l’antica zona marinara fondata da alcuni pescatori genovesi a fine Ottocento (noi Italiani siamo sempre un po’ ovunque nel mondo!) e l’isola diventata un mito per molti di noi: Alcatraz. Non c’è modo più semplice, caratteristico e intrigante di muoversi a San Francisco se non con i singolari Cable-Car, delle carrozze anni Cinquanta simili a dei trenini, che corrono (si fa per dire) su e giù per un totale di 25 km di rotaie. La città negli anni scorsi fece un referendum per sostituire questi vecchi mezzi di trasporto con tram e autobus molto più moderni e veloci, ma i cittadini difesero l’importanza della tradizione, tanto da abolire il progetto di modernizzazione del trasporto pubblico e dichiarare i Cable-car patrimonio storico cittadino. A bordo c’è un sacco di gente: chi va al la lavoro, chi a fare shopping, chi, come noi, a spassarsela! Devo ammettere che è stranissimo qui dentro; al centro del vagone si trova il manovratore, di origine afroamricana presumo, che coinvolge i passeggeri con canti collettivi. E’ davvero incredibile come la gente qui sia sempre di buon umore! Anche noi ci buttiamo nella mischia e iniziamo a battere le mani a tempo di musica! “Ma immagini fare una cosa simile sull’autobus a Trento?” –Chiedo ridendo a Marianna – “Ci rinchiuderebbero in due secondi!”. Il tragitto è talmente allegro e piacevole da farci scordare quale sia la fermata, ma per nostra fortuna nel frattempo è salito anche il nostro amico Christophe e con lui vicino possiamo davvero stare tranquilli! Gianluca e Stefano hanno subito fatto amicizia, del resto è un ragazzo così simpatico! Eccoci a Fisherman’s Wharf; il profumo del pesce alla griglia mette una certa acquolina! I pescherecci stanno rientrando a poco a poco nella baia dopo la lunga nottata di lavoro in mare aperto: il pesce, successivamente scaricato, lavato dalla salsedine e depositato in grandi recipienti pieni di ghiaccio, andrà al mercato cittadino o sulle tavole dei migliori hotel e ristoranti. Facciamo un giretto lungo il molo per curiosare un po’. Mentre aspettiamo l’ora di pranzo Christophe ci suggerisce di provare un’esperienza unica, non rara, ma sicuramente particolare: il volo in deltaplano. Ci guardiamo; “Andiamo!” –esclamo-. Sento il cuore che batte sempre più forte, le mani sudano, un brivido freddo mi percorre la schiena. Mi lancio dagli scogli. “Hhhh…” Per un attimo ho creduto di precipitare, invece… Da quassù sembra tutto più leggero, tranquillo, silenzioso… Bellissimo, davvero stupendo. Non avevo mai provato una cosa simile (a parte il parasailng a Clear Lake). Il volo dura all’incirca una mezz’oretta, ma non riesco a rendermene conto. I carboni ardenti dei barbecue sollevano un fumo grigiastro; il pranzo è servito! Un simpatico cuoco italiano ci consiglia di provare la specialità locale: un panino spalmato di burro con polpa di granchio del Pacifico cotta alla brace: “Mmm… che bontà!”. Queste cosette mi fanno impazzire! Granchi, aragoste, scampi, crostacei e pesci di ogni tipo sono il massimo per me! Fra poco arriverà il motoscafo che ci porterà all’Isola di Alcatraz, dal 1907 al 1971 ritenuta il penitenziario di massima sicurezza. Penso al film “Fuga da Alcatraz” (realizzato nel 1979) che avevo visto in dvd durante le vacanze natalizie. Mi sono documentata e ho scoperto che in effetti la storia della fuga è vera! Accadde ai fratelli Anglin i quali, con l’aiuto di un altro detenuto, un certo Frank Morris, scavarono i muri delle celle, nascondendo le brecce con grate di cartone. Per architettare al meglio la fuga lasciarono delle teste finte nei letti e si costruirono una zattera per la fuga; non furono mai più ritrovati. La massima sicurezza dei Alcatraz deriva anche dal fatto che le correnti marine, sebbene l’isola si trovi in prossimità della baia, in quello specifico tratto di mare sono particolarmente forti, fredde e vi è un elevato numero di squali. Dopo aver dato queste brevi informazioni (o curiosità per meglio dire) ai miei compagni di viaggio, siamo pronti ad iniziare il nostro tour all’interno del carcere. I corridoi sono lunghi e poco illuminati, le celle disposte una a fianco all’altra suddivise in quattro bracci indipendenti. Nessuna cella, ci spiega la guida, aveva pareti o soffitti esterni. Le fondamenta del penitenziario sono simili alle antiche segrete dei castelli medievali, un continuo aggrovigliarsi di passaggi, cunicoli e percorsi inaccessibili. Ci fermiamo davanti alla cella appartenuta al celebre ospite Al Capone, conosciuto anche con il nomignolo “Scareface” , il gangster dei giorni del Proibizionismo, condannato nel 1934 per evasione fiscale! (Non è una barzelletta… sembra assurdo ma è proprio così!). Nell’area esterna al penitenziario si trovano la ex casa del direttore, gli edifici della caserma, il dormitorio militare, l’obitorio militare, una cisterna per l’acqua potabile, l’area delimitata nella quale venivano eseguiti e controlli con i metal detector e un circolo ricreativo riservato ai militari. Risaliamo sul motoscafo per tornare a San Francisco. Mentre ci allontaniamo rivolgo un ultimo sguardo ad Alcatraz: “Doveva essere dura la vita lì dentro, sempre se si può ancora parlare di vita in quelle condizioni. Chissà quanti avranno cercato di evadere, quanti avranno pianto e scritto lettere di perdono mai lette, quanti avranno incontrato la morte”. Dopo questa “botta di vita” noleggiamo quattro biciclette e con il sole negli occhi scendiamo Lombard Street, la via più tortuosa del mondo! Con calma aspettiamo il prossimo Cable-car che ci riporterà in hotel, tra una canzone e l’altra, giusto in tempo per la cena.
