Diario di un viaggio a New York
L’idea della Grande Mela ci girava per la testa già da un po’… Così, quando capimmo che il momento poteva essere propizio soprattutto per il cambio Euro/Dollaro abbiamo cominciato a chiederci se quel “sogno nel cassetto” fosse davvero realizzabile. Dopo qualche ricerca su internet e raccolto qualche informazione da colleghi ed amici che erano stati negli States da poco, abbiamo trovato su “expedia.It” quella che ci è sembrata la soluzione migliore: volo KLM –AIR FRANCE da Venezia a New York con scalo Amsterdam all’andata e Parigi al ritorno; pernottamento al “Park Central Hotel” 4 stelle in centro a Manhattan sulla 7^ strada a 3 isolati dal Central Park. Avevamo fin da subito escluso di volare con ALITALIA data la grave crisi che era in corso anche se il costo del volo poteva essere decisamente inferiore. Ma per poter realizzare questo viaggio, c’era però un primo problema: come facciamo con i nostri figli? Non ci sembrava opportuno portarli con noi, un viaggio del genere, per loro, sarebbe stato sicuramente uno stress oltrechè di poco interesse, senza tener conto che nei voli internazionali un bambino paga come un adulto. E così, sentita la disponibilità della sorella della Paola, abbiamo proposto loro una vacanza di una settimana dai “cugini di campagna” (così li chiamano loro): non serve dire quale fu subito la risposta… La decisione fu presa: dal 28 giugno al 4 luglio saremmo stati laggiù. E così il 14 Aprile abbiamo prenotato il nostro viaggio per la Grande Mela. Nei due mesi e mezzo di attesa, abbiamo raccolto più materiale possibile, abbiamo comprato la guida di New York (Lonely Planet è sicuramente la migliore) e cercato di pianificare il nostro viaggio nei minimi dettagli; ci potevamo definire proprio dei “Turisti per caso”, consapevoli del fatto che organizzare un viaggio del genere col “fai da te” non sarebbe certo stata un’impresa facile. Il tutto ovviamente tenendo conto che avevamo fissato un tetto di spesa massimo che, tutto compreso, non doveva superare i 5.000 Euro.
SABATO 28 GIUGNO: Sveglia alle 2.30 del mattino e partenza alle 3.00 sotto un diluvio universale che ci accompagna fino quasi a Venezia dove alle 6.25 avevamo l’aereo per Amsterdam. Arrivati a Venezia abbiamo parcheggiato l’auto al “Garage 2000” (che avevamo prenotato) e, già prima delle 5 avevamo sbrigato tutte le pratiche inaugurando così il nostro nuovo passaporto elettronico. Siamo i primi a fare i check-in, la procedura è velocissima grazie alla lettura ottica ed al solito bagaglio a mano. Siamo già a posto. Vediamo una lunga fila di persone che si sta formando alle nostre spalle. Il volo partirà pienissimo. New York è sempre amata da tanti! L’attesa si fa incandescente, all’aeroporto facciamo qualche foto ricordo per ammazzare il tempo e guardiamo i primi voli del mattino che si alzano in un cielo che nel frattempo si è fatto più limpido. Sono le 6.00, aprono l’imbarco, siamo in tanti, ma saliamo ordinatamente sull’aereo dove abbiamo i posti preassegnati. Il grande momento è arrivato. La partenza è puntuale e tranquilla, guardiamo con una finta indifferenza le espressioni degli altri passeggeri e del personale di bordo mentre l’aereo si alza in volo, dando anche noi la parvenza di essere rilassati, ma in realtà un po’ di tensione è inevitabile. Anche il servizio ci sembra tutto sommato buono e poco dopo ci servono la colazione. Il volo è breve, solo 2 ore rispetto alle 8 ore che ci aspettano per l’attraversata transoceanica.