Infine eccomi a raccontare l’ultima giornata a San Francisco. Oggi ci dedichiamo ad un itinerario un po’ insolito: il centro lo abbiamo visitato, la periferia di Nob Hill pure, Chinatown e Little Italy fatti, Alactraz poi non ne parliamo… Quando si parla di “Frisco” non ci si deve scordare che negli anni Sessanta fu la culla della controcultura Hippie e da elegante sobborgo borghese, Haight-Ashbury divenne sede del “Flower Power”, il mondo dei figli dei fiori. Oggi questo vivace centro che si estende da Buena Vista Park alle radure del Golden Gate Park, è una delle località più vive e anticonvenzionali della città, popolata da uno straordinario mix di persone, nazionalità, culture e controculture che ben si sposano con l’ampia miscela di librerie, negozi di dischi e caffè all’aperto. Passiamo il tempo curiosando qua e là alla ricerca di qualche souvenir un po’ particolare… Io acquisto un tamburello in legno e un cembalo con i bordi rossi e dorati e tante paiettes luccicanti. Pranziamo al “Cha Cha Cha”, un ristorante di specialità latino-americane dai ritmi troppo allegri!! Come trovare un paradiso caraibico dietro l’angolo! Il pomeriggio è assolato, fa un caldo terribile. Stefano e Gianluca decidono di prendere un taxi e fare un giro al Finacial District per vedere se c’è qualcosa di particolare in programma per la serata, io e mary siamo d’accordo nell’andare al Buena Vista Park e rilassarci nel verde. La giornata sta ormai per terminare e i primi cocktails al tramonto annunciano il divertimento della notte. Queste sono le ultime ore che trascorriamo in città. Domani mattina inizieremo il nostro tour lungo la costa, scendendo, chilometro dopo chilometro, verso Los Angeles. Mi preparo per uscire nella speranza di ritornate prima o poi, perché nessuno può andarsene da San Francisco senza lasciarci un pezzetto di cuore.
Santa Cruz, 5 agosto 2007 Lungo la mattinata passiamo all’ autonoleggio Alamo per informarci sulle vetture disponibili. Il proprietario ci mostra diversi modelli: Chevrolet, Matiz, Mercedes-Benz, ma noi abbiamo già un’idea ben precisa in merito. Osserviamo il via vai di gente che nel frattempo si è creato nell’ufficio… Non volendo incrocio lo sguardo con una donna che ha appena riconsegnato le chiavi della macchina. “Eccola! Una Cadillac!” Immediatamente blocco il parcheggiatore affinché non me la porti via, chiamo il proprietario e chiedo alcune informazioni tecniche a riguardo. “Ok, è nostra ragazzi!”. Mostriamo i passaporti, compiliamo un paio di moduli, firma, timbro e via! “Chi guida?” – Chiedo- “Io, io! Fatela provare prima a me!” Grida euforico Stefano! “Non c’è problema! Si parte allora!”. Intraprendiamo la “Scenic Drive 49” che parte dal Golden Gate Bridge e corre lungo la costa di San Francisco per un tragitto panoramico fino al Golden Gate Park. Ed è proprio il parco la nostra prima e ultima meta della giornata nei dintorni di Frisco. A piedi ne attraversiamo buona parte (visitarlo tutto è un’impresa abbastanza difficile dato che misura più di cinque chilometri in lunghezza per un chilometro e mezzo in larghezza!). Il punto che in assoluto mi affascina di più e il Japanese Tea Garden, un raffinato giardino con piante dalle forme buffe e straordinariamente singolari, pieno di fiori profumati, laghetti, ruscelli e cascatine scenografiche. Passeggiandovi, tra un labirinto di sentieri che si perdono tra le aiuole, giungo in prossimità di una pagoda. “Ohh…” Lo stupore è immenso. E’ bellissima; realizzata in legno intagliato con precise forme geometriche color porpora, i caratteristici profili all’insù e tante lucine che adornano l’ingresso. Ma il parco custodisce moltissime altre meraviglie, dallo Shakespeare Garden allo splendido acquario presso la California Academy of Sciences. La visita al Golden Gate Park ci occupa buona parte della giornata. Sono quasi le 6.00pm ed è giunta l’ora di salire in macchina e scendere lungo la costa fino a raggiungere Santa Cruz dove ci fermeremo per la cena ed il pernottamento.
Big Sur, 7 agosto 2007 Il risveglio a Santa Cruz non è niente male… Succo d’ananas, frutta di stagione e il profumino di croissant appena sfornati sono l’ideale per iniziare la giornata in allegria! Verso le nove e trenta lasciamo l’hotel per fare una passeggiata sul lungomare, la maggiore attrattiva della città. Ci rechiamo al Santa Cruz Beach Boardwalk, un singolare parco divertimenti “vecchio stampo” che vanta un’autovolante del 1924 ancora perfettamente funzionante! Qui Gianluca, Stefano e Marianna si lasciano tentare dalla magia del Lunapark, io invece curioso tra i clorati negozietti alla ricerca di un bel costume da bagno. Detto fatto: “Trovato!” La signorina alla cassa, dopo averlo pagato (concedendomi perfino uno sconticino!), mi invita ad indossarlo per vedere come mi sta. Posso dire di essermi improvvisata modella per cinque minuti sfilando sul lungo tappeto giallo che dai camerini porta al centro del negozio! Adesso però tutti in spiaggia! Vado a chiamare la “banda” che sta ancora volteggiando su e giù per i trenini… “Ehi! Ehi! Andiamo a prendere il sole?!”. “Sì arriviamo! Aspetta un attimo!”. Mi siedo sotto un ombrellone ad aspettarli. Beh dai, sono strati bravi, il loro attimo è durato solo una ventina di minuti, poteva anche andare peggio…! Approfittiamo del tempo a disposizione per andare in spiaggia, fare il bagno e arrostirci un po’. Il menù di oggi non è niente meno che pesce barbecue con pannocchie arrostite e salsina messicana, gustati all’ombra di una palma in riva all’oceano. Il sole intenso del primo pomeriggio fa brillare l’acqua del mare, colorandola di un turchese mai visto prima. A malincuore lasciamo quest’angolo di paradiso per dirigerci verso Salinas, paese natale dello scrittore John Steinbeck. Lungo il tragitto facciamo una breve soste a San Juan Bautista per ammirare la missione più grande costruita all’epoca della colonizzazione spagnola. “Mah, che strano… ho come l’impressione di avere già visto questo posto…” -Ripete in continuazione Gianluca- “Lo credo!” – gli rispondo – “Ti è famigliare perché Alfred Hitchcock utilizzò la bianca facciata di questa chiesetta per girare una scena de “La donna che visse due volte”, ecco perché la riconosci!”. “E’ vero… cavolo… hai proprio ragione… non avrei mai pensato che si trovasse qui… ma guarda te…”. Scattiamo qualche foto, brevi riprese con la telecamera e via di nuovo con la nostra Cadillac rombante! Salinas stiamo arrivando!
Il giorno dopo… “Mmm… dormito bene?” – Mi chiede Mary ancora assonnata – “Da Dio”- Le rispondo -; “Pronta per il giretto in bici?”. Lei mi guarda e neanche a dirlo di gira dall’altra parte! “Ah iniziamo bene!”. Dopo un po’… “Forza! Animo!”. Scendiamo nel piazzale dell’hotel dove il portiere ci mostra le nostre quattro biciclette (un po’scassate ad essere sinceri, ma è questo il bello dell’avventura!) Stefano è già andato a farsi un giro per provarla, del resto un ciclista come lui non poteva resistere alla tentazione! Riempiamo le borracce, un velo di crema solare (ormai non possiamo più farne a meno, con questo sole!) e via! Pedala, pedala arriviamo in centro, sfrecciamo attraverso le caratteristiche viuzze del borgo e finalmente raggiungiamo la tanto attesa (almeno per quanto mi riguarda) casa natale di Steinbeck. “Incantevole”. Dopo mesi e mesi di lavoro sullo scrittore (mi riferisco soprattutto allo studio di alcuni suoi capolavori), è incredibile trovarsi qui, sulla porta di casa! “Chissà quante volte avrà sceso queste scale alla ricerca di nuove idee per i suoi romanzi” penso tra me e me. Accostiamo le biciclette al muro e vi entriamo. Un signore del luogo ci mostra gentilmente il percorso aperto ai visitatori, attraverso la biblioteca, il salotto e altre stanze nelle quali si trovano raccolte di fotografie, libri ed effetti personali dello scrittore. Il tempo di curiosare un po’ e sono già le dodici meno un quarto. “Meglio ritornare all’hotel e prendere la macchina!” –suggerisco-. Il pomeriggio trascorre tranquillo. Una volta partiti ci fremiamo a Monterey, l’antica capitale della California, per la soste pranzo. Dopodichè scendiamo verso Carmel Mission: fondata da Padre Junipero Serra questa missione era il centro amministrativo di tutte le missioni della California del Nord. Una breve passeggiata nel cortile, nel giardino principale e poi via di nuovo alla volta di Big Sur lungo la Highway 1 che costeggia l’Oceano, uno degli itinerari più suggestivi del mondo. Ed ora eccomi qui, in un’accogliente locanda in riva al mare ad ascoltare il soffio del vento tra gli scogli.
Santa Barbara, 8 agosto 2007 Mi sveglio all’alba, non riesco a dormire. Esco piano dalla stanza e scendo sulla spiaggia. La prima luce del mattino fa risplendere le onde cristalline all’orizzonte: “Brr… com’è fredda la sabbia!”. Scendo in riva al mare, l’acqua mi corre incontro accarezzandomi le caviglie; “Com’è bello qui…”. Non mi stupisce che decine di poeti, pittori ed artisti di ogni genere abbiano soprannominato Big Sur la loro musa ispiratrice… Respiro profondamente, l’aria salmastra mi scompiglia i capelli; siedo sugli scogli ascoltando il mare. E’ una sensazione bellissima, di pace, tranquillità, serenità. Ben presto si alzano anche gli altri; arriva prima Gianluca (strano ma vero!), poi Marianna e infine quel dormiglione di Stefano, tutti pronti un giretto panoramico lungo la costa. In mattinata raggiungiamo Hearst Castle, una delle mete turistiche d’eccellenza sulla strada che porta a Morro Bay. Il parcheggio è al completo, che affollamento! Lasciamo la nostra macchina sul ciglio della strada in prossimità di un chiosco… Speriamo bene! Il castello, che sorge elegante su una collina che domina la vallata sottostante, è la residenza di villeggiatura del proprietario dell’editoria William Randolph Hearst. Ci mettiamo in coda per acquistare i biglietti, fa un caldo terribile… e non c’è nemmeno un angolino all’ombra! Dopo quasi mezz’ora di attesa riusciamo ad entrare… “Che fresco qui dentro! Io non esco più!” – Esclamo sollevata-. Il percorso ci porta attraverso immensi corridoi riccamente decorati, impreziositi di intarsi dorati e pesanti tendaggi. La prima sala che visitiamo è il teatro; tre pareti rosso antico racchiudono lo spazio tra file di poltrone dorate e lucenti lampadari che pendono dal soffitto. Passiamo poi alla sala da biliardo dove uno splendido arazzo francese di inizi ‘500 veste la fredda parete. Il tour prosegue attraverso la sala da pranzo, con un lungo tavolo in legno massiccio imbandito da decine di candelabri in argento, il salotto con un elegante caminetto cinquecentesco, le due “suite celestiali” e il Gotic Study, uno studio gotico nel quale sono conservati centinaia di preziosi libri dietro a spesse grate in ferro. Suggestiva è anche la piscina romana, al piano terra, ma la vera perla del castello si trova all’aperto, tra gli spettacolari giardini di palme e fiori tropicali: Neptune Pool. Realizzata in marmo bianco, fiancheggiata da colonnati, statue mitologiche e una facciata di tempio greco, la Piscina di Nettuno, con i suoi ben 32 metri di ampiezza ricorda un angolo di giardino dell’Eden. Difficilmente trattengo la voglia di fare un tuffo in quell’acqua cristallina… “Anch’io da grande voglio una casa così!”