Non ci sembra ancora vero di essere partiti per l’America e, se pur soddisfatti nell’essere riusciti a realizzare questo sogno, un velo di malinconia ci accompagna pensando a Elena e Filippo e chiedendoci se in fondo quest’avventura non fosse stata una pazzia anche se, per onor di cronaca, avevamo fatto prima di partire una grossa assicurazione per qualunque cosa ci potesse accadere. Alle 8.30 atterriamo all’aeroporto di Amsterdam dove alle 10.40 avremmo dovuto prendere il volo per New York con arrivo previsto all’aeroporto di Newark, nel New Jersey, alle 13.25 ora locale. Altro check-in, altro metaldetector, intervista rigorosamente in lingua inglese per sapere cosa andiamo a fare e cosa portiamo negli USA, per poi alla fine sentirci dire – con molta naturalezza – che per noi non ci sarebbe stato posto in quel volo, ma che saremmo dovuti andare a Parigi dove, da là, avremmo potuto prendere un volo per New York con arrivo questa volta all’aeroporto di J.F. Kennedy (il principale aeroporto di New York) previsto alle 20.20 ora locale. Insomma, in 11 persone, tutti fra l’altro italiani, ci siamo ritrovati in quello che tutti in questi voli ogni volta scongiurano: l’overbooking! Nonostante le forti proteste, soprattutto da parte di chi poi da New York aveva la coincidenza con un altro volo, non c’è stato niente da fare se non ottenere un parziale rimborso sul costo del biglietto aereo e un buono da 15 Euro a testa per telefonare, mangiare o per qualche acquisto. Non ci restava altro da fare che imbarcarci per Parigi. Arrivati a Parigi l’aeroporto ci è sembrato subito immenso, se pensate che ci si sposta da un gate all’altro in autobus e ci sono dei nastri trasportatori su lunghissimi corridoi che ti portano da una parte all’altra. Insomma, senza perdere la calma abbiamo atteso il nostro volo per New York e, questa volta senza problemi, siamo partiti su di un Boing 777 anche questo stracarico di persone. Un aeromobile mastodontico, con tanto di schermo TV su ogni sedile e video per vedere in ogni momento la rotta dell’aereo, tanto che ad un certo punto, facendomi un po’ di impressione e vedendo che sotto avevo l’oceano, ho deciso di spegnerlo. Il volo è discreto, il personale è gentile, proiettano un paio di film vedibili e le poltrone sono abbastanza comode. Otto ore di volo possono passare in fretta se non hai alle spalle i voli precedenti e la tensione che nel frattempo ti si è accumulata. Ma alla fine tutto è bene quel che finisce bene e dopo averci fatto girare per quasi 40 minuti sopra l’aeroporto di J.F.K. Perché le piste erano tutte occupate, alle 21.20 ora locale siamo atterrati. Per la prima volta ci imbattiamo nelle nuove formalità doganali statunitensi dopo l’11 settembre: compilazione di un modulo sul soggiorno, impronte digitali (indice sinistro e destro) e ci viene scattata una foto digitale. Un po’ di impaccio da parte di tutti, ma l’impiegato era abbastanza gentile e ci siamo fatti una risata generale. Attendiamo i bagagli che arrivano in poco meno di venti minuti; tiriamo un sospiro di sollievo perché temevamo che avendoci cambiato il volo i bagagli non ci fossero venuti a seguito (e non è una cosa rara!). Possiamo uscire dall’aeroporto. Siamo a New York. Sono le 10 di sera, fuori è buio, cerchiamo un taxi che ci accompagni all’albergo; davanti a noi c’è una lunga fila di persone, ma l’attesa è breve perché di taxi ce ne sono tantissimi. Il nostro taxista credo sia un pakistano, o giù di lì, con tanto di turbante sul capo che ci conduce alla nostra meta alla modica cifra (si fa per dire!) di 45 $. Lungo il percorso, che dura un’ora circa, cominciamo ad attraversare il Queens con le sue casette in legno tutte attaccate…Tipica ambientazione di film con eroi di periferia… e vedere dal finestrino i primi altissimi grattacieli con le loro luci che ne definiscono i contorni; la stanchezza non la sentiamo perché l’adrenalina è a mille trepidanti di conoscere questo “nuovo mondo”. Arriviamo tranquillamente al nostro Hotel, ci dà subito un grande effetto: una hall enorme con pavimenti in marmo bianco e nero e sedute in pelle, è caratterizzata da un’atmosfera in grande stile. L’Hotel dispone di 934 camere dislocate su 25 piani, noi alloggiavamo all’ottavo. La posizione è inoltre strategica, nel centro di Midtown, formidabile per chi come noi dovrà usare spesso e volentieri la metropolitana. Fatto il check-in, portiamo tutte le masserizie in camera che ci sembra soddisfacente (costa 150 euro a notte senza la colazione, ma è grande, il letto è ampio e comodo, il bagno è spazioso e pulito). C’è un grande televisore a schermo piatto, ci togliamo finalmente le scarpe e decidiamo di gustarci un po’ di TV made in USA prima di dormire: a parte il canale che trasmette solo previsioni del tempo 24 ore su 24 (The weather channel: e ci azzecca nel dettaglio!) c’è la Fox che da solo telefilm (Simpson, Friends, ER, ecc.) e poi la CNN, film a volontà, insomma una goduria! Ma ormai qui è quasi mezzanotte, le 6 del mattino in Italia, ci dobbiamo abituare al jat lag (cambio del fuso orario) e pensare che sono ormai 30 ore che non dormiamo e se vogliamo iniziare l’indomani a vedere l’America è bene chiudere occhio per un po’.