. Con gli occhi ancora sognanti torniamo alla macchina e i metto alla guida. Lungo la strada ci fermiamo ad un Take-away per mettere qualcosa sotto i denti ( e fare rifornimento di bibite fresche dato che sto morendo di sete)! Nel primo pomeriggio arriviamo a Morro Bay, una vivace località balneare, facilmente riconoscibile, oltre che dalla miriade di insegne e cartelloni turistici, dalla singolare collinetta che spunta solitaria tra le onde non lontano dalla riva. Ci fermiamo a Prismo Beach, un bel bagno in mare è d’obbligo! Il sole sta ormai tingendo l’acqua di arancio, è ora di raggiungere l’ultima tappa della giornata: Santa Barbara. Da qui inizio a sentire i ritmi frenetici della vicina metropoli; Los Angeles stiamo arrivando! Los Angeles, 10 agosto 2007 Scendiamo lungo la costa fino ad arrivare a Malibù, meta per eccellenza dei divi di Hollywood. Qui le cifre sono decisamente astronomiche, dai caffè che fiancheggiano l’autostrada alle boutique più lussuose. Sfoglio la guida per cercare qualche notizia in più riguardo la zona; “Ma guarda un po’… qui c’è scritto che una volta la 20th Century-Fox possedeva ben 800 ettari di parco, un set ideale per film quali Mash e Il pianeta delle Scimmie che abilmente modificato con piante tropicali e qualche accorgimento sonoro divenne un ambiente ad hoc per girare South Pacific e Tarzan. Chi l’avrebbe mai detto?”. Fortunatamente oggi il sole è velato a qualche nuvoletta che ci permette di sopportare meglio il caldo della giornata. La strada è molto trafficata, ma non ci scoraggiamo; musica, Coca Cola, occhiali da sole e non ci ferma più nessuno! “Gurda! Un castello fenicio!” –Grida agitata Marianna- “Perché è qui? Cosa ci fa in quel angolo di deserto?”. “Eh… non lo so… ma se ti dicessi che alla tue destra c’è una baita tirolese innevata?!” “Coosa?!” -Mi rispondono tutti in coro- “Eh si, guardate con i vostri occhi!” “Ma… ma…” Nessuno riesce a spiegarselo. E’ proprio vero, qui è sempre difficile riuscire a distinguere la realtà dalla finzione! Un po’ increduli e senza parole ci dirigiamo verso la spiaggia che nel frattempo si è fatta sempre più vicina! Oggi voglio vivere un’emozione tutta californiana: il surf! Malibù è uno dei luoghi più adatti per questo tipo di sport e a giudicare dall’istruttore… vale proprio la pena non perdere l’occasione!! Mi segue anche Marianna (lo credo!!!) e insieme noleggiamo le tavole per un’oretta. I due boys, camicia a fiori, gel e sorriso stampato si sono già lanciati alla conquista di qualche bella americana… Staremo a vedere…! (Secondo me ritorneranno a mani vuote! Ah ah ah!) L’acqua è un po’ fredda, del resto abbiamo a che fare con l’Oceano Pacifico, non con una tranquilla piscina in terrazza! In ogni caso la nostra sfida è andata alla grande! Qualche bevuta, certo, era scontata, molte scivolate, io che a momenti annegavo… Beh, diciamo che era la prima esperienza dai! Verso le dodici lasciamo la spiaggia e raggiungiamo la Baia di Santa Monica, la punta di diamante della costa di Los Angeles; in quest’angolo di paradiso sole, spieggia, surf e ragazze in bikini sono le parole d’eccellenza! Diverse parti della Baia sono rimaste tutt’oggi selvagge ed è proprio questa insolita bellezza primitiva che la contraddistingue! Dato che al mare ci siamo già stati non meno di mezz’ora fa, ne approfittiamo per fare una passeggiata in centro lungo la Third Street Promenade, un continuo susseguirsi di bar, cinema, negozi, chioschi, musei e librerie di ogni tipo; non acaso è uno dei luoghi più in auge della metropoli. Ci fermiamo in un affollato bistro per il pranzo; una bella insalata di frutti di maree è quello che ci vuole con questo caldo! Acqua fresca a volontà e un bel gelato alla menta per concludere la pausa in dolcezza! Adesso però nessuno ha più voglia di alzarsi… “Cosa darei per un’amaca in riva al mare… ah, mi sembra già di sentirmi dondolare…” –esclama sognante Gian- (c’era da aspettarselo…)! Va beh, vista la situazione ci concediamo un paio d’ore di relax all’ombra delle palme. Si sta facendo sera, meglio accendere il motore e avviarsi verso Los Angeles; pungola strada attraversiamo Venice Beach, la versione statunitense della nostra amata Venezia, con tanto di gondole gondolieri originali! Le scintillanti insegne dei pub ci danno il benvenuto in città: siamo arrivati nella capitale del divertimento! Ci sistemiamo in hotel, una belle doccia è quello che vuole dopo una giornata così! Usciamo per la cena… “Guarda un po’… una pizzeria italiana!” –esclamo-. Come si fa a resistere alla tentazione di una pizza fumante?! Eh! Infatti siamo tutti d’accordo!! Nella seconda parte della serata girovaghiamo senza meta lungo i Blvd, adocchiando qualche localino interessante per le serate successive! Stanchi morti verso mezzanotte e mezza rientriamo in albergo… Buonanotte Los Angeles! Los Angeles, 12 agosto 2007 Oggi, giovedì 11 agosto, visitiamo niente meno che Beverly Hills, la zona residenziale per eccellenza del mondo dello spettacolo. Un susseguirsi di ville costosissime, immensi giardini con fontane, piscine e banchetti all’aperto, nonché il Golden Triangle che con i suoi negozi, ristornati e gallerie d’arte è l’anima commerciale tra le più lussuose al mondo. Di fronte a tanto sfarzo è impossibile non sognare… Passeggiando davanti alle vetrine saltano subito all’occhio grandi marche quali Maserati, Lotus, Armani, Cavalli e molte altre prestigiose firme italiane e francesi. Non è facile descrivere a parole l’atmosfera che ci circonda… In mattinata visitiamo il Museum of Television and Radio (per la gioia dei nostri due maschietti); mentre loro si aggirano per le sale osservando e commentando le decine di apparecchi esposti, io e Mary ci sediamo sulle poltrone del salone principale dove assistiamo ad una serie di notiziari e programmi tv (suddivisi in spezzoni, tra i quali appaiono Elvis Presley e i mitici Beatles) delle varie epoche tele e radiofoniche, dal loro debutto ai giorni nostri. E’ inoltre possibile, nel teatro, assistere a degli spettacoli o proiezioni a tema, ma sebbene sia molto interessante non abbiamo tempo a sufficienza. “Sarà per un’altra volta!”