New York conta oltre 8 milioni di abitanti, divisi in 5 distretti o “circoscrizioni”: Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn e Staten Island, che a loro volta sono divisi in decine di quartieri, anche se la maggior parte dei visitatori tende ad identificare la “Grande Mela” (così viene soprannominata New York) con Manhattan dove si trovano Time Square, Central Park, l’Empire State Building e tutti i luoghi più celebri di New York e dove si trova, naturalmente, anche il nostro albergo. Alla fine di giugno il clima è perfetto, sole, cielo terso, temperatura gradevole e costante intorno ai 23 gradi, fino a quando non entri in qualche locale dove l’aria condizionata è così forte che ci vuole il maglione. DOMENICA 29 GIUGNO: sfasati dal jat lag ci troviamo a fare colazione alle 8 del mattino (le 2 del pomeriggio ora italiana) presso un bar della nota catena Starsbuck’s che si trova vicino al nostro albergo: cappuccino e muffin ai mirtilli. Ma dobbiamo fare presto, o oggi o…Mai più, non vogliamo perdere la Messa Gospel ad Harlem. Fatta la METROCARD per una settimana, si parte…! Harem è il quartiere nero di Manhattan famoso per le chiese con i suoi canti gospel. Ci avvertono di stare attenti perchè non è un quartiere molto sicuro, ma non possiamo non andare.
Sbuchiamo dalla metropolitana, le grandi strade sono quasi deserte, l’impressione non è delle migliori, camminando continuiamo a guardarci intorno; i pochi che incrociamo sono tutti neri, alcuni li vedi subito un po’ “sfasati”, altri vestiti a festa con abiti coloratissimi e cappellini sfarzosi che con tutta probabilità stanno andando a qualche messa. Nonostante l’impegno e pur arrivando alle 9.00 del mattino, all’Abyssinian Baptist Church, non c’è niente da fare, c’è già una fila lunghissima per entrare e la celebrazione inizia alle 11.00. Un signore nero ci grida che c’è troppa gente e la chiesa non contiene più di 200 persone. Poi abbiamo saputo che essendo questa la chiesa più famosa di Harlem, molti posti vengono prenotati (non si sa come) dai Tour Operator con largo anticipo. Un po’ sconfortati, decidiamo di non arrenderci, anche perché dietro di noi continua ad arrivare altra gente. Facciamo conoscenza con un gruppo di italiani, ci dicono che c’è un’altra chiesa simile non molto distante e così decidiamo di non perdere tempo e di andare a provare là. Arriviamo così alla Canaan Baptist Church (all’altezza della 116 strada). Qui un solerte e anziano fedele ci accoglie con grande cortesia anche se la funzione è già iniziata. All’entrata ci danno un ventaglio di cartone con su la foto di Martin Luter King. La chiesa è gremita di gente tutta di colore e di ogni età, con l’abito della festa, le signore con il cappellino e la veletta…Fantastico! Riusciamo in qualche modo a trovare dei buoni posti a sedere. C’è un predicatore che sta predicando a braccio, pare una preghiera sulla pace o qualche cosa di simile, hanno un inglese molto “slang” che facciamo fatica a seguire. È un alternarsi di preghiere e canti fatti da una grande corale che sta in un pulpito sopra l’altare. Sono davvero bravi. Ad un certo momento compaiono all’improvviso un centinaio di cantori, tutti elegantissimi vestiti di scuro che cominciano con canti gospel a dir poco da far venire i brividi. E’ davvero incantevole, restiamo ammutoliti, quasi commossi, merita tantissimo. Il coro si può definire solo eccezionale così come i ragazzi che cantano da solisti. L’atmosfera in cui si svolge la funzione è di allegria, di gioia e di enorme partecipazione perché tutti cantano e battono le mani a ritmo. La messa della settimana qui è una sola perché deve essere il momento in cui tutta la comunità parrocchiale si riunisce intorno al suo pastore che la stimola con un sermone (non troppo ortodosso) ad avere pensieri elevati e buoni sentimenti verso il prossimo. E’ stata per noi una esperienza proprio coinvolgente che credo non dimenticheremo mai. Alle 12.30 decidiamo di uscire, la funzione religiosa è ancora in corso, dura oltre 4 ore, ma quel che abbiamo visto ci è bastato per farci riflettere su molte cose.