- Dico scherzando!-. Usciti dal museo facciamo una passeggiata sotto i portici fino ad intravedere il Beverly Hills Hotel, nido d’amore di grandi attori quali Richard Burton ed Elizabeth Taylor, nonché covo di appuntamenti galanti come quelli tra Marylin Monroe con John e Robert Kennedy. Che romantico! Dopo una brevissima sosta per pranzo ci tuffiamo euforici nel tour organizzato alle ville dei divi, nella speranza di riuscire a beccare qualche VIP! Purtroppo delle star non si è vista neanche l’ombra, in compenso abbiamo posato davanti al cancello di James Stewart, fotografato la villa dello scandalo di Lana Turner, al nr. 730 all’angolo tra Belford Drive e Lomias Avenue (si dice che proprio qui la figlia della star abbia ucciso a coltellate l’amante della madre… “Brrr… Auito!”) e toccato la cassetta delle lettere del mito che ha fatto sognare grandi e piccini di tutto il mondo: Walt Disney. Esausti dopo la lunghissima camminata pomeridiana in autobus raggiungiamo l’hotel. Ok, saremo anche stanchi morti ma… siamo pur sempre a Los Angeles!! Perciò… Cambiati e profumati chiamiamo un taxi e inizia la serata! “Che spasso!!” Luci colorate, insegne intermittenti, un traffico da paura! Ecco “Elley”, come la chiamano da queste parti, un caos totale fatto di realtà, mito e pura fantasia! Ci facciamo lasciare all’etrata dell’Axis, una delle discoteche più alla moda del momento! Che spettacolo però! Davvero incredibile!! Luci, musica, gente, cocktail… un casino unico!! Alle tre del mattino torniamo a letto… no comment! Il giorno dopo…
Rintontiti come pochi ci rechiamo a Sunset Strip, la parte di viale più ricca ed animata dove si trovano alcuni dei nightclub più celebri dell’intera California! Lungo la via (appannati dal riflesso degli occhiali da sole) ci appaiono Viper Room, al nr. 8852, un locale di musica live molto conosciuto in zona, di proprietà del mio amore segreto Jhonny Depp! “Ah… e se mi presentassi ad un colloquio come cameriera? Pensate mi prenderebbe?”. Gli altri tre si girano, abassano gli occhiali e mi guradano con degli occhi da pesci lessi: “In queste condizioni credo di no…” Mi risponde gentilmente Stefano! “Mmm… quanto lo odio! Non è che lui stamattina sia poi molto meglio! Oh… Basta, no gli parlo più”. Poco alla volta ci avviciniamo all’Hayatt Hotel, l’albergo delle rock star di passaggio dove vi alloggiò perfino Jim Morrison durante un tour conil suo gruppo, The Doors. Lungo l’intero percorso l’attenzione viene continuamente distratta dagli immensi cartelloni pubblicitari appesi ovunque. Anch’essi concorrono in un certo senso ad rendere reale l’immaginario di quest’America moderna, adrenalinica, piena di risorse e di sorprese. Dopo pranzo finalmente ci riprendiamo un po’! Ora è il turno dei Paramount Studios, gli unici ancora con sede ad Hollywood. Con la giuda trascorriamo un paio d’ore al loro intreno, prendendo parte al tour che ci permette di scoprire nel dettaglio la storia della casa cinematografica e cogliamo l’occasione anche per vedere il “dietro le quinte” dei più celebri film! Da sballo! I grando orologi segnono ora le tre quattro del pomeriggio: “Corriamo! Hollywood ci aspetta!”. Di corsa scendiamo le lunghe scale degli studios e saltimo al volo (nel vero senso della parola) sul primo taxi libero che ci passa davanti! “To the Mann’s Chinese Thetrae, please!”. Fortunatamente l’autrista è un tipo givane e gagliardo, infatti in men che non si dica, tra un sorpasso e l’altro eccoci qui! Elegante, imponente e celebrato come nessun altro monumento della zona: il teatro cinese, la meta più popolare di Hollywood, preceduto dal famosissimo cortile in cemento che reca gli autografi e le impronte delle stelle del cinema… Un reportages fotografico è d’obbligo!! Il tramonto a “Elley” è uno spettacolo; si riflette sugli alti grattacieli argentei, nelle vetrine delle boutique, tra le ville ed i palazzi che la circondano. Le strade si fanno poco alla volta un po’ meno affollate e noi ci dirigiamo sulla Walk of Fame, il “marciapiede delle celebrità”. Con gli occhi sognanti cerco incessantemente la stella di Tom Cruise, il mio Tom, l’unico e l’irraggiungibile Tom! “Oddio… Eccola!! Oh… perché non me la posso portare a casa?!”. “Ma evelin, è solo una lastra… riprenditi!” –Mi dice stupefatta Marianna… “Ma si lo so, ma vedi… è come averlo qui davanti! Ma guarda!!! E’ la stella di Tom Cruise!! No dico, quel figo di Top Gun! Ma ti rendi conto??!” Mary ha perso le speranze, se ne va. “Cosa darei per incontrarlo… Ah…”. A malincuore scatto qualche foto e mi incammino lungo il viale… Rientriamo in hotel per la cena. La serata però non finisce certo qui! Verso le nove e trenta Gianluca va a prendere la nostra macchina dal parcheggio custodito (adesso che conosciamo un po’ meglio la città possiamo provare a guidare!) e carichi di energia andiamo niente di meno che al Bar Marmont, un locale di tendenza dove non è così raro riuscire ad incontrare qualche VIP! Infatti giusto il tempo di entrate e consumare un dink che ecco spuntare da un’entrata secondaria Jennifer Lopez! “Foto foto veloce!!” Grido a Stefano! “Ma sei pazza? Lo sai che non si può!” “Ma dai chi vuoi che se ne accorga!” . “Non se ne parla!!”. “Ecco… lo sapevo che sarebbe andataa finire così… va beh, almeno una star l’abbiamo vista comunque!”. La nottata passa troppo in fretta, sono già le due e siamo ancora dall’altra parte della città rispetto alla posizione del nostro hotel! Siamo a posto!
Santa Ana, 13 agosto 2007 Che giornata ragazzi! Finalmente un letto fresco e soffice… Ho appena finito di farmi la doccia, Marianna è scesa al bar nella hall per prendere un litro d’acqua frizzante… Ho una sete! La mattinata è trascorsa tranquilla… un po’ di sole a Long Beach, un bel giro in pedalò e un pranzetto ad hoc a Naples, la versione americana della nostra italianissima Napoli, luogo ideale per gustare un ottimo caffè espresso! Il pomeriggio invece è stato un correre contiunuo attraverso gli Universal Studios. La coda per i biglietti era infinita, poi finalmente riusciamo ad arrivare all’entrata e “trac”, un codice d’accesso è errato. Ritorno a fare la fila, fa un caldo insopportabile e per di più la cassiera che era lì un attimo fa ha staccato il turno: “No… non è possibile!” –Impreco tra me e me-. Per fortuna questo piccolo inconveniente si è risolto in quattro e quattrotto e la visita agli Studios è proseguita alla perfezione. Abbiamo passeggiato come dei veri divi lungo i set dei film più famosi e bevuto l’aperitivo all’Universal CityWalk, la mecca del divertimento della California del Sud. Prima di partire ci siamo fermati ad un distributore di benzina, abbiamo fatto il pieno e riconsegnato la nostra bellissima Cadillac in un autonoleggio Alamo. Ci mancherà. Un bus di linea ci ha poi portati fino qui, nella graziosa cittadina di Santa Ana, verso l’interno dello Stato. Ecco Marianna, finalmente… “Ah… che dissetante!” Ora possiamo anche dormire… Notte!
Death Valley, 15 agosto 2007 E’ ancora buio, solo la timida luce del crepuscolo fa capolino in lontananza. Ci prepariamo per il lungo viaggio che da Santa Ana ci porterà dritti dritti nel cuore della Death Valley. Gli zaini sono a posto; controllo le ultime cose: documenti, soldi, carte di credito. “Ok, possiamo andare”! Le moto rombanti sono già pronte sul ciglio della strada, Gian e Stefano ci stannno apettando. Casco, bandana al collo, occhiali da sole e via alla scoperta della terra selvaggia! Quanto aspettavo questo momento… Il viaggio è molto lungo, dobbiamo risalire l’entroterra verso nord-est rispetto a Los Angeles ma per fortuna l’itinerario è ben segnalato e lo seguiemo tranquillamente. Ora posso veramente dire di sentirmi in Californa, quella stessa California che ho visto in decine di film, che ho ascoltato nelle canzoni dei Beach Boys o dei Mamas and Papas, che ho sempre sognato. Lungo la strada ci fermiamo solo una mezz’oretta per fare il pieno di carburante ed uno spuntino, dopodichè ripartiamo immediatamente; non c’è tempo da perdere! Un’ insegna in legno posta ai lati della strada ci da ufficilamnte il benvenuto nel deserto del Mojave, questa immensa area che comprende il parco nazionale della Death Valley e del Joshua Tree. La marmitta cromata riflette i bollenti raggi del sole mentre, come dei banditi della strada, sorpassiamo a più non posso le decine di camion che procedono lenti con i loro camini fumanti (sembra di essere in un film! Straforte!). Dopo un’intera giornata di viaggio eccoci finalmente in prossimità del Furnace Creek Ranch, caratteristico ranch californiano che ci porta un po’ indietro con il tempo. L’indomani mattina, di buon’ora, ha inizio il tour vero e proprio della Death Valley, anticamente soprannominata dai pellerossa “Il paese dove la terra va a fuoco”: e non c’è da stupirsi visto che la località detiene il record della temperatura più altra degli USA! Il nostro percorso, per una lunghezza totale di 380 km, inizia con la visita di Scotty’s Castle, un elegante maniero solitario nel cuore del deserto commissionato da un certo Albert Johnsons per oltre 2,5 milioni di dollari! Il castello in stile moresco, rimasto incompiuto dopo il crollo della borsa di Wall Street, è oggi proprietà del parco, il quale organizza visite guidate degli interni. Un breve giretto tra le stanze e via di corsa verso Stovepipe Village, una sorta di Gohst Town risalente al 1926, ma per raggiungerlo dobbiamo prima attraversare le maestose Sand Dunes: beh, non c’è cosa più bella che affondare i piedi nelle fini sabbie ondulate delle dune… “Venite! E ‘fresca la sabbia! Non scotta! Veramente!”. Dopo questa entusiasmante esperienza, il tour prosegue verso Fornace Creek, un incantevole oasi nel deserto, il cuore della Death Valley. Qui si trovano motel, alberghi di lusso, ranch: “Gurda Evelin, quello è il nostro!” –esclama Mary-, ristoranti, bar e piccoli negozi di alimentari, souvenir e strazioni di rifornimento carburante. All’ombra di palme secolari s trova inotre un piccolo ambulatorio medico per le emergenze. (Speriamo di non averne bisogno)! Ci fermiamo per il pranzo al Wrangler Steakhouse, tradizionale locale per gli manti della carne (baciole, bistecche, pollo o pesce) e dei piatti tex-mex. L’interno è come quello dei vecchi saloon, con i bordi del bancone principale rialzati per lanciare le bevande lungo l’intero corridoio! “Wow! Mancano solo i veri pistoleros!”. Sono le due e un quarto, il sole picchia alto nel cielo… Mentre Stefano paga il conto e Marianna cerca un flacone di crema solare, do una mano a Gian a fare il pieno alle moto e a raffreddare le marmitte incandescenti. “Ok, possiamo ripartire!”. Accendiamo i motori e dopo qualche secondo non rimane che l’ombra di noi, avvolta da una fine polvere dorata. Prossima tappa: Zabriskie Point (“Sì, sì, proprio quello del film!”), punto panoramico che ci offre spettacolari vedute delle variopinte colline del Golden Canyon! Poco più in là, ad una trentina di chilometri di distanza, spuntano aspri dal terreno dei cristallini dossi salini, chiamati Devil’s Colf Corse (e già dal nome si capisce tutto…). L’ultima tappa della giornta è la meta per eccelenza della Death Valley, dove sole, caldo e siccità qui danno il meglio di sé: Badwater. A 85 metri sotto il livello del mare è la località in assoluto più calda e arida del mondo! Lungo la Hwy 127, che successivamente si dirama nella Hwy 190, ritorniamo al nostro ranch. Un bel bagno fresco, una cenetta leggera e perché no, una simpatica cavalcata immersi nel verde delle palme e dei rigogliosi giradini!