Decidiamo di tornare verso la base e cercare un ristorante per mangiare perché la fame comincia a farsi sentire, ma anche il jat lag si fa sentire perchè sono praticamente due giorni che non dormiamo. Inizia un mega temporale che ci costringe a ripararci sotto la tettoia di un Hotel vicino al Central Park. Gli stranieri li noti subito perché sono gli unici che cercano un riparo, mentre i newyorkesi fanno come il caso non fosse loro continuando a restare sotto la pioggia. Attorno al Central Park ci sono molti ragazzi che ti invitano a fare un giro sul loro risciò, un tandem a tre ruote, un mezzo di trasporto che in Italia non esiste; di solito sono studenti che per guadagnare qualche soldo ti scarrozzano in giro per la città. Propongo a Paola di farci un giro, ma non la entusiasma molto, dice che gli pare di sfruttarli e così rinunciamo.
Intanto smette di piovere, e vista l’ora ci infiliamo nel primo ristorante che ci pare possa fare al caso nostro. Qui con il cibo bisogna stare un po’ attenti, puoi trovare di tutto e soprattutto la fregatura è sempre pronta dietro l’angolo! Piatto unico: carne e verdura mista, con 30$ ce la caviamo.
Ci dirigiamo verso il Central Park, questo immenso polmone di verde nel cuore di Manhattan. Entriamo in uno dei tanti cancelli arancioni guarniti dall’artista Christo, quello famoso perchè impacchetta i palazzi, e che sono vissuti dalla città come un evento memorabile per la storia dell’arte contemporanea. Il Parco è immenso e pulito, richiederebbe una giornata intera per visitarlo tutto, è davvero bello e gli alberi in questo periodo sono ricchi di vegetazione. Ci imbattiamo in un gruppo di artisti di strada che cantano, suonano e ballano: c’è veramente tanta gente strana qui; siamo colpiti dal gran numero di scoiattoli liberi per il parco che si avvicinano alla gente in cerca di cibo; e poi c’è il famoso laghetto degli innamorati, quello che abbiamo visto migliaia di volte in TV, dedicato a Jacqueline Kennedy Onassis. Comincia a farsi buio, colti dalla fame decidiamo di uscire dal Parco e di dirigerci con la metro verso la 7^ strada, la strada del nostro Albergo. Arriviamo a Time Square: il centro del mondo! Uno spettacolo incredibile, da rimanere senza fiato, c’è un sacco di gente, mega schermi illuminano a giorno l’intera piazza con luci al neon, insegne luminose di ogni colore e ogni notte tutto il mondo si riunisce qui. E’ a dir poco fantastico, restiamo stralunati col naso all’insù, non sai più da che parte guardare, ti sembra di essere dentro un film. Ceniamo nelle vicinanze per goderci questo spettacolo fino a tarda notte, qui la gente non va mai a dormire, ci sono i negozi sempre aperti, finché non decidiamo che ci pare l’ora di tornare in albergo altrimenti l’indomani sarà dura ripartire. LUNEDI’ 30 GIUGNO: solita colazione da Starsbuck’s, poi si parte con destinazione Ellis Island e Liberty Island, l’isolotto su cui si trova la Statua della Libertà. Dopo 20 minuti di metro siamo a sud di Manhattan dove dopo aver fatto una lunga fila per i biglietti e i soliti controlli per la sicurezza (ci hanno fatto togliere perfino la cintura!), ci imbarchiamo sul battello Circle Line che ci porta all’isola della Statua più famosa del mondo. Mentre il battello si allontana ammiriamo lo skyline di New York e cominciamo a fare le prime foto. Già da distante la Statua appare veramente grande ed imponente, è alta 46 metri, ed è il simbolo dell’America per chi arriva dal mare. Gli americani sono molto affezionati a