Joshua Tree National Park, 16 agosto 2007 Direi che ci siamo ripresi molto bene dalla giornata di ieri! Stamattina lasciamo il ranch e lungo la strada principale scendiamo verso il Deserto del Mojave fino a giungere al Johsua Tree National Park, istituito nel 1936 per la salvaguardia dei Joshua Tree (alberi di Giosuè), la vera attrazione dell’area. Questa singlare specie vegetale, che assomiglia in tutto e per tutto ad un cactus gignate, cresce solo qui; che srano! Facciamo un giretto attraverso Hidden Valley, la “valle nascosta”, un nascondiglio naturale dei ladri di bestiame all’epoca del Far West, ci improvvisiamo cercatori d’oro alla vecchia miniera abbandonata di Lost Horse Mine per poi concludere la nostra giornata a Lost Palm Oasis, oltre 5 chilometri di rigogliose palme verdi e fresche fonti d’acqua zampillante! Un vero paradiso! Qui attendiamo il tramonto sul deserto… “Uno spettacolo!”. L’aria inizia a fresi frescolina, meglio raggiungere l’area campeggio e iniziare a montare le tende per le notte! Domani è un altro giorno. San Diego, 18 agosto 2007 “Noooo!” La vacanza sta quasi per finire! “Forza, non c’è un solo attimo da perdere”! -Mi ripeto-. “Sveglia dormiglioni!!”… (???) -Non risponde nessuno…- “Ma dove cavolo sono and…” “Ah”! Ah! Ah!” –Una risata si leva beffarda dal giardino- “Oggi ti abbiamo fregata! Ci siamo alzati noi per primi!”. Mi rinchiudo nel sacco a pelo dalla vergogna… “Uff!”. Oggi ne abbiamo approfittato per dormire un po’ di più dato che non abbiamo particolari necessità di partire presto… Dopo aver fatto colazione in un vicino chiosco dell’area, in sella alle nostre moto imbocchiamo l’autostrada in direzione San Diego, ma con una piccola deviazione (voluta da tutti!) a Palm Spring. L’incantevole località è uno dei resort più alla moda dell’intera California; una verde oasi nel deserto ricca di fonti d’acqua minerale e tremale, che cominciò ad essere in voga già negli anni Venti e Trenta come località turistica estiva ed invernale. Oggi Palm Springs è il paradiso degli amanti del golf, della pace e del benessere fisico, nonché di chiama l’eleganza, la raffinatezza e lo charm che in un certo senso la contraddistingue. Ma noi di tutto questo ci interessa relativamente poco, c’è solo un motivo ben preciso per cui ci siamo fermati: l’Oasis Water Resort!!! Un eletrizzante parco acquatico con ben 13 scilvoli d’acqua, un “toboga”, idromassaggi a volontà, piscine con acqua termale e onde oceaniche simulate! Uno spasso!!! La giornata trascorre alla grande, tra un tuffo e una crogiolata al sole… “Guarda che tintarella!! Altro che il sole di Riccione!! E aspetta di vederci tra una settimanella… Mancano ancora le Hawaii…!!!” –Esclamo divertita a Marianna che nel frattempo è arrivata con due mega frappè alla frutta…!- “Ah… non mi alzerei più da qui!” –Mi dice con aria sognante-. Anche oggi si sta facendo sera (purtroppo). A malincuore lasciamo le nostre moto cromate presso l’autonoleggio di Palm Springs (Alamo), paghiamo la quota di affitto e in taxi ci dirigiamo verso l’aeroporto dove un aeroplanino ad elica ci apetta per portari a San Diego: “C’è da fidarsi?”. Dopo aver effettato tutte le pratiche necessarie al check-in aspettiamo un’oretta prima dell’imbarco. “Speriamo si ricordi di fare il pieno!!”. Dal finestrino vedo le luci della metropoli: “Ci siamo” –mi dico-. In tarda serata raggiungiamo l’hotel che per nostra fortuna non è poi così lontano dall’aeroporto. La nostra permanenza a San Diego dura solo un giorno, il tempo necessario per una breve visita della città: con la guida alla mano selezioniamo i luoghi che ci interessano di più, e mentre Mariana e Gianluca optano per andare allo zoo e all’acquario cittadino, io e Stafano ci facciamo una passeggiata lungo Gaslamp Quarter, una parte di città che fino agli anni Settanta fu teatro della vita malfamata di San Diego: un rione di prostitute, gioco d’azzardo e fiumi d’alcol, il ritrovo ideale per ruffatori e contrabbandieri. Fortunatamente negli ultimi decenni questo quartiere ha attirato l’attenzione di buona pare della comunità internazionale, tanto da diventare oggi patrimonio storico. In poche parlore è il nuovo cuore di San Diego, rinomato per i locali, i negozi e le caratteristiche vie illuminate dai lampioni a gas.
Ci ritroviamo tutti assime nel primo pomeriggio per fare il tour dell’Hotel del Coronado, il lussuoso albergo vittoriano apparso un paio di volte nella celebre serie tv Baywatch. Visitiamo anche la stanza che dà su una delle torri, dalla quale, secondo il film, si gettò giovane innamorato (Robert) in atto d’amore e fedeltà verso la sua ragazza.
Stasera in riva al mare danno un party con musica funky: la nostra presenza è scontata!
Honolulu, 19 agosto 2007 “Haloa!!! Welkome to Hawaii!!! Non ci posso credere… Finalmente in paradiso!!”. Siamo arrivati da poco con il volo delle 5.30 pm da San Diego dopo una giornata trascorsa in spiaggia a La Jolla, una raffininata località di villeggiatura immersa tra scogliere e piccole insenature di sabbia finissima… Ne abbiamo approfittato per fare qualche immersione, ma l’agitazione era talmente grande che ci siamo precipitati in aeroporto quasi due ore in anticipo rispetto ai margini stabiliti!! Una volta atterrati, come programmato, un’elegante limousine nera ci aspetta all’uscita, l’autista scende, ci prende i bagagli e attraverso una strada secondaria (molto panoramica e poco trafficata) ci porta al nostro hotel… Più che un’hotel è una reggia… Giardini tropicali e zampilli luccicanti precedono ingresso; la sala ristorante (una delle sale aperte) è imbandita di ogni ben di Dio… Non parliamo poi delle stanze da letto… da mille e una notte! Sul letto, in veranda e accando alla vasca da bagno ci sono decine di petali profumati che leggeri formano motivi astratti o tipicamente floreali. Inoltre, per finire in bellezza, qualcuno bussa alla porta: è il direttore dell’hotel che viene a farci visita per consegnarci personalemete le collane di fiori e rendere così uffuciale il benvenuto sull’isola. Da sogno! Honolulu, 24 agosto 2007 Sono un pò triste oggi… è la nostra ultima sera di vacanza prima di fare i bagagli e ritornare in Italia… Abbiamo trascorso una settimana fantastica; nessun libro sarebbe mai in grado di descrivere le bellezze di questa terra, le emozioni provate durante le nostre gite in barca o mentre ci inabissavamo alla scoperta del mondo marino… Sabato è stata una giornata di compelto relax; Stefano si è cimentato nel surf, Gianluca ha provato lo sci nautico, io e Marianna abbiamo fatto conoscenza con alcuni ragazzi hawaiani che lavorano al bar della spiaggia. Waikiki è proprio come appare nei telefilm di Magnum P.I, anzi, ancora meglio! Pranziamo in un bel ristorantino in riva all’Oceano e assistiamo al più bel tramonto mai visto prima… Approfittiamo della serata per fare un giro in centro, ammirando le vetrine illuminate della capitale. Una delle giornate più emozionanti è stata quella di lunedì, quando in elicottero abbiamo raggiunto l’isola di Maui, particolarmente rinomata per le sue candide spiagge. Lì, una volta sistemati, non abbiamo perso tempo e ci siamo subito tuffati nelle acque di giada di Black Rock, uno dei posti migliori dell’isole per praticare snorkelling. E’ stato davvero bellissimo nuotare tra tutti quei pesci colorati, vedere da vicino coralli, conchiglie giganti, buffi animali acquatici e anemoni di mare… Nel pomeriggio affittiamo una barca a vela (timoniere compreso!) per fare il giro dell’isola… Nessuno di noi aveva mai provato quest’esperienza fin’ora…! Giunti in prossimità della barriera corallina, senza pensarci su due volte mi getto in acqua e… “Spalsh!” Un tuffo tira l’altro! Martedì invece ci siamo dedicati all’escursione sull’Isola di Hawai’i, The Big Island come è consuetudine chiamarla. Con degli esperti vulcanologi abbiamo trascorso mezza giornata al Hawai’i Volcanoes National Park, tra sentieri che attrvarsano una rogogliosa foresta pluviale e percorsi che ci portano nei punti più suggestivi per osservare il vulcano Mauna Loa, dalla cima perennemente innevata! L’hotel ci aveva preparato dei cestini con qualche vivanda, bibite e frutta fresca per un veloce pranzo al sacco che consumiamo in prossimità della spiaggia. Il pomeriggio Marianna e Gianluca lo trascorrono in spiaggia; chi a prendere il sole, chi a farsi una nuotatina. Io e Stefano, invece, andamo a caccia di souvenir e cartoline da spedire ai nostri amici… “Non vorrai mica dimenticarti di loro!” –Gli suggerisco scherzando-! Una volta rientrati a Honolulu assistiamo ad uno spettacolo folkloristico in spiaggia dove, attorno ad un grande falò in riva al mare, giovani ragazze hawaiane ondeggiano in modo sensuale i loro bacini in una danza locale. “Ehi…” –“Minaccio” Stefano con un leggero movimento del braccio-. Ed infine la giornata di oggi, molto tranquilla, trascorsa interamente in spiaggia e a bordo del motoscafo dell’hotel per un’uscita in mare aperto. Stasera non so acora quale sarà il programma… visto che è l’ultima notte sull’isola penso andremo in discoteca o in qualche pub particolare… Chissà…
Aeroporto di Londra, 26 agosto 2007 Mi trovo in aereo, abbiamo appena fatto scalo a Londra. Il viaggio tutto sommato è trascorso abbastanza bene, tranne un po’ di spavento quando il Boeing 747 della British Airways ha iniziato a traballare e scendere a picco nel vuoto… Niente di che, solo un vuoto d’aria inaspettato (ad essere sincera me la stavo facendo sotto!). Siamo tutti molto stanchi; sarà il fuso orario, saranno queste interminabili ore di volo, saranno i postumi della nottata in bianco ma non vediamo l’ora di essere a casa. Il comandante ha appena acceso i motori, il tempo di metterci sulla pista e siamo pronti al terzo decollo della giornata! L’ultimo, finalmente! Devo dire che questa non è stata una vacanza qualsiasi, ma LA VACANZA. Un’esperienza, di viaggio di amicizia e non solo… Ho scoperto posti che credevo esistessero solo nei film, ho avuto l’occasione di provare esperienze indescrivibili e troppo emozionanti da raccontare, mi sono misurata con me stessa, talvolta sfidando i limiti della paura e dell’adrenalina che in questi 35 giorni si è fatta sentire come non mai… Mi sento di dover ringraziare i miei compagni di viaggio; grazie a loro ho trascorso momenti indimenticabili, sebbene a volte siano nate banali discussioni o incomprensioni… ma anche questo fa parte del gioco, del viaggio, della vita.
Evelin