questa statua che rappresenta per loro il simbolo della libertà e della fratellanza fra i popoli in quanto c’è stata una vera e propria cordata di solidarietà per far erigere questo monumento. Stiamo sull’isola un’oretta tra foto e visita al negozio di souvenir, poi ripartiamo con un altro battello per la volta di Ellis Island che dista appena 10 minuti. Ellis Island è il punto di arrivo e di quarantena per tutta l’immigrazione proveniente da oltreoceano che ha popolato l’America. Si parla di oltre 12 milioni di persone che sono passati di qui tra il 1852 e il 1954; nel periodo subito dopo la seconda guerra mondiale si arrivò a registrare fino a 12.000 arrivi in un solo giorno. Nella grande struttura è stato realizzato nei primi anni 90 un museo dell’immigrazione, con tantissime testimonianze di quel periodo. C’è anche un computer che permette di ritrovare i propri antenati sbarcati su quei lidi in cerca di un avvenire migliore. La comunità più numerosa per tutta la prima metà del secolo è stata sicuramente quella italiana. La grande stanza della Registrazione presenta dati, numeri e tabelloni esplicativi. Le stanze ai piani superiori sono dedicate alle testimonianze più dirette, alle storie di chi lasciava con disperazione la propria terra per cercare un avvenire migliore in quel grande paese; abiti, valigie, biglietti di piroscafi, passaporti, fotografie, canzoni. Ci sono le testimonianze dei lavori svolti dagli emigranti, dalle quali emerge il ruolo fondamentale degli italiani nella storia della nazione americana. In una stanza è riportato un detto di un nostro emigrante che mi ha molto colpito: “mi dicevano che in America le strade erano pavimentate con l’oro; quando sono arrivato ho avuto tre sorprese, la prima che le strade non erano d’oro, la seconda che non erano asfaltate, la terza che toccava proprio a me pavimentarle”. Riprendiamo il traghetto e la metro ed arriviamo a Ground Zero e alla St. Paul’s Chapel. È davvero impressionante: dove c’erano le Torri Gemelle oggi c’è un enorme cantiere, tutta la zona è recintata e ricoperta dai murales e dai memoriali. Fiori, foto di persone di tutte le razze e di tutte le età. Questo è diventato il luogo più frequentato di New York, c’è gente che prega e gente che piange davanti alle foto di quei momenti; si intravede ancora il cratere lasciato e ci sono i lavori in corso che vietano di avvicinarsi troppo. Ma l’atmosfera si percepisce tutta, è un’atmosfera di sconfitta ed orgoglio insieme, in quanto gli Americani da tanto orrore hanno trovato la forza per andare avanti più uniti di prima. Decidiamo di riportarci verso il nostro albergo per prepararci per la serata a Broadway dove ci aspetta il Musical “MAMMA MIA!” lo spettacolo musicale che sta avendo un enorme successo incentrato sulle musiche degli Abba e prenotato, con non poca fatica, in Italia 2 mesi prima alla modica cifra (si fa per dire!) di 256 $.
Siamo là prima delle 19.30. Davanti al Cadillac Winter Garden Theatre c’è già una lunga fila e lo spettacolo inizia alle 20.00, ma noi siamo fortunati, con i nostri biglietti ci fanno subito passare. Siamo in 7^ fila proprio di fronte al palco, il teatro è grande, ma raccolto, ed in poco tempo è gremito di gente. Due ore e mezza di spettacolo a dir poco entusiasmante, gli attori sono bravissimi, hanno voci strabilianti, le musiche e la storia sono davvero godibili; insomma, Mamma Mia è un musical allegro e nello stesso tempo coinvolgente per chi come noi ha vissuto gli Abba negli anni 80.
MARTEDI’ 1 LUGLIO: il programma della giornata inizia con la visita al Financial District e a Wall Streat. E’ il mondo degli affari, il regno del capitalismo, del Down Jones, il ribasso o l’aumento che fa tremare o gioire milioni di risparmiatori e di speculatori in ogni parte del mondo. In Italia sono le 3 del pomeriggio e l’apertura di Wall Streat condiziona inevitabilmente il nostro piccolo MIB30. Purtroppo non riusciamo a visitare la grande borsa valori: dall’11 settembre le visite sono sospese e si può ammirare solo all’esterno il grande edificio neoclassico, ricoperto da un’enorme bandiera americana. Dopo le foto e le riprese di rito alla borsa più famosa del mondo e alla statua di George Washington che si trova a ridosso della piazza, riprendiamo la metro e ci dirigiamo verso Brooklin. Viaggiare in metro è sempre folkloristico: a parte il crogiuolo di razze che si può ammirare, si trovano ragazzi di colore che accendono le loro grosse radio e ballano l’hip hop, predicatori che parlano della imminente fine del mondo e chi più ne ha più ne metta! Il bello di New York è che potresti startene tranquillamente fermo in un angolo a guardare e già questo è uno spettacolo incantevole. Gente di ogni colore e razza che cammina velocemente, un fiume di persone ovunque tu vada. Le strade sono gremite di taxi gialli, sono veramente tantissimi. E poi gli inconfondibili camion rossi dei Vigili del Fuoco con la caratteristica sirena che li annuncia. Per non parlare delle limousine, quando ne vedevo una la fotografavo per Filippo che ogni volta ci sentivamo al telefono me lo ricordava sempre.
Usciamo dalla metro e scorgiamo subito la sagoma imponente di un altro simbolo della città: il ponte di Brooklin, il ponte più famoso del modo che unisce Manhattan a Brooklin. È proprio maestoso, sospeso in aria con grosse corde di acciaio questa struttura è sicuramente un’icona dell’architettura moderna. Il percorso inizia immediatamente a est della City Hall (il municipio di New York) da dove si può ammirare una splendida veduta di Manhattan. Lo attraversiamo tutto, la sua campata misura 485 m. In mezzo alle due direzioni di marcia c’è una parte in legno riservata ai pedoni e ai ciclisti. Attraversare il ponte permette di ammirare splendidi panorami dell’East River e dei relativi edifici, nonché l’altrettanto splendido Manhattan Bridge. Ci fermiamo presso i principali punti panoramici a leggere l’avventurosa storia della costruzione del ponte e della sua inaugurazione, oltre che ovviamente immortalare questo spettacolo con la video camera. Che dire della passeggiata sul ponte di Brooklin? Tra le dieci cose da non perdere nella Grande Mela e forse al mondo.
Brooklin è un quartiere molto moderno e vivace di New York, le vie sono piene di negozi e di curiosità strane. È quasi l’ora di pranzo, decidiamo di cominciare a guardarci intorno per individuare un locale per andare a mangiare. Ci ispira un localino seminterrato, gestito rigorosamente da cinesi, dove mangiamo dell’ottimo riso nero con della carne affumicata, sembra tipo pollo al curry. Pian piano torniamo verso la città con destinazione Empire State Building e Rokfeller Center i principali e più famosi grattaceli di New York. Di fronte al Rokfeller Center si trova St. Patrick’s Chathedral, una delle chiese in stile gotico più belle di New York dove dicono che i 2,2 milioni di cattolici newyorkesy vi sono entrati almeno una volta. Pur essendo un luogo di culto, ci sembra di entrare ad una mostra; non è infatti il luogo più adatto alla contemplazione ascetica a causa dell’incessante brusio dei numerosi visitatori irrispettosi, armati di videocamera. Ma al di là di questo la chiesa è davvero bella: ci sono otto piccole cappelle laterali, oltre alla cappella dedicata a Nuestra Senora de Guadalupe e l’altare maggiore fino alla più tranquilla Lady Chapel consacrata alla Vergine Maria. Una cosa che ci ha molto rallegrato è stata quella di vedere la statua a mezzo busto raffigurante il nostro Papa Giovanni Paolo II, a dimostrazione che il nostro Papa Woytila è stato un Papa amato proprio da tutto il mondo indistintamente. Proseguiamo lungo la 48th strada e arriviamo proprio sotto al Rokfeller Center dove apprezziamo la statua di Prometeo che domina la piazza che d’inverno diventa una pista di pattinaggio su ghiaccio. Un po’ deludente se pensiamo che la vediamo tanto grande nei film in TV. In questa piazza merita ricordare che ogni anno viene costruito il gigantesco albero di Natale che attira migliaia di visitatori ed è diventato una delle maggiori attrazioni. Soliti biglietti e soliti controlli per arrivare con un ascensore super veloce al 73° piano: siamo nel Top on the Rock. La giornata è abbastanza limpida e in cima il panorama è bellissimo perché si vedono tutti i principali punti di New York. Tutti ci hanno consigliato di salire su questo grattacelo piuttosto dell’Empire State Building, la visuale è migliore anche per le foto e le riprese video soprattutto perché nel terrazzo ci sono le lastre in vetro anziché le sbarre. Dicono che quando tira vento si sente che il grattacelo oscilla, ma per fortuna oggi è una giornata abbastanza calma. Un’esperienza indimenticabile, sembra di essere in cielo.
Scendiamo dal grattacelo e decidiamo di infilarci nel Bloomingdale’s, un famoso grande magazzino tipo La Rinascente. La merce più o meno è come in Italia e anche i prezzi non ci sembrano poi così convenienti, ma un giro all’interno, per chi viene a New York, merita pure. Vista l’ora la fame si fa sentire, abbiamo voglia di qualche cosa di nostrano e così ci infiliamo da Angelo’s un tipico locale italiano dove mangiamo una buona pizza.
MERCOLEDI’ 2 LUGLIO: che cos’è una vacanza senza un po’ di cultura? New York offre tra i migliori musei al mondo e noi, pur senza passarci intere giornate, abbiamo le migliori intenzioni a riguardo. Dopo la solita colazione, la mattina è dedicata al MoMa il famoso Museo di Arte Moderna, un museo che definire strepitoso è certamente riduttivo. Grandioso l’edificio, bella l’esposizione degli innumerevoli quadri dai quali ti senti rapito: Van Gogh, Renoir, De Chirico, Picasso, ci sono tutti. Anche se ci sentiamo molto profani in questo campo ci incantiamo davanti alla Notte stellata di Van Gogh, anche se non possiamo certo dire che le altre sculture e pitture siano da meno. Dal sacro al profano perchè usciti dal MoMa decidiamo di andare alla Nike un palazzo a tre piani dove, con 80 $, abbiamo comprato le scarpe da ginnastica per me e per Paola, mentre per Elena, su sua espressa richiesta, abbiamo comprato le tanto smaniate Converse.
Per pranzo ci ispira provare un vicino locale gestito da ebrei: tutti col loro inconfondibile copricapo, sono di una gentilezza unica. Non è semplice capire il menù così, guardandoci un po’ intorno, indichiamo al cameriere un piatto che stanno mangiando altri (solita figuraccia da italiani…!). La giornata prosegue con una visita obbligata alla Apple: è un megastore grandissimo dove puoi trovarci veramente di tutto, così come il BH il più grande negozio di elettronica di New York. Siamo nelle vicinanze del Medison Square Garden, il famoso teatro dove ha cantato anche il nostro Pavarotti e tutti i più famosi cantanti del mondo; una breve visita per poi andare sulla 5th strada a gustarci le pupille sulla via più “in” di New York dove si trovano i più famosi negozi con le firme delle migliori marche di abbigliamento e di moda (molte delle griffes sono italiane). Cena da Tad’s poi, naturalmente, Time Square fino a notte fonda.
GIOVEDI’ 3 LUGLIO: la giornata è dedicata ai quartieri etnici di New York. Con la metro ci dirigiamo per la visita di Chinatown e di Little Italy, distanti l’uno dall’altro pochi minuti a piedi. A dire la verità è stata la parte di New York che ci è piaciuta di meno, anche qui è più il fascino legato alle parole in se stesse e a tutte le suggestioni cinematografiche e letterarie connesse. Chinatown non è altro che un lercio agglomerato di sporche vivande, cineserie, paccottiglie ed insegne al neon uguale in tutte le Chinatown del mondo. Little Italy è ridotta a poche strade di ristoranti di sbiaditi tricolori e nomi che più italiano non si può tipo Babbo, Gino o Mammamia. Facciamo un giro completo sull’itinerario tracciato sulla Lonely Planet, tanto per dire che anche noi siamo stati qui. Risalendo uptown ci fermiamo a Soho, il quartiere dei loft, delle gallerie d’arte e dei locali di quinta strada, e la mia natura di provinciale si esalta di fronte a questa dimensione moda. Qui l’atmosfera newyorchese è pari se non superiore a quella della più umana e decisamente snob. Al pomeriggio decidiamo di andare al Guggenheim Museum, un altro museo di fama mondiale; la struttura assomiglia a un grande WC, ma ci suggeriscono di non entrare in quanto le opere all’interno sono davvero poche e di poco conto, i quadri migliori in questo periodo sono in giro per il mondo. Siamo a fianco del Central Park e facciamo un giro a piedi tutto attorno al lago dove troviamo il monumento dedicato a Jacqueline Kennedy Onassis, ma soprattutto incrociamo tanti e tanti newyorkesi che dopo il lavoro vengono a fare jogging in questa magnifica oasi di verde in mezzo ai grattaceli di New York.
Decidiamo di tornare nella 7th strada per fare un po’ di shopping e cercare qualche ricordino da portare a casa: classica maglietta di New York per tutti e qualche cappellino. Non possiamo non notare che ci sono un sacco di negozi che espongono oggetti con la pubblicità di Barak Obama; qui in America siamo ormai prossimi alle elezioni politiche e ci sembra di poter proprio dire che i newyorkesi tifano tutti per il candidato democratico. Anche stasera pizza da Angelo’s per poi, per l’ultima volta Time Square, perché domani si riparte.
VENERDI’ 4 LUGLIO: E’ il giorno della partenza, ma siamo a New York e non possiamo non andare alla sede dell’O.N.U., il Palazzo delle Nazioni Unite. Merita ricordare che oggi questa organizzazione è composta da tutti gli Stati del mondo (192) ad eccezione dello Stato di Taiwan e Città del Vaticano. Ultimo caffé da Starbuck’ e poi via con la metro fino a quello che tutti conosciamo come “Palazzo di Vetro” dove ogni anno ha luogo l’Assemblea Generale degli Stati membri e dove si riunisce il Consiglio di Sicurezza per esaminare le crisi internazionali. È un edificio mastodontico, tutto di vetro, circondato da una imponente cancellata in ferro battuto. Il Palazzo sembra chiuso, le visite oggi non sono previste, ci dicono peraltro che bisogna prenotarle per tempo. Dopo un breve giro intorno al Palazzo, ritorniamo in albergo perchè dobbiamo lasciare la stanza entro mezzogiorno. È arrivato il momento di partire, alle 16.25 abbiamo il volo per Venezia con l’arrivo previsto alle 9.30 dell’indomani mattina. Dall’albergo verso l’aeroporto in taxi abbiamo salutato con un po’ di malinconia la meravigliosa Grande Mela dal fascino moderno. Arrivederci New York, ci rivedremo ben presto.
CONCLUSIONI: New York è una città che non lascia indifferenti, bisogna vederla, anche se ti sembra di conoscerla da sempre: le enormi vie piene di taxi gialli, i baracchini che vendono gli hot dog all’angolo delle strade, i mega grattacieli, la metropolitana e persino la statua della libertà sono ormai un patrimonio comune dovuto a tanti e tanti film che sono ambientati in questa grande metropoli. Secondo noi una settimana è un periodo adeguato per farsi un’idea abbastanza completa della città (cioè di Manhattan). A New York ci si muove con facilità, la città è molto sicura (almeno Manhattan, a parte –dicono- Harlem di notte), non carissima (finché regge bene il nostro euro) sempre piuttosto vivace e non troppo affollata, almeno in questo periodo. Ma bisogna mettersi in testa però che a New York si cammina, e molto. È infatti una città da girare il più possibile a piedi, perché ovunque ci si trovi, basta guardarsi intorno e il bello è tutto lì. Non c’è angolo di questa incredibile città che non riservi una sorpresa, qualcosa di interessante da vedere, qualcosa di insolito che ti resterà nel cuore per